Missione e Viaggi nell’Abissina
di Monsignor Guglielmo Massaia
Vescovo di Cassia e Vicario Apostolico dei Galla

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Capitolo Primo

Sommario

L’Abissinia unica via di comunicazione ai cattolici col centro dell’Africa. — Sforzi dei Turchi per occuparla. — Stato del maomettismo in Abissinia. — Ostacolo principale alla fede cattolica. — Gl’ingressi dell’Abissinia. — Itinerario da Massova alla montagna dell’Abissinia. — Spaziosa veduta del paese. — Il soggiorno di Maria. — Antica estensione della legge mosaica. — Il Vangelo abbracciato dai Giudei abissiniani. — S. Frumenzio, schiavo, apostolo e primo vescovo d’Acsum. — L’Abissinia cristiana si more assediata dai Musulmani.

L’importanza di questa missione consiste, non tanto nel numero de’ suoi neofiti, che non oltrepassano i dieci mille, quanto nella necessità di serbare ai cattolici quest’unica via di comunicazione /2/ coll’Africa centrale. Si sa, che l’islamismo guarda tutte le coste di questo ampio continente; che un immenso cordone di popoli fanatici, di continuo incitati dagli emissari della Mecca, impedisce ai cristiani di penetrare nell’interno. Ma, passate quelle frontiere, incontransi tribù erranti, le migliori dell’Africa, le quali promettono ricca messe agli apostoli, quando abbiano la fortuna di giungere fino ad esse. Ora, l’Abissinia è oggigiorno il solo punto, onde introdurvisi (1a): chiuso che fosse, la bloccatura /3/ dell’interno, per mano dei Turchi, sarebbe perfetta.

Per la qual cosa gli sforzi loro tendono tutti, con accorta perseveranza, verso quella contrada, che investono da ogni parte. I mezzi di operare hanno grandissimi, il proselitismo ardente, e /4/ rapidi pur troppo sono i loro progressi; che già due terzi almeno del paese Galla sono musulmani; e nell’Abissinia cristiana compongono una terza parte del popolo. Nelle città capitali di Gondar, del Tigro e del Choa, signoreggiano altresì pel numero, le ricchezze, l’influenza loro: ogni traffico è in mano ad essi, ed ogni impiego superiore è ad essi devoluto. Il potere politico soltanto non hanno per anche usurpato in modo espresso, perchè la legge fondamentale del paese vuole, che i principi sieno cristiani. Pure negar non si può che, ad onta delle tradizioni nazionali, il maomettismo non si allarghi viemaggiormente ogni dì, in guisa che, fra breve, sarà giunto alla supremazia. Ubiè, nel suo regno di Tigro, Berci Gono, nel Gojam, Toko-Brillè, nell’Amara, ed alcuni altri principi di picciol conto, sono i soli capi abissiniani, che resistono alla turchesca influenza. Sotto il loro stendardo religioso e politico si raccoglie un popolo di cristiani in numero di un milione e mezzo; i quali sono eretici per nascimento, ma abbraccerebbero di buon grado la nostra fede, ove l’Abuna ed i musulmani non li tenessero oppressi.

/5/ Capo a quest’ultimi è il Ras, che ben si può chiamare il dittatore de’ principati abissiniani, siccome colui, che sotto il comando suo conta un esercito di cento mille soldati. Nato e cresciuto nell’islamismo, si fece cristiano per occupare il trono di Devra-Tabord; ma sempre musulmano di cuore, tradisce in secreto la religione, che in pubblico va professando. Ne’ suoi Stati, i settatori di Maometto empiono tutti gl’impieghi principalissimi, si spartiscono fra sè le spoglie delle chiese, e possono impunemente far proseliti colla violenza e colle battiture. Il medesimo si può dire del regno di Choa, ove i musulmani governano pure sotto il nome del principe.

Laonde si dee conchiudere, l’elemento avverso alla nostra fede nell’Abissinia essere, non tanto l’eresia, quanto il maomettismo, molto più di lei formidabile. Del resto, si sono collegati insieme nella persona del Ras ed in quella dell’Abuna, per soffocare la missione cattolica. E l’ultima persecuzione non fu altro che il risultamento del loro accordo comune e palese.

Un altro fatto incredibile, e nondimeno verissimo, è il persistere, che i musul- /6/ mani fanno, in pubblicare nell’interno dell’Africa, che tutto l’universo è maomettano, e che tutti i potentati del mondo sono tributari del Gran Signore.

Questa contrada (1b) si compone d’una serie di alti colli, che, da tre lati, terre calde, basse ed insalubri dividono dal rimanente dell’Africa. Se il viaggiatore entra nell’Abissinia dalla parte d’Egitto, giunge da prima nella Nubia, contrada senza confini e quasi senza vegetazione nella state; imperocchè nessun lavoratore ne coltiva pure un campo, eccetto quello stretto solco, cui il Nilo innaffia. Un deserto congiunge la Nubia al mar Rosso, e, verso occidente, un altro ancor più formidabile deserto, stendendosi dal Nilo agli ultimi termini del Darfur e del Vadai, si ricongiunge, quasi in un solo tratto al Saara: le cui estreme sabbie sono bagnate dal mare Atlantico. Verso il Sud, i deserti della Nubia si dileguano a poco a poco, secondochè altri s’avvicina alle lente pendici, che li ricongiungono alle alle terre. Fiumi appena conosciuti colà scorrono, e si smarriscono /7/ in quel suolo, o mettono foce nel Nilo. Quivi il terreno diventa meno pietroso e sterile, e mutasi finalmente in una terra sì nera, che può adoperarsi a tingerle pelli. La chiamano valga, specie di fango, nella stagion delle pioggie; ma nella state si disecca e si frastaglia in fessure sin a due metri profonde. Colà fanno soggiorno gli elefanti, le giraffe, i rinoceronti, i leoni e molt’altre bestie feroci o rare. La vegetazione abbondante; e, da due mesi dell’anno in fuori, il viaggiatore può andar sicuro di trovarvi o il tifo o quelle febbri maligne, che difendono l’entrata dell’Abissinia assai meglio che non farebbero eserciti potentissimi. Però nessuno è che conosca ove, dal lato del Settentrione o del Ponente, cominci l’Abissinia: nessuno segnò i limiti de’ Ginjar, de’ Sinasa, dei Dalla, dei Nara, de’ Bilen, de’ Melitkena, degli Asgidè, e forse di ben altre tribù, che, varie di lingua, di costumi e di religione, si vivono tra l’Abissinia e la Nubia nella solitudine, per causa dei deserti, delle infermità, e delle guerre continue.

Il missionario prudente, senza consumare a prima giunta la propria efficacia contro tanti impedimenti, si recherà nel- /8/ l’Abissinia pel mare Rosso; e, portato dalla navicella araba, andrà a prender terra sulla costa degli Abab, ovvero getterà l’àncora nel porto di Mussava. Vi sarà subitamente raccolto da pastori di carnagione bruna, dalle labbra turgide, dai capelli arruffati. Vanno costoro a piè nudo, portano la perizona e la toga di cotone, una lancia, un largo pugnale ed un piccolo scudo di pelle d’elefante. Appellansi Sao; e sono spartiti in parecchie tribù, la più grande delle quali, detta Aasaorta, si reputa discesa da un lione: conciossiachè i selvaggi stessi conoscono la vanità nazionale; ed il clan più oscuro dell’Africa si studia ancor egli di porre un manto di gloria sulla origine sua.

Sebbene il clima di Mussava sia sano, e sebbene vi s’incontri più d’un uomo centenario, è questo il luogo più caldo della terra. Impossibil cosa è ad un europeo di mantenervi la vigoria del corpo; e l’attività dello spirito debbe colà affievolirsi in coloro, che non rinfrescano l’anima loro alle sorgenti purissime della preghiera e della speranza. Il viaggiatore abbandona sollecito questa terra musulmana, sì piena delle malizie e dei delitti de’ mercanti di schiavi; ed ove gli /9/ abitatori spendono la metà del tempo a sventarsi. Se ne parte colla sua guida Sao, traversa il deserto iu una notte, e giunge sull’alba del mattino al filo d’acqua di Addas. A mano a mano che sale questa valle angusta e petrosa, vede quel ruscello più vivace e più aperto: da prima un poco d’erba, poscia un verde albero: più avanti ombre ridenti lo accostumano a poco a poco alla freschezza delle alle terre. Già non ode più il ruggito del leone, ma il gorgheggiare di nuovi uccelli sotto il fogliame, ed i gridi d’allarme delle scimie dall’alto d’ogni rupe. Giungesi finalmente all’aspra salita, ove il cammello surroga il bue da soma: si monta serpeggiando fra piante grasse dai fiori rossi, e si giunge da ultimo alle radici del monte abissiniano. Quivi elevansi da tutte parti gli arzi, arbori sempre verdi, simili ai cedri: e i rami loro sono di continuo scossi da freschi e soavi venticelli, che sembrano annunziare una terra promessa.

Egli è impossibile di non fermarsi alquanto su quelle prime alture dell’Abissinia. Verso il levante, e sulla strada testè percorsa, scorgonsi le profonde spaccature, le valli ignude, e gli sproni /10/ che puntellano le alte terre. Al Norte, il ciglione si prolunga attraverso l’Igala e l’Amasen fin ai luoghi, ove i Bilen e gli Asgidi vivono senza sacerdoti, e si credono pur sempre cristiani. Al Sud, la vista è interrotta dalle montagne; ma dal lato del mare si può vedere, quando il cielo sia puro, la pianura di Ragad, composta d’un nappo di sale. Le tradizioni Sao vogliono, che colà fosse il sito delle città maledette, che ricusarono l’ospitalità ad un angelo: e, senza conoscere la Bibbia, questi semi-turchi raccontano, sotto altri nomi, la trasformazione della moglie di Lot. A Ragad si valgono del sale (che tagliano come la pietra da aguzzare le falci) per moneta corrente in tutta l’Abissinia.

Ma il viaggiatore, seduto sulla falda del monte, volgerà specialmente lo sguardo suo verso il Levante. Sotto di sè vedrà colline quasi ignude, coronate qua e là da moli di creta bianca, che da lungi rassembrano le castella dirupate dell’Europa feudale. Più basso, si spiega la pianura di Zama, nido di lioni, di pantere e di rapitori di fanciulli. Questa pianura è confinata, al Norte, dal Marab, fiume che serpeggia nel Saravè, e va a /11/ dileguarsi verso la Nubia nel paese di Gas. Tra il Sud e l’Est del Zama è l’Agame, terra di montagne e di uomini intrepidi: e più alto ancora sono i pascoli frigidi dell’Indarta. In lontananza, si aggruppano di qua d’Acsum le montagne d’Addi Abun (terra o feudo del Vescovo), e se il cielo è sgombro di vapori, l’occhio si riposa finalmente sul Buait ed il Dajan, che torreggiano nel Simen ad altezza di 4,800 metri dal livello del mare. Un’aria asciuttissima, un sole rosso e vaporoso inondano quell’immensa scena.

Tale è l’Abissinia: rinchiusa fra montagne bizzarre, spesso coronale da piccole pianure con precipizi d’intorno: senza foreste, e quasi senza macchie sull’alte terre: composta di colli raramente uniti, ma stagliati qua e là in fessure strette e profonde assai. Il pendio rapido di queste fessure è ricoperto d’alberi da foglie secche: e nel fondo di quelle veggonsi serpeggiare rivi di poca acqua, pieni di coccodrilli, ed esaurienti il paese senza mai irrigarlo. Arduo assai è il camminare in cotale contrada. Rare volle ti ricrea la vista la verdura dei prati: il sentiero, largo un piede, al /12/ più, e sì poco battuto che spesso lo perdi, corre specialmente lungo le rocce, e, meno frequentemente, lungo i campi d’orzo, di grano e di tef. Se scorgi di lontano un gruppo d’alberi, ivi è una chiesa, spesso più piccola che le cappelle dei nostri pescatori; e il cui boschetto sacro su quella terra arida sorride al pellegrino, come soggiorno di fede e di pace. M’avvenne più d’una volta di trovare il riposo della notte presso taluna di quelle chiese. Oimè, ch’esse non sono sempre circondate di capanne! con tetto piatto e coperto di terra, nel Tigrai, o elevate in forma di cono e coperte di stoppia, a misura che tu procedi verso l’interno.

Ma quello, che desta stupore di più nell’Abissinia, è la siccità, quantunque scemi un poco a ciascun nuovo piano del poggio che sali. Spesa una giornata intera in valicare la fessura, ove scorre il Tacazè, si monta faticosamente il Lamalmo e giungesi da ultimo sul declive opposto della montagna, che, abbassandosi gradatamente, si svolve in lunga prateria fin sotto Gondar. Non lungi da questa metropoli, oggi scaduta assai, è il lago Tana, placido in mezzo que’ vasti /13/ prati, troppo alto e freddo pei coccodrilli; ma pieno d’ippopotami: ed ha moltitudine d’isolette, ove più di un monastero combatte ancora contro l’atonia generale della fede.

Al sud del Tana è il Gojam, paese il più interessante dell’Abissinia: specie di isola in mezzo alle terre, essendo che il suo molto fertile poggio è cerchiato da profondissimo crepaccio fatto a spire, ove scorre il fiume Abbai, o, come taluni nominano, Turchino, le sponde del Gojam sono basse e calde, e la maggior parte di questa contrada è una montagna alta, come le più alle cime dell’Apennino. È piena di prati, di greggi e di umili chiese, sempre velate da’ loro alberi sacri, che il soldato più ardimentoso non oserebbe rimondare. In mezzo del Gojam, la catena del Codè aggiunge quelle regioni sublimi, ove i venti soffiano, ove l’orzo più non germoglia, ed ove il viaggiatore tardi arrivato muore di freddo.

La provincia del Bagemidir, cui il valore de’ suoi abitatori fa essere di grave pondo nei destini dell’Abissinia, occupa la regione che giace tra il Tacazè ed il Tana. Vicino a questo, il terreno si allarga in prati umidi, ove pascolano im- /14/ mense greggie. Non discosto da queste pasture, e sur un promontorio bagnato dalle acque del lago, sorge il santuario di Quarata, ove le capanne coniche sono in tanta quantità, che questa città era, nel 1842, la più popolata dell’Abissinia, giacché capiva oltre dodici mila abitanti. Secondo che uno si dilunga da Tana, trova, nel Bagemidir, ricche colture e vaghi ruscelli: trova Aringo, antica stanza dei re; Dabra Tabor, ove accampa il Ras, e Madara Mariam, città che corona una rupe di basalte. Madara Mariam significa Soggiorno di Maria, e dinota la pietà di coloro, i quali hanno fondalo quel grazioso santuario. Esso come i nostri sagrati nel medio evo, è luogo di rifugio pei ribelli ed i colpevoli e, non altrimenti che a Quarata, il più superbo tra’ cavalieri debbe smontare entrandovi. La temperatura del Bagemidir è tremendamente calda nelle fenditure, ove scorrono l’Abbai ed il Basilo: calda nel Fogara, temperata nella maggior parte della provincia, e fredda sul Monte Guna, ove la neve non si scioglie sempre, cadendo.

Hai tu passato quel paese popolato di Galla musulmani, cbe separano il Ba- /15/ gemidir dal Sava ? Allora ti sarai fermato in quest’ultima contrada, sopra un poggio largo ed alto che si congiunge, verso Ponente, col gran Damot; il quale invia del pari le sue acque al Nilo ed all’Oceano indiano, e la cui ampiezza, verso il Sud, è pur sempre un mistero per la scienza d’Europa.

Il nome d’Abissinia deriva dalla voce araba habes: termine di disprezzo presso i figli di Sem, e dinotante gente ragunaticcia di varie tribù, o che dimenticò e confuse la propria filiazione: il che infatti è accaduto presso quasi tutti i cristiani di questo paese. Assegnano da se medesimi il nome d’Etiopia alla loro patria, e, secondo essi, l’Etiopia comprende non solo l’Abissinia cristiana, ma eziandio la maggior parte de’ popoli che più avanti enumerai, non che il Mara, ovvero paese delle tribù per eccellenza, le quali parlano la lingua Afar, e le quali occupano, al Sud ed all’Est del Sao, lo spazio compreso tra gli alti colli spianati ed il mar Rosso. Secondo dicono i paesani, l’Etiopia racchiude altresì i cristiani Guragé, e massimamente i Galla, che cacciarono o distrussero tante piccole nazioni.

/16/ Giusta le tradizioni dell’Etiopia, le diverse razze, che l’hanno l’una dopo l’altra occupata, vennero dal Levante. La più antica è quella degli Agavi. Quando uno è assuefatto a vedere capelli crespi, labbra grosse e carnagione di tanta gradazione di colori, riconosce l’Agavo ai suoi denti macchiati, ed alla obliquità delle sue palpebre, che porgono certa espressione di malizia a’ suoi lineamenti. I primi re dell’Etiopia appartennero a questa razza, che fece traffichi coll’India e con Meroè. Essa coniò moneta ad Acsum, ed innalzò in quest’antica metropoli quelle aguglie, che dimostrano la nullità delle umane grandezze; conciossiachè la storia di tai monumenti perì insieme con essi; siffattamente, che appena alcuni pochi del loro nome galleggiano sul vasto mare dell’obblio.

Dopo gli Agavi, ma in tempi pur molto remoti, l’Arabia mandò altresì due grandi emigrazioni verso le montagne dell’Etiopia. Secondo la tradizione, lo stretto di Bab-el-mandeb era allora un istmo, che die passaggio agli Agaaz, ovvero Tigraj, i quali si stabilirono nella parte settentrionale; ed agli Amara, che si recarono direttamente nella parte occidentale. Gli /17/ Agavi, respinti da questi nuovi conquistatori, si saranno allora dilungati dal centro dell’Abissinia, per andar a comporre le piccole nazioni dei Bilen, degli Avava, degli Uarasa e dei Camta. Questi ultimi occupano tuttavia la provincia del Vag; e parecchi degli abitanti del Dambia e del Simen serbano ancora le fattezze e l’idioma degli Agavi.

Esistono pur sempre certe orme di antica religione, che, un tempo, legò forse insieme gli Etiopi. Credevano in un solo Dio. Non avevano idoli, ma volgevano le loro preci ad angioli, o genii, il nome d’alcuni de’ quali vive ancora. Dopo la cattività di Babilonia, i Giudei, riparati in Egitto, procedettero da Meroe fin nell’Abissinia, ove i re d’Acsum ne abbracciarono la fede. Oltre le tradizioni ancora vigenti, e le notizie che si leggono nella storia dei re, certi fatti dimostrano tuttavia, quanto la fede mosaica fosse anticamente estesa. I Falasa l’hanno mantenuta, sebben comincino a non parlare più la loro lingua ereditaria. Sono questi Giudei abissiniani dispersi ne’ dintorni di Gondar, in numero che non supera di molto i dieci mille. Gli altri hanno, nell’accettare la fede cattolica, conservato, /18/ fin sotto la fine del XV secolo, l’uso di conferire il sacerdozio ai figli d’una sola razza, per nome Levi: e questa legge degli Israeliti è ancora seguita dai cristiani Guragè. Inoltre il sabbato, ossia sabbat dei Giudei è pur tuttavia giorno festivo nelle parli più cristiane dell’Abissinia: ed i dottori, che colà tollerano quest’usanza, il rendono rispettabile, citando il seguente passo dell’Evangelio: Venni per compire e non per abbattere l’antica legge.

Nel seno dunque del giudaismo l’Abissinia, non altrimenti che Gerusalemme, vide nascere i suoi primi cristiani. L’istoria di tal conversione dimostra quanto i viaggiatori, eziandio più umili, possano servire ai gran disegni di Dio. Un mercatante, dicesi, fatto naufragio nel mare Rosso, prese terra nell’isola di Mussava, ove suo figlio Frumenzio, detto Fremonatos in Etiopia, dedicò, tempo dopo, una chiesa alla casta Reina degli Angioli. Questo tempio, mutato oggi in moschea, ha non pertanto serbato segno della sua origine, pel diritto di sagrato, che pur sempre rispettasi qualvolta ad un delinquente venga fatto di accendervi un cero, antica offerta alla S. Vergine. Frumenzio fu con- /19/ dotto come schiavo presso il re d’Acsum, e, quantunque giovanissimo fosse, potè, a guisa di S. Filippo, convertire quest’altro etiope. Indi a poco si diè tutto a portare la fede degli Angeli ad un popolo traviato. Tornò in Alessandria, ove Sant’Atanasio il consacrò vescovo d’Acsum, e terminò la vita nell’Abissinia, sotto il nome d’Abba Salama. Gli Abissiniani celebrano ancora la sua festa il primo d’agosto, dacchè fu canonizzato per voce del popolo. Le sue predicazioni ebbero principio verso l’anno 330 di nostra salute. Voltò i santi Evangeli in Giiz, sorella della lingua ebraica: e quell’idioma è ancora parlato dagli Asgidè: e nelle altre parti dell’Abissinia è, come il nostro latino, una lingua morta, adoperata nei libri e nel servizio liturgico. Di tutte le lingue dell’Abissinia la più divulgata è l’Amarinna, parlata massimamente dagli Amara, ab antico chiamati Ancara. Indi il Tigrai, il Tigrài o Casì, il Sao, le quattro lingue Agave, gl’idiomi Gafat, ed altri. Finalmente l’Ilmorma, ossia lingua dei Galla, comincia a influire sul tenebroso avvenire dell’Abissinia.

Questa contrada è la sola, nell’Africa, che abbia serbate le leggi cristiane. In /20/ Egitto, il più degli abitatori abbandonarono la fede propria, per far la voglia de’ loro conquistatori arabi. In Barbaria, regione bellissima, che da Tripoli fin a Mogador si dilata, l’agonia cristiana si prolungò più secoli; ma la vera fede vide assai prima il termine del suo doloroso martirio: e gli ultimi cristiani mandarono l’estremo sospiro della loro preghiera senza testimonio d’intorno e senza catafalco. L’Abissinia per lo contrario, posciachè ebbe alteramente rimosse le offerte del falso profeta Mohammed, contro gli eserciti musulmani sostenne, nel decimosesto secolo, calamitosissima guerra. Conquistata per forza d’armi, ed abbandonata a se stessa quando fu rovinata per sempre, l’Abissinia ricadde nella povertà e nel disprezzo; ma, sentendosi ancora cristiana, si consolò.

Oggidì l’islamismo, sì debole in Europa, in Africa rialza la fronte: tirati ne’ dommi suoi i popoli, o selvaggi o semicristiani, che circondano l’Abissinia, e staccatala così dal rimanente della cristianità, rinserra gradatamente questo sventurato paese, col penetrarvi dentro passo passo. Varie nazioni dell’Etiopia /21/ sono oggidì cinte da barbare tribù, le quali non lasciano loro conoscere, se non dopo molti anni, la voce affievolita di ciò che accade a Gerusalemme, ove giace la tomba dell’uomo Dio, ed a Roma, ove dimora, dicono esse, in qualche angolo, il capo de’ cristiani. L’Abissiniano va, quanto al suo essere politico, di pari passo colla disperazione; quanto al morale, invoca con voce ognora più flebile, la quale comincia a saper di rimprovero, il soccorso de’ suoi fratelli cristiani sì numerosi, dic’egli, ma sì lontani; e, se qualche speranza gli resta nell’altra vita, gli è d’uopo difenderla, gemendo, contro il tossico della violenza musulmana.

(1a) L’Abissinia è una vasta regione e possente impero dell’Africa, celebre per la sua antica rinomanza. La sua estensione non saprebbesi giustamente indicare, essendo questo paese in continue guerre colle vicine popolazioni. Si calcola però di circa 1,152,000 kilometri quadrati, con una popolazione di quasi 3 milioni d’abitanti. Confina al nord colla Nubia, all’est col mar Rosso e col golfo di Aden, al sud colle regioni dei Gallas e Somauli, all’ovest col paese dei Chilous.
Questa regione è sparsa di molte montagne, che sono una continuazione dei monti della Luna. Ivi ha la sua sorgente il Nilo. Un considerevole numero di altri fiumi bagnano le fertili sue campagne, come il Malek, Zebe, Dender, Mareb, ecc. Nell’interno trovasi il lago Dembea attraversato dal Nilo. Il clima dell’Abissinia è assai caldo, tranne nelle regioni montuose, ove è temperato. Le pioggie durano sei mesi, e ne allagano le campagne. Esistono nell’Abissinia miniere d’oro, rame, piombo, e marmi preziosi. Il suolo è così fecondo, che si fanno due raccolti, ed in certi luoghi anche tre. Abbonda di fiere, leoni, iene, pantere, serpenti, leopardi, coccodrilli, ed altre bestie feroci sconosciute. I buoi vi crescono numerosi e d’una grossezza smisurata. Gli abitanti hanno un colore olivastro, sono robusti ed assai sobrii. La religione che professano è un misto di islamismo, giudaismo e cristianesimo.
Secondo le più recenti nozioni, l’Abissinia si può dividere nei seguenti Stati indipendenti gli uni dagli altri, e quasi tutti attualmente in preda alla guerra la più disastrosa:

  1. 1° Il regno di Gondar, capoluogo Gondar;
  2. 2° Il regno di Tigre, capoluogo Acsum;
  3. 5° Il regno di Choa, capoluogo Ancober;
  4. 4° Confederazione dei Gallas, capoluogo Guel;
  5. 5° Il littorale Abissino, che si divide in diverse tribù;
  6. 6° E finalmente diversi altri piccoli regni, come di Caffa, Narca, ecc., non ancora del tutto conosciuti.

Queste parti suaccennate contengono altrettanti piccoli regni di minore importanza. (Cressoni, Diz. geogr.) [Torna al testo ]

(1b) Notizie ricavate dalla lettera del sig. Antonio Abbadie. [Torna al testo ]