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36.
Catastrofe di Rasa: cause naturali
e ragioni cristiane. Abba Ualde Mariam.

viste della providenza divina Il villagio di Wanenamba non avrebbe mancato di divenire tutto cattolico col tempo. La colonia di Rasa esercitava un gran prestigio in tutti i contorni, e massime in Wanenamba per le relazioni continue che esistevano fra i due paesi. Ma l’opera di Dio è come la vite, la quale getta rigogliosi i suoi tralci ed ha bisogno di essere puotata, affinché si rinforzi nella radice. La previdenza di Dio, la quale suole guidarci per vie ben soventi incognite [p. 814] non aveva amato in Rasa i troppi favori, i quali non mancavano di far dimenticare un tantino il sistema della croce dovuto ai nuovi coloni cattolici, per dar luogo al commercio, ed all’interesse materiale. La nostra colonia prosperava troppo, e tirava a se molto mondo, chiamato piuttosto dal desiderio di fare fortuna, che non da quello della fede e dell’anima. La moltitudine stessa degli accorrenti per fini secondarii, forze avrebbe guastato col tempo la parte spirituale ed apostolica. Oppure la stessa gelosia avrebbe sollevato delle difficoltà nella diplomazia stessa del paese, e dei diversi partiti che non mancavano in Scioha. Qualunque sia stato il calcolo sempre paterno della divina previdenza non sta a noi investigarlo, sta a noi bensì a sottomettersi ciecamente, anche quando flagella. Il fatto sta ed è, che, mentre noi credevamo che la colonia di Rasa camminasse a passi di gigante verso uno sviluppo portentoso, essa si trovava all’orlo della rovina.

epidemia della colonia di Rasa
[1a metà 1878]
Mentre io mi occupava seriamente di Wanenamba, di Escia, e di Fekerie Ghemb; un bel giorno mi arriva un corriere con una lettera del novello sacerdote Sahelie la quale mi annunziava che un’epidemia si era manifestata tutto all’improvviso, e minaciava di fare molta strage. Non era che il primo corriere di Giobbe, venuto per domandare medicine, ma non tardò il secondo, ed il terzo ad annunziarmi una quantità di vittime, ed una gran parte della colonia in fuga precipitosa. In Rasa non si trovava più chi servisse gli ammalati, e [p. 815] chi sepelisse i morti. /341/ detagli del disastro Nel primo giorno dell’annunzio fatale i miei giovani più ferventi e zelanti si esibirono di discendere in soccorso; ho fatto loro prendere sul momento una gran dose di kinino, ordinando loro di prenderne tutti i giorni una piccola dose. Partirono muniti di kinino e di altri medicamenti, prescrivendo loro delle regole e delle precauzioni, per se stessi e per tutti, massime per i preti. Arrivarono un poco tardi, ed in numero insufficiente; furono come una goccia d’aqua in mare, ed appena erano sufficienti per dare da bere agli ammalati più gravi, e per seppelire i morti. Tuttavia la loro parola era un balzamo per tranquillizzare i cuori, e calmare l’immaginazione, che stavano facendo un guasto immenso. La maggior parte della colonia era già partita; discendevano i parenti e gli amici da Ankober e da Ellioamba, portavano via gli infermi, ed obligavano i sani a partire colla forza; alcuni degli ammalati portati via morirono in strada; erano partiti lasciando grani, alcuni mobili ed altro al primo occupante.

medito la partenza per Ràsa Al sentire simili notizie io ho concepito quasi subito da principio il piano di discendere a qualunque costo, persuaso, che la mia sola comparsa avrebbe arrestato il movimento di dissoluzione della colonia, e se non altro, avrei giovato alla salute spirituale e corporale di molti. Ma, appena il paese si accorse delle mie risoluzioni di partire diede un’alarme, e fece custodire tutti i passi della fortezza per impedire la mia partenza dalla parte superiore; ai piedi della montagna il villagio di Wanenamba d’accordo fece custodire tutte le vie a questo [p. 816] medesimo effetto; una gran parte dei giovani di Fekerie Ghemb, sotto pretesto di venire al catechismo la sera, avevano istruzione di guardare la mia stessa persona. Io col mezzo di due miei bravi fidi aveva preso tutte le mie misure per partire dopo la mezza notte col benefizio della luna tenendo alcuni boschi, ed una via di traverso. La sera ho fatto le mie conferenze spirituali, come se nulla fosse; dopo ho fatto portare la cena ai giovani miei custodi, e gli ho fatto bere due vasi, uno di birra, e l’altro di idromele, e gli ho licenziati, invitandoli per l’indomani al pranzo.

mia partenza di notte;
arrivo al fiume
A mezza notte, mentre tutti dormivano tranquillamente, sia in casa, che fuor di casa siamo passati in mezzo alle guardie, e siamo partiti, abbiamo passato più di un’ora fra i boschi più folti, e siamo discesi [per] precipizii incredibili prima di trovare una strada un poco più praticata, e prima del giorno eravamo già arrivati al fiume Dinki. Abbiamo camminato ancora più di un’ora, ed al sortire del sole noi stavamo per entrare nei deserti. il guardiano dei banani I miei due bravi giovani mi consegnarono ad un guardiano di un bananiere, il quale m’introdusse nella sua capanna, /342/ ed abbiamo fatto una buona colazione con banani; Ella riposi quì, mi dissero i due giovani, e noi anderemo a scoprire campagna, ed a cercare notizie della colonia di Rasa, affinché non accada di arrivare là, e trovare il paese vuoto. Così essi se ne andarono, ed io sono rimasto solo col custode dei banani. conversazione Era quello uno schiavo dell’Abegaz, e conosceva tutte le storie passate [p. 817] tra me ed il suo padrone, relativamente allo stabilimento della colonia. Voi, diceva egli, avete incomminciato una grande opera; ma permettetemi che vi dica la verità: voi l’avete sbagliata da principio; avete condotto in questi paesi bassi una popolazione quasi tutta della città e dei contorni di Ankober, tutti paesi alti, non assuefatta a questo clima, qui sta il grande errore. Se voi incomminciavate con persone dei paesi bassi tutta questa gran catastrofe non sarebbe arrivata; jeri fu una processione continua di persone che fuggivano, ed alcuni ammalati portati via sono morti qui vicino; se ancora vi è gente in Rasa, da qui [a] poco gli vedrete passare; oggi si sono spaventati, e non vi resteranno più; gli stessi parenti non gli lascieranno.

arriva gente Di fatti, mentre noi stavamo discorrendo, non tardarono a comparire alcuni che venivano; essi portavano una donna ammalata, ed avevano alcuni carichi di oggetti di casa con qualche poco di farina e simili; essi erano venuti da Ankober ad oggetto di prendere una famiglia. una donna ammalata L’ammalata era quasi agli estremi, l’adagiarono là alla meglio, all’umbra di un’albero; il suo marito era morto il giorno precedente e fu sepolto nella notte; essa accusava un gran peso allo stommaco con qualche sforzo di vomito; senza dir nulla gli ho dato una dose di emetico, quale preso si addormentò un momento, e pareva che dovesse morire. Dopo poco più di un quarto d’ora, facendo segno di un bisogno di vomitare l’ho fatta alzare un tantino, e quel movimento bastò per incomminciare [p. 818] un’evacuazione di bile portentosa, dopo la quale si trovò un poco meglio. mi racconta la catastrofe Gli ho domandato se si era confessata: jeri, disse, il prete Sahelie, ammalato anche egli, si levò, sentì la confessione del mio marito e la mia, ci amministrò l’estrema unzione, e poi ritornò a letto; oggi, fatte le esequie al mio marito, egli se ne partì per Fekerie Ghemb coi cinque bravi giovani portando via tutti gli oggetti di Chiesa; noi siamo gli ultimi sortiti, rimasero là alcuni servi venuti per prendere [i] bestiami, ed alcuni oggetti rimasti, i quali a quest’ora, o saranno partiti, o partiranno. Gli ho interrogati se avevano trovato i miei due giovani? essi vollero andare per ajutare a seppelire ancora alcuni morti, e mi dissero essi, che, appena finito, sarebbero venuti a prendermi per ritornare a Fekerie Ghemb. Ah se voi foste venuto subito da principio, /343/ esclamava la donna, un poco ri[n]venuta a se, avreste salvato molta gente, e forze impedito la totale dispersione della colonia!

mia sorpresa Io faceva coraggio a tutti, ma il mio lettore non stenterà a formarsi un’idea della posizione stretta in cui doveva trovarsi il mio cuore al sentire la storia di tutta quella catastrofe: L’uomo che guarda il Cielo, ed è guidato dalla fede in un Dio paterno e misericordioso non lascia di consolarsi, anche oppresso in un mare di dolori; non lascia di farsi coragio e fare ancora coragio a chi è oppresso dalle afflizioni pensando che tutto viene da Dio, e tutto deve ritornare a Dio. Tuttavia, come io nell’intimo del mio cuore fui sempre guidato da una [p. 819] persuasione di fare una grande operazione per la sua gloria, e per la salute delle anime redente col preziosissi[mo] sangue suo, il fatto non lasciava di presentarsi al mio miserabile criterio come un paradosso quasi inconciliabile, e doveva ad ogni istante combattere con me stesso, affinché non si squarciasse il filo di speranza e di rassegnazione, che ancora mi teneva fermo a lui; sono oppresso viddi allora il momento di Giobbe, e quasi avrei osato [di] fare un passo più avanti per paragonarmi al buon Gesù nell’orto di Getsemani; ma che abisso di differenza: lo spirito di Gesù combatteva colla sua carne, perché egli voleva arrivare al calvario per arrivare sino a me per salvarmi; il suo cuore era una fornace di carità che lo divorava; all’opposto le mie pene attuali ancora non so, se siano state prodotte da zelo eccessivo per la gloria di Dio, oppure da un’amor proprio frutto di orgoglio e di ambizione contrariata, la quale [non] manca mai di sentirsi anche dal uomo di Dio, e nelle operazioni più sante.

risolvo il mio ritorno Comunque, dissi fra me, Iddio che mi ha fatto partire da Fekerie Ghemb con tanto mio sacrifizio non fu per piangere il già perduto, ma per soccorrere i rimasti infermi. Dal momento che in Rasa non esiste più il mio gregge io debbo andarmene in cerca per soccorrergli dove si trovane. I miei due bravi [giovani] tardarono, ma alla fine arrivati, e sentita da essi l’ultima sentenza, corriamoci dietro, figli miei [incalzai,] per la strada che essi hanno fatto. Mentre noi ci incamminavamo [p. 820] si scuote la donna inferma, la quale dormiva soporitamente, ah Padre mio, dove ella va verrò anche io, e faceva dei strepiti per seguirmi; le ho dato una buona dose di kinino da prendere, appena sarebbe arrivata in casa sua, e con gran pena mi riuscì di calmarla. nostro incontro col prete Abbiamo camminato sino a notte per trovare la nostra carovana fuggitiva di Rasa in un villaggio musulmano, dove fecero alto, perché il povero Prete Sahelie non ne poteva più. Erano stati ritirati da una casa di musulmani molto ricca, [nel]la quale due anni prima erano stati inoculati tutti dal vaïvuolo, ed avevano conservato un buon capitale di riconoscenza. /344/ Quella gente al vedermi mi facevano dei complimenti: Lasciate, dissi, le parole che mi servono a poco, e veniamo ai fatti: io oggi non ho ancora mangiato, preparatemi una buona cena, e mi farete una gran carità.

cura del prete Mentre questi mi preparavano la cena, io pensava al mio prete molto ammalato, il quale riclamava anche soccorso. La quantità del kinino che aveva preso non lo salvò dall’attacco, ma fece sì, che fosse attaccato con minor forza, e poté ancora amministrare i sacramenti a tutti gli ammalati sino all’ultimo giorno. Esisteva però in lui un misto di stanchezza, di affanno, e di dolorose rimembranze, che, unite alla malattia, potevano anche cagionargli la morte. Io mi sento preso nello stommaco, egli gridava, mi dia l’emetico. Così ho fatto, perché poi in quei paesi [p. 821] l’emetico era quasi l’unico rimedio che ancor mi rimaneva. si trova meglio, e parla Il poveretto si sgravò anche di molta bile, e dopo qualche ora, a notte avanzata, si trovò un poco meglio. mio dialogo col prete Appena poté parlare un poco, Padre mio, disse, non ho detto l’officio; neanche io, risposi, ma sta tranquillo, se non abbiamo detto l’officio comandato dalla Chiesa, abbiamo fatto l’officio impostoci da Dio di molto maggiore importanza. Stette un momento tranquillo, e poi guardandomi con un’occhio di sgomento, ah Padre! la nostra colonia di Rasa che ci costò tanta pena è andata in fumo. [Gli risposi:] No; non è andata in fumo, come tu la pensi, è stata distillata da Dio, che conosce meglio di noi, e la parte più pura è volata al cielo, lasciando in terra la pura materia. Caro mio, noi siamo uomini, e credendo di fare l’opera di Dio, faciamo sempre ancora l’opera nostra, ed il nostro amor proprio c’inganna, e suole rubare ancora sempre la maggior parte; Iddio ha preso la parte sua per conservarcela, e ci obliga a spogliarci di tutta la parte umana, perché ci ama, e brama da noi impegni più puri. Così io parlava come ministro di Dio, benché poi fossi anche io uomo come il povero Sahalie, e ne sentissi anche tutto il peso.

L’indomani mattina si spedì un corriere a Fekerie Gemb prima del giorno; il paese [fu] sconcertato per la nostra partenza del giorno precedente, discesero molti ad incontrarci, portando anche qualche provista per ristorarci, ma fummo costretti a passarvi [p. 822] il giorno e la seguente notte per lasciare un poco di riposo all’ammalato, travagliato dalla febbre, divenuta quasi continua, dalla medicina, e dal viaggio. ritorno a Fekerie ghemb Siamo partiti di notte, e gli amici moltiplicati vollero portare il prete infermo sopra una lettiga, ed avrebbero portato anche me, se avessi acconsentito, ma io, benché già ad un’età verso i 70. anni, pure ho potuto ancora rampicarmi, assistito dai giovani miei antichi custodi, i quali ancora si aspettavano il pranzo promesso. Il nostro arrivo a Fekeriè Ghemb fu in mezzo al lilta, e trovammo là quasi tutta la casa di Escia, /345/ la quale ebbe un giorno di pianto per la mia partenza, temendo che io non rimanessi vittima della malattia in Rasa.

una ragione sopra l’epidemia di Rasa Il mio lettore sarà curioso di sapere la mia opinione rapporto alla causa, ed alla natura della malattia sviluppatasi nella mia colonia di Rasa, così potentemente da distruggerla in pochi giorni. Il mio lettore buon cattolico, che si nutre di fede, senza disprezzo della scienza, perché conosce molto bene che Iddio, sia premiando, sia castigando gli uomini, se qualche volta opera sopra le leggi ordinarie della natura da se creata in pondere et mensura con tutte le sue leggi simpatiche fra di loro, e di ammirabili, e ben soventi incomprensibili proporzioni, egli però [non] opera mai contro natura [contro natura], ma si serve di essa, come un sapiente artista che ha fabricato il piano forte, e sa maneggiarlo ancor meglio, perché il complesso armonico delle diverse voci [p. 823] sta eminentemente impresso nella sua fantasia, e fa servire la natura ora in premio, ed ora in castigo. ragione per il cristiano Il vero cattolico nelle prosperità [è tale], egualmente che nelle avversità, persuaso che tutto il sistema della natura è nelle mani di Dio, egli studia la natura per arrivare a Lui, ed in tutto vede la sua mano, altrimenti, dice egli, tutto sarebbe mistero ciò che non si vede e non si conosce. Posto ciò posso dire che la mia opinione ad un buon cattolico l’ho già spiegata sopra, dove ho cercato di persuadere me stesso, ed ho abbassato il capo alla mano che mi flagellava; Iddio, dissi allora, non ha approvato l’opera mia, perché non abbastanza pura e degna di un’apostolo di Cristo; ciò detto ho guardato in facia al mio padrone e mi sono rassegnato, come un bravo giovane si rassegna quando il professore tira una linea, oppure squarcia in due la carta del [suo] lavoro mal fatto.

ragione utile a tutti Per dare una ragione che serva per tutti[:] credenti e non credenti, e che possa essere in pratica di qualche utilità, per sapersi regolare e contene[ne]re, nei limiti della prudenza, onde non provocare la natura ad agire, qualche volta anche contro la volontà positiva di Dio non debbo fare altro che riferire fedelmente ciò che ho veduto io stesso, ed ho potuto sperimentare io stesso, sia sopra di me, che sopra di altri molti che ho curato in Sennaar, in Fasuglu, in Gassan, in Matamma, ed in tutti i paesi caldi e deserti, poco presso della natura [p. 824] di Rasa. alcune mie esperienze Già ho parlato altrove dell’esperienza fatta in Sennaar; qui non farò che riferire ciò che avenne in Rasa. Nelle varie volte che io era disceso in Rasa, alcuni che si ammalavano gli ho sempre curati coll’emetico e col kinino, e nessuno morì. Non avendo emetico e kinino per tutti aveva raccomandato di raccogliere del tamarindo e di farne grande uso, come io aveva veduto in Sennaar, e trascurarono di farlo. Venne la catastrofe /346/ all’improvviso, ai pochi che ho potuto dare emetico e kinino se la cavarono; coloro che fugirono in Ankober, ed altri luoghi lontani, dove io non ho potuto arrivare morirono tutti; circa dieci che ritornarono con me a Fekerie Ghemb, furono tutti assaliti, ma in questo modo guarirono tutti.

natura della febbre nei forestieri La natura della febbre, mi pare biliosa, la quale agisce sul sistema nervoso, con trasporto alla testa; ha un carattere periodico, ma lascia una [febbre] subcontinua, la quale appena lascia distinguere il suo periodo di calma. Questo periodo di calma se non è visibile, allora è segno che passa in tifo. Quelli che vengono da paesi alti e freschi, sopratutti gli europei nuovamente venuti, se non si sono premuniti con un regime dietetico, e con qualche purgante, essi sono assaliti potentemente, e qualche volta sono vittima nel suo primo accesso, come arrivò al [† 21.9.1856] P. Giusto da Urbino in Kartum, [che era] stato assalito in viaggio alla missione galla, e sta[to] preso dopo pranzo, esso morì in meno di 24. ore. negli indigeni Gli indigeni [sono] aclimatati, per essi la cosa [p. 825] è un poco diversa: essi prendono per lo più sempre [la] febbre nel tempo che si sviluppa il miasmo febrile, caso non sempre eguale in tutti gli anni, perché ciò dipende dalle pioggie, non sempre le medesime in tutti gli anni; la loro febbre però è più leggiera e raramente micidiale, se non sono colti sopra un disordine, oppure con predisposizioni più o meno favorevoli. In essi si forma per lo più una scarica naturale della bile raramente per le vie superiori e revulsive, e più ordinariamente per le vie naturali di secesso; così se la cavano con otto o dieci giorni di decubito, oppure anche senza decubito, seguitando alla meglio a fare i loro lavori di campagna. La natura loro si abitua a questo e trovano subito il rimedio. Essi, quando lo trovano fanno gran uso di tamarindo; quelli che possono bevono gran butirro; i ricchi fanno uso dell’olio di ricino, in grandi dosi; ho detto iricchi, perché l’olio di ricino deve venire dall’Egitto, epperciò è caro in quei paesi.

il miasma di Rasa.
sua specialità
In Rasa però, stando a quanto io aveva sentito da molti indigeni vicini, ha dovuto contribuire a quello sviluppo subitaneo, e così violento, la coltura del terreno, in riposo da secoli, in gran quantità, cioè, forze più di un kilometro quadrato. Quindi una gran pioggia venuta circa un mese prima, la quale durò alcuni giorni, ha dovuto sollevare il deposito di miasmi antichi sotterranei. Ciò che renderebbe ragionevole questa, che in quei contorni chiamavano tradizione antica, sarebbe la diversità dell’epidemia succeduta in Rasa in quel tempo, mentre nei paesi vicini [p. 826] si trovava solamente l’epidemia ordinaria degli altri anni. Ancora un’altra ragione favoriva una tale supposizione: la colonia di Rasa /347/ contava già due anni, e l’epidemia in discorso non si dichiarò nel primo anno, ma aspettò il secondo anno, quando la coltivazione del terreno si era moltiplicata assai. Fuori dunque di queste due ragioni io non saprei addurne altre, e bisogna ricorrere alle ragioni sopranaturali già riferite.

altra iniziativa della colonia Ciò detto, per non ritornare altra volta a questa storia della colonia di Rasa dirò, che, dopo la catastrofe narrata, qualche anno dopo, si volle ritentare l’impresa. Il famoso monaco della grotta Abba Walde Mariam, di cui si è parlato molto precedentemente, mosso da zelo in favore della missione cattolica: io mi metto alla testa, mi disse, e spero in Dio di riuscire a qualche cosa. Egli raccolse una quantità di altri volontarii nativi dei paesi bassi, e già abituati al clima; prese la cosa così dolcemente, seguendo altro sistema. Egli non mancava di attività e di energia, per la parte materiale, ma mancava di attrattiva per la parte spirituale. carattere di abba Walde Mariam Il suo carattere crudo, e troppo portato al summum jus gli procurò molti nemici. Sopratutto egli non seppe acapparrarsi la razza denakil, sopra la quale io molto calcolava per l’avvenire. Io non ho voluto [p. 827] prendere parte diretta, ed ho voluto lasciare a lui l’iniziativa. La cosa camminò assai bene sotto molti aspetti, se non altro, io diceva, servirà a mantenere viva l’operazione. sua morte Un bel giorno, sollevatasi una rissa tra i nostri pastori coi pastori denakil, nella quale egli volle prendere parte, forze per pacificare i partiti, cadde vittima. Morto lui, io stava cercando una persona per mettere a suo luogo, e continuare l’operazione, quando sortita la guerra tra Menilik ed il Re Giovanni, di cui si parlerà in seguito, l’operazione rimase arenata per qualche tempo, e venne l’anno 1879. e non ebbi più tempo a continuarla.