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18.
I Govana al santuario di Devra-Libanos.
«Il Giansenista» Abba Ualde Haimanot.
madama Govana non ritorna: gran timori
Madama Govana, che si era recata a Devra Libanos per accompagnare il suo cadavere [del figlio], restò colà più di un mese; si fece costrurre una casa tutta vicina al sepolcro del suo figlio. Da ciò il publico prese motivo a temere ed anche [a] parlare, come essa pensasse di ritirarsi dal mondo. Il solo parlarsene di questo era nel paese [era] un’affare di stato: Se voi parlate, mi dicevano, essa vi ascolterà, se Madama non viene più siamo tutti perduti, ed ogni giorno che calava il sole il non
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averla veduta venire era come un pianto universale. Madama prima di partire aveva ordinato che le limosine solite non mancassero, eppure non bastava questo a calmare il publico.
arrivo di ato Govana
[per Natale 1871]
Arrivò Ato Govana dalla spedizione, ed appena sbrigatosi dal Re volò subito a Devra Libanos, non tanto [at]tirato dal suo figlio defunto, quanto dal timore di una catastrofe di perdere ancora la moglie. Prima di partire venne da me e ad ogni costo avrebbe voluto condurmi a Devra Libanos per determinarla a ritornare, ma io mi sono rifiutato, dicendo che non ne vedeva il bisogno, e se ne andò. Andarono anche con lui tutti quelli [che erano] stati inoculati col defunto, i quali erano più di venti, e non poterono accompagnare il cadavere, perché si avvicinava per loro il settimo giorno dell’inoculazione, ed avevano passato tutti felicemente i loro tre giorni di febbre, ed in quel momento già si trovavano tutti guariti.
suo arrivo [a] Devra Libanos Appena Ato Govana fu arrivato a Devra Libanos, andò con tutta la sua carovana di accompagnamento al sepolcro per fare il pianto di uso, quale finito fu impaziente di recarsi dalla moglie per consolarsi a vicenda per la perdita del loro primogenito Abdì, come era naturale, credeva di trovarla nella più grande desolazione, e di doverla consolare, ma tutto il contrario, essa era calma e direi quasi allegra. il gran monastero La città di Devra Libanos è una città abbastanza grande in proporzione del paese; essa e governata dall’Abbate, il quale è una specie di potenza ecclesiastica. La /161/ città è piena di monaci venuti da tutta l’Abissinia per morirvi; essa ha un distretto [p. 524] indipendente equivalente ad una Provincia, sotto la protezione del Re di Scioha. Vive in gran parte di redditi proprii, e di donazioni o limosine di diversi principi abissini, massime del Re di Scioha, il quale gli passa una penzione colossale. L’Abbate tiene una certa corte con lusso; anticamente era eletto da un capitolo di monaci chiamati professi, ma poi col tempo la nomina è passata al Re di Scioha, il quale però prende il voto dal capitolo. Esiste un’economo, o Procuratore temporale nominato dal capitolo, ed approvato dal Re. Si trovano centinaja di monaci che lavorano anche la terra per affezione, e se ne trovano anche molti di razza nobile, venuti da tutte le parti dell’Abissinia per fare vita santa. La città conta qualche milliajo di anime, per lo più mantenute dal monastero. Non mancano però molti anche ricchi venuti per motivo spirituale, i quali si mantengono da se. Quasi tutti i grandi del regno di Scioha hanno casa in Devra Libanos, e mantengono qualche monaco a custodire i sepolcri dei loro antenati.
[lettera: 8.7.1868] Io sono stato invitato parecchie volte di recarmi a Devra Libanos. Lo stesso Abbate del monastero, venuto parecchie volte a Liccèe, fu sempre a visitarmi, e non lasciava d’invitarmi, ma siccome vi erano là amici e nemici, per prudenza non vi sono andato mai. io non l’ho veduto Per questa ragione lascio in questa mia descrizione molte specialità, che forze sarebbero [p. 525] interessanti, come luogo storico di quel paese, ma come non l’ho veduto credo più sicuro lasciare, che espormi a dire ciò che non conosco. le mie ragioni Il mio lettore sarà quasi scandalizzato al leggere, che io missionario cattolico, obligato ad istruire nella fede i popoli, non sia andato a Devra Libanos, a ciò rispondo una parità con una parità, la quale farà conoscere tutta la delicatezza della questione presente: quando la malattia ha la sua sede in un piede, in una gamba, in una mano, oppure in un bracio, mi diceva il Dottor Belingeri classico medico di Torino, allora possiamo attaccare direttamente la località, ed in caso grave possiamo anche arrivare al taglio. All’opposto quando la sede del male risiede in un’organo essenziale alla vita, come il cuore ed il cervello. In questo caso siamo obligati ad usar prudenza rispettando la località con operazioni troppo dirette, e dobbiamo addottare il sistema indiretto attaccando il male nei suoi principii con delle generalità.
Era appunto questo il mio caso: Devra Libanos era un centro vitale, non solo del partito semi cattolico di questo nome, ma di tutta la cristianità del Sud. Era una fortezza che indirettamente appoggiava il cattolicismo nelle sue lotte coll’eutichianismo. corruzione del monastero Ma non bisogna dissimulare, che questa fortezza, mentre era il centro vitale del Cristianesimo dalla /162/ parte del Sud, come Waldubà nel Wulkaït era un’altro centro del cristianesimo dalla parte del Nord, non lasciava poi di essere una fortezza, o centro vitale, pieno di miserie [p. 526] e di malattie tutte mortali, le quali avevano sommo bisogno di essere trattate con gran prudenza, ed alla lontana, per non distruggere il principio di vitalità stessa, e mandare in fascio la stessa missione. Ora se io fossi andato a Devra Libanos mi sarei trovato in un grande imbarazzo vedendo i disordini senza poterli, ne approvare senza scandalo, ne disaprovare senza inconveniente, non essendo io un’oracolo normale in facia al paese. meglio da lontano che da vicino All’opposto restando io lontano molti buoni venivano come in pellegrinagio da me, ed io fingendo di ignorare poteva liberamente parlare senza odiosità, aspettando che l’elemento della dottrina evangelica portasse dolcemente il suo frutto. [inizio ott. 1870] Basti il dire che vennero da me monaci di gran peso in quel monastero, i quali erano galla senza battesimo; la maggior parte quindi della popolazione di Devra Libanos, o erano galla col nome di Cristiani e di monaci, oppure erano nativi da monaci. In mezzo a tutto questo male bisognava però confessare che si trovavano colà molte brave anime, con una moralità sufficiente nelle cose essenziali, in buona fede in tutte le materie positive, per mancanza di istruzione delle cose anche più necessarie.
ritorno di ato Govana Ato Govana aveva già prima la sua casa in Devra Libanos, e vi rimase tre giorni per ricevere le condoglianze di uso da tutte le persone di riguardo che venivano [d]a lui, e per dare anche qualche limosina secondo l’uso delle persone grandi in simili circostanze di lutto. Ritornò quindi in Haman molto soddisfatto di Madama sua moglie, della quale mi presentava una lettera incomprensibile una lettera misteriosa che [non] ho compreso mai, e neanche attualmente comprendo, [p. 527] anche dopo il compimento di quanto la scrivente s’imaginava. La lettera era concepita in questo senso: Padre mio; io rimango qui per tutto il tempo che Ella mi ha comandato; dopo verrò a Gilogov per adempire al mio voto fatto alla Madonna: il resto della promessa l’aspetteremo da Dio. Madama Govana aveva fatto vedere la lettera al suo marito, il quale, mi domandò se io aveva capito la lettera: io gli risposi assolutamente che non l’aveva capita; anzi, dissi, quando Madama partì tutta la casa era immersa nel pianto, non ha fatto altro che congedarsi alla presenza di tutti, e non mi ricordo d’aver parlato ne del giorno che doveva ritornare, ne del voto, ma solo d’averla esortata alla rassegnazione. Ho capito, disse Ato Govana, io povero Galla non ho diritto di andare più avanti nelle cose di Dio; essa è contenta, è tranquilla, essa viene e spera, tanto mi basta. Non disse altro, ed io, non sapendo cosa Iddio abbia fatto di me senza di me, ho creduto [di] lasciarlo andare senza domandargli altra spiegazione. A suo tempo venne Madama Govana, compì il suo voto alla madonna della nostra Cappella, ed io non cercai più altro (1a)
nuovo zelo di madama Govana Per la morte di Abdì io temeva molto per la missione, come già ho dato a conoscere sopra. Invece tutto all’opposto[:] ogni cosa passò colla massima calma, ed al ritorno di Madama Govana essa spinse tutti i lavori della missione con un’alacrità incredibile. A questo proposito voglio raccontare un fatto, il quale farà conoscere [p. 528] il suo zelo: l’albero adorato dai galla tagliato da Abdì sotto la casa della missione esisteva un grand’albero sacro per i galla di quel luogo, il quale serviva come di tempio pagano, sotto cui il popolo soleva radunarsi per i suoi sacrifizii ed osservanze religiose: Circa un mese prima [del]la morte di Abdì, questo buon giovane fu quello che ebbe il coraggio di mettere la mano per atterrarlo, e lavorò egli stesso colla miserabile scure del paese fino a tanto che lo vidde a terra. È naturale, come il mago fosse contrario, e spargesse delle cattive predizioni contro il zelante giovane. Venuta la sua morte, quasi immediatamente sul fatto, più nessuno osò toccare quell’albero, e se ne rimaneva là per terra come un monumento della collera divina contro il defunto. Ora Madama Govana, appena arrivata da Devra Libanos colla sua sagacità conobbe subito, come essa sola col suo prestigio avrebbe potuto troncare la corrente di tutti i pregiudizii che si spargevano.
un’ordine di madama Govana Un bel giorno radunò tutti i galla di quel circondario, la maggior parte parenti del suo marito. Sentite, disse, io non entro nel merito della causa, ma rispetto ciò che è fatto, ma quest’albero non deve più restare qui come un segno di sconfitta contro le vostre osservanze. Voi avete sparso delle cose che non stanno bene; io vi darò un bue che lo scannerete per l’innaugurazione di un’altro albero, dove farete le vostre radunanze, e fra otto giorni tutto [p. 529] questo legno sia tagliato in pezzi, e portato vicino alla cappella al servizio di cui è destinato. Quando il lavoro sarà finito verrete a prendere il bue, e ne farete ciò che vorrete. Tanto era il rispetto che tutta quella gente aveva per quella matrona loro benefattrice, che in pochi giorni il lavoro fu finito, e più nessuno osò parlare. Parte di quel legno servì, per il fuoco della casa /164/ della missione, ed un’altra parte servì per le costruzioni dei lavori che si stavano facendo per la missione nella grotta inferiore.
un misterioso regresso di madama Govana Le cose della missione di Gilogov andavano molto bene, e non lasciavano a desiderare di più; una sol cosa mi affliggeva, ed era il vedere che Madama Govana, prima così desiderosa di fare il suo matrimonio ecclesiastico col suo marito, per il desiderio di poter essere cattolica, e poter fare la sua santa comunione, al suo ritorno da Devra Libanos, senza diminuire il suo zelo per la missione, anzi accrescendolo, abbia poi osservato un’assoluto silenzio di tutte quelle sue aspirazioni antiche; tanto più che Ato Govana dimostrava minori ripugnanze a cedere. Parlando di questa mia pena all’alaca Deftera Walde Kaen, persona che godeva tutta la confidenza di Ato Govana e di Madama; anche io ho rimarcato questo, rispose egli, e non ne parlava per non affliggerla; potrei sbagliarmi, ma dubito molto che tutto questo non sia un lavorio di abba walde Haïmanot Abba Walde Haïmanot, vecchio santo secondo le antiche nostre tradizioni, e nostro direttore spirituale; se ciò è vero, come dubito, avremo un’altro diavolo [d]a vincere, ed io [p. 530] non mancherò di sentire il controcolpo nella mia moglie già determinata a fare il suo matrimonio con me: io non tarderò ad acertarmi delle cose come sono, e se le cose sono come io la penso, dovremo prepararsi a far la guerra di un genere nuovo. origine e vita di walde Haimanot Abba Walde Hajmanot era nativo del Tigrè, prossimo parente di Degiace Ubiè; abbandonò la corte di quel principe per ritirarsi in Devra Libanos, dove si fece monaco in età ancora verde prima dei 30. anni. Imparò alla scuola del suocero di alaca Walde Kaen, di cui non mi ricordo il nome, fu compagno di scuola di questo alaca, il quale attesta di lui una condotta morale delicata, ed un gran talento ed abilità negli affari. Entrò alla Corte di Scioha in tempo di Selasalassie; fu confessore di Hajlù Malacot Padre di Menilik, [† dic. 1855] alla morte del quale abbandonò la corte, e la diplomazia abissina, nella quale era divenuto celebre. Si ritirò a Devra Libanos dentro una grotta, dove fu sempre come il primo oracolo nella fede di Devra Libanos. Prima del nostro arrivo parlava molto del cattolicismo, ma dopo vedendo il progresso dei cattolici in Scioha senza di lui, ne rimase un poco ferito; avrebbe voluto essere egli alla testa del medesimo, e regolarlo a suo modo.
le sue opinioni particolari Abba Walde Haïmanot era acerrimo difensore della fede delle due nature contro i Karra eutichiani, per battere i quali egli era uno con noi, e veniva anche da me a prendere consiglio; ma in materia di sacramenti e di morale aveva le sue opinioni particolari; egli aveva una gran quantità di figli spirituali, [p. 531] i quali io mantenevano lautamente nella sua grotta, dalla quale non sortiva, che per andare dal Re per trattare di /165/ qualche affare di Devra Libanos, dove egli, senza avere officialmente qualche carica, nulla si faceva senza di lui, ed era tutto. Egli esercitava un gran prestigio sopra tutti i suoi figli, ma il suo prestigio era più politico che spirituale. Egli non si curava ne di moralità, ne di sacramenti, dimodoché tutti i suoi divoti erano per lo più di una moralità molto degenerata. Non poteva essere diversamente, perché egli ne si confessava ne si comunicava. Con tutto ciò egli era sempre ritirato col suo salterio in mano, o colla sua corona. In facia al publico affettava un’austerità che [s’]imponeva a tutti.
il giansenismo etiopico Quando io parlava di questo monaco con qualcheduno dei miei compagni io soleva chiamarlo il giansenista dell’Abissinia. Difatti nel suo esterno sembrava veramente a certi oracoli del giansenismo pratico che han fatto tanto parlare di se sul fine del secolo passato in Francia. Parlando con Tekla Tsion, e con Alaca Walde Kaen, e facendo le mie ammirazioni sopra la decadenza dell’uso dei sacramenti fra i monaci, massime graduati, essi mi davano sempre questa ragione: Abuna Tekla Haïmanot [sec. XIII-XIV] nel suo tempo aveva sollevato un gran movimento verso i sacramenti del matrimonio, della confessione, e della comunione. Dopo di lui, i monasteri senza preti sotto il dominio della gerarchia eutichiana, essendo stati obligati i nostri a ricevere l’ordinazione dai Vescovi eretici [p. 532] riconosciuti dal governo, incomminciarono, prima ancora dei secolari, gli stessi monasteri, i quali, in quell’epoca vicina a Tekla Haïmanot, erano quasi tutti della sua riforma e fede, a rifiutarsi di ricevere le ordinazioni dai Vescovi eretici, e così questi prima di tutti, poco per volta mancando di preti si accostumarono a farne senza, restando senza confessarsi e comunicarsi, e dai monasteri impararono i secolari, a non aver fiducia dei sacerdoti ordinati dagli eretici, e farne anche senza. In questo modo incomminciò l’abbandono dei sacramenti, divenuto quasi totale coll’andare dei secoli, e propagossi quell’uso, anche presso gli eretici stessi. I sacerdoti eretici divenuti gli unici titola[la]ri possessori delle Chiese, amministravano i battesimi, ed erano chiamati in morte più per il testamento, che non per la confessione.
spiegazione sopra l’abbandono dei sacramenti In questo modo questi miei oracoli cattolici suddetti, i quali conoscevano la storia del paese, mi spiegavano l’abbandono totale dei sacramenti divenuto universale. Si aggiunse a questo l’odio che avevano i seguaci di Tekla Haïmanot alla simonia, che gli eretici eutichiani esercitavano senza misura, a rendere sempre più odioso il loro ministero, divenuto più civile, che non apostolico. la scuola devra Libanos La fede quindi delle due nature, divenuta quasi universale dopo Abuna Tekla Haïmanot, [p. 533] si ridusse ad una semplice scuola, nella quale erano obligati a schivare il nome tekni- /166/ co dei concilii di due nature in Cristo, benché tenessero tutto il dottrinale cattolico. La gerarchia eretica eutichiana dominante, divenuta anche essa ignorantissima, purché non si parlasse di due nature per loro equivalenti a due persone formola nestoriana, e purché non si parlasse di Roma e del Papa, [era tollerante,] lasciando tutta la libertà alla scuola di Devra Libanos di spiegarsi come voleva. Questa scuola si sostenne sempre, e si può dire che ebbe sempre il sopravento nell’Abissinia. Ma a cosa serve, se per una parte era come cessato il ministero dei sacramenti, il solo che poteva mantenere il paese nell’altezza della morale evangelica. A cosa serve, se con questo mezzo si accostumò anche Devra Libanos a seppelire l’unità cattolica della Chiesa col nome di Roma e del Papa? il giansenismo del monaco Il giansenismo suddetto di Abba Valde Haïmanot nel fondo era questo. Egli amava la dottrina cattolica nella sua parte speculativa, ma non nella parte pratica dei sacramenti, della morale, e diciamo anche di Roma, che rispettava nel solo senso del primato d’onore, riconoscendo sempre la giurisdizione di Alessandria come assoluta e suprema.
Di fatti, tanto il mio deftera ed Alaca Walde Kaen, quanto Tekla Tsion avendo esaminato a fondo il Monaco suddetto, egli non avrebbe voluto romperla con me, perché avrebbe perduto molto del suo prestigio, [p. 534] ma intanto non aveva lasciato di guastarmi Madama Govana ed il suo marito; la stessa moglie di Walde Kaen era ritornata già un passo indietro nella sua risoluzione di fare il matrimonio ecclesiastico col suo marito, che tanto lo bramava, per levarsi dal concubinato legale del paese, per poter fare la sua Comunione. inutili tentativi per convertirlo I due oracoli suddetti, ai quali io aveva apoggiato la questione di Abba Walde Haïmanot, nulla avendo potuto ottenere da lui di decisivo per la sua conversione, ho risoluto di tentare io stesso. Essendo già arrivati a buon porto i lavori della mia grotta, nell’occasione che io doveva inaugurare la nuova cappella stata preparata in essa, trovandosi in Haman Abba Walde Haïmanot in casa di Ato Govana, l’ho invitato a fare tre giorni di ritiro secreto con me nella grotta, [19.3.1872] prima della festa di S. Giuseppe, a cui pensava di dedicarla, ed acettò l’invito.
viene da me: sue parole Abba Walde Haïmanot, uomo furbo, di un carattere rotondo, e senza mistero, uomo solito [a] comandare anche ai principi, appena arrivato, incomminciò egli stesso: voi volete convertirmi, disse, ma non vi riuscirete certamente: io [non] mi sono mai lasciato guidare da nessuno; ciò che facio è pura mia convinzione, e non la cangio. Ciò vi serva di regola, e poi parleremo quanto volete. una mia risposta al monaco Caro Abba Walde Haïmanot, [gli risposi io,] sappiate anche voi la mia convinzione: prima di tutto /167/ sappiate [che] io sono convinto che la conversione deve venire da Dio: S. Paolo partì da Gerusalemme [p. 535] verso Damasco con una tale risoluzione che divorava la strada impaziente di arrivarvi per esercitare il suo furore contro i cristiani, quando cadde dal cielo come un fulmine una convinzione tale da cangiarlo, da manigoldo, come era, in vittima; egli correva per ubbidire ai Pontefici, e cangiatosi il padrone, dovette prendere la strada del Calvario. Caro mio, faciamo i conti sopra la roba nostra, e non sopra la roba altrui: non sapete voi che la conversione è una misericordia di Dio? Avete voi meditato ciò che io medito giorno e notte al conto mio? Avete cioè meditato voi il cuore di S. Paolo persecutore che cercava Iddio e lo trovò? Avete meditato il cuore di Giuda amico, venuto di fresco dal cenacolo, il quale cercava se stesso ingannando i Pontefici, e cercando d’ingannare lo stesso Cristo, e che trovò la morte? Dopo tutto ciò, come voi potete dire che non vi convertirete? In quanto a me io non cerco [di] convertirvi, perché tanto vi stimo, che già vi credo convertito. Ma supponendo che sia vero ciò che dite, credete voi che Iddio non vi possa convertire? Abba Walde Haïmanot sentì tutto il da me detto con una calma imponente, ed io vegliava ai suoi occhj per vedervi il cuore.
guai al partito preso contro Dio! Caro Abba Walde Haïmanot mio, cosa mi rispondete? Cosa volete che io vi risponda, disse, voi mi avete preso per una via tutta nuova, alla quale la risposta è molto difficile. Vedendo che egli cercava di fugire la questione, io ho cercato d’introdurmi colla massima buona grazia possibile, ma oh quanto è difficile lavorare sopra un cuore che ha fatto il callo combattendo la grazia! molto più poi quando della misericordia di Dio ne ha fatto un mercato [p. 536] facendole servire alle sue passioni o interessi materiali di partito! Meno difficile aver da fare con un gran peccatore del mondo ingolfato sino agli occhj nelle sue lordure. risultato della conferenza Ho lavorato tre giorni quasi continui per battere il suo cuore con delle sentenze divine che egli non ignorava, ma egli [stava] rifugiato dietro il muro di un’austerità e pietà arbitraria poco o nulla ho potuto fare.
Dopo tre giorni di ritiro, il mio monaco, per un non so quale mal di capo, si congedò appellando al futuro concilio di un’altra conferenza. Trovandomi in Gudrù [fine mag.-metà giu. 1862] ho passato dei mesi nel deserto per evangelizzare degli eremiti, lusingandomi di fare una campagna con qualche vantaggio, ma già fin d’allora ho dovuto convincermi di una gran verità, che cioè il diavolo cornuto è meno terribile del diavolo vestito di pelle. Allora mi sono convinto che in Scioha, e fra lo stesso partito mezzo cattolico, ancora mi rimanevano delle fortezze non indifferenti [d]a battere.
/168/ Il mio Prete Tekla Tsion, e l’alaca Walde Kaen stavano in preghiere aspettando il risultato della mia campagna, quando comparve fra loro il mio monaco Walde Haïmanot facendo elogi sperticati di me con in mano [un] mazzo di rose invece di un mea colpa tanto da loro desiderato. compenso di una consolazione Essi, pensando alla mia afflizione, vennero da me alla grotta per consolarmi, e mi portarono [p. 537] notizie molto consolanti: La mia moglie, disse l’alaca Walde Kahen, ha voluto assistere alle preghiere che si facevano per Abba Walde Haïmanot, e prima che le medesime fossero finite essa ha risolto la questione, e domani verrà a confessarsi, disposta a fare il matrimonio con me e ricevere la santa comunione. Verrà con essa la sorella di Tekla Tsion, la quale pure domanda di confessarsi e comunicarsi. questione del monaco con una donna Jeri in casa vi fu una vera scena: quando arrivò Abba Walde Haïmanot: Sei qui matarella, disse egli alla sorella di Tekla Tsion; Stia quieto, rispose essa, è passato quel tempo in cui queste cose si potevano dire anche sopra il sepolcro di Abuna Tekla Haïmanot; ai tempi di Abuna Messias non si dicono più. Il monaco, piccato da questo [dire], se ne partì furioso, e se ne andò ad Haman. Se là avesse saputo almeno [ad] osservare silenzio, il tutto sarebbe stato obliato, ma all’opposto si lagnò con Madama dell’accaduto.
[19.3.1872] La sera di S. Giuseppe dopo la funzione, nella quale vi ebbero parecchie comunioni nella grotta, dove pure fu celebrato il matrimonio di Alaca Walde Kaen, me ne sono ritornato a Gilogov, Madama Govana si trova nella casa di Alaca Walde Kaen, e sta questionando colla sorella di Tekla Tsion, mi dissero in casa. Come la casa non era molto lontana corsi subito coi due suddetti, i quali avevano sentita la questione. madama Govana che giudica Cercammo subito d’interrompere la storia poco grave per il vecchio monaco, ma Madama volle sentirla ad ogni costo: eccola dunque tal quale la raccontò la sorella di Tekla Tsion: Quando mio fratello fuggiva in Gogiam per la persecuzione di Abba Salama, io ancora giovane me ne sono fuggita a Devra Libanos con una raccomandazione del mio fratello ad Abba [p. 538] Walde Haïmanot; appena arrivata là, essendo io risolta di farmi monaca e rinunziare al mondo, esso mi ha data ad un monaco che aveva gettato il berretto: io, dissi, quando vorrò maritarmi mai prenderei un monaco che ha tradito il suo stato, per questo me ne sono fuggita. Per questo fatto succeduto or son già più di dieci anni, egli vedendomi qui mi ha chiamata matarella, ed io gli ho risposto come sopra. Molto bene, rispose Madama Govana, per questa parte sta tranquilla, perché io aggiusterò la questione tua con Abba Walde Haïmanot. due monache guadagnate Ora dimmi un poco, figlia mia, perché sei partita da Fekeriè Ghemb, e sei venuta qui? Io son venuta qui per confessarmi da Abba /169/ Messias e fare la mia comunione. Ma dimmi un poco, non sei tu maritata? Scappata da Devra Libanos, [rispose,] mi sono maritata secondo l’uso del nostro paese, ed ho avuto un figlio, il quale oggi è già padrone di se, e non ha più bisogno di me; il mio marito è morto, ed io voglio farmi monaca di Abba Messias; ho una compagna anche vedova, e siamo tutte [e] due della stessa opinione di dedicarsi al servizio del monastero di Abba Messias, che sta per fare a Fekerie Ghemb. Fa coraggio alla tua compagna; se avrete bisogno di qualche cosa, disse Madama, io vi ajuterò, e vorrei essere libera per unirmi a voi: in Fekerie Ghemb sarete più fortunate che a Devra Libanos con quei monaci.
(1a) Il mistero della lettera si seppe quando due anni dopo Madama Govana dopo essere stata madre di 11. o 12. [creature] e dopo aver passato sette anni di riposo da non più sperare di esser madre, partorì un figlio maschio che fu poi battezzato dal M. R. P. Luigi Gonzaga, oggi Vescovo di Marocco, a compimento del voto. Così Iddio si serve del uomo senza dell’uomo, come l’Angelo Rafaele si servì del figlio del grande Anania, senza che egli lo sapesse. Quando naque quel bimbo stato battezzato col nome di Gabriele, [15.11.1873] io aveva lasciata la missione di Gilogov al suddetto Padre di nuovo venuto, come si dirà a suo tempo. [Torna al testo ↑]