Missione
e Viaggi nell’Abissina
di Monsignor
Guglielmo Massaia
Vescovo di Cassia e Vicario Apostolico dei Galla

Torino
Tipografia Dir. da P. De-Agostini

Via della Zecca, 25, casa Birago
1857.

Collezione di Buoni Libri
a favore della Religione Cattolica.

/III/

Prefazione

Manifestarono taluni il desiderio, che fossero in appositi volumetti raccolte, ed in bell’ordine disposte le varie relazioni dei viaggi fatti dai Missionari, massime connazionali, nelle più remote contrade per porgere un dilettevole ed utile pascolo a chi ama di ricrearsi leggendo, ed istruirsi senza molta fatica, e senza pericolo di sorta. Le narrazioni dei viaggiatori guidati dall’amor del guadagno, dall’ambizione, dal capriccio, sono talvolta più imaginarie che veridiche, più poetiche che genuine, fatte talvolta prima di aver visitato i luoghi che si descrivono, prive di utilità morale e religiosa, se /IV/ non fors’anche nocevoli al buon costume ed alla fede. Buon numero di codesti viaggiatori, considerando soltanto la parte scientifica, o la commerciale, visitando gli stabilimenti di primo ordine, e trattando colle più distinte classi di persone, non possono ritrarre al vivo i costumi delle regioni visitate, nè dare quelle notizie, che sono adattate alla maggior parte dei lettori. I Missionari al contrario, che, spinti soltanto dallo zelo della gloria di Dio, e del vero bene dei loro prossimi, si portano in lontani paesi, conversano per lo più col minuto popolo, ne conoscono la lingua, i costumi, le abitudini, ne studiano l’indole, raccolgono con diligenza le più minute notizie di agricoltura, di fisica geografia, di moralità, di religione, e tutto questo ti descrivono nelle loro relazioni con ammirabile semplicità, con ingenua vera- /V/ cità, talchè in leggendoli ti par proprio di trovarti con loro nella capanna del pastore, o sulle aspre giogaie dei monti, od in mezzo alle più agitate e popolose città da essi visitate, e bagnate dei loro apostolici sudori. Oltre di che nulla incontri nelle loro narrazioni, che offender possa il candore dei più semplici ed innocenti lettori, e se talvolta costretti sono a narrare le ignominie ed i vizi dei popoli, che, privi della luce del Vangelo, manifestano col fatto l’originale umana depravazione, lo fanno con molta delicatezza e prudenza, ed al male contrappongono il rimedio, facendo vedere il grande vantaggio apportato dalla divina Redenzione e predicazione del Vangelo.

Inoltre il leggere le fatiche sostenute per la predicazione del Vangelo, e pel vantaggio dei popoli dai nostri connazionali e compaesani, che, dando un /VI/ generoso addio ai parenti, alla patria, si recarono in contrade lontane ed inospiti per solo impulso di carità, non può a meno, che destare in noi una ben giusta ammirazione, un desiderio di cooperare al felice successo delle loro fatiche, un eccitamento a maggior virtù. La storia dei patimenti da loro sostenuti, il rinnovarsi a’ tempi nostri gli antichi prodigi di generosa rinunzia ai beni del mondo, di eroismo nel patire per G. C., di santità sublime, d’innocenza singolare, ammirati già nei primi giorni del cristianesimo, è una evidente apologia di quella Chiesa, che col decorrere dei secoli non invecchia, non isterilisce, ma produce ognora e dovunque copiosi frutti di vera santità, e fa ad evidenza conoscere l’inefficacia della predicazione delle Chiese separate, le cui missioni, ad onta di tutti gli umani sussidi, riescono sempre infeconde e di- /VII/ sadorne di preclare virtù. Pertanto una ben elaborata collezione di questi viaggi con diligenza raccolti dagli Annali della Propagazione della Fede e da altri simili documenti sarebbe ad un tempo una dilettevole ricreazione, scevra di menzogna e di pericolo, sarebbe una miniera d’utili cognizioni naturali e scientifiche, una continua conversazione coi nostri connazionali separati da noi per lunghi tratti di terra e di mare, una continua apologia della Religione Cattolica, immune dalle spine del ragionamento, un eccitamento a generose virtù, una continuazione dell’ecclesiastica storia.

Per appagare così giusto desiderio abbiamo tentato di raccogliere in un volumetto i viaggi e la storia della Missione di monsignor Massaia, frate cappuccino, da Piovà (Asti), nell’Abissinia, sperando che verrà ben accolto, e letto /VIII/ con piacere dai benevoli nostri Associati. Non vogliamo dissimulare, che nell’esecuzione del progetto ci si presentarono difficoltà maggiori di quanto avremmo creduto a prima vista. Quindi questo esperimento, sebbene non possa ripromettersi di soddisfare pienamente gli accennati desiderii, non riuscirà tuttavia, lo speriamo, affatto inutile, e senza diletto ed edificazione.

Intanto, sostenuti dal favore dei benevoli nostri Associati, ed edotti da questa prima prova, ritorneremo altra volta all’impresa, fiduciosi di ottenere più appagante successo.

La Direzione.

/IX/

Biografia
del Rev.mo Monsignor Massaia

Lorenzo Massaia nacque in Piovà (Asti) il giorno 8 di giugno 1809, da pii e facoltosi genitori. Studiò umane lettere nel reale collegio d’Asti, ove profittò grandemente sotto la scorta del suo maggiore fratello, ottimo sacerdote e curato zelante di quella cattedrale. Il 6 di settembre 1826, vestiva il ruvido saio cappuccino nel convento del Monte di Torino, cangiando il nome di Lorenzo in quel di Guglielmo. Ivi, guidalo dall’in allora lettore, poi ministro generale dell’ordine, P. Venanzio da Torino, applicò alle filosofiche e teologiche discipline, con quel felice successo che rivelarono poi gli eminenti gradi a cui pervenne, di filosofo, teologo, confessore, predicatore, lettore, definitore /X/ provinciale. Non tardò a palesare il desiderio che si aveva di dedicarsi alle missioni straniere: fece a tal fine replicate istanze: finalmente queste furono esaudite. Chiamato a Roma, mentre ei si credeva di essere spedito quale semplice missionario in qualche landa selvaggia dell’Asia o dell’America, con sua grande sorpresa si vide nominato vescovo di Cassia in partibus, e primo vicario apostolico dei Gallas nell’Abissinia, ed a tal fine consacrato il 4 di maggio 1846 dall’Em. Cardinale Fransoni.

Monsignor Massaia nel sublime grado non guardò alla dignità, allo splendore, ma solo a’ doveri: erano questi gravi e difficili, non presentavano che fatiche: era quanto voleva il buon missionario. Una terra a guadagnare a Dio, uomini a rendere cristiani, una croce a piantare in luogo della mezzaluna: che di più proprio per eccitare il di lui zelo ? Ei partiva colla risoluzione di un soldato che va a combattere, colle viste d’un capitano che muove a conquistare: tutti dicevano: ecco il missionario che vi voleva: il coraggio lo precede. Nè s’ingannarono. Giunto appena, dopo infausta burrascosissima navigazione nell’Eritreo, /XI/ ai confini del suo vicariato, venne a suscitarsegli contro nuova e più terribile tempesta dall’invido vescovo scismatico-eretico-musulmano Abuna Salama, per tema se gli rapisca lo scettro su quei miseri schiavi, cui tiene a’ suoi turpi errori e nefandi vizi soggetti. Non potendo egli stesso trafiggerlo di sua mano, fulmina editti minacciosi di scomunica, di proscrizione, di guerra a tutti i regoli o principi, troppo timidi o ligi delle Provincie se al comparire del gran Messia (così ne pronunziano colà il nome corrotto), non facevano sì che o morto o vivo a lui si presentasse, ed intanto mette il capo di Monsignor Massaia al prezzo d’un migliaio di scudi.

A fronte di tanti pericoli non indietreggiò, nè venne meno lo zelo ed il coraggio del nostro prelato: provvide prima di pastore e ministri la vicina Abissinia, consacrando Vescovo di Mezzanotte, il lazzarista missionario Monsignor de Jacobis, vicario ivi apostolico. Poi distribuì qua e là in diversi punti, quasi a vedette del campo, i prodi suoi collaboratori, ed egli intanto colla scorta di alcuni indigeni e di pochi viveri, ma più coll’occhio e col cuore fissi nella stella del mare /XII/ Maria, cambiando ad ogni poco l’abito di cappuccino vescovo in quello di marinaio, o di negoziante, di musulmano, d’africano, d’abissino, d’arabo, a tenore degli accidenti e dei varianti bisogni, traversa gli scogli e le isole, varca lo stretto, ed approda animoso all’orrida spiaggia che mette al suo campo evangelico. «Percorre quindi buona parte del suo vicariato senza incontro di sorta. Passa venerato ed incolume per borghi e villaggi, per coste, famiglie, tribù più o meno rozze ed incolte. S’innoltra fin nella reggia, e appiè del trono del più fiero potente re del paese, Ubiè, chiamato, quale sorpreso da prima, indi ammirato, poscia commosso, infine sì affezionato sel rende, che, lungi di catturarlo ed ucciderlo, come ben si temea, il lascia a piacimento stanziare con riguardi ed onori nella sua città, lo ricolma di doni e commendalizie, lo fa scortare dai suoi fidi nel restante del viaggio, e sano e salvo, com’era partito, Monsignor Massaia in mezzo ai suoi fa ritorno» (1).

/XIII/ Nel 1850 quest’illustre prelato rivide l’Italia, si recò a Roma per deporre ai piedi del successore di Pietro il frutto di sue apostoliche fatiche: invitato a visitare i suoi genitori, con bella maniera se ne schermiva, dicendo al sommo Pontefice: Mio padre non mi può vedere; e diceva vero, perchè il sapeva divenuto cieco. Fu a Lione ed a Parigi, ove la narrazione del maraviglioso successo gli ottenne dall’Opera pia della Propagazione della Fede largo soccorso, e dall’associazione per l’incivilimento dell’Africa il titolo di presidente onorario.

Restituitosi l’anno seguente al suo caro gregge dei Gallas, ci lasciò lungo tempo senza di sue notizie: Monsignor Guasco, vicario apostolico dell’Egitto, scriveva il 18 di aprile 1857: «che aveva ricevuto alcune lettere di quel zelantissimo prelato, dopo otto o dieci mesi di viaggio passate per tante mani incerte a cagione che quei paesi sono privi di corrispondenze postali». L’ultima che recò alla patria di sue preziose notizie, porta la data di Lega-Amara-Gemma, 18 di novembre 1855, e pervenne alle mani del rev. P. Venanzio da Torino, ex-generale cappuccino, a cui era indirizzata, il 14 /XIV/ di luglio 1856. La daremo in fine di questa narrazione, confidando, che riescirà gradita ai lettori, e che, l’edificazione che frutterà al paese, ci varrà di scusa presso il Prelato, se ciò facendo oltrepassiamo alquanto i limiti della confidenza.

(1) Cenni biografici dei più illustri Cappuccini, pubblicati in Roma, 1853. [Torna al testo ]