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24.
Politica abissina. Prima grammatica galla.
Con don Comboni da Eugenia e Napoleone III.
mio arrivo a Lione
[4.7.1864]
Arrivato a Lione con tutto intiero il mio codino, ho ripreso i miei lavori della grammatica, del catechismo, e le trattative colla nostra provincia cappuccina francese per il nuovo collegio galla da farsi, e per i nuovi missionarii che dovevano partire con me per l’Africa orientale. Il P. Lorenzo d’Aosta, allora Provinciale dei Cappuccini di Francia aveva radunato la Definizione nel nostro Convento di Lione per
[p. 913]
decidere gli affari del collegio suddetto, e dei missionarii da mandarsi con me.
[alla Propagazione:
8.7.1864; 30.9.1864]
Ma per una parte ostavano i miei lavori suddetti della grammatica e del catechismo, per i quali io aveva bisogno di tempo, sia per terminarli, e sia per metterli alle stampe. Per altra parte poi il M. R. P. Lorenzo da Aosta suddetto stava per finire il suo quarto triennio di Provincialato, e doveva perciò aver luogo il Capitolo Provinciale dopo Pasqua del prossimo anno 1866.;
[21.7.1865]
noi così abbiamo tutto combinato, disse il suddetto Prelato, ma non si potrà partire che dopo il capitolo, e coll’approvazione dei nuovi superiori che verranno eletti.
arriviamo a Parigi
[19.7.1864],
e Versailles coi giovani galla
Dopo ciò io sono partito per Parigi per continuare i miei lavori già sopra indicati. Il P. Domenico andò a Marsilia, dove ancora restavano i miei due giovani galla, ed accompagnatili a Parigi, un bel giorno siamo andati a Versailles, dove si trovava il noviziato cappuccino, e là furono consegnati al P. Maestro. Questi due giovani incomminciavano a capire, e farsi capire nella lingua francese, epperciò potevano rimanere senza di me; solamente ogni settimana io mi recava il Sabbato sera al Convento di Versailles per confessargli,
[p. 914]
e fare loro qualche conferenza spirituale. In Parigi, mentre io lavorava a scrivere, non ho lasciato di trattare coll’imperatore Napoleone, e col suo governo gli affari di Teodoro.
[2a metà 1864 o inizio 1865]
In quel tempo arrivò anche a Parigi Monsieur Le Jean, che io aveva lasciato a Massawah. Questo viaggiatore portò delle notizie e delle lettere dall’Abissinia.
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[1864]
Nel corso dell’anno 1865., mentre io col Dottore La Garde eravamo in viaggio per l’Egitto e per l’Europa, in Abissinia si svilupparono due questioni gravissime per la diplomazia di quel paese, e per il regno di Teodoro.
Waxum Govezie regna nel Tigrè
[1866]
Per una parte Waxum Goveziè, del quale già si è parlato, sortì dagli Azzobu Galla, e si impadronì del Tigrè, facendo prigioni tutti gli impiegati di Teodoro che ricusarono di passare al suo servizio. Il Principe Goxà, il quale, al nostro passaggio, governava l’Enderta ed il Tempien, con sua madre
[† 1869]
Ozzoro Salassie, furono legati e messi in prigione sopra la fortezza di cui già si parlò. Waxum Goveziè diventò padrone non solo di tutto il Tigrè, ma ancora del Tempien, dell’Enderta, e degli Agau, cioè tutto il nord del fiume Takaziè, lasciando all’imperatore Teodoro solamente la parte sud
[p. 915]
di questo fiume medesimo. Anche dalla parte del sud Menilik, quasi nello stesso tempo, fuggito da Magdala,
[30.6-1.7.1865]
passò i Wollo, e coll’aiuto di questi poté vincere Betzabèe, che regnava nello Scioha, ed impadronirsi del medesimo. Il regno di Teodoro perciò si diminuì dei due terzi, non rimanendogli più altro che il Beghemeder, il Dembea, il Semien, ed il Volkaït.
questione dei missionarii protestanti
Per altra parte poi l’imperatore Teodoro sollevò la questione cogli inglesi, la quale, più tardi, lo rovinò, e fu causa della sua morte. La questione ebbe principio dal Signor Stern visitatore delle missioni protestanti stabiliti a Genga, le quali
[sett. 1860; fine 1862-1863]
[ott. 1863]
in quel tempo erano protette inglesi. Da quanto mi riferivano alcune lettere di abissini, furono sequestrate alcune lettere e corrispondenze del Signor Stern al Vescovo Salama, da compromettere non solo il Signor Stern, ma anche gli altri missionarii protestanti di Genga. Per questa ragione l’imperatore Teodoro maltrattò non solo Stern, ma tutti i missionarii suddetti protetti inglesi. Trovandosi in Abissinia allora il Signor Cameron console inglese di Massawah e dell’Abissinia, di necessità dovette trattare forze troppo calorosamente la causa di quei suoi protetti, e la questione
[p. 916]
dei protetti diventò questione del governo inglese, massime dopo che
[2.1.1864]
il console Cameron fu maltrattato, e messo in prigione. Parlarono di questa questione tutti i giornali d’Europa, e
il regno dei giornali europei
ne parlarono anche troppo, ciascheduno guidato da diverse passioni diplomatiche, [ne parlarono anche troppo] chi pro, chi contro, in modo da compromettere anche l’onore della nazione inglese molto delicata in questo genere, come ognun sa. Anticamente tutte le questioni internazionali si trattavano diplomaticamente nei soli gabinetti politici, e si potevano più economicamente finire senza spargimento di sangue e con molto minori spese. Oggi, epoca dei giornali, non sono più i re, non sono i ministri, e possiam dire neanche, ne le camere, ne il vero popolo tranquillo, ma pochi oziosi e viziosi nei caffè, nelle betole, nelle piazze sollevano le questioni, e gli
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altri pagano colla borza e col sangue, ed intanto nulla si fa, e nulla si conchiude.
vana speranza degli abissinesi La povera Abissinia da più di un secolo distrutta dalla guerra civile, e morta di fame per la cessazione del loro governo paterno, all’umbra del quale aveva passato dei secoli in pace, e nell’abbondanza di pane: vengano gli inglesi, vengano i francesi, vengano gli italiani, oppure gli spagnoli, per noi tutto è eguale, diceva il vero popolo amico [p. 917] della pace e del lavoro, purché si facia[no] cessare questo stato di violenza e di distruzione; in cui neanche più possiamo lavorare i nostri campi per mangiarci in pace un poco di pane. la campagna degli inglesi Vennero difatti gli inglesi, portati non da spirito di conquista, ma unicamente dall’onore nazionale per liberare i loro confratelli; la campagna inglese fù bellissima ed avrebbe bastata per guarire l’Abissinia per sempre; si può dire che gli abissinesi neanche si mossero alla difesa, tanto era il piacere di vederla una volta finita. Ma il cieco giornalismo dell’Europa, quello stesso giornalismo che aveva sollevato l’amor proprio inglese alla guerra contro l’Abissinia, fattosi organo della gelosia nazionale dei diversi governi nostri, obligò la vittoriosa Inghilterra ad abbandonare il campo, lasciando la povera Abissinia in piena guerra civile.
la guerra civile tuttora viva in etiopia Nel momento in cui scrivo la povera Abissinia distrutta dalla guerra civile nella sua parte del Nord, sede dell’antico impero, non trovando più pane in paese suo, ha portato le sue armi dalla parte del Sud contro i poveri galla disarmati, i quali erano la richezza di tutto quell’alto piano etiopico, e la distruzione è già arrivata a toccare le frontiere di Kafa; ancora qualche anno, l’intiero alto piano [p. 918] sarà tutto distrutto. calcoli sull’avvenire della guerra d’Abissinia Se la spedizione inglese avesse stabilito una semplice posizione sulle frontiere, una gran parte delle richezze di quel paese sarebbero corse sotto la sua bandiera per la sola speranza di trovarne sicurezza; l’Inghilterra colla sua vittoria sopra Teodoro, divenuta padrona, il solo suo prestigio senza guerre col tempo avrebbe guadagnato il prestigio sopra tutto quel paese, il quale, se non avrebbe dato a Lei gran denaro, avrebbe dato prodotti, e sopratutto avrebbe dato buoni soldati. Il paese poi guadagnando la sua tranquillità in poco tempo sarebbe divenuto abbastanza ricco coi suoi soli prodotti. Ora tutto ciò è stato perduto [d]all’Abissinia, ed [d]all’Inghilterra per la gelosia sollevata dal giornalismo. Se io scrivo ciò non è una mia esaggerazione [mia], ma è una verità; io era là ed ho veduto coi miei occhj, ed ho sentito colle mie orecchie ciò che passava colà.
Mentre tutta l’Europa era in agitazione diplomatica sul conto dell’Abissinia
mie relazioni col governo in Parigi
[1865]
trovandomi io in Parigi per i miei lavori ho dovuto visitare l’impe-
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ratore Napoleone III. per domandargli la grazia di poter fare imprimere la mia grammatica amarico-galla alla Stamperia imperiale, dove solamente si trovavano i caratteri etiopici che occorrevano per la medesima, ed ero soventi
[p. 919]
chiamato al ministero degli esteri,
mie relazioni con Teodoro
[Teodoro a Napoleone III:
29.10.1862]
sia per leggere le lettere in lingua abissina che venivano dall’imperatore Teodoro, il quale trovandosi in collisione coll’Inghilterra non lasciava di coltivare la Francia per assicurarsi un sufficiente contrappeso diplomatico. Mons[i]eur Fauger primo uffiziale del gabinetto degli esteri nella sessione orientale, era in relazione intima con me, sopra gli affari allora correnti dell’Abissinia; ho potuto perciò tutto conoscere come la pensavano in Francia rapporto alla vertenza anglo-abissina; tanto più che l’imperatore Teodoro medesimo, avendomi particolarmente conosciuto, ed in certo modo confidando anche in me a questo riguardo, non lasciava di scrivermi.
sia la Francia, che l’Inghilterra volevano la pace
La Francia aveva sempre esercitato una certa specie di protettorato in Abissinia, epperciò non vedeva certamente volontieri che l’Inghilterra portasse le sue armi in quel paese, e lavorava piuttosto nel senso della pace trà l’Inghilterra e Teodoro. Anche l’Inghilterra avrebbe molto volontieri lasciata una simile guerra, la quale non avrebbe mancato di costargli una bella somma oltre al pericolo di perdere uomini in una guerra da essa
[p. 920]
considerata di un’avvenire dubbio, e poco interessante; ma per una parte i prigionieri colle loro lettere gridavano pietà, e per l’altra l’opinione publica sollevata dal giornalismo l’incalzava. Anche Teodoro per parte sua
il signor Flat va a Londra
[apr. 1866]
aveva spedito in Inghilterra il Signor Flat missionario Protestante domandando alcuni regali per rilasciare i prigionieri; tutto fù accordato per liberarsi da quella guerra, come si vedrà in seguito, essendo questa una parte troppo interessante di queste mie memorie, come questione naturalmente connessa, colle mie operazioni di quell’epoca. Per ora basti il dire che tutto fu inutile.
Rassan è spedito a Teodoro
[arrivo: gen. 1866]
Per ora basti il dire, che l’Inghilterra aveva già spedito all’imperatore Teodoro il Signor Rassan di origine armeno, e suo impiegato in Aden Secondo dopo il Governatore, per trattare la pace, ma la sua spedizione non fu fortunata, perché quel Signore, accompagnato da Servi, appena arrivato al campo di Teodoro, invece di essere trattato come inviato di una potenza rispettabile d’Europa, non tardò ad essere anche egli maltrattato, e messo in prigione per aggiungere un numero di più alla gravità della questione; il povero inviato dopo pochi giorni, caduto in disgrazia, vidde gli stessi suoi proprii Servi meglio trattati di lui, perché l’abissino anche grande non ha una giusta
[p. 921]
idea del rispetto dovuto ad un’inviato di riguardo, come non ha una giusta idea delle potenze europee, e del diritto delle genti che le governa.
conversazione col ministro
Trovandomi
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un giorno al ministero degli esteri in Parigi, e parlando academicamente di questo affare collo stesso ministro [egli] mi disse, Ella più di tutti potrebbe far buon’uffizio a questo riguardo come amico di Teodoro; se Ella fosse disposta ad acettare l’incarico, io ne parlerei all’ambasciatore inglese, e farebbe un vero servizio: io sono certo che il governo inglese, non solo ne sarebbe grato, ma somministrerebbe abundantemente tutto il necessario per la spedizione.
un progetto di spedizione Qui non è il caso di una proposta officiale, risposi io, ma nel caso che fosse [tale] io non potrei acettare un simile incarico senza un permesso del santo padre il Papa, da cui dipendo; quando anche il S. Padre lo permettesse, oppure [che] me lo comandasse, io non potrei andare come inviato di un governo qualunque, con titoli, accompagnamenti, e paghe senza abbassare l’idea che il paese ha concepito di me, come uomo di Chiesa, e semplice missionario; io come sono venuto armato del mio solo bastone, facendo anche un poco di apostolato strada facendo, secondo che le circostanze lo permetteranno, in nomine Domini [p. 922] io me ne anderò con tutta semplicità e secretezza. Arrivato che sarò al campo di Teodoro farò tutti i miei sforzi per entrare da Lui, ed entrato mi getterò ai suoi piedi pregandolo di rilasciare tutti i prigionieri per l’amore di Cristo, e per il bene suo e di tutta l’Abissinia, costituendomi io come prigioniero in luogo loro. In questo senso e non [in] altro io potrei eseguire il supposto mandato con qualche speranza di esito, e senza degradarmi in facia a tutto quel paese in modo di potere continuare la mia operazione apostolica. Quando il ministro francese sentì questa mia risposta fece un’atto di ammirazione, ed osservò silenzio. Così finì la nostra conversazione, e fui lasciato in pace.
la missione dell’Africa Centrale
In quell’epoca la missione dell’Africa centrale si trovava nella desolazione. Essa aveva già esaurite le forze di varie congregazioni: i tedeschi, succeduti ai Padri Gesuiti nel 1851. erano stati quasi tutti vittima, e
[8.1.1858-17.6.1859]
dovettero ritirarsi cedendo le armi all’instituto Massa di Verona, il quale pure perdette quasi tutti i suoi missionarii, ad eccezione di Don Beltrami, e Don
[p. 923]
Daniele Comboni, sopra il fiume bianco, e fù obligato a ritirarsi cedendo l’impresa ai Padri Riformati. Anche questi ebbero delle grandi perdite al fiume bianco ed in Kartum. Nel 1864. quella missione si trovava quasi deserta; e si stavano facendo progetti.
[Piano di Comboni
Roma: 15.9.1864]
arrivo di don Comboni a Parigi
[12.1.1865]
Don Daniele Comboni dell’instituto Massa di Verona stava presentando progetti alla S. C. di Propaganda. Sua Eminenza il Cardinale Barnabò lo mandò a Parigi, accompagnato da una lettera a me. Questo zelante sacerdote restò con me più di sei mesi facendomi da Segretario, e da compagno in Parigi. Il suo scopo era quello di aggiungere alle proprie
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anche le mie esperienze sopra la missione di quei paesi; e di fare nel tempo stesso nuove conoscenze in Parigi per i suoi progetti che stava scrivendo.
mie relazioni con lui
[gen.-giu. 1865]
Io sono come obligato a parlare di questo zelante missionario per molte ragioni. La prima di tutte è perché in tutto il tempo che io ho passato in Europa fù come una persona mia ed ebbe parte in molte mie operazioni. In secondo luogo, perché egli in seguito ebbe per me sempre una grande venerazione, e mi citò in molti suoi scritti di publica ragione.
[p. 924]
don Comboni fatto vescovo
[11.7.1877];
sue qualità, e sue morte
[10.10.1881]
Non parlo del zelo, del fervore, e di altri doni spirituali, per i quali D. Daniele Comboni era un vero [un vero] missionario modello, da cui io fui molto edificato; era egli poi dotato di doni naturali particolari a se: una volontà di ferro ed un’energia senza pari; una dottrina molto superiore alla mia, ed un’eloquenza tutta particolare, ed era uno di quegli uomini fatto per cattivarsi gli animi. Dopo la mia partenza per l’Africa fù fatto Vescovo e Vicario Apostolico della missione suddetta, ed incomminciò delle operazioni colossali in Egitto, in Sennar, e sui Confini del Kurdofan, operazioni che egli solo comprese, e che egli solo avrebbe potuto continuare se fosse vissuto molto tempo, ma sgraziatamente fu vittima [delle febbri] in Kartum, e siamo obligati a confessare che lasciò un vuoto a quella missione, che un suo successore avrà non poco da fare per riempirlo.
Ciò detto, e pagato questo troppo giusto tributo a questo campione dell’odierno apostolato, al quale io personalmen[te] professo molta obligazione, perché mi fu, non so se debba chiamarlo giustamente amico indivisibile, oppure ancora figlio divotissimo, dirò che
visita all’imperatrice ed al figlio
[28.5.1865]
con lui mi sono presentato all’imperatrice Eugenia per implorare assistenza in favore degli abissinesi pellegrini a Gerusalemme, per i quali, in presenza
[p. 925]
del nostro Comboni, mi prometteva di adoperarsi per lo stabilimento di S.t Anna in favore dei medesimi; insieme abbiamo veduto pure il Principe imperiale, introdotti dall’Abbé Guerin Curato della Maddalena. L’imperatore in quel tempo si trovava in Algeria, dove
[40. giorni.
Ritorno a Parigi: [11.6.1865]
passò circa due settimane; ritornato egli dall’Algeria, non sapeva più parlare di altro che delle cortesie ricevute da quei barbari mussulmani, oggi capisco, diceva l’imperatore, come il Sultano di Costantinopoli con pochissima forza e pochissime spese governa un’impero più vasto della Francia; mentre noi con mezzo milione di truppe non arriviamo a mantenere l’ordine. Simili discorsi avevano irritato il publico francese, non solo cattolico, ma anche liberale, e tutti i giornali ne parlavano in modo poco favorevole a S.[ua] M.[aestàj imperiale.
Io con D. Comboni avendo domandato udienza per ottenere la grazia
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per la stampa della grammatica amarico-galla,
visita all’imperatore
[25.6.1865]
fummo cortesemente ricevuti alle Tullierie [= Tuilerie] nel gran salone delle udienze publiche. Un gran mondo di dinitarii di tutte le categorie era venuto a dargli il benvenuto, e [l’imperatore] diriggeva la parola ora agli uni, ed ora agli altri, quasi sempre sopra le accoglienze e cortesie ricevute in algerie. Voi, [disse] rivolto a me, siete mezzo africano, e meglio degli altri potrete conoscere i mussulmani, quanto sono graziosi,
[p. 926]
ed in questo senso andava lodando i suoi arabi.
una mia risposta all’imperatore
L’ho lasciato dire, ma poi quando ho creduto conveniente [di] dare una risposta qualunque, Sire, dissi io, Vostra Maestà ha ragione: colla briglia si domano i cavalli, e col bastone gli asini; gli arabi non sono più uomini, ma V.[ostra] Maestà non ignora nelle storie, quanto facilmente, e con pochissimi soldati il sistema paterno dei nostri governi cristiani governava i suoi popoli. Oggi siamo noi che gli abbiamo guastati: i nostri popoli oggi sono divenuti tutti Re ed imperatori, epperciò hanno ragione di alzare la testa; i nostri non sono cattivi, ma non fanno altro che correre la via segnata da noi; io risposi in questo senso, ma l’imperatore fù cortese, ma non contento. Mi domandò ciò che io desiderava, e mi accordò ogni cosa. Per molti giorni ebbi molte visite di complimento da molti parigini per questa mia risposta a Sua M.[aestà] imperiale; gli stessi giornali di allora mi fecero giustizia, per quanto i tempi cortigiani lo permettevano. Così finì la scena. L’imperatore aveva speso molti denari in algeria, e questa fu ogni ragione [del suo successo].
la mia grammatica Il lavoro della grammatica era già molto innoltrato, e l’ordine imperiale era stato dato all’imprimeria. Per la parte amarica i caratteri etiopici di nuovo conio già prima erano stati fatti sotto la direzione del Signor Antoine d’Abbadie [p. 927] nostro amico, col quale io era quasi tutti i giorni in conferenza. tipo di caratteri abissini Questi caratteri amarici sono i migliori che si trovano attualmente in Europa, sia in Inghilterra, sia in Germania, sia in Roma alla Propaganda, a giudizio di qualunque abbia un’idea giusta delle scritture popolari di Abissinia. Le società bibliche d’Inghilterra hanno voluto regolarizzare troppo i caratteri etiopici col sistema delle linee rette, e gli hanno allontanati troppo dal tipo abissino. Per una parte il loro sistema sarebbe stato eccellente, ed io confesso che avendo imparato a leggere e scrivere sopra i medesimi ho trovato molto più facile imparare con questo sistema di barre, e di circoli regolari, ma debbo pure confessare che là mia scrittura è riuscita cattiva, e poco intesa, detta scrittura frangi, e poco usata dai calligrafi indigeni.
da essi non è stimata la stampa Gli abissini hanno il pregiudizio quasi universale fra gli orientali, i quali non amano i libri stampati, e possiamo anche dire, che fra di loro nel /210/ loro sistema religioso o scientifico sono anche proibiti, e [non] danno nessun peso alla stampa, ma solo ai manoscritti. Da ciò è nato, che l’abissino suole considerare di nessuna autorità il testo delle bibbie protestanti nelle loro dispute, come il mussulmano non riconosce il testo del corano stampato; [p. 928] pregiudizio questo che domina in proporzione anche fra i cristiani nostri levantini, principalmente fra gli eretici, molti dei quali ancora non venerano il testo dei libri santi, oppure degli antichi padri sortiti dalle nostre tipografie. Ora i viaggiatori tedeschi avevano già fatto molte riforme dei caratteri abissinesi; ma il nostro Antoine d’Abbadie è quello che gli ha molto ridotti al vero tipo delle scritture in uso fra i caligrafi o scrivani abissini, a segno che la mia grammatica stampata coi caratteri dati dal d’Abbadie alla stamperia imperiale di Parigi, posso dire che piaque a molti.
i caratteri etiopici di Propaganda I caratteri della tipografia della S. C. di Propaganda nella forma loro sono migliori dei caratteri delle Società bibliche inglesi, ma mancano di corpo, e sono troppo leggieri. Si vede che sono stati coppiati da modelli dati da indigeni abissini, oppure da missionarii che ne conoscevano la forma, ma detti modelli sono stati fatti con penne temprate a modo europeo, con un taglio troppo fino, ed è per questa ragione che si rendono ancora meno intelligibili dei caratteri delle bibbie protestanti. [12.6.1863] Monsignore Biancheri ottenne una piccola quantità di caratteri etiopici per una piccola stamperia fatta in Massawah ad uso della missione Lazzarista, e come gli ottenne dalla Stamperia imperiale di Parigi, furono di quelli di Antoine d’Abbadie, [p. 929] epperciò sono i migliori ed i più compresi dagli abissini. [30.8.1867] Io ne aveva domandato una maggiore quantità in favore della tipografia di Propaganda, e credo di averne parlato all’eminentissimo Prefetto della medesima, affinché proseguisse l’operazione già da me incomminciata. La grazia era accordata dall’imperatore, e sperava che avrebbe avuto il suo esito, ma partito io, più nessuno si occupò, e la tipografia di Propaganda rimane sempre coi caratteri antichi.
la lingua galla Ciò notato come di passaggio, come la mia grammatica era doppia, cioè per la lingua amarica volgare abissina, e per la lingua galla; per la prima l’imprimeria imperiale era fornita di tutti i caratteri, ma per la seconda mancava di caratteri, perche la lingua galla, non essendo una lingua scritta, mancava di caratteri, e dopo tutte le prove fatte, essendo noi stati obligati a servirci dei caratteri europei latini, con qualche segno, vi bisognò tempo per preparare i caratteri convenuti. Questi lavoro ritardò di qualche mese la stampa della mia grammatica. Arrivò quindi l’epoca del capitolo provinciale, epoca che noi aspettavamo per /211/ aggiustare tutti gli affari, tanto riguardo ai missionarii che dovevano [p. 930] partire con me, sia ancora riguardo al collegio di giovani galla stato da me progettato.