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Andate istruite tutte le genti
I miei trentacinque anni di missione
nell’Alta Etiopia
Memorie storiche di
Fra Guglielmo Massaja
Cappuccino
già Vicario Apostolico dei Galla
Cardinale del titolo di S. Vitale
Volume Secondo
Roma Tipografia Poliglotta di Propaganda Fide. |
1886 | Milano Tip. Pontif. S. Giuseppe Via S. Calocero N. 9. |
L’Etiopia stenderà per tempo le sue mani a Dio s°. lxvii
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Proprietà letteraria ed artistica
Milano, 1886. — Tipografia Pontificia S. Giuseppe, Via S. Calocero N. 9.
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Imprimatur
Fr. A. Bausa O. P.
S. P. A. Magister
Avvertenza. Essendosi esauriti il primo e secondo volume; per formare un centinajo di copie complete, richieste ancora dal pubblico, sono stato constretto di ristampare i suddetti due volumi. Ho profittato intanto di quest’occasione per introdurre nel testo alcune varianti, di forma e non di sostanza, che teneva apparecchiate d’accordo col venerando autore.
P. Giacinto da Troina.
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Capo I.
Visita ai luoghi santi.
1. Partenza per l’Egitto. — 2. Incontro con Arnoldo D’Abbadie. — 3. Arnoldo amico di Salâma; mia proposta. — 4. Lettera a Salâma e sua risposta. — 5. Arrivo in Alessandria e partenza per Giaffa. — 6. Da Giaffa alle montagne della Giudea. — 7. Impressioni religiose che si provano. — 8. Gerusalemme e suoi santuarj. — 9. Gerusalemme, oggetto della devozione di tutto il mondo. — 10. Il protestantesimo a Gerusalemme. — 11. S. Giovanni in Montana. — 12. Betlemme, basilica di S. Elena ed altri santuarj. — 13. Santuarj fuori Betlemme. — 14. Ritorno a Gerusalemme; il piccolo convento del Santo Sepolcro. — 15. Otto giorni di ritiro. — 16. Ritorno a Giaffa e ad Alessandria. — 17. Conferenze con Monsignor Delegato e col Console francese sul mio viaggio. — 18. Al Cairo. — 19. Questione intorno a P. Leone ed alle isole Seychelles. — 20. Lettere di raccomandazione per l’Alto Egitto. — 21. Contratto di una barca. — 22. Altri provvedimenti e partenza.
La mattina del 27 Marzo del 1851 un piroscafo dovea salpare per l’Oriente, ed ogni ora mi sembrava un secolo, tanto io desiderava muovere a quella volta. Ritornato dall’Africa, e passando per Marsiglia, avea pregato il P. Maestro di ricopiare da un qualche giovane Novizio, con carattere chiaro, tutto ciò che avrebbe potuto bisognare ad un Prete e ad un Vescovo nelle loro principali funzioni; una specie di manuale insomma, che mi avrebbe dispensato, in caso di necessità, dal portar meco per quegli alpestri e desolati deserti, rituali, pontificali, messali, ecc. Avendolo trovato pronto, vi feci aggiungere una messa votiva della Madonna, e lo riposi nel mio bagaglio. Spuntò il giorno ventisette, ed accompagnato dal solo P. Guardiano e dal mio Segretario, mi /6/ portai sul piroscafo. Mancavano ancora alcuni minuti alla partenza: raccomandai perciò in fretta al Segretario di visitare da parte mia tutti gli amici e benefattori di Marsiglia, portando loro le mie scuse, se non potei da essi prendere commiato; gli ricordai d’impostare subito le due lettere dirette a Monsignor Franzoni ed al Marchese Brignole, e mentre il piroscafo levava l’ancora, li abbracciai affettuosamente e ci dividemmo.
2. Appena un legno prende le mosse dal porto di partenza, sogliono i viaggiatori tenere gli sguardi rivolti alla terra o città, che abbandonano; come per dare ad essa ed agli amici l’ultimo addio, ed un segno di affettuosa benevolenza. E mentre anch’io ubbidiva a questo naturale istinto, mi parve sentire la voce di uno, che mi fosse amico: ma che non conosceva di persona, bensì assai di fama; e prestatovi attentamente l’orecchio, dai discorsi che con altri teneva, compresi esser egli il signor Arnoldo D’Abbadie. Io nutriva grande stima per questo signore, ed avea un gran desiderio di conoscerlo; primo perchè fratello del nostro Cav. Antonio; secondo perchè, avendo dimorato circa otto anni in Abissinia, conosceva bene quel paese, verso cui io viaggiava, e possedeva inoltre a meraviglia la sua lingua, non solo scritta, ma parlata eziandio nei suoi varj dialetti. Mi avvicinai pertanto liberamente, e con aria di piacevole affabilità: — È ella forse, gli domandai, il signor Arnoldo D’Abbadie? —
— Sì, rispose, guardandomi fissamente; e lei sarebbe per avventura Monsignor Massaja? — Ci abbracciammo allora come persone di vecchia amicizia; e poiché egli desiderava al par di me questo fortunato incontro, si ebbe campo di conversare su molte cose, sino al nostro arrivo in Alessandria.
3. Non basterebbe un libro per riferire tutti i discorsi, che si tennero fra me e quel signore durante il viaggio da Marsiglia ad Alessandria. Egli, come ho detto, avendo dimorato sì lungamente in Abissinia e tra i Galla, poteva darmi molti lumi rispetto a quei luoghi, che la Provvidenza mi avea assegnato ad evangelizzare, e dove io contava passare l’intiera mia vita. Immagini quindi il lettore se lasciassi trascorrere un momento senza importunarlo con continue e nuove domande. Sapeva inoltre che il signor Arnoldo, come viaggiatore, avea stretto amicizia con Abba Salâma, e quest’amicizia durava ancora, mentre ferveva la persecuzione dell’eretico Vescovo contro di me. In conseguenza pertanto dei tanti discorsi tenuti in quel viaggio intorno a questo affare, colsi l’occasione di domandargli se si sarebbe assunta l’incombenza di dire al Vescovo qualche buona parola rispetto alla Missione, a fin di cessare dal molestarci più oltre; e /7/ se credeva conveniente che io per suo mezzo gli spedissi una lettera. Il gentile signore non solamente si offrì volentieri a portargli la lettera; ma mi promise che avrebbe interposto tutta l’opera sua, per ottenere quanto desiderava. Si stabilirono allora tra noi due alcuni patti all’uopo, che qui non occorre riferire, e ci promettemmo una felice riuscita.
4. Prima pertanto di separarci, gli consegnai la lettera, nella quale scriveva al Vescovo press’a poco in questa maniera. « Il signor Arnoldo D’Abbadie, chiamato in Abissinia Ras Michael, viene a portarvi la mia parola; parola, non di un nemico, ma di un amico, che desidera sinceramente il vostro bene. Voglio sperare che accoglierete questa parola con benevolenza, e crederete alla sincerità di chi ve la manda; ma qualora di questa mia sincerità aveste qualche dubbio, il vostro amico Ras Michael, che ben mi conosce, potrà informarvi dei miei sentimenti verso la vostra persona. Io so che voi siete tanto istruito da comprendere ed apprezzare la verità del cattolicismo, e mi auguro che vogliate una volta desistere dal perseguitarlo, cessando di perseguitar noi, che siamo i suoi ministri. Quanto non sarebbe meglio per voi e pel popolo, che vi è soggetto, abbracciare questa verità! Vi assicuro che io son disposto a farvi anche da servo, se voi, messovi sulla buona strada, vorrete servire Gesù Cristo sotto la guida della sua Chiesa e del Papa, successore di S. Pietro. » A questa breve lettera aggiunsi a voce molte altre cose, che il signor D’Abbadie dovea riferire di presenza, principalmente rispetto alle Ordinazioni, ch’egli conferiva, non solo invalidamente, ma con modi e cerimonie profane e ridicole; non osservando neppure la forma, con cui egli stesso era stato ordinato in Egitto dai Copti eretici, i quali pure ordinano ancora validamente.
Il signor Arnoldo mantenne la parola, ed in una lettera, che mi giunse in Gudrù nel 1853, scrivevami a nome di Abba Salâma che egli era convinto delle mie buone disposizioni, e che in avvenire non avrebbe più molestato i miei Missionarj, passando per l’Abissinia. Quanto alle Ordinazioni mi faceva dare una risposta degna veramente di quel protestante o mussulmano ch’era, cioè, che gli Abissini, non essendo uomini ma scimmie, non conveniva dar loro la vera Ordinazione. Concludeva con un mar di complimenti, come aveva cominciato, senz’ altro di concreto. D’Abbadie in verità avea fatto quanto avea potuto, ma con pochissimo buon esito; poiché l’uomo era troppo malvagio. Oltre a quello che io scrissi nel primo volume rispetto a quest’uomo, altre cose potrei aggiungere, per far meglio conoscere la sua pessima indole e perversa natura. Nato /8/ e cresciuto in mezzo all’immoralità mussulmana, educato poi per alcuni anni nelle scuole razionalistiche protestanti, ebbe campo di pervertire il proprio cuore e corrompersi nei costumi. Appresa poscia, col vescovato, tutta l’astuzia copta, andò a rovinare l’Abissinia nella religione e nella politica.
5. Giunto in Alessandria, dovea separarmi dal signor D’Abbadie; poiché egli seguitava la via del Mar Rosso, per isbarcare a Massauah, e quindi introdursi nell’Abissinia; ed io doveva fermarmi qualche tempo in Oriente. Abbracciatici, e con la speranza di rivederci in quelle regioni, ci dividemmo. Con P. Agostino da Alghero eravamo rimasti d’accordo che l’avrei atteso in Alessandria; profittando quindi del tempo che ancora ci voleva per arrivare dall’Italia, risolvetti di andare a visitare i Luoghi Santi, e soddisfare un mio antico e devoto desiderio. Trattenutomi tre giorni in Alessandria con Monsignor Delegato, presi il posto per Giaffa su di un piroscafo, che partiva per quel porto; e dopo due giorni si gettò l’ancora all’antica Joppe, dove S. Pietro ricevè gl’inviati di Cornelio. Questo mutamento di nome di Joppe in Giaffa è provenuto da quella legge filologica, per la quale le lettere consonanti simili si scambiano una per l’altra. Così per es. la B diviene facilmente P o F, e viceversa. Anche il jod ebraico diviene facilmente G come Jesus-Gesù, Joannes-Giovanni. A chi si reca in quelle regioni giova molto attendere a queste mutazioni, per apprendere con più facilità quelle lingue e quei dialetti.
6. Partito dalla città di Giaffa, entrai nella Palestina, nome derivato da Philisteim per la legge suddetta, e mi fermai a Ramle, celebre al tempo delle Crociate, ed oggi capoluogo della Palestina antica. I Religiosi di Terra Santa, che mi avevano ricevuto a Giaffa, mi prestarono cortese ospitalità anche qui, dove tengono una casa per i pellegrini. Da Ramle, dopo due ore di cammino per una fertilissima pianura, si esce dalla Palestina antica, e si presentano dinanzi le montagne della Giudea. Qui viene spontaneo sul labbro a ciascun pellegrino il verso Ascendimus Jerosolimam, e con quattro buone ore di salita si arriva alla sospirata Gerusalemme. Prima questo tratto di strada si faceva sopra asini o magri cavalli, ma io per ben due volte la salii sempre a piedi; oggi si tiravano cattive carrozze, che vi trasportano bene o male lassù, delle quali, nell’ultimo viaggio, che vi feci pochi anni addietro, dovetti fare uso, perchè le gambe non mi servivano più come negli anni virili.
7. Appena messo il piede su quella terra benedetta, il pellegrino, massime se ha conoscenza della Sacra Scrittura, comincia a provare conso- /9/ lazioni spirituali indicibili; e se ha la fortuna di trovare un buon cicerone, che in quei paesi non mancano mai, al sentirsi nominare ad ogni passo i varj luoghi, che ricordano i fatti e le scene della nostra Redenzione, sente sollevarsi da questo mondo materiale a contemplazioni sì sante e sublimi, che gli pare trovarsi fuori di questa terra. A mano a mano poi che si avanza verso Gerusalemme, pensando che quel terreno fu calcato più volte dai piedi del nostro Salvatore, per poca fede che abbia, non può non restarne profondamente commosso; poiché quel luogo è per lui tutto un santuario di soavi e devoti ricordi. Quando poi giunge a scoprire le mura della santa città, una forza irresistibile lo costringe a piegare le ginocchia, ed adorare il trono, che la Divinità ebbe qua in terra. Ma per quanto il suo cuore venga sollevato a sentimenti religiosi, altrettanto lo contristano lo squallore e la desolazione, che mute passeggiano per quella regione. Vedere un paese, in antico sì florido, sì ricco, sì popolato, ridotto ora a poco men di un deserto, vi getta in penose meditazioni, e vi fa pensare che, o pesa ancora su di esso un tremendo castigo, o che Iddio lo volle spogliare di ogni bellezza e grandezza materiale, per raccogliere lo spirito del cristiano, che vi si porta, ed elevarlo alla sola meditazione delle grandezze spirituali che ricorda. Io almeno provai queste impressioni. « Qual contrasto, diceva allora tra me stesso, tra l’enfatiche descrizioni, che ne /10/ fanno le divine Scritture e gl’ispirati Profeti, e lo stato desolante in cui oggi si trova! » Gerusalemme è un mucchio di rovine; la Palestina e la Giudea un ammasso informe di pietre, o squallidi deserti, ombreggiati qua e là da qualche ulivo; la terra delle benedizioni insomma, una terra colpita di anatema.
8. Arrivato a Gerusalemme la prima impressione che provai, fu quella di una santa tristezza: sembravami di rappresentare la parte di chi imprese un lungo viaggio, per andare a visitare una famiglia amica, colpita dalla disgrazia di aver perduto una persona cara. In quella città di fatto nulla si trova che inviti a piaceri materiali, a divertimenti, a distrazioni; e raro s’incontra una persona che rida. Là il pensiero di quanto successe al figlio di Dio umanato assorbisce tutto l’uomo, e tiene la mente del pellegrino assorta in triste ed insieme soave meditazione. I Religiosi mi diedero cortese ospitalità nella casa nuova, vicino al gran convento di S. Salvatore, e destinata per i pellegrini. Gerusalemme allora presentava un triste aspetto; circondata di vecchie mura, con vie strette, tortuose e sucide, solo poteva allettare gli amatori di antichità per i loro studj; ma il forestiero, se non vi si recasse per principio di fede, e se non fosse attratto dalle consolazioni spirituali, non vi si fermerebbe neppure un giorno. Un gran numero di santuarj s’incontrano ad ogni passo; anzi tutta la città può chiamarsi un continuo santuario, dove un qualche cicerone (che per lo più è un Religioso) vi guida e vi ricorda i varj monumenti della nostra Redenzione. Il pellegrino sacerdote suole distribuire, d’accordo con la sua guida, i giorni, per celebrare la Messa nei diversi santuarj che sono dentro o fuori la città. Nella basilica del Santo Sepolcro ve ne sono varj; ma quello che maggiormente incute riverenza ed attrae la venerazione di tutti è il Santo Sepolcro, posto sotto la gran cupola ed in mezzo della basilica. Per il sacerdote poi il più fecondo di santi affetti è il Calvario, dove si celebrò il cruento Sacrificio, di cui quello che noi celebriamo nella Messa non è che una continua rinnovazione. Sul Calvario stesso ve ne sono tre, cioè il santuario della crocifissione, quello della morte, e quello dello Stabat mater. Il santuario del Cenacolo, essendo in mano dei mussulmani, fa sì che il sacerdote pellegrino se ne parta addolorato, anche perché difficilmente può ottenere di celebrarvi Messa.
9. Visitando tutti questi santuarj, un fatto strazia il cuore del cattolico pellegrino, cioè, il vedere tutti quei luoghi santissimi profanati da ogni sorta di eretici ed infedeli, i quali vi compiono le loro religiose funzioni al par dei cattolici, e se he disputano la proprietà, anche con mezzi /11/ violenti. Cercando tra me stesso una qualche spiegazione a questo disordine, e diciam pure lagrimevole scandalo, nessun’altra mi è sembrata più plausibile che questa, cioè, che la divina Provvidenza abbia permesso una tale anomalia, per moltiplicare le testimonianze della sua fede, e la grandezza della sua religione. Un gran tesoro è oggetto sempre delle ricerche di tutti; Gerusalemme pertanto rappresenta questo spettacolo. Ivi non solo la grande famiglia cristiana, con tutte le sue membra unite o separate, accorre ad un centro comune: ma anche innumerevoli ebrei e gli stessi mussulmani. E la Chiesa cattolica, cotanto gelosa per tutto ciò che appartiene alla sua fede, ai suoi riti ed alla sua eccelsa autorità, vedendosi là impotente a difendere i grandi santuarj dell’umana Redenzione, è costretta, o per amore o per forza, ad usar tolleranza; e là forse è l’unico luogo, dove sopra il medesimo altare celebra il sacerdote cattolico, l’eretico e lo scismatico.
10. Coloro, che in quei luoghi benedetti fanno la più miserabile figura sono i poveri protestanti. Essi pretendono di avervi un posto, e vorrebbero parer cristiani: ma ivi, anche agli occhi degli eretici più lontani dalla fede, non si conoscono e non si comprendono per cristiani, popoli, che non hanno né altari né sacerdoti; sicchè là appena si avvertono appartenere alla gran famiglia di Gesù Cristo. Poveretti! Traviati da fanatici ed immondi riformatori; guidati da un razionalismo, che li precipitò in una confusione di idee, ch’equivale all’ateismo; privi di tutti quei simboli, cerimonie e riti, che rammentano e perpetuano il gran Sacrifizio di nostra Redenzione, non possono avere rappresentanza in Gerusalemme, dove questo gran Sacrifizio fu compito. E, volere o non volere, son costretti a farvi la figura di popoli quasi estranei a quei santi luoghi; e quel che è peggio, son riputati dagli Orientali come uomini senza religione e senza fede.
11. Visitati i santuarj che rendono venerabile Gerusalemme ed i suoi dintorni, mi portai a S. Giovanni in Montana, dove sorgeva la casa di S. Zaccaria e di S. Elisabetta, e dove nacque il precursore Giovanni. Ivi si recò la Santissima Vergine, andando a visitare la veneranda vegliarda sua cugina, e tra quelle mura furono ispirati e pronunziati i due sublimi cantici del Magnificat e del Benedictus. Vi passai un giorno ed una notte, che mi sembrarono un’ora, in pensieri ed affetti i più teneri e soavi; e non mi dava il cuore di partire, tanto godeva di quei dolci ricordi. Poco lungi da questo santuario si addita ai pellegrini un monumento dell’Antico Testamento, cioè, la città di Ebron, dove il santo profeta Davide cominciò il suo regno. Io però non lo visitai.
12. Un altro giorno fui condotto a Betlemme. Qui altro cielo, altro /12/ clima, altra vegetazione, che con la loro allegria vi fan dimenticare la santa tristezza di Gerusalemme, e vi par di sentire ancora l’eco del Gloria in excelsis Deo, cantato dagli Angeli sulla divina grotta. La popolazionfedi Betlemme è tutta cristiana; metà cattolica, in maggior parte occupata a lavorar corone, crocifissi, medaglioni di madreperla; e l’altra metà, in gran parte greco-scismatica, poco migliore in verità dei mussulmani. La gran basilica di S. Elena, ancora ben conservata, basterebbe a dare una grande importanza a questo luogo: ma sgraziatamente essa è il teatro di continue lotte tra Greci e Latini, i quali anche con le armi alla mano se ne disputano il dritto e la proprietà. I Greci son quasi sempre la causa di questi litigi, razza irrequieta e nemica dei Latini, la quale si mostra più arrogante qua che in Gerusalemme, dove la vicinanza delle Autorità turche ed europee la tiene in freno. In questa basilica tutti i culti vi hanno un dritto, Greci, Latini, Armeni, Copti ecc. Accanto ad essa sorge da un lato il convento dei Francescani con l’annesso ospizio dei pellegrini europei e cattolici orientali; e dall’altro lato il monastero dei greci-scismatici con l’ospizio dei loro pellegrini. La santa Grotta, posta nel suo interno, è divisa in due parti, cioè, il luogo dove nacque il Divin Pargoletto, segnato da una stella, di cui i Greci pretendono la proprietà, ed il luogo del presepio riputato proprietà dei Latini. Avvi inoltre la grotta di S. Girolamo con i sepolcri di questo santo Dottore, di S. Paola e di altri Santi, ma cotesti sepolcri sono vuoti. Essa appartiene ai Latini, i quali solamente vi celebrano Messa. Tutti i giorni si alza l’altare nella grotta del presepio, dove sono ammessi a celebrare anche i sacerdoti pellegrini.
13. Visitati nel primo giorno tutti i santuarj che sono in Betlemme, nel secondo uscii fuori della città e prima mi portai alla grotta del latte; poco distante da essa, dove si crede che la Vergine Santissima siasi trattenuta qualche giorno, dopo di aver partorito il Divin Redentore. Circa un chilometro più lontano si venera la grotta dei pastori, posta in una bella pianura a vista della città. Tutta la giornata la passai devotamente in questi santuarj; ed il terzo giorno mi recai alla vasca di Salomone, lavoro grandioso; che raccoglieva le acque di una gran sorgehte e di altre minori, e le quali poi, per mezzo di più condotti, erano mandate alla gran città di Gerusalemme. Questi condotti ora non esistono più, perchè tagliati e distrutti nelle varie guerre che vi son succedutej cominciando da quella dei Romani, comandata da Tito e Vespasiano. Più al basse di questa vasca, in una piccola valle, si addita ai pellegrini l’hortus conclusus, di cui si fa menzione nella Cantica.
/13/ 14. Appagata la mia devozione in questa parte della Palestina, feci ritorno a Gerusalemme. Lungo la strada, e circa a metà di essa, s’incontrano a sinistra le vestigia di un antico sepolcro, che la tradizione dice esser quello di Rachele; ed a dritta si vede in lontananza Betania con la casa ed il sepolcro di Lazzaro. Giunto a Gerusalemme nel testo: volle M.P. volli ritirarmi alcuni giorni nel piccolo convento del Santo Sepolcro, il quale in verità invece di convento, può dirsi un eremo, erettovi con utilizzare tutti i vani esteriori della basilica. Questa informe abitazione è piuttosto malsana, con poca luce, senza corridoi e senza porta esterna, entrandovisi solo dalla basilica del Santo Sepolcro. Circa trenta Religiosi vi hanno residenza: ma non sono obbligati a dimorarvi che un mese per ciascuno, e vi si trasferiscono a turno dal convento di S. Salvatore. Là si tiene una vita strettamente austera; i Religiosi intervengono a tutte le ore del coro, ed anche la mezzanotte a matutino, come i Cappuccini; assistono a tutte le funzioni e Messe cantate, che si celebrano nella basilica, il che li tiene occupati per una gran parte della giornata. Il pranzo e la cena vengono loro mandati dal convento grande, e nei giorni di digiuno si mangia stretto magro. Quantunque sia difficile durarvi lungo tempo con quel metodo di vita, ed in quel luogo insalubre, pure conobbi un Religioso che vi dimorava da ventiquattro anni.
/14/ 15. Passai otto giorni in quel santo luogo; e benché quei Religiosi mi avessero data la migliore camera che si trovasse, pure amai meglio starmene la notte sulle gallerie interne della basilica; dove, avendo sotto gli occhi il Santo Sepolcro, poteva con più comodità appagare la mia devozione, trattenermi in sante meditazioni, e gustare in parte le dolcezze della fedele Maddalena. Da quel luogo si potevano osservare agevolmente anche tutte le funzioni, che, da mezzanotte sino alle sei del mattino, vi facevano i Greci e gli Armeni. E perciò qui avrei molte cose a dire sulle impressioni ricevute alla vista di quelle cerimonie ed usi dei riti orientali, e sul contegno di quel clero e popolo; come anche su quella moltitudine di pellegrini, che da tutto il mondo affluisce a Gerusalemme. Ma i miei lettori troveranno svolte largamente le mie idee su questo proposito, quando cadrà acconcio di far confronti tra gli Orientali e gli Abissini; e quando narrerò altre mie visite a Gerusalemme: se pure non mi risolverò di scrivere a parte un volume su questo importante argomento. Ora il lungo lavoro che ho per le mani mi chiama altrove, e senz’altro continuo la mia storia.
16. Passata la Pasqua latina, e prima della Pasqua greca, che in quell’anno non combinava con la nostra, lasciai Gerusalemme, e feci ritorno a Giaffa per imbarcarmi sul primo piroscafo che fosse capitato, diretto ad Alessandria. E non tardò ad arrivarne uno da Beirut, il quale veniva a prendere i pellegrini di Gerusalemme per condurli in Europa. Vi presi posto, ed in due giorni di felice viaggio si giunse ad Alessandria. Non passò molto che arrivò pure il mio Segretario P. Agostino da Alghero, il quale, giunto in Roma ed abboccatosi col P. Generale, con l’Eminentissimo Prefetto di Propaganda e con lo stesso Papa, aveva consegnato le mie lettere, e sbrigato felicemente tutti i miei affari. Egli mi recava, con varie lettere, le facoltà, che io, passando per Roma, avea richieste, ed un mare di benedizioni. sicchè trovavami ormai libero di mettere ad effetto i miei futuri disegni, tenuti sino allora sempre segreti.
17. Non essendomi riuscito negli anni passati di penetrare nella mia Missione per la via dell’Abissinia, risolvetti di tentarne un’altra; cioè di mettermi sul Nilo, attraversare l’Alto Egitto, e per la via del Sennàar entrare tra i Galla. Manifestai pertanto a Monsignor Delegato questa mia risoluzione, richiedendolo dei suoi lumi; e non dispiacendo neppure a lui il mio disegno, si convenne di darne conoscenza al Console Generale francese, il quale mi avrebbe potuto favorire grandemente. Ci portammo tosto da lui e gli esponemmo quanto si era concertato: e mostratogli /15/ poscia il passaporto, che il suo Governo mi aveva dato sotto il nome di Bartorelli, gli dissi che con questo nome intendeva viaggiare per la via del Sennàar, mentre in Aden era aspettato sotto il mio vero nome di Massaja. Feci comprendere che voleva servirmi di questa finzione, per eludere la persecuzione mossami dai Copti dell’Abissinia, e per esser più libero nei mezzi di continuare il viaggio fra eretici e mussulmani. Lo pregai intanto di ottenermi dal Governo egiziano, oltre le carte necessarie, un ordine alle Autorità di Kartùm o di Fazògl di consegnarmi, a mia richiesta e dopo ricevuta, una certa somma di denaro, la quale somma io era pronto a sborsare subito in Alessandria o pure in Cairo. Il signor Console, approvato il disegno, mi promise ogni agevolezza; e di fatto non solo mi ottenne ciò che desiderava, ma anche uno speciale Firmano del Vicerè, con cui si ordinava a tutte le Autorità egiziane di rispettarmi e proteggermi dovunque, come un illustre viaggiatore.
18. Fatto ciò, presi commiato da Monsignor Delegato, da quei Religiosi e dagli amici, e col P. Agostino mossi pel Cairo. Giunti felicemente, ci demmo ad allestire ogni cosa necessaria pel mio viaggio all’interno, e pel suo alla volta di Aden. Gli consegnai pertanto tutto ciò che si apparteneva a quella Missione, affinchè rimettesse ogni cosa nelle mani del P. Sturla, mio Vicario Generale. Gli diedi anche una lettera da spedirsi in Massauah a Fra Pasquale, con cui lo richiamava in Aden per attendere ai lavori della chiesa e della casa, che ivi si doveano costruire. Scrissi inoltre al P. Sturla che il detto P. Agostino sarebbe rimasto in Aden come addetto alla Missione, per ajutar lui nel ministero, e per assistere Fra Pasquale nell’opera che doveva compiere. Se poi la sua salute non gli avesse permesso di dimorare lungo tempo sotto quell’infocato e malsano clima, com’egli già temeva, restasse pur libero di ritornarsene in Europa.
19. Mentre mi disponeva alla partenza, ecco giungere all’improvviso da Aden il Vicario Generale del Vescovo di Maurizio per presentarmi una protesta del suo Vescovo contro l’intromissione e l’operato del P. Leone nelle isole Seychelles, appartenenti, com’egli diceva, alla sua giurisdizione. Contemporaneamente mi arrivarono lettere dello stesso P. Leone, nelle quali dicevami che il Governo inglese, ad istanza del Vescovo di Maurizio, gli aveva intimato di abbandonare quelle isole, e che quindi, ritiratosi in Maurizio, aspettava là i miei ordini. Questa impreveduta ed inaspettata controversia venne a recarmi un po’ di disturbo: tuttavia, non volendo ritardare per questo la partenza per l’interno, scrissi subito una lunga e particolareggiata relazione a Propaganda sullo stato e sui bisogni della /16/ popolazione cristiana di quelle isole, sui motivi che mi avevano indotto a mandarvi un Missionario, e la premurava a prendere opportuni provvedimenti. Nel tempo stesso risposi anche al Vescovo, difendendo il mio operato, e facendogli notare la sconvenienza del suo ricorso ad un Governo secolare, prima di scrivere a me ed ai Superiori ecclesiastici di Roma. Dicevagli in fine che io frattanto richiamava in Aden il mio Missionario, e che, avendo esposto la questione alla Santa Sede, ne aspettava da essa una definitiva decisione.
20. Sbrigato questo affare, mi disposi alla partenza. Da Monsignor Teodoro Abacarim, Vescovo cattolico copto, mi erano state date istruzioni di avvicinare alcuni Vescovi eretici dell’Alto Egitto, i quali mostravano tendenza verso la Chiesa Romana, ed inclinavano a farsi cattolici. Più, era stato da lui pregato a fare tutto il possibile d’introdurmi nel gran Monastero di S. Antonio, e liberare un giovane, per nome Michelangelo, già allievo di Propaganda, il quale con astuzia era stato mandato nel Monastero, e fatto monaco contro sua voglia. Era mio pensiero pertanto di recarmi prima in quel Monastero, e poscia seguire la via del Nilo, per avere agio di avvicinare i varj Vescovi eretici dell’Alto Egitto, sparsi in quella regione, e poi continuare la mia strada verso i Galla. Per questo viaggio adunque, e per conseguire il mio intento, avea bisogno di una lettera di raccomandazione dell’eretico Patriarca copto, residente in Cairo, ai Vescovi e monaci di sua dipendenza, sparsi per l’Egitto e per l’Abissinia. La quale raccomandazione era in verità difficile di ottenere, essendo quel Patriarca mio grande nemico, tanto per la qualità di Vescovo cattolico, quanto per tutto ciò ch’era accaduto tra me ed Abba Salâma. In Cairo inoltre aveva saputo che, venuto a conoscenza questo Patriarca della mia entrata in Abissinia, vi aveva mandato Abba Daùd, Superiore del Monastero di S. Antonio, a predicare la crociata contro di me. Mentre dunque scervellavami per trovare una via, che mi portasse ad ottenere questa raccomandazione, mi fu presentato un Francese, il quale, mediante una conveniente retribuzione, si offrì di ottenermela. Di fatto si portò egli stesso al Patriarcato, col nome di Giorgio Bartorelli, e spacciandosi per un esploratore, domandò una benevola raccomandazione per le Autorità ecclesiastiche, che avrebbe incontrato nel viaggio per l’Alto Egitto. In pari tempo si raccomandò alle persone addette agli ufficj del Patriarcato; e non a voce, ma col mettere nelle loro mani una buona mancia, che per solito persuade più di qualunque altro argomento: così ottenne un’ampia raccomandazione, non solo per tutti i Vescovi copti dipendenti /17/ da quel Patriarca, ma anche per gli Abbati dei due grandi Monasteri di S. Antonio e di S. Paolo. Non poteva io adunque sperare di meglio: gli diedi il convenuto compenso, e per maggiormente obbligarlo a mantenere il segreto, aggiunsi un’altra sommarella, e mi disposi a far la figura di Giorgio Bartorelli.
21. Restavami a cercare una barca, che mi conducesse sul Nilo sino alle cateratte. Per questo richiedevasi una persona esperta, conoscente dei barcajuoli, degli usi e delle forme di simili contratti; affinchè, fatta ogni cosa in regola, potessi viaggiare con sicurezza, e nulla mi avesse ad accadere di sinistro. Diedi perciò quest’incombenza al dragomanno del Consolato inglese Hanna Messàrra, che avea anche stabilito mio Procuratore in Cairo, dipendente da Monsignor Delegato; e poiché io riponeva in lui piena confidenza, gli manifestai in parte il mio segreto, e gli raccomandai di far tutto presto e bene. Quel buon uomo pertanto, chiamato un Reis di sua conoscenza, fermò tutte le condizioni del viaggio: rispetto alla paga si convenne che due terzi gli si sarebbero dati subito, e l’altro terzo appena ritornato in Cairo, ed a vista di una mia lettera, che dovea riferire se le condizioni fossero state da parte sua mantenute. Gli promisi inoltre una mancia, corrispondente al suo fedele ed esatto servizio: e si stabili pure che la barca dovesse essere a mio assoluto ed esclusivo ordine, e di non potere ricevere altre persone senza il mio consenso. Il contratto, scritto in lingua italiana ed araba, dovea restare presso di me, per mostrarlo, in caso di bisogno, alle Autorità locali lungo il viaggio.
22. Il buon Messàrra avea procurato che sulla barca vi fosse un giovane, il quale parlasse in qualche modo la mia lingua, e si adattasse a farmi qualche cosa da mangiare ed altri servizj particolari. Egli di fatto parlava un po’ d’italiano corrotto, quale comunemente si usa in Cairo; e così io sperava per mezzo suo apprendere un pochino di dialetto arabo. Mi procurò anche varie raccomandazioni, dirette alle Autorità civili dei luoghi, per cui doveva passare, e mi fece tutte le provviste necessarie. Disposta ogni cosa, col pretesto di dover trattare alcuni affari importanti, venne a prendermi e condurmi a casa sua; mentre il P. Agostino, cui era noto il segreto, fece trasportare il mio bagaglio alla barca. Giunta l’ora della partenza, dopo avere raccomandato al Segretario di far poscia le mie scuse con la famiglia che mi ospitava e con gii altri amici, di essere partito così improvvisamente e senza prender commiato, ci abbracciammo affettuosamente, entrai in barca, e lasciai il Cairo la sera del 24 Giugno del 1851.