/149/

17.
La sifilitica guarita. La grotta di Gilogov.
Vaccinazione e morte di Abdì Govana.

organizzo la casa di Gilogov Ritornando ora alla storia della casa di Gilogov, ciò che non ho potuto fare in Liccèe, perché mi trovava là quasi nell’interno [della reggia], dove il popolo non poteva arrivare ed io mi trovava preso continuamente dalle conferenze più in grande, ho cercato di farlo in Gilogov organizzando la scuola dei giovani ed i catechismi al popolo, oltre a quello della mattina e della sera alla famiglia, ed ai vicini, il quale non mancava mai. La medicina e l’innesto del vaïvuolo avendo preso uno sviluppo notabile, nei contorni della casa [non] mancavano mai forestieri da istruire per i catechisti. Mentre le cose andavano [in tal modo, quelle] della casa erano così disposte; due volte la settimana, la Domenica cioè ed il Giovedì, soleva sortire [p. 503] la sera con una quantità di giovani al passeggio, facendo in strada una specie di circolo, qualche volta tutto spirituale, col racconto di qualche fatto preso dalla Scrittura oppure dalla vita dei Santi; qualche volta anche puramente istruttivo, secondo le circostanze. una donna ammalata Mentre io stava seduto coi miei giovani in circolo sul pendio della valle che versa al nord, dove scorreva sul basso il fiume Ciacia, una donna gridava in certa lontananza[:] aviet aviet, cioé[:] pietà pietà, e non ci lasciava in pace. Un vecchio galla, che già io conosceva, interruppe la nostra conferenza per raccomandarmi quella donna, e si unirono a lui una gran parte dei giovani che la conoscevano; fatela venire; dissi, ed essa si avvicinò, ma sempre un poco da lontano, perché essendo considerata come lebbrosa, lo stans a longe degli ebbrei si trova, colà come in vigore; la povera donna dalla testa ai piedi era piena di piaghe, motivo per cui è stata considerata come lebbrosa, ma le sue piaghe erano separate con bordo a modo sifilitico.

la lebbra in Abissinia In Etiopia la lebbra è un disonore per tutta la parentela sino al settimo grado, ed il lebbroso deve stare da se in quartiere separato e non può trovarsi in contatto con nessuno; laddove la sifilide è considerata come /150/ un’altra malattia. Sapendo questo io mi sono seduto e poi ho parlato a tutti: questa non è lebbra, dissi, ma è sifilide, e da qui [a] un mese sarà guarita, e starà meglio di tutti voi. Appena proferite queste parole si fece un lilta di gioja universale. Molti però non credevano, ed un galla fra gli altri disse queste parole: se questa donna guarisce, tutti noi galla si faremo cristiani; avete sentito? [p. 504] dissi ai galla che erano là, abbiamo sentito, risposero essi, siete dunque di parola? dissi io, venite qui e giurate; giurarono di farsi cristiani se la donna guariva. Bene, dissi, Iddio penserà al resto. guarigione di una donna Gli ho dato un poco di unguento nero, ed alcune pilole; il galla che l’aveva raccomandata mi promise di fargli una capanna e di somministrargli qualche cosa da vivere. Con ciò fattole conoscere il sistema di cura e di dieta l’ho congedata. La povera donna se ne partì contenta, ed io non ci ho pensato più. Dopo tre settimane quella donna era già perfettamente guarita, e passati ancora otto giorni tutta la parentela in corpo venne cantando con essa alla testa vestita da festa, e non poteva più vivere nella pelle di contentezza; essa non presentava più il menomo segnale della sua malattia. Quella guarigione fece una tale impressione nel publico, che Ato Govana nostro Padrone le fece passare due settimane in casa sua per assicurarsi del fatto. La donna ritornò al suo marito promettendo di fare il vero matrimonio cristiano, ed io pagherò le nozze, disse Madama Govana.

si sollevò un gran concorso. Questo fatto mi sollevò un movimento tale di mondo che veniva a cercare medicine, che minaciava d’impedirmi la scuola e la sorveglianza della mia casa. Il concorso, benché fosse una cosa buona, perché mi teneva continuamente una quantità di mondo che veniva, ed aspettava sotto l’aspetto [dell’insegnamento] del catechismo, non lasciava però di minaciarmi l’ordine morale della mia casa medesima, [p. 505] i galla più calmi dei cristiani I galla che venivano dall’alto piano erano più calmi, e meno corrotti, ma venivano dei cristiani dalle valli, principalmente dalle vicinanze della città reale di Licce, frà i quali vi era una corruzione non indifferente, e mi sono accorto che la mescolanza di galla e di cristiani mi portava certi disordini morali, ai quali io doveva avere l’occhio aperto. Fu necessario perciò dividere le due caste, e dividerle, non solo assegnando un luogo diverso alle medesime, ma anche il giorno, per impedire ogni mescolanza. Fu dunque stabilito che i cristiani venissero la domenica, e per essi fu assegnato un luogo a parte lontano circa un kilometro al nord vicino alla città di Ato Govana, dove la Signora poteva far sorvegliare; per i galla all’opposto fu assegnato il giorno di giovedì dalla parte sud anche un kilometro lontano, dove io soleva recarmi coi miei catechisti, sia per l’inoculazione del vaïvuolo, che per sentire quelli di altre malattie. Così la mia casa restò più libera.

/151/ la casa di ato Govana La sola casa di Ato Govana contava nel suo interno più di un centinajo tra servi e schiavi dei due sessi. Madama Govana volendo fare inoculare il vaïvuolo a tutta quella gran famiglia, fu deciso che una tale operazione avesse luogo nella famosa grotta esistente sotto la casa della missione, dove Ato Govana [p. 506] in tempo di Teodoro, prima dell’arrivo di Menilik [1a metà 1865]
una grotta famosa
[visitata pure da p. Taurino: 10.7.1870; 9.10.1871]
poté resistere all’armata di Betsabè che l’assediava da 15. giorni con dieci mille uomini: Fu allora che ho veduto quella famosa grotta divenuta celebre dopo un tal fatto che salvò la vita ad Ato Govana, e possiamo dire anche il regno al Re Menilik. Quando io sentiva dire che Ato Govana passò nove mesi in quella grotta con cento e più cavalli e 500. soldati, io credeva [trattarsi di] un’esaggerazione, ma quando l’ho veduta non ho esistato a giudicare che avrebbe potuto contenere anche il doppio di cavalli e di uomini, se più nell’interno della grotta l’aria ossigenata non avesse mancato. Per me è difficile poter descrivere quella grotta, perché poco assuefatto a simili lavori, pure cercherò di farmi comprendere alla meglio, come cosa molto interessante, sia per comprendere la storia di quei paesi, come i popoli han[no] potuto sostenersi nelle diverse invasioni, e sia ancora nel suo lato geologico, il quale solo meriterebbe di essere studiato. Una volta che il lettore si è formata l’idea di quella grotta, esso potrà immaginarne centinaja di simili, benché meno grandi, le quali nei tempi critici hanno potuto contenere una massa immensa di popoli rifugiati.

l’alto piano di Haman Haman è il nome del luogo, dove trovasi la città di Ato Govana, ed è un’angolo dell’alto piano galla, il quale tagliato con una linea est-ovest dalla parte sud presenta un triangolo vero. Nell’angolo Nord esiste la città suddetta. Nell’angolo sud-ovest esiste la casa della missione sopra una collinetta detta Gilogov, la quale [p. 507] taglia determinando come la linea sud del triangolo suddetto. Le due linee nord-est e nord-ovest, la prima è paralella al fiume Ciaccia uno dei principali del regno di Scioha centrale, e corre alla profondità di 300. mettri almeno; la seconda è paralella di un torrente che scende dal sud-est, ed ha il suo corso alla profondità dell’altro suddetto. valli abitate dai cristiani Il pendio dalle due parti, sia verso il Ciaccia, sia verso il torrente, dall’alto piano sino alle rive del fiume e del torrente è diviso in cinque o sei ripiani in forma di anfiteatro, tutti coltivati e popolati di case, separati frà loro da un’altezza a picco per lo più di basalto, quasi come altrettanti muri alti da 40. a 50. mettri, seminati di grotte più o meno grandi, qualche volta abitate dai paesani, o per lo meno occupate dai bestiami, oppure da depositi di paglia o legna. Ciò basti per il lettore onde formarsi un’idea quasi generale della maggior parte delle valli abitate dai Cristiani del regno centrale di Scioha.

/152/ la cascata di Gilogov Ho voluto far precedere tutti questi detagli sopra la formazione di quei terreni, perché con ciò mi sarà più facile dare al mio lettore un’idea aprossimativa della grotta famosa in discorso, la quale ha servito in moltissime circostanze di fortezza. Ciò posto, ai piedi della collinetta dove è stata fabricata la casa della missione nostra scorre un piccolo torrente nel piano, il quale va a gettarsi nel primo ripiano del pendio tutto vicino a noi in forma di una cascata, [p. 508] che coll’andare dei secoli, colla rifrazione delle aque ridotte in vapore aprofondirono il precipizio in forma di bellissima abside, con un boschetto delizioso ad una certa distanza; proprio là dietro la cascata si presenta lo spaccato della grotta famosa colla forma di un’arco che si direbbe fabricato dalla mano del uomo in tutta la proporzione di un’arco quasi piano il quale al vederlo mi ricordava il magnifico arco del ponte Dora in Torino, stato fabricato [1828-1830] in tempo della mia gioventù dal Cavaliere Mosca. Allo scorgersi dell’arco in certa lontananza non sembra tanto lungo, ma poi l’atrio della grotta entrando la persona per una porticina praticatasi a man sinistra in una estremità, si trova essa tutto all’improvviso in facia ad un grande atrio, che si direbbe quasi quello di S. Pietro di Roma, da Carlo Magno a Costantino, con una volta grottesca, ma maestosa di basalto a quadretti quasi artefatta: qui, mi diceva Madama Govana, la quale mi accompagnava, stavano a diritta ed a sinistra due file di cavalli di 50. e più caduna, lasciando in mezzo uno spazio per una terza fila, restandovi sempre ancora luogo sufficiente per la circolazione delle persone di servizio.

diversi compartimenti Con ciò noi eravamo solamente nell’atrio della grotta, di dove Madama Govana mi introdusse in diversi compartimenti, bensì senza ordine, ma spaziosi, in uno dei quali si trovava la famiglia dei custodi; in un’altro vicino si trovavano i dieci schiavi che mi aspettavano, per [p. 509] essere da me inoculati del vaïvuolo. Finita la nostra operazione, ci fece entrare in un’altro compartimento, dove rimanevano diverse giarre d’idromele, e dove [ne] abbiamo bevuto un corno. Mi fece vedere ancora il compartimento della cucina, quello dei magazzeni di grano, quello del miele, ed altri misteriosi che non mancavano, dove si trovavano fucili, polvere, ed altri ingredienti necessarii alla fortezza. Per ultimo mi condusse in un luogo più sequestrato, qui, mi diceva, stava la chiesa. Tutti quei compartimenti veduti erano sufficientemente illuminati naturalmente dalla luce naturale del giorno.

visita dei luoghi oscuri Ora, disse Madama, sarebbe questione di vedere la parte interna della grotta: fece distribuire a ciascheduna delle persone che si trovavano con noi /153/ un fanale acceso, e siamo entrati in luoghi oscuri, sempre guidati dal custode della grotta, abbiamo girato in diversi luoghi, e passammo anche [in] alcuni luoghi bassi, dove appena potevamo rimanere in piedi. arriviamo al lago Dopo aver camminato circa dieci minuti, siamo entrati in un luogo spazioso da non vederne i confini colla semplice luce dei fanali; era un piccolo lago di un’aqua limpidissima, che rifletteva in certi luoghi il fondo del lago; abbiamo bevuto dell’aqua, la quale era sufficientemente fresca, e buonissima. questioni diverse, e ritorno Ho domandato se si conosceva la sorgente [p. 510] e mi risposero di no, l’aqua, dicevano, [non] cresce mai e [non] diminuisce mai; anche in tempo dell’assedio con tutto quel mondo, e tutti quei cavalli, non si faceva che cavare, ed ha mai dato un segno di diminuzione; prova adunque che il lago aveva una sorgente, ed un scaricamento per vie che non si conoscevano. Ho domandato se la grotta si prolungava ancora molto: la grotta non si conosce dove arriva, dicevano, i nostri vanno molto più in là, dove esistono ancora depositi, ma vi sono dei passi meno commodi, e si trovano anche dei grandi spazii; se vuole possiamo andare ancora, ma bisogna passare nell’aqua; al sentire questo siamo ritornati. Le tradizioni dicono, aggiungevano, che andando si arriva ad un altra grotta nel versante opposto, ma nessuno di noi è arrivato. Dal calcolo che io faceva la lunghezza conosciuta della grotta poteva arrivare ad un kilometro.

giro del boschetto Sortiti dalla grotta mi fecero girare tutto il boschetto sino all’estremità dei ripiano, dove il torrente presentava una cascata molto più alta, e più bella ancora; qui sotto esiste una galleria, mi dissero, dove in tempo dell’assedio stavano gli ammalati della gran grotta veduta. Fin d’allora io ho fatto il progetto di aggiustarla per me, onde ritirarmi qualche volta, come feci poi, e diremo in seguito. la seconda cascata Dall’estremità del ripiano, [p. 511] dove partiva la seconda cascata, voltandomi indietro all’est io calcolava la grotta veduta, e sopra la collina di Gilogov, dove era la nostra casa, la collina era nella stessa direzione della grotta da noi visitata, prova di un vero sollevamento del terreno, prodotto dallo sviluppo dei gaz sotterranei imprigionati, succeduto nella fusione vulcanica; almeno tale è stato il criterio formatomi in quel momento, lasciando da una parte tutte le opinioni in contrario dei [dei] dotti in queste materie. Di fatti, come si osservarà, nei lavori di spianamento fatti da noi intorno alla casa della missione, tutto proverebbe il sistema del sollevamento. Ma lasciando i miei vaneggiamenti da scienziato passiamo a qualche volo poetico: confesso che la veduta di quel boschetto, l’armonia degli ucelli colà radunati, come nell’arca di Noè, in cerca dell’aqua e della verdura nella stagione secca, e sopratutto il mormorio delle due cascate, /154/ quasi m’invitavano a conversare colle muse, ma sgraziatamente, o meglio fortunatamente [non] sono mai stato poeta.

Come l’inoculazione del vaïvuolo era stata [fatta] a piccole quantità per non interrompere il servizio della casa di Govana. Guariti che furono i primi dieci giovani io sono disceso di nuovo alla grotta con Madama Govana per l’inoculazione di dieci giovani femine. visita alla galleria inferiore Ho significato a Madama il mio desiderio di visitare la galleria inferiore, per vedere se si sarebbe prestata per aggiustare un luogo di rifugio in caso [p. 512] di guerra, ma sopratutto per farvi deposito per la missione in luogo sicuro dal fuoco. Madama fece subito preparare alcune scale di corda che si trovavano nei depositi; con questi mezzi solamente ho potuto discendere. descrizione della galleria Appena arrivato là, al primo colpo di vista ho veduto subito il bellissimo luogo che si prestava a tutti i miei dissegni: un piano lungo circa 80. mettri, e largo almeno otto mettri, isolato dalla parte di sotto da un precipizio di circa venti mettri, ed altri venti dalla parte di sopra, e coperto come da un tetto naturale che lo riparava dalla pioggia: cosa [poteva esserci di] più bello? La cascata del torrente che veniva dalla grotta superiore gli passava avanti senza toccare il ripiano, o galleria che vogliamo chiamarla, era una vera bellezza, che migliore non si poteva imaginare. Per formarsene un’idea dirò che il gran precipizio a picco di 40. circa mettri che separava il ripiano della grotta superiore dal ripiano inferiore, nel suo mezzo era intersecato da uno strato di creta friabile frammezzo a due strati di pietra. Lo strato di creta era stato consummato dai secoli; era questa la sua formazione naturale.

Nel suo piccolo, il luogo era più bello della grotta superiore di Ato Govana, perché all’aria libera, e quasi egualmente inacessibile in caso di guerra. Se la mia condizione di missionario cattolico non mi avesse legato alla società del popolo che doveva evangelizzare, [p. 513] io avrei potuto passare in quel luogo tutta la mia vita perfettamente isolata dal mondo come Simone Stillita sopra la colonna frà volatili ed animali in essa una vera nube di ucelli di ogni qualità che popolavano l’ambiente dell’aria ricreandolo di una vera musica continua, ed una vera popolazione di marmotte e di scoiattoli senza fine, che da secoli erano stati i veri padroni della piazza forte. Al mio primo comparire in quel luogo tutti quegli antichi padroni scomparvero [tutti] in meno di cinque minuti ritirandosi ciascheduno nelle rispettive tane o case che avevano nei meati immensi del macigno all’intorno. Non mancavano però serpi ed altri insetti in quantità, i quali non avrebbero mancato di contrastarmi il pacifico possesso per qualche tempo.

/155/ progetti di fabrica L’altezza della galleria era di circa [da] otto a dieci mettri, e si poteva fabricare a volontà una bella casa con muri a pietre e fango, di cui il luogo era ricco, lasciandovi anche all’intorno un sufficiente piazzale da potervi passeggiare. All’estremità sud della galleria esisteva una piccola grotta all’altezza di circa quattro mettri dal piano della galleria; là pensai subito di farvi una cappella per la celebrazione della S. Messa. Avanti [al]la grotta cadeva dall’alto un filo di aqua, scolo di una fontana superiore [p. 514] la quale sarebbe stata poi l’aqua da bere, perché quella della gran cascata, prendendo gli scoli della grotta superiore, avrebbe potuto servire per lavare, ma non per bere. rimonto dalla galleria e son decisi i lavori Dopo aver preso tutte le mie misure sono rimontato sopra col mezzo della scala di corda, colla sicurtà di una corda legata alla vita e tenuta a mano da persone soprastanti. Madama Govana mi promise l’ajuto per l’esecuzione dei lavori. Deftera Walde Kaen Alaca di S. Giorgio, che già aveva assistito [a]i lavori della casa, avrebbe anche assistito all’esecuzione dei medesimi. Ma ritornando alla storia dell’inoculazione dirò che in due mesi o poco più sono stati inoculati tutti i famigli di casa Govana in numero di circa 150 trà servi e schiavi venuti anche da altre case; questi uniti ad altri circa 200. che ogni giorno venivano dal popolo in piccole quanti[tà], in tutto quel tempo erano stati inoculati circa 400. senza il menomo inconveniente, meno due o tre, ai quali l’innesto non aveva preso.

inoculazione dei figli di Govana.
Miei timori
Rimanevano ancora i figli ed i parenti di Ato Govana, i quali, tra figli, nipoti, cugini, fratelli, ed altri amici arrivavano anche ad una grande quantità. Questi desideravano più degli altri di essere inoculati, ma il timore fece sì che precedessero i servi ed i schiavi, onde essere più sicuri dell’operazione. Fra i poveri pochi erano gli adulti che si presentavano, [p. 515] perché essi non avendo due case, non potevano fuggire in tempo che infieriva l’epidemia in un luogo, e tutti erano presi dal morbo, laddove nella casta dei ricchi [per] la commodità di poter fuggire se ne salvavano molti, e questi arrivavano ad una certa età con moglie e con figli senza aver avuto il Vaïvuolo. In quei paesi il Vaïvuolo frà gli adulti è così micidiale, che di dieci appena due si possono contare salvi. Il vaïvuolo negli adulti spaventa, non solo l’individuo, ma la famiglia intiera, per la quale il solo pensarvi è una vera crisi nella famiglia. Questi adulti più di tutti desideravano l’inoculazione per levarsi una volta un tale spaventevole timore, ma il progetto solo soleva sollevare una vera guerra di famiglia. Io conoscendo questo da lunga esperienza, finiva per [per] seccare anche a me dovermi prestare. Io poi conoscendo certi pezzi d’ira di Dio, col capitale di fede che mi guidava nelle mie operazioni, confesso candidamente che temeva nel prestarmi, /156/ perché in tutte le cure ho veduto sempre una gran differenza di risultato tra il superbo ed il povero di spirito. Ho voluto far precedere questo preambolo, il perché si vedrà dopo.

una questione di casa Finalmente bisognò decidere l’inoculazione delle persone più intime di quella gran casa. Io temeva di un solo, ed era il figlio maggiore primogenito Abdì. Era questi un giovane di quelli [p. 516] che avevano già frequentato il catechismo in Liccèe con un certo quale profitto fra i giovani della corte. Egli era il beniamino di Madama Govana, ed avrebbe amato di vedere consolata la sua madre col matrimonio cattolico, forze più per amore della madre che non per interesse spirituale dell’anima dei due genitori. Il Padre invece era dominato da un’amore a certe dame di corte della razza di Anna Bolena d’Inghilterra. Con questo titolo specioso, ed anche giusto in certo senso, questo giovane Abdì non amava il suo Padre, ed era divenuto un punto di contradizione al medesimo. In quella questione Iddio aveva di che andare in collera col giovane, perché il Padre è sempre Padre. Il diavolo poi aveva anche il suo interesse di rovina per la missione, a cui [imprigionato dal padre: feb. 1870] Abdì prendeva parte. In mezzo a tutta questa complicazione io temeva per il giovane Abdì, il quale era arrivato ad alcuni eccessi contro il suo Padre; io temeva la giustizia di Dio, e temeva anche il maneggio degli uomini capitanati dal diavolo.

inoculazione dei figli In quello stato di cose un giorno si venne all’inoculazione di tutti i membri i più interessanti di quella famiglia, fra i quali fu inoculato il primogenito Abdì col suo fratello minore. Tutta la famiglia e parentela era perciò in mezzo all’agitazione fra il timore e la speranza. Passata l’inoculazione tutti attendevano [p. 517] al giorno settimo, giorno in cui il vaïvuolo doveva manifestarsi negli inoculati. Nel terzo giorno dell’inoculazione mi vengono a dire che il giovane Abdì era ammalato, volo subito a vederlo, e lo trovo colla febbre; questa, dissi, non può essere il vaïvuolo, Abdì è ammalato perché non era ancora arrivato il suo giorno, essendo tranquilli tutti gli altri stati inoculati con lui; d’altronde il carattere di quella febbre non presentava i sintomi ordinarli. Sono rimasto tranquillo, ed ho tranquilizzato il mondo. Madama Govana stava vicino all’ammalato e non lo abbandonava più. Io, benché temessi nel mio cuore, pure vedeva il bisogno di far coragio a tutti, dicendo che la febbre avrebbe fatto il suo corso.

La sera ritorno a vederlo. L’ammalato aveva una forte febbre, la quale non poteva ancora caratterizzarsi, ma [non] accusava nulla di straordinario, e mi sono contentato di raccomandare dieta assoluta permettendo solo di bere un poco di caffè dilungato con aqua. Ho detto a Mada- /157/ ma che poteva ritirarsi per riposare, consegnando l’ammalato ad una persona sicura, e sono rientrato in casa per dormire e far dormire la famiglia. con una penna cerca vomitare La mattina, appena terminata la Messa, sono chiamato e trovo l’ammalato molto inquieto, il quale con una penna cerca va di eccitare il vomito: caro Padre mio, [p. 518] mi dice, [sento] un gran peso allo stommaco, tengo bisogno di vomitare, e [l’ingombro] non vuole sortire: per carità [mi dia] un poco di medicina che mi facia vomitare e sarò guarito. un’indigestione di latte Al sentire ciò ho preso a parte il custode della notte, il quale mi raccontò tutta la storia: jeri sera, appena il mondo si era ritirato, disse, avendo sete mi domandò del latte (1a), ma io non volendo darglielo si levò dal letto, e minaciandomi col bastone, per forza glie l’ho dato: ne ha bevuto un corno con gran piacere e ne domandò un’altro; bevuto anche quello restò tranquillo qualche tempo, e poi mi domandò della birra, e per forza anche [quella] ho dovuto dargliela. Dopo ciò si addormentò, e pareva tranquillo. Al canto del gallo svegliatosi incomminciò a lagnarsi, e cercare di vomitare. Dopo molti sforzi vomitò un poco, (e mi fece vedere quel poco: era un pezzo di latte indurito grosso come una piccola noce). Fece ancora altri sforzi, [ma tutto fu inutile], disse ancora [il custode], ma tutto tu inutile. Sentita tutta quella dolorosa storia, io l’ho creduto subito perduto. Ciò non ostante, in simili frangenti, il dirlo è sempre l’ultima cosa per non abbattere di più chi ha bisogno di essere incoraggito.

Abdì domanda l’emetico.
si confessa
Rivolto intanto all’ammalato, ebbene, gli dissi, come ti senti? Padre mio, [rispose,] io sento un gran peso nello stommaco; se il vomitivo che mi darà non mi fa sortire ciò che tengo sullo stammaco io mi sento morire. Prima di prendere il vomitivo sento bisogno di vomitare i miei peccati facendo una buona confessione, e poi sarò nelle mani di Dio. Così senza perdere tempo fece una confessione da commovermi sino alle lacrime; il povero giovane [p. 519] aveva ricevuto il gran dono della fede; già si era confessato qualche volta, ma non era ancora arrivato a ricevere i sacramenti. l’emetico non bastò Fatto questo volle ad ogni costo prendere il vomitivo, il quale operò, in modo da far sortire qualche piccolo pezzo di latte indurito. Dopo ciò si sentì un poco sollevato; ma rimaneva sempre il bisogno di rigettare qualche cosa di grosso che non poteva passare. Come Ella sa, disse, tutti i nostri parenti son tutti galla e vorrebbero fare i loro canti; ma mi temono; quando non potrò più parlare, allora faranno i loro schiamazzi, e Lei non potrà più darmi l’olio santo, me- /158/ glio perciò farlo subito; così ricevette ancora l’estrema unzione. Dopo questa entrò in uno stato di sopore, effetto di congestione. Tutta la casa era in una desolazione e disordine [indescrivibili]. I galla incomminciarono coi loro tamburri e canti che lo svegliarono e gli fece cessare; sua morte
[inizio dic. 1871]
fù quello l’ultimo atto di comando. Lottò colla morte sino al canto del gallo, e poi cedette.

ed il pianto Morto che fù si incomminciò il pianto, si radunò un mondo immenso, ed io desolato mi sono ritirato alla missione, dove ho trovato Madama nella cappella che si sfogava in pianto. Ato Govana si trovava in una spedizione, e Madama ordinò che si preparasse la carovana mortuaria per il trasporto a Devra Libanos, dove egli voleva essere sepolto. Abdì, come galla avrebbe dovuto essere sepolto vicino alla casa paterna. Come Cristiano il suo [p. 520] sepolcro sarebbe stato nel cimittero della Chiesa viciniore. il suo sepolcro a devra Libanos Come figlio di un ricco che professava la fede di Devra Libanos, e che poté essere trasportato al gran santuario, vicino al sepolcro di Abuna Tekla Hajmanot fu sepolto ecc. Come i nostri Protestanti esaggerano la fede per arrivare al pecca fortiter di Lutero contro i rimorsi naturali della coscienza. Come i greci scismatici danno tutto il valore all’assoluzione del sacerdote senza la contrizione e la penitenza. Così gli abissini confidano molto nei loro tascar o pranzi mortuarii, e nel sepolcro di Devra Libanos. Il diavolo che lavora continuamente nel distruggere il regno di Cristo, e della sua Chiesa, non basta a lui la vittoria di avere gettato un povero paese nell’abisso dell’eresia, egli pensa ancora a perpetuare la sua perdizione con sepelirlo sotto montagne di pregiudizii, di superstizioni, di falze ed esaggerate speranze, di nuovi usi, di nuove tradizioni, di nuovi bisogni, da rendere più difficile il suo ritorno a Cristo ed alla Chiesa sua sposa, che non gli stessi pagani.

il carattere di Abdì Il nostro Abdì, in meno di un’anno in cui frequentò la missione in Licce, egli fece tanto profitto da conoscere tutti questi pregiudizii e rendersene padrone. Il demonio conobbe il gigante che stava crescendo contro di lui, e riuscì di gettarlo a terra, perché forze il giorno di misericordie non era ancora arrivato per il paese suo. Un giorno avendolo un poco gridato per causa dei dispiaceri che cagionava al suo Padre, mi diede una risposta che indicava il [suo] gran genio: una sua parlata a me Se il mio Padre, disse, si lagna di me, egli fa male [p. 521] perché dopo Dio l’ho sempre amato e lo amo ancora, e lo amerò sempre, guai a chi lo tocca, perché certamente morirò per lui; nel caso [particolare] il mio Padre deve lagnarsi di Lei, e non di me. Ella l’ha soppiantato nel mio cuore colla dottrina che insegna; ora io non posso essere ipocrita, ne con Dio, ne col mio Padre che amo dopo Dio. Il mio Padre si è fatto Cristiano /159/ per piacere al Re senza lasciare di essere galla; oggi mi comanda di sentire la sua dottrina, e vorrebbe nel tempo stesso che seguissi il suo esempio; per una persona che ha conosciuto Iddio questa sarebbe una viltà, come sarebbe una viltà per il soldato che serve il Re mentre tresca col suo nemico. Io giovane nel forte delle mie passioni non ho ancora avuto il coraggio di mettermi in regola con Dio, ma colla sua grazia vi arriverò; allora spero che manterrò il mio decoro di Cristiano. Da queste parole il lettore può conoscere il carattere schietto del defunto. due parole sue ultime Ma vi sono ancora due parole sue dette prima di morire, le quali da quanto mi dissero furono le sue ultime: strinse la mano al giovane che l’aveva assistito nella notte precedente, ed alla presenza di tutti disse: Se muojo egli non ha colpa, io morirò per una delle mie solite bravure; egli ha resistito quanto poté, e cedette solo al bastone; se mi avesse bastonato mi avrebbe salvato, ma esso era servo e non soldato, e fu servo fedele; morendo voglio che la mia spada ed il mio fucile siano per lui, perché se lo merita.

È inutile che io dica che queste sue ultime parole ingrossarono il cuore di tutti, come ingrossarono il mio quando le ho sentite dopo la sua morte. Queste medesime parole bastarono per mettere il sugello a tutte le dicerie che avrebbero potuto farsi [p. 522] non solo a carico del suo domestico suddetto, ma a carico anche mio e della missione. Lo spirito penetrante di Abdì calcolò l’avvenire della missione e tutte le conseguenze della sua morte; egli conosceva troppo i pregiudizii del suo paese, ed amava troppo la missione per supporre che non vi abbia pensato in questo suo specie di testamento; ci rispettava troppo per solo nominarci in senso odioso, e disse tutto parlando al servo per salvarlo, ma egli in prima [cosa] pensava di salvare noi. mie speranze per l’anima di Abdì. Io poi ho [ho] avuto sempre gran fiducia sopra la salute eterna di questo giovane, e per molto tempo fu sempre il primo raccomandato nel memento della mia Messa. La sua penitenza, attese le circostanze del morbo violento, non poteva presentare caratteri più chiari. Se Iddio, nei suoi calcoli providenziali l’avesse salvato, quanto bene non avrebbe fatto con quel suo carattere di soldato cristiano tanto determinato e schietto. Basti il dire, che alcuni suoi compagni, ai quali soleva manifestare tutte le vie del suo cuore, dopo la sua morte, si convertirono, e facevano un certo quale apostolato, solo raccontando le parole di Abdì ai compagni loro.


(1a) Il latte fra quei popoli gode un prestigio di medicina. Io nell’anno 1853. ammalatomi in Gudrù in casa di Negus poco mancò che non morissi, come sta scritto a suo luogo. [Torna al testo ]