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7.
Ipotetico protettorato britannico.
La sifilide in Liccè: diagnosi e terapie.
riprendo la storia Dopo una lunga digressione riprendo ora il corso della storia. Certamente che l’armata inglese non poteva e non doveva fermarsi per mantenere il possesso della fortezza di Magdala, come luogo troppo centrale e difficile per mantenersi in relazione colla costa del mare e col suo governo, per ogni caso di ostilità [p. 341] che sempre si deve prevedere coll’interno. le due vie di Magdala La marina inglese aveva scielto la baja di Zula, l’antico porto di Adulis nei tempi che l’Abissinia aveva degli interessi politici in Arabia, colla quale faceva allora come una sola nazione etiopica; la baja di Zula è naturalmente il primo porto del mare rosso per la sua ampiezza e sicurezza, forze ancor più vasto di Aden; come posizione strategica però per le operazioni di Magdala era la meno a proposito, perché in caso di ostilità coll’interno dell’Abissinia, l’armata avrebbe dovuto battersi col Tigrè, coll’Enderta, e cogli Agau prima di poter arrivare all’incontro con Teodoro. Forze avrebbe trovato minori difficoltà se avesse scielto la baja di Tagiurra per la via di Magdala. Per la flotta la baja di Tagiurra non mancava di prestarsi, come già altrove si è parlato; per il viaggio di terra dell’armata, l’unica difficoltà che io possa rilevare sarebbe [stata] la scarzezza dell’aqua dalla baja suddetta sino al lago di Aussa; per questa io non potrei dare un giudizio certo, benché non manchino piccole sorgenti.
la via della baja di Tagiurra In tutto il restante però la strada di terra dalla baja di Tagiurra sino a Magdala essa è notabilissimamente più breve, quasi di una metà, più piana, più diretta, e la meno pericolosa [in caso] di una resistenza, perché i denakil [p. 342] sono una popolazione piccola in quantità, e disarmata da non potersi opporre ad un’armata inglese. Esaminata, e superata la difficoltà dell’aqua nella piccola landa che separa la baja di Tagiurra ad Aussa, sopra il lago di questo nome la spedizione avrebbe trovato un wasis con sufficiente coltura da servire di centro di operazione, sufficientemente vicino all’abissinia da potervi arrivare per un’attac- /61/ co improvviso, e sufficientemente lontano per non essere assalito; perché l’armata abissina, sempre sproveduta di viveri, che suol vivere di rapina sulle raccolte, e nei villagi, non può battersi coi paesi nomadi senza coltivazione, nei quali al più può durarla tre giorni, dopo i quali incommincia la fame, e la debolezza nei loro cavalli assuefatti ai paesi alti. Aussa e sua importanza Aussa è un luogo, da quanto mi pare, non abbastanza studiato in tutti i suoi rapporti, nei quali merita di essere calcolato, perché può essere utile ad una nazione che cerchi [di] occuparsene.
Se l’armata inglese avesse preso quella strada, arrivato là, avrebbe certamente fatto una stazione di alcuni giorni, come luogo già molto avvanzato, ed ancora fuori di ogni pericolo di attacco. In quel fratempo avreb[be] conosciuto l’importanza di quella posizione in tutti i suoi rapporti, sia coll’interno dell’Abissinia, per la via del fiume Awasce, fiume navigabile, e sia ancora per le facili comunicazioni con Aden, e sono certo che nel ritorno non l’avrebbe [p. 343] tanto facilmente abbandonata come luogo medio, il quale l’avrebbe resa padrona di tutte quelle tribù denakil, le quali non potendo da una parte fare loro una resistenza, si sarebbero prestate per mantenere tutto il prestigio inglese sopra l’Abissinia. i denakil e gli inglesi Il governo di Aden che ha saputo tenere a bada l’Arabia molto più cattiva e difficile, sia per il suo fanatismo, e sia ancora per la sua forza naturalmente molto maggiore, non avrebbe certamente abbandonato quelle tribù naturalmente più docili, più deboli, e disarmate. La posizione di Aussa, non avrebbe certamente sollevato alcuna difficoltà diplomatica in Europa, come paese quasi innosservato, e mai posseduto dalla Turkia, la quale è la vera donna di casa fatta per mettere la discordia col suo grido [rivolto] ai gabinetti.
l’Awas e il sale Intanto coi mezzi immensi che possiede l’Inghilterra avrebbe dolcemente messo in movimento il tesoro del sale per la via dell’Aawasce, col quale sarebbe stata padrona di tutto il commercio dell’Abissinia, dove il sale è moneta. il commercio abissino nel supposto Con ciò non avrebbe mancato di sollevare un’entusiasmo fra le razze denakil e somauli, fingendo di ajutarli nel loro commercio del sale, ed avrebbe sollevato un’entusiasmo nell’Abissinia medesima, somministrandogli del sale, di cui tutta la massa del popolo ne è come priva affatto, e lo gusta raramente. Quindi, a misura [p. 344] che il commercio avrebbe preso [sviluppo], molti articoli di valore che in quel paese sono quasi perduti, come le pelli, la cera, e simili, sarebbero passati in commercio per comprarsi del sale; così altri prodotti non stati coltivati per mancanza di smercio, come il caffè ed altri simili, sarebbero stati coltivati in pochissimo tempo. Non parlo delle bellissime razze di cavalli e di muli; non parlo dei bestiami, di cui l’Abissinia è /62/ richissima, a fronte dello sciup[ì]o che continuamente se ne fa; non parlo del muschio coltivato solo in pochissimi luoghi, benché l’animale muscato sia universale in tutta l’alta Etiopa; non parlo finalmente dei minerali e di tanti altri tesori nascosti, perché non ancora esplorali. Tutto avrebbe preso movimento, a misura che il trasporto e la sortita sarebbe divenuta più facile, da compensare la nazione inglese nel supposto.
una ragione di politica cristiana Io poi aggiungo un’osservazione tutta propria dei missionarii, i soli veri civilizzatori. La tratta dei neri, ed il monopolio del commercio sono state le due vie per le quali l’alta Etiopia si è riempita di musulmani, i quali sono arrivati già molte volte a minaciare d’impadronirsi del paese, stato sempre liberato da un tratto di previdenza tutto speciale. Ora io, come missionario cattolico, benché non solito a mischiarmi di politica, pure ho desiderato sempre che il paese fosse sotto l’alto dominio di una potenza cristiana per finirla una volta colla tratta dei neri. Cessata questa, ed incoraggiti i cristiani a mettersi [p. 345] nel commercio, io era persuaso, che l’islamismo in meno di mezzo secolo, avrebbe quasi intieramente evacuata l’alta etiopia senza nessuna sorta di oppressione oppure [di] persecuzione. politica favorevole alla tratta Anzi dirò ancora di più: nel supposto di una totale cessazione della tratta dei neri in tutte quelle coste dell’Africa orientale, la Turchia non avrebbe tardato a dimostrarsi disposta a rinunziare, o cedere per contratto la padronanza di quasi tutta la costa orientale affricana, stata usurpata diplomaticamente, col consenso delle potenze, pochi anni prima a fronte di tutte le proteste abissine. Io incaricato dai principi abissinesi di patrocinare la ragione dei loro diritti sopra molti punti delle coste potrei dire a questo riguardo alcune cose in prova di molta mala fede nella diplomazia nostra, ma l’onor di casa mi trattiene di farlo. Basti il dire che un tale diritto alla Turchia fu riconosciuto solennemente dopo il 1852., epoca, nella quale la lega delle potenze per impedire la tratta era più in vigore, e ciò, benché si sapesse che ciò era per aprire una porta secreta alla [alla] tratta medesima.
mia posizione in Scioha Tutte queste mie digressioni potranno sembrare ad alcuni come troppo estranee alla storia che ci occupa, ma pure no, perché serviranno di preliminari per la spiegazione di molti fatti che io non potrei tacere, sia perché incarnati colla storia [p. 346] della missione nostra, avendo io dovuto rassegnarmi a figurare presso di lui, non solo come consultore, ma direi quasi come direttore del Re Menilik nelle cose concernenti le corrispondenze all’estero della nostra Europa, posizione che mi costò molti disturbi, e che mi obligò a prendere parte in certi affari gelosissi- /63/ mi, verificandosi in me il proverbio già citato altrove, che il principe abissino è forze più pericoloso quando è amico che non quando è nemico. Egli infatti, disgustato dai suoi consiglieri per l’affare di Magdala, il quale lo mise in diffidenza col governo inglese e gli fece perdere tutte le liberalità che il medesimo governo aveva come deciso di fare a lui nella loro partenza da Magdala, non volle più sentirgli quando era questione di affari cogli Europei, e si appoggiava invece a noi missionarii e massime a me, perché io conosceva il paese e le lingue a preferenza dei medesimi.
amicizia del re Se questo attaccamento del Re Menilik alla missione, fu alla medesima più una disgrazia che un favore sotto molti riguardi, come si vedrà in appresso, non lasciò però di recare alla medesima grandi vantaggi sotto molti altri riguardi. sue conseguenze Il rispetto e l’affezione che il Re esternava a noi, non poteva andare più oltre; arrivò persino a visitarci [p. 347] parecchie volte con tutto il suo treno, cosa che per lo più egli non soleva fare, ne per i suoi zii, ne per i più grandi dignitarii del suo regno; egli poi aveva per me in particolare una tale confidenza da manifestarmi i suoi più intimi secreti diplomatici. Egli a tutti e con tutti parlava di noi come di persone straordinarie, e di una condotta mai veduta in paese. Questo suo rispetto e venerazione non tardò a collocarci tanto [in] alto, non solo nella sua regia, ma in tutto il regno, da poter godere di una libertà quasi assoluta di poter non solo istruire ed esercitare il nostro ministero apostolico in ogni luogo, ma di occuparci in opere buone in favore dei poveri ed oppressi sia presso il Re, che presso molte persone grandi, presso i quali, come si sa, dove non c’è Dio non c’è misericordia.
catechismo alla corte
La città reale di quei paesi e per lo più un centro, dove regna una dissipazione ed immoralità o corruzione incredibile, eppure ciononostante noi eravamo arrivati a poter fare del gran bene. La nostra casa era sempre piena di gente, e dalla mattina alla sera il catechismo [non] era mai interrotto: la mattina venivano i ragazzi della prima nobiltà che figuravano come paggi del nostro medio evo, fra i quali si trovavano gli stessi cugini del Re, ed i figli della stessa regina Bafana, ai quali si poteva fare un catechismo; il P. Prefetto Taurino se ne prese una cura tutta speciale
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ed essi gli aquistarono molta affezione[;] essi si fermavano per lo più un’ora, e poi se ne andavano per lasciare il posto a tutti gli altri.
io faceva da pacificatore
[ad es. intervento di M.: 5.4.1868]
Come il Re era ancor giovane, e senza esperienza di governo, in quella casa regnava molto [il] disordine, gli impiegati, anche essi in gran parte giovani e senza giudizio si abusavano del loro potere, dimodoché quasi ogni giorno [si infliggevano] castighi, prigioni,
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e catene senza pietà, ora fra i giovani, ora fra i servi, ed ora fra i schiavi, qualche volta anche certi piccoli impiegati cadevano vittima di una vendetta. Ora tutta quella gente, sapendo che io aveva molta influenza e potere sopra il Re e sopra i suoi impiegati si accostumarono a ricorrere a me, e non mancava giorno che non ne avessi qualcheduno ai miei piedi a domandare misericordia, ora per essere messo in libertà, ed ora per riaquistare il suo posto, oppure per acquistare un posto nuovo.
ciò che più mi rese popolare Questo però non fu ancora l’argomento più potente da rendermi più popolare nella città di Menilik, ed in una gran parte del suo [del suo] regno, ciò che più di tutto contribuì a consegnarmi la chiave di molti cuori, da poter anche esercitare con frutto il sacro ministero, fù, posso dire con certezza la medicina, e si noti, non tanto la medicina di tutte le malattie in generale, ma di due in modo particolare, la malattia venerea sopratutto, e del vaïvolo. Già [p. 349] ho detto altrove, immoralità e corruttela della città reale che in tutti i centri, e massime nelle città, o piuttosto [nei] campi militari dei Re, o dei principi che si vogliano chiamare, vi regna una grande immoralità, frutto del contatto di molta gente priva di fede e di religione, freno naturale di ogni disordine, e veicolo unico della morale. La città del Re Menilik principe ancor giovane, poco atto ad esercitare un prestigio morale, e circondato da molti giovani impiegati, già per se inclinati al disordine ed all’immoralità, in ciò la rendeva classica, a preferenza di molte altre città reali, o principesche. A segno che, principalmente da principio del regno di Menilik, quando noi siamo arrivati colà, la sua città era piena di sifilide, e ne erano infetti non solo i soldati, e le donne di mercato, come suole accadere negli altri luoghi, ma anche molte matrone onorate, moltissimi impiegati di riguardo, e ciò che più faceva compassione, giovani e figlie ancora nella prima età, quando appena le passioni materiali incomminciano a manifestarsi.
la sifilide diversa da altri morbi Tutte le altre malattie sogliono per lo più portare il viso scoperto da rendere il publico più cauto, ed appena, per cagione d’esempio, si spiegava in qualche casa la febbre gialla, quella povera casa si trovava sul momento isolata, anche troppo da vedersi ben soventi abbandonati i poveri ammalati, quasi totalmente dagli stessi amici e parenti in modo da rimanere privi di soccorsi [p. 350] e senza vitto; ho veduto persino la moglie fuggire in tempo di simile epidemia, e lasciare il marito ed i proprii figli. bisogno di nascondere la malatia Non così suole accadere del male venereo, benché in sostanza sia una vera peste; essa al contrario si direbbe un giojello da tenersi nascosto affinché non sia rubato, oppure un fiore delicato che non può reggere l’aria ed il sole, essa suole sempre nascondersi, come se si sentisse un vero bisogno di propagarla a chi ancora non l’ha; la /65/ moglie la tiene nascosta al marito, e questo alla propria moglie, io stesso ho veduto una donna colla bocca piena di afte sifilitiche baciare ogni sorta di persone con grande espansione, e far delle carezze ai piccoli bimbi, poco modeste, ed anche pericolose. Questo prorito di tener nascosta la malattia venerea faceva sì, che nella città pochi giovani e poche donne infette bastavano per rovinare un mezzo mondo di gente.
ragioni di nascondere Questo medesimo prorito di nascondere la malattia venerea fino a tanto che essa non si publicava da se con certe piaghe visibili, ed impossibili a nascondersi nasceva per lo più da due dominanti bisogni. il pudore è la prima ragione Il primo e più naturale bisogno era quello del pudore, il quale, in mezzo a tutta quella corruzione, ne era come un corrolario indispensabile, o meglio inevitabile, come lo è anche nei paesi nostri fra le persone del ceto il più corrotto, anche quelle che in tutti i modi cercano [di] difendere il partito [p. 351] di un’estrema libertà in questo genere e che vorrebbero vedere la corruzione ridotto a sistema di publica scuola; tanto è vero che il pudore non è una semplice abitudine contratta nell’educazione del uomo, ma è un vero bisogno naturale ed economico di tutta necessità per sostenere la passione medesima in tutto il suo prestigio e forza ordinato da Dio allo scopo della propagazione. La generazione è un’atto nel quale concorre Iddio, mi diceva un galla molto grave, essa non può aver luogo in mezzo di un mercato, e deve aver luogo solamente nel santuario del segreto: una donna ed un’uomo colla loro catena di amori, [non] arriveranno mai all’ultimo annello voluto da Dio, essi cogli amori inopportuni vendono i loro figli prima ancora di generarli; anche un tesoro quando è divenuto troppo volgare perde tutto il suo valore e prestigio di tesoro da indebolire la mano di chi lo scava.
seconda ragione
Il secondo motivo, per cui si nasconde la malattia venerea, è quello stesso che fa occultare i debiti al banchiere, oppure al mercante, per potere ingannare gli amatori della sua persona, per paura di trovarsi abbandonato. Si direbbe incredibile, eppure è un fatto sperimentato più volte, questa peste invece di calmare la passione l’accende di più, ed arriva qualche volta di vedere qualcheduno divenuto anzi di uno scandalo rivoltante. Il fatto seguente proverà la mia asserzione.
cura di un giovane sifilitico
[Asebiè]
La moglie di Ato Waldeghiorghis, divenuto come nostro
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padrone di casa in Liccèe, cugina della regina Bafana, questa signora mi presentò un figlio avuto da altro marito, di circa 20. anni di età, già maritato con una figlia di riguardo la quale molto lo amava. [In] Questo povero giovane innamoratosi di una donna affetta da sifilide, non tardò a spiegarsi la malattia, prima alla gola, e quindi stabilitasi nella regione del palato già incomminciava la carie, quando la sua madre desolata lo
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[14.4.1868]
presentò a me, raccontandomi tutta la storia; come era la prima volta, non avrei voluto incaricarmene prevedendo un troppo numeroso concorso, ma le raccomandazioni furono tali da non poter rifiutare. Gli ho fatto la cura nel modo già altrove riferito, Iddio la benedisse e guarì radicalmente. Fu una vera consolazione per quella famiglia, e ne fui ringraziato particolarmente dal Re, e dalla regina Bafana. Il Re gli diede un’impiego alla corte per obligarlo a restare vicino a lui. Veniva tutti i giorni da me a sentire il catechismo, ed un momento ho sperato la sua conversione completa; anzi un giorno avendomi confidato che l’attaccamento alla donna sopra citata ancora si faceva sentire nel suo cuore, dalla ingenua confidenza che me ne fece ho creduto [si trattasse di] una semplice tentazione, cesserà, gli dissi, quando sarai arrivato a gustare i sacramenti.
speranze di conversione Il povero giovane passò sei mesi in perfetta salute; in quel tempo passò qualche mese in buona relazione colla sua moglie a segno che egli stesso venne ad annunziarmi con piacere che Iddio l’aveva benedetta da diventate madre di una sperata [p. 353] prole; con ciò ho considerato il giovane come guarito radicalmente, non solo nel corpo, ma ancora nell’anima sua. Per assicurare meglio la vittoria riportata la madre del giovane si era maneggiata per fare allontanare la donna infetta dalla città reale; ma siccome simili donne hanno per lo più molti altri clienti anche potenti, benché secreti, non tardarono a farla ritornare. ricade nella malattia, e rovina di tutto Come si sa, simili donne, conoscono l’arte finissima di conservarsi fedeli anche a più di dieci amanti diversi non solo, ma di comunicare una simile fedeltà agli amanti loro medesimi, dei quali se ne fanno un vero giuoco. Ritornata la donna, tutto il lavoro fatto da noi per la salute spirituale e corporale di quel povero giovane tutto andò in rovina. Incomminciò per allontanarsi dalla sua moglie, e lasciare il catechismo allontanandosi anche da me e dalla casa della missione. L’ho fatto chiamare parecchie volte e si scusò sempre portando ragioni di nessun peso. Ritornò la desolazione nella sua famiglia; il Re medesimo e la regina ne ebbero molto dispiacere. Io poi mi aspettava che un giorno sarebbe immancabilmente ricaduto nella malattia.
Passarono così alcuni mesi misteriosi nei quali egli cercava sempre ragioni per giustificare il suo allontanamento da me, benché lasciassi dignitosamente cadere la cosa, non curandomi di quanto si passava a suo riguardo, quando un bel giorno Ato Waldeghiorghis mi significa in confidenza [p. 354] che il nostro giovane era di nuovo ammalato peggio di prima; la madre, [mi disse,] e la stessa regina vorrebbero di nuovo pregarvi [di curarlo], ma non osano più; hanno ragione, risposi /67/ io, perché potrebbero essere certi di una mia negativa rotonda; che sia poi ammalato più di prima è naturale, perché è una ricaduta, e questa sia come peccato, sia come malattia è sempre più grave. una bella confessione Intanto, siano i consigli degli amici o parenti, oppure sia egli stesso, che conosceva il carattere ed il cuore paterno del missionario, nella notte venne egli stesso, mentre tutti erano già a dormire, cadde ai miei piedi piangendo, e mi raccontò tutta la storia dolorosa che io non sapeva, e che nessuno aveva inteso ancora. Oltre l’affare della malattia già in via di ritorno, che la madre e la sposa avevano già scoperto, della stessa sera, licenziatosi egli dal Re sul tardi, e passato secretamente dalla donna [e] vi trovò là un concorrente, persona di molto riguardo, già suo amico antico, col quale si venne alle mani e si sparse sangue, benché la cosa non sia stata molto grave, e siasi fatta la pace per non fare una publicità in corte; egli sortì indispettito e venne immediatamente da me, come ai piedi del Padre.
L’affare per se stesso fù molto grave, ma, da quanto pareva ed egli mi confessava in quel momento, restò segreto; io non sono ferito, mi diceva, ma ho ferito il mio emolo compagno colla sciabola in un bracio; nella pace fatta tra noi [p. 355] fummo d’accordo che la cosa restasse segreta per l’onore d’entrambi. Calmatosi un tantino, con gran pena ho potuto risolverlo di andare a passare la notte in casa sua, e che poi si sarebbe parlato del resto. Per me restò finita con un gran disturbo di quella notte, ma questa fu la parte del povero prete, sempre erede di tutte le miserie, anche dei peccatori pertinaci. La cosa rimase secreta in quanto alla rissa, ma poi sortì la questione della medicina, per la quale io restai fermo nel negarla, ma poi mi sono risolto di acconsentirvi, unicamente dietro replicate istanze della sua sposa, la quale fu tanto buona e paziente da vincere la mia durezza. una seconda cura Per non prolungare troppo la questione dirò solo che gli ho fatto una seconda cura, più di un’anno dopo della prima, la quale cura durò più di un mese, ma finì per guarire intieramente [l’ammalato]. Passò un’anno ancora in famiglia in buona salute, divenuto padre di un bimbo che la buona sposa gli diede il nome di Malkamghiziè (un buon momento). Ma poi la madre del giovane avendo fatto divorzio con Ato Walde Ghiorghis, ed io non potendo più reggere i disturbi della corte, essendomi recato a piantare una nuova missione in Haman-Gilogov, non ho più veduto il giovane in discorso.
informazioni Dalle notizie avute, egli passò due anni in buona salute, ma non volle più lasciare la donna; fu una terza volta ripreso dallo stesso male, dieci anni dopo era ancor vivo, ma impossessatosi il cancro [p. 356] gli aveva /68/ mangiato tutta la parte superiore della bocca e mezzo il naso; divenne come un mostro da non osare più lasciarsi vedere; la sola sua moglie aprofittò della dottrina cattolica; essa non lo abbandonò mai, anche dopo che la sola sua veduta era divenuta ributtante, e fu quasi abbandonato dalla stessa sua madre. Sopra questo fatto, calcolato quello che mi confessò il giovane medesimo nella sera stessa della rissa sopra riferita, e molte rivelazioni di Ato Walde Ghiorghis, il quale fu sempre in relazione con quella famiglia, bisogna confessare che la passione del giovane per quella donna è una cosa che non si può spiegare senza ricorrere ad una superstizione o concorso immediato del diavolo, e di quei diavoli dei quali parla il Divin Redentore che non si caciano, se non coll’orazione e [col] digiuno. Il sacerdote cattolico ebbe mai un’lucido intervallo da potergli amministrare i sacramenti, unico mezzo che poteva salvarlo. Come non era ancor morto, forze le preghiere e la pazienza della moglie avranno ottenuto la vittoria.
corruzione Come nella città di Menilik la corruzione era arrivata al sommo, il fatto suddetto mi procurò una clientela secreta tale che finiva per stancarmi. Non passarono cinque o sei mesi che io ho potuto, come toccare con mano che quasi tutta la popolazione era infetta [dalla sifilide]. carattere del male venereo Per fortuna che il clima era di una temperatura di paradiso, epperciò il morbo si presentava raramente con un carattere acuto o micidiale, altrimenti la maggior parte [p. 357] della città sarebbe stata obligata a restare in letto, gli infetti invece con quella temperatura quasi sempre eguale potevano sopportare il loro male senza grande incommodo, anzi, da quanto pareva, erano in uno stato di esaltazione quasi continua da sembrare più sani degli altri, quando in realtà non lo erano, ed un piccolo sbilancio di freddo, di pioggia, oppure [un] eccesso nel mangiare e nel bere gli rendeva ammalati, per lo più sempre attaccati alla membrana mucosa, o della gola, o della bocca, oppure del naso, e di altri luoghi. Quando il male prendeva un’aspetto un poco più grave, allora sentivano il bisogno di recarsi alle aque calde, o semplicemente minerali, delle quali il paese è molto ricco, e così trenavano [= tiravano avanti] sopportando il loro incommodo, divenuto più sopportabile.
cure reali e nominali Io aveva sempre una notabile quantità di cure reali che soleva fare amministrando loro pilole, fatte espressamente a dosi minime di sublimato, affinchè la cura camminasse più lentamente. Oltre di queste reali, [ne] aveva poi una gran quantità di cure nominali o preservative con delle tinture di gomma arabica con miele, oppure con decozioni leggermente purgative. Intanto, mentre si facevano queste cure io guadagnava due cose, la prima era quella di trattenere tutta quella gente con cate- /69/ chismi e conferenze [p. 358] morali, le quali servissero nel tempo stesso a riformare i costumi, ed a calmare le passioni. un titolo di astinenza In secondo luogo io aquistava un titolo per imporre a tutta quella gente un sistema di regime dietetico conveniente, e quindi come essenziale un’astinenza rigorosissima da tutte le cose stimolanti e riscaldanti la passione, in primo luogo la frequenza delle donne e le conversazioni immodeste di ogni [ogni] genere, come cose che riscaldano la passione; guardatevi, diceva, dall’occhio cattivo, e dall’umbra (1a) altrimenti la cura anderà male. In questo genere io poteva essere sicuro della fedeltà, come cosa incarnata coi costumi del paese. Sembrano queste piccole cose, eppure con questi mezzi indicati ho potuto impadronirmi del cuore di quella popolazione, e fare del bene anche alla missione nostra coll’esercizio del ministero. Dopo un’anno non tardò a farsi conoscere un gran cangiamento alla corte del Re Menilik e nei paesi dei contorni.
(1a) in quei paesi la forza della medicina è per lo più sempre attribuita ad un principio magico e superstizioso, e principalmente al cattivo occhio ed all’umbra di persone. Quando bevono il quassò mensile per la medicina del verne solitario, chi la beve [non] deve trovarsi con nessuno sino al termine dell’operazione. [Torna al testo ↑]