Massaja
Lettere

Vol. 2

/35/

189

Ai missionari apostolici OFMCap.
vicariato apostolico dei Galla – Asàndabo-Gudrù

F. 308r

Istruzioni fatte in Sinodo
da monsignore Massaja Ves.vo di Cassia
e Vicario Apostolico dei Galla
Per i Missionarii Europei.

1. Il Missionario Europeo mandato in questi paesi per piantarvi una nuova Chiesa di fedeli Cristiani, deve essere prima di tutto /36/ armato di uno spirito apostolico tale, da poter servire di norma alla nascente Chiesa, e per fare tutti quei sacrifizii che occorrono per condurre a buon termine la sua scabrosa missione, che tiene da Dio e dalla Chiesa. Si suol dire della generazione carnale, che è sempre in proporzione delle forze vitali dei generanti e che la fisionomia non solo, ma le buone qualità dei Padri passa ai figli; non diversa è la generazione spirituale degli uomini apostolici.

Quando il missionario, pieno di carità e di zelo, si è dato, pienamente e senza riserva, tutto a Dio, ed alla salute delle anime, e questa incessantemente nei fervidi suoi voti e sacrifizii domanda a Dio, e questa stessa ancor più, senza requie e posa, opera fortemente col ministero della sua parola presso il popolo, non c’è paese che resister possa all’ardor del suo zelo; il cuore anche impietrito dovrà frangersi sotto i colpi delle verità divine ed eterne parlate dall’Apostolo, il quale non mancherà di generare [f. 308v] figli, e figli portanti in fronte scolpito il carattere del padre loro, carattere di fuoco santo e di zelo divino, poiché il fuoco celeste, e le divine fiamme spiranti di continuo dal volto, non meno che dalle parole del Sacerdote di Dio, di necessità accender debbono ed infiammare il cuore dei figli. All’opposto, se il Missionario, sprovvisto di questo santo fuoco egli stesso, freddo nel suo sacro Divin ministero della parola, e contento di parlare freddamente qualche volta, se ne passa la maggior parte del tempo in oziosi passatempi e divertimenti mondani, confuso colla moltitudine dei morti figli del mondo, o sarà sterile affatto il suo ministero, oppure, se pur farà qualche figlio, farà figliuoli simili a se, figliuoli privi affatto di fervore e carità Cristiana, e Cristiani di nome. Affinché dunque non venga meno il santo fervore del missionario mandato da Dio a portare ai popoli la parola di Dio non solamente, ma ad accendere i cuori del fuoco della divina carità, e propagare coll’esempio il tipo di ogni virtù evangelica, prima di ogni altra cosa sono raccomandate le seguenti osservanze di religiosa pietà e divozione.

1º. Recita del divino uffizio in comune, colla debita gravità e pause. 2º. Meditazione, almeno una volta al giorno, previa lettura di qualche divoto libro, o conferenza spirituale. 3º. Celebrazione della S. [f. 309r] Messa, almeno una volta ogni settimana, se si potrà avere il necessario alla medesima, ed anche tutti i giorni potendosi; assistenza alla medesima per chi non potrà celebrare. 4º. Confessarsi al più tardi ogni 15. giorni, e comunicarsi in mancanza della celebrazione della S. Messa. 5º. Esercizii spirituali una volta l’anno, nei quali si faranno quattro letture al giorno, e qualche conferenza spirituale. 6º. Dovranno intervenire a tutte le funzioni che si faranno agli indigeni, come Rosario, spiega[zione] del Vangelo, e simili, come si vedrà ordinato dopo.

Benché giovi sperare che nessuno dei nostri Missionarii avrà la debolezza di commettere scandali di sorte alcuna, tuttavia riflettendo che il medesimo potrebbe fare del gran male nel cuore dei neofiti, e specialmente degli allievi studenti o monaci, soliti a dar peso alle massime predicate, quando queste sono confermate col- /37/ l’esempio, attesa la debolezza dei medesimi e la gran corruzione del paese, a cui il solo esempio del missionario europeo può far’argine, privi i poverelli di qualunque altro buon esempio, a differenza dei nostri paesi, dove, per la publica opinione morale del popolo, mancando un Sacerdote, supplisce il credito stabilito di mille altri incorrotti e Santi; occorrendo la disgrazia fatale e rovinosa, che qualcuno dei nostri [f. 309v] arrivi a comettere azione scandalosa in materia di sesto, e per se grave, affinché il povero meschino pensi al più presto a rimettersi nei buon sentiero, e riparare lo scandalo dato, s’intenderà il medesimo incorso nella sospensione a Divinis dal momento che il commesso fallo sarà arrivato alla cognizione di tre persone, compreso il complice se vi è, e ciò senza nessuna previa dichiarazione di alcun Superiore; dalla quale sospensione, essendo suddito il delinquente, potrà venire assolto dal Superiore, non prima però che abbia riparato lo scandalo, con quella ritrattazione, e segni di penitenza che gli verranno imposti dal suddetto Superiore; in caso diverso le veci del Superiore le facia il confessore proprio, il quale in ciò sarà lasciato arbitro. Questa pena dal Superiore dovrà estendersi pure ai Preti e monaci indigeni.

La suddetta pena s’intenderà solo, quando la colpa avrà avuto una publicità di poche persone; qualora la cosa siasi resa publica al paese, od almeno ad una quantità di persone oltre le dieci, dalle quali debba temersi una publicità universale, allora la sospensione suddetta dovrà perlomeno durare un’anno, prima che il delinquente possa venire assolto, anche previe le summentovate riparazioni dello scandalo. Ben inteso che la sospensione a Divinis suddetta non dovrà estendersi all’articolo di morte, ed ai casi di estrema necessità, ed anche solo [f. 310r] di grave necessità, rapporto all’amministrazione dei due soli Sacramenti Battesimo e Penitenza, excepto complice peccati in sexto, pro quo sola extrema necessitas excepta erit.

Per le pene, anche di sospensione, tanto agli Europei, quanto agli indigeni, che potrebbero occorrere per altri diffetti o delitti, si intenderà lasciata facoltà al Superiore, con diritto al suddito di appello regolare.

La superiorità dei Monaci e della casa, e quella detta parrochiale sul popolo, sono separate, e regolate diversamente. La prima, fino a tanto che diversamente non sarà provveduto, secondo la regola, dipenderà dal Vescovo, e data una volta s’intenderà duratura per tre anni, pendenti i quali, chi ne sarà investito dovrà essere riconosciuto come vero Superiore da tutti i Monaci mandati sotto di lui, e da lui fatti, secondo i statuti, tanti Europei, quanto indigeni.

Il Superiore suddetto, tre mesi prima che cessi la sua carica, dovrà spedire lo stato delle cose al Vescovo ed il suo parere circa la nomina del successore; ciò facendo potrà continuare nella sua carica sino alla risposta; in diffetto, passati i tre anni, sarà devoluta la superiorità al più anziano, il quale dovrà scrivere al Vescovo, come sopra. Fino a tanto che non vi saranno varie case riconosciute dal Vescovo, una sola sarà considerata la casa, ed i monaci [f. 310v] , ovunque saranno, dovranno considerarsi come membri della stessa /38/ casa, e sudditi dello stesso Superiore; questi però potrà, secondo il bisogno, conferire potestà vicaria a qualcheduno in occasione di dover incominciare qualche casa, od altra operazione, in luoghi di sua giurisdizione. Occorrendo di mandare Monaci per qualche operazione, come sopra, in luoghi dove non potrà sorvegliare, non sia per più di due mesi, passati i quali, o richiami i monaci a se per qualche tempo, oppure egli stesso sia obbligato a visitargli.

Il Superiore sarà risponsabile dell’osservanza della regola data ai monaci indigeni, e sulla regolare osservanza relativamente ai Missionarii Europei. La sua autorità e giurisdizione sopra i Monaci Europei ed indigeni sarà, come di Provinciale nei luoghi dove le comunicazioni col Vescovo non potranno aversi in meno di quindeci giorni; in caso diverso sarà facoltà ordinaria di semplice Guardiano.

La superiorità parrochiale poi sarà sempre pendente dalla volontà del Vescovo, e fino a tanto che non vi saranno titoli parrochiali perpetui, a norma dei canoni, la superiorità una volta data s’intenderà duratura per sei anni, ed anche infra detto spazio, rivocabile a volontà del Vescovo. Il Superiore o Curato così stabilito sei mesi prima [f. 311r] che spiri il suo tempo dovrà mandare lo stato della sua cura al Vescovo, unitamente al voto suo, e di tutti i suoi Preti in particolare, chiuso e segreto, circa la nomina del successore curato; ciò facendo, potrà continuare nella sua carica sino alla risposta; in caso diverso, passato il suo tempo, la giurisdizione dovrà considerarsi passata provvisoriamente al più anziano e degno dei Sacerdoti, il quale, appena sottentrato, per godere della giurisdizione legittima, dovrà immediatamente procurare di fare al Vescovo la spedizione sopradetta. Il così installato Superiore o Curato, nel paese dove non possa corrispondere col Vescovo in meno di 15. giorni, s’intenderà con giurisdizione quasi Vescovile, però delegata e Vicaria, con facoltà di abilitare i Sacerdoti per le confessioni, sospendergli, occorrendo grave motivo, riservare anche qualche caso, e simili; goderà pure di tutte le facoltà ordinarie e communicabili del Vescovo, ed anche le straordinarie, che il medesimo ha communicabili, compresa anche quella di poter conferire la Cresima, previa però sempre singulis vicibus protesta, che ciò fa per delegazione straordinaria del Vescovo, unico ministro ordinario di tale Sacramento, quale facoltà però non potrà dare a nessuno. Nei luoghi poi dove le corrispondenze si potranno avere in meno di 15. giorni, il Superiore non avrà altra giurisdizione [f. 311v] che semplice parrochiale, se altro non verrà spiegato nella sua patente.

Se la superiorità dei Monaci sarà unita alla parrochiale, nella stessa persona; il così supposto Superiore potrà abilitare i Sacerdoti per le confessioni dei soli monaci, riservando quella dei secolari, e così vicendevolmente, abilitandoli per i secolari, e riservare quella dei monaci, poiché le due giurisdizioni sono distinte, e non s’intenderanno date, se non saranno espressamente spiegate. Qualora poi le due Superiorità siano separate, allora il Superiore dei Monaci, anche per se stesso, avrà bisogno di facoltà dal Curato per la confessione dei secolari, come il Curato avrà bisogno di ricevere la /39/ facoltà dal Superiore dei Monaci, per confessare i Religiosi. Ciò però s’intende dei luoghi lontani, dove detti Superiori godono giurisdizione quasi Vescovile sopra i loro rispettivi sudditi, non dei luoghi vicini, dove il Vescovo esercita lui immediatamente la sua giurisdizione ordinaria, e dove il Superiore dei Monaci non è che Guardiano, ed il Curato non è che semplice Parroco.

Quando i due poteri sono separati, il Curato, come monaco, è suddito egli stesso del Superiore del monastero, indipendente solo riguardo al suo ministero, nel quale dipende solo dal Vescovo; [f. 312r] deve però dipendere dal Superiore dei Monaci ogni qualvolta avrà bisogno di Preti per il ministero; il Superiore però non potrà rifiutargli, sibbene toccherà a lui la scielta fra i soggetti approvati dal Curato. La Chiesa del Monastero sarà di giurisdizione del Superiore dei Monaci, il quale però sarà obbligato ad assegnare certe ore del giorno in libera disposizione al Curato per le sue funzioni, ed istruzioni al popolo; tutte le altre Chiese sono di giurisdizione del Curato, fino a tanto che non saranno eretti i titoli parrochiali.

I proventi della Missione provenienti d’Europa, o dal Vescovo, s’intenderanno prima di tutto per il mantenimento del Monastero, e saranno amministrati dal Superiore del medesimo, il quale dovrà darne un sesto al Curato per i bisogni delle altre Chiese, e dei poveri. I proventi indigeni appartenenti alla Chiesa del Monastero, o a titolo di patrimonio della medesima, o a titolo di decime, oppure anche a semplice titolo di limosine, s’intenderanno parimenti per la manutenzione del Monastero, ed amministrati dal Superiore del medesimo, fino a tanto che non sarà instituita l’amministrazione di secolari, come nel Nº. 26. della regola; solamente il Superiore dovrà farne [f. 312v] parte di un sesto al Curato per i poveri, come sopra. I beni appartenenti alle altre Chiese, o a titolo di patrimonio, o a titolo di decime, oppure anche a titolo di limosine, saranno appartenenti al Curato, e fino a tanto che non vi saranno nominate a ciascheduna Chiesa le rispettive amministrazioni, come sta ordinato nella regola, per i beni dei Monasteri, tutto sarà amministrato dal Curato, il quale sarà obbligato a dare un terzo dei proventi di tutte le Chiese per il mantenimento dei Monasteri principali, dove dimorano gli allievi studenti iniziati al Sacerdozio. Il Curato, a misura che acquista una nuova Chiesa, con beni e proventi, dovrà ricorrere al Vescovo per formare un’amministrazione, nel senso che è ordinata nella regola ai Monasteri, nella quale amministrazione, egli avrà la rappresentanza che ha il Superiore del Monastero.

Moltiplicandosi i Monasteri, e le Chiese, nei luoghi lontani, dove la corrispondenza col Vescovo non potrà aversi in meno di 15. giorni, la giurisdizione quasi Provinciale nei Superiori dei Monaci, e quasi Vescovile nei Curati, non potendosi moltiplicare, s’intenderà devoluta al Superiore del Monastero più anziano, il quale porterà il titolo di Vicario Provinciale, ed al [f. 313r] Curato della Chiesa più anziana del Regno, o distretto, il quale porterà il nome di Prefetto; tutti i Monasteri dovranno rispettare il suddetto Vicario Provinciale, come Superiore, nelle questioni, in caso di appello legittimo, e lo /40/ stesso dicasi di tutte le Chiese relativamente al Prefetto; Ne il Vicario Provinciale, ne il Prefetto però, potranno eriggere monasteri, far superiori, o curati titolari, senza il concorso del Vescovo, solamente potranno fare dei vicarii delegati.

Il Vescovo ha il decimo di tutti i proventi delle Chiese, o Monasteri, a qualunque titolo ad essi provengano; il Vicario Provinciale per tutti i Monasteri, ed il Prefetto per tutte le Chiese, saranno incaricati di raccogliere queste decime, per spedirle al Vescovo, per il mantenimento della sua curia, qualora il Vescovo a ciò non abbia qualche delegato particolare; a tale oggetto i prefati raduneranno una volta l’anno i rispettivi superiori loro sudditi ad un rendiconto d’amministrazione economica, e disciplinare; in questa circostanza vedranno il rendiconto particolare di tutte le Chiese e Monasteri, le questioni dei curati subalterni, colle rispettive amministrazioni; tratteranno coi Superiori subalterni dei bisogni disciplinari di ciascheduna Chiesa o Monastero, e prelevate le decime [f. 313v] suddette, il Vicario Provinciale col Prefetto combineranno fra loro per una spedizione al Vescovo, nella quale daranno relazione di tutti i bisogni che occorreranno.

Il dovere principale del Missionario Europeo è quello di far allievi per il Monachismo, e Sacerdozio; per essi istruire i neofiti alla fede, è anche un dovere grave, massime fino a tanto che non vi sono Preti indigeni; dal momento che questi incomincieranno, la loro Missione principale sarà quella di pensare alla formazione di un clero indigeno, e l’istruzione dei neofiti sarà per loro dovere secondario, per dar buon esempio, ed essere di modello agli indigeni medesimi; il Missionario avrà mai fatto niente di stabile, e si potrà mai dire che abbia fundato una Chiesa, se non avrà fatto buoni, e zelanti Preti. Per la qual cosa, fra i primi frutti della grazia e del loro ministero, porranno ogni loro attenzione per conoscere i cuori da Dio eletti al ministero, e conosciuti, con tutto l’impegno studieranno di coltivargli, sì nello studio delle lettere, quanto nell’esercizio delle virtù necessarie per un Sacerdote.

Si facia ai giovani allievi immancabilmente la scuola del latino nella mattina e dell’Etiopico nella sera. S’intenderanno esclusi i soli giorni festivi di precetto della scuola, ed una sera per [f. 314r] settimana sarà libero al Superiore di dar vacanza ed accordare il passeggio ai giovani; fuori di ciò non si dispensi la scuola senza una grave necessità. Lunedì, Mercordì e Venerdì si facia la sera dopo cena un poco di conferenza spirituale, la quale potrà consistere anche solo nel raconto di qualche storia o fatto edificante preso dalla S. Scrittura, o dalla vita dei Santi, oppure dalla storia della Chiesa.

Fino a tanto che la missione non sarà fornita dei requisiti trattati per la scuola di dogmatica, morale, filosofia, il sistema delle scuole razionali e scientifico positive dovrà essere come segue. Il Missionario si procurerà un semplice elenco della teologia tanto speculativa che morale; per esempio: in speculativa, Trinità, errori contro la Trinità, persone, loro distinzione, errori contro il Padre, /41/ contro il Figlio, contro lo Spirito S.; Così pure in morale: Sacramento, Sacramentale, Battesimo, materia, forma, intenzione; lo stesso si dica delle materie principali della filosofia razionale; questo elenco di materie servirà per richiamare la memoria del Missionario a tutti i punti della scienza, e sarà bene che l’elenco sia fatto molto minutamente; ciò fatto, ogni giorno il Missionario dovrà trattenersi sopra un punto di dogmatica e sopra un punto di morale, quali saranno [f. 314v] sempre annunziati il giorno prima; non sarà che un semplice discorso familiare sopra la materia del giorno, nella quale il Missionario dirà solo ciò che sa; quindi domanderà agli allievi se hanno qualche difficoltà in proposito alle quali risposto, sarà finita la scuola. Il Missionario non deve sgomentarsi: per poco che dica sopra singoli i punti, dirà sempre tanto che basti per istruire gli allievi, e dar loro qualche idea teologica.

Quando poi vi saranno i rispettivi trattati in lingua del paese, le suddette conferenze non dovranno mai lasciarsi, come le più atte a imprimere gli elementi della scienza; si aggiungerà innoltre lettura e spiega[zione] quotidiana dei medesimi ingiungendo anche studio di ripetizione per certe materie più essenziali e più positive necessarie a tenersi a memoria, come impedimenti del matrimonio, interrogatorii di confessione pratica, e cose simili.

Nelle Domeniche ed altre Feste, oltre la spiega[zione] solita a farsi a tutti i neofiti si facia ancora agli allievi una lettura sulla Sacra Scrittura, sulla quale il Missionario studierà di dare le spiegazioni ed interpretazioni più certe che conoscerà. I giorni destinati per trattenimenti in materie filosofiche sono Martedì e Giovedì, nei quali giorni potrà lasciarsi la con- [f. 315r] ferenza dogmatica.

Il Missionario poi, almeno due volte al giorno deve trattenersi immancabilmente coi suoi allievi; la conferenza sua o sia di cose spirituali, o sia di cose scientifiche, o sia di cose storiche, oppure anche sia solamente sopra racconti di ciò che si fa di edificante nei paesi Cristiani d’Europa, sopra il modo che i Vescovi governano le loro Diocesi, sopra il rigore disciplinare degli Ecclesiastici, il modo con cui sono assistiti gli infermi, amministrati ai medesimi i Sacramenti, con che disciplina sono celebrate le nozze Cristiane, con che rigore e delicatezza sono allevati i ragazzi e le ragazze non solo nelle case di educazione, ma anche nelle case particolari medesime; sopra l’interiore disciplina dei Monasteri di entrambi i sessi; sopra la frequenza delle Chiese, dei Sacramenti; come si istruiscono i popoli nelle Chiese in giorno di festa, nelle quaresime; con che delicatezza e disciplina è amministrato il Sacramento della Penitenza dal Sacerdote, con quali conati e timori si accosta il penitente; la frequenza delle restituzioni fatte in confessione non solo per i rubarizii aperti, ma ben anche per i soli danni reali recati nei contratti mal fatti, o coi semplici cattivi discorsi... simili racconti qualunque siano, e che non devono mai mancare al Sacerdote che ha vissuto in Europa, e sopratutto [f. 315v] se ha esercitato un poco il S. ministero, sono una vera istruzione che rimane più impressa e suol movere i cuori più della dottrina speculativa; tanto più che non si può rac- /42/ contare un fatto senza dar ragione anche teologica o Canonica o spirituale dove occorre; per questo sistema d’istruzione dei giovani nessuno dei Missionarii Europei potendo addurre l’incapacità, si dichiara notabilmente trasgressore del suo dovere chi lo lasciasse per lo spazio di alcuni giorni; nel caso potrà servire anche di scuola, onde facilitare sempre più la medesima ai nostri Missionarii.

Nei tempi apostolici o quasi apostolici, non essendoci ancora nessuna specie di trattati teologici o scientifici, senza dubbio la scuola era fatta sempre a modo di conferenza, e l’apostolo o maestro di quei tempi istruiva raccontando in detaglio detti o fatti sentiti e veduti nelle conversazioni col D. Maestro G. C. o coi suoi apostoli; più in seguito si aggiungeva la narrazione dei fatti evangelici che risultavano dalle varie Chiese nascenti; e S. Gerolamo confessa che fra tutti i libri santi, quello che più servì a svegliare lo spirito evangelico e dar corpo al medesimo in quei tempi, fu il libro degli atti apostolici scritto da S. Luca; magis profecit Lucas scribendo hystoriam Pauli, quam Paulus ipse dicendo. [f. 316r] Noi raccontando ciò che si pratica nel mondo attualmente dai ferventi Cristiani, senza accorgercene esponiamo la parola di Dio non solo spiegata, ma pratica e praticata, cosa per una parte tutta addattata alla debolezza di questi popoli disposti, anzi bramosi di sentire una storia, e poco curanti della parola speculativa, e per l’altra, cosa proporzionata all’abilità di ogni Sacerdote predicatore, e di ogni persona che ascolta. Un grave scoglio deve avere in mira il Missionario Europeo nel navigare il difficilissimo mare del suo ministero fra i popoli selvaggi, ed è quello di volersene restar troppo isolato dai popoli che deve evangelizzare, e sopratutto dai giovani che deve formare al ministero, quasi che a forza di parola e nella parola principalmente non consistesse il loro ministero, ed i popoli dall’eccesso dell’ignoranza potessero passare alla luce dell’istruzione e civilizzazione evangelica senza sentire la dottrina celeste regeneratrice dalla bocca degli apostoli.

I titoli speciosi che potrebbero ingannare il Missionario da impicciarsi in questo scoglio sono i seguenti: 1º. La compagnia di altri Europei, per cui amerebbe la conversazione dei medesimi con pericolo di perdere l’affezione agli indigeni, come persone di un’educazione troppo bassa e troppo dif- [f. 316v] ferente alla sua, e ciò che più l’abbaglierebbe, perché pieni di pregiudizii sciocchi, ed anche di cattiverie; ciò tanto più avrà luogo, perché i poveri Europei fra di loro dovendo consolarsi reciprocamente per i dispiaceri continui che ricevono dagli indigeni, le loro reciproche esortazioni e ricreazioni medesime di lor natura raffredano il cuore relativamente agli indigeni; ma si ricordino in tal caso che non è cogli Europei la loro Missione, ma sibbene con questi ultimi, e pieni di difetti tali quali sono, e che appunto dalla conversazione coi loro Padri Missionarii impareranno ad esser buoni, si ricordino che non sono stati mandati fra i selvaggi per ricevere da loro cortesie come fra paesi civilizzati, ma sibbene come agnelli fra i lupi, per far dei lupi altrettanti agnelli, ma come medici a curare infermi e moribondi degni della compas- /43/ sione al tribunale di un cuore evangelico, e che tale è la personalità che rappresentano avanti Dio e gli uomini, e come tali ne sarà loro domandato strettissimo conto.

Il secondo titolo specioso che può allontanare il Missionario dalla conversazione cogli indigeni è il genio di leggere libri, o quello di scrivere curiosità da mandare ai dotti d’Europa. Chi legge libri più di quanto richiede il bisogno dell’attuale suo ministero e con danno del medesimo commette [f. 317r] un vero rubarizio a Dio, alle anime, ed alla Chiesa: la passione di leggere libri o scrivere cose curiose ed aliene al ministero è una passione suscettibile a diventare sregolata in tutti ed in specie nel Missionario, persona in modo speciale dedicato al servizio spirituale delle anime, in luoghi dove il bisogno è estremo, e l’elemento della parola molto prezioso. Dicesi passione sregolata e rovinosa ogni qualvolta si trova in opposizione ad impedire l’esecuzione di ogni qualunque dovere: se il Missionario perciò lascia di trattenersi cogli indigeni per genio di leggere o scrivere cose aliene dal suo ministero, è chiaro che la sua passione di leggere o scrivere diventa più che sospetta. Chi attende a leggere più del bisogno soddisfa una passione intellettuale, ben soventi anche disordinata e pericolosa, e tutto finisce nell’arrichire la propria mente di un’idea forse inutile; chi scrive per soddisfare la curiosità degli Europei getta un raggio di luce dubbia e contraddetta in faccia al sole con pericolo di perdere l’equilibrio del cuore e la tranquillità dell’animo; in tutti due i casi suole gonfiarsi il cuore ed allontanarsi insensibilmente dal suo Dio, e se simili occupazioni sono con detrimento del ministero della parola divenuta di gravissimo dovere nel Missionario, saranno sempre unite al peccato anche grave di sua natura. All’opposto chi attende [f. 317v] all’istruzione dei popoli selvaggi, coltiva un germe suscettibile a riempire il paese di felicità, e salvarlo dalla rovina; scava una fonte suscettibile di farsi un fiume da innundare e fecondare il deserto e cangiarlo in giardino delizioso popolato di piante elette. Poche parole rozze e semplici sortite dalla bocca di alcuni uomini apostolici, benché avvolte in un labirinto di prepotenti contraddizioni ed avversità da sembrare estinta e sepolta, pure bastò a rovesciare la regnante idolatria, a troncare il corso all’impetuoso torrente delle passioni idolatrate, a rigenerare tutta quanta la nostra Europa, e sopra le rovine del caduto paganesimo piantarvi una civilizzazione ricca di accademie e di Licej, sfolgorante di una dottrina e di un[’]attività da formare la meraviglia del mondo; ciò che più importa una civilizzazione che ha empito il Cielo di Eroj che hanno stupito il mondo. Il popolo Galla nello stato attuale non è capace di comprendere la sublimità della nostra Missione, ne il germe di salute e felicità, a tutto il paese, che in essa si contiene; non così però nel giorno nel disinganno finale; allora conoscerà la volontà sincera del suo Creatore di volerlo salvare; vedrà di più nel decreto già posto in esecuzione, tutti i tesori di grazie preparate, ed il germe d’infinite benedizioni per lui, anzi lo sviluppo del medesimo con tutte le felicità, [f. 318r] temporali ed eterne, pendenti dal filo del nostro zelo e della nostra parola; qual /44/ rimprovero all’Apostolo quando tutto si vedrà andato in fumo per una passioncella del medesimo; se una sol’anima andata dannata perché ad essa non è arrivata la parola del Grisostomo o per pigrizia o per incuria, sarà per lui in quel giorno il rimprovero più terribile dell’inferno medesimo, cosa sarà di tutta la nazione Galla sepolta nell’oblio temporale ed eterno, se il suo glorioso destino anderà fallito per un vano genio e capricio del Missionario, l’unico Profeta o Apostolo ad essa mandato nel giro dei secoli per richiamarla a vita[?].

Un terzo titolo specioso si aggiunge per lo più a tenere il Missionario isolato, ed è quello di non avvilirsi e mantenere cogli indigeni il decoro e la sua superiorità, quasi che la popolarità rendesse il Missionario troppo comune e poco rispettabile. Due sono le specie delle popolarità, una nobile propria delle persone grandi, generose, e forti per la quale la persona distinta si trova volentieri e soventi in contatto del popolo, sostenuto da una duplice fortezza d’animo, una per sostenere, soffrire, e pazientare la noja che cagiona la conversazione con persone di plebea educazione, e l’altra per tenersi in una sfera più alta e non lasciarsi strascinare dalle bassezze dei costumi [f. 318v] popolari e plebej. Questa nobile popolarità ben lontano dal degradare il Missionario, che anzi lo innalza, poiché da un canto lo mette al possesso dei cuori, e dall’altro canto la superiorità dei suoi costumi e delle sue parole lo veste di un carattere d’oracolo inviolabile. La popolarità che degrada il Missionario è quella con cui il medesimo si trova fra il popolo come un’individuo della plebe, per una parte senza istruire, correggere il vizio, e per l’altra con accondiscendere a tutte le sregolatezze popolari; stramangiare con chi stramangia, strabere con chi strabeve, sparlare con chi sparla, ridere sopra le licenziose facezie e simili, e sopratutto farsi conoscere uomo più debole e meno morale del plebeo, aggiungasi che in questo ultimo caso di popolarità plebea, il Missionario divenuto immorale con una condotta opposta alla sua dottrina, oltre di avvilirsi in faccia al publico e perdere presso il medesimo la sua superiorità e decoro, si avvilisce ancora in faccia a se ed al suo proprio sentimento e coscienza, non osando più ne parlare, ne gridare, ne correggere, e forse neanche più a comparire in publico.

Il Missionario adunque deve studiare una popolarità nobile e grave, come di Padre tra i suoi figli, come di maestro coi suoi discepoli, [f. 319r] per una parte sempre disposto a compatire le debolezze senza annojarsi, ne irritarsi più di quanto vuole la correzione del difetto; e per l’altra parte sempre pronto a correggere con fortezza, in modo però che compaja il semplice odio al difetto e non alla persona difettosa, ed odio tale che abbia più del disgusto o dispiacere di cuore che non durezza di volontà. Nel correggere abbia l’occhio a dar sempre ragione della sua collera, perché così correggendo istruisce ed appaga il cuore e la mente dell’uomo corretto. Ciò posto, il Missionario procuri, per quanto può di vincere se stesso, e tutti i speciosi titoli che cercano di allontanarlo dal trattenersi cogli indigeni, massime allievi; questi siano come le pianticelle /45/ dell’orto di sue delizie, coi quali egli formi quasi continua dimora, per dar loro quei tocchi che occorrono da buon giardiniere; alle volte occorrerà irrigazione d’istruzione, alle volte occorrerà tagliare vizii, sradicare abitudini selvaggie, ed alle volte occorrerà ancora di ajutare il povero terreno con fomenti di concime incoraggiando la loro debolezza e riscaldandoli col racconto di qualche storiella; tutto deve fare colla massima sollecitudine e senza tregua; non è in un giorno, ne con una predica che si fanno degli uomini grandi, ma devono essere questi frutto di grandi sollecitudini; nei tempi [f. 319v] apostolici, da queste scuole tradizionali e che ai nostri giorni sembrerebbero quasi ridicole, perché prive di certe lezioni periodiche, di certi trattati studiati, sono sortiti i grandi dottori che hanno insegnato ed insegnano ancora a noi coi loro libri, perché in queste scuole apostoliche corre la grazia per supplire all’industria, ed Iddio è che sviluppa il germe rozzamente gettato dall’Apostolo.

Fatti così gli allievi, quando occorresse di mandargli al Vescovo per le ordinazioni, dovranno, oltre la scienza della lingua latina, quella degli ordini che dovranno ricevere, ancor aver dato saggio più che probabile di una futura riuscita nello spirito evangelico; per la qual cosa si dichiara che non saranno mai ordinati se non saranno accompagnati da una dichiara dei Missionarii e Maestri nella quale si testifichi, se non altro la buona volontà d’imparare, in quanto alla scienza; in quanto ai costumi di più una dichiara di tutti i Sacerdoti di quel dato distretto. Per assicurarci di non piantare una gerarchia nomada, abbiano occhio i Missionarii nelle loro istruzioni a battere sul punto della dipendenza che il clero deve avere dalla Chiesa, dai Vescovi, e da tutti i Superiori ecclesiastici subalterni nell’esercizio del sacro loro [f. 320r] ministero; guardino d’introdurre bene nei medesimi l’idea della giurisdizione ecclesiastica non solo riguardo alla confessione, per cui si ricerca per la validità dell’atto, ma ancora relativamente alla sospensione con tutti i suoi effetti e conseguenze; procurino innoltre d’insinuare timore e rispetto per tutte le cose sacre, esatezza somma nell’esercizio di ogni benché minima funzione sacra, locchè otterrà il Missionario, dimostrandosi tale egli stesso.

Badino bene nell’istruire di far conoscere bene la differenza del precetto ecclesiastico dal divino o naturale, usando qualche volta di dispensare nel primo, previa però sempre spiegazione del potere che ha la Chiesa ed i suoi ministri legittimamente autorizzati, e della causa giustificante la dispensa. Sopratutto ciò faciano conoscere nelle materie liturgiche e sacramentali, affinché nel caso sappiano ben distinguere le cose che non patiscono interpretazione o alterazione, come materia e forma sacramentali, dalle semplici istituzioni liturgiche fatte dalla Chiesa.

In quanto al rito dovrà intendersi stabilito il rito latino; occorrendo un bisogno di stabilire altro rito, i Missionarii dovranno dare immediata relazione ragionata al Vescovo, il quale intenderà la cosa colla Santa Sede; frattanto si custodisca gelosamente il rito latino in tutte le materie liturgiche cadenti sotto precetto grave, /46/ [f. 320v] come Messa, Sacramenti, Sacramentali di precetto, ed anche salmodia per i Monaci e Sacerdoti; nei Sacramentali di secondo ordine e nelle preghiere di supererogazione, potranno addattarsi secondo il bisogno dei Paesi. Per non urtare l’opinione pubblica, nel caso si raccomanda prudenza, ed occorrendo ricorrano al Vescovo, il quale provederà la facoltà ai Sacerdoti, oppure Sacerdoti di altro rito secondo il bisogno, per le funzioni più urgenti.

Una delle cose molto delicate è la politica da usarsi coi Principi, coi quali è da mettersi in pratica il cognito detto nec prope nec procul, troppa famigliarità coi medesimi diminuirebbe la venerazione, anche nel popolo stesso, perché il Principe divenuto troppo famigliare suole abusarsi della presenza del Sacerdote, facendo ciò che non dovrebbe al cospetto di lui, epperciò colla sua approvazione, non potendo disapprovare sempre come dovrebbe le azioni del Principe. Per altra parte l’inimicarsi il Principe essendo cosa molto pericolosa in questi paesi, dove la personalità del Sacerdote non è ancora abbastanza autenticata da se, ed ha bisogno di qualche appoggio politico, ne viene per conseguenza, che il Missionario deve studiar bene la via di mezzo; il suo discorso col Principe sia sempre breve, grave, e maestoso; come sarà sempre [allor]quando il Missionario fingerà di nulla [f. 321r] sapere e nulla sentire fuorché della cose di Dio, e dell’anima, voltando con bel garbo le medesime facezie in conferenze di spirito; raramente vada dal Principe, e quando fosse chiamato troppo di spesso, oppure cercasse di trattenerlo più del dovere non abbia rossore di addurre motivi del suo ministero o dovere religioso per sbrigarsene. Ciò che si dice del Principe si dica ancora di tutti i grandi, quando cercassero pura conversazione col Sacerdote, anzi di tutte le categorie in proporzione. Quando il Sacerdote sarà conosciuto per un uomo di Dio che non ama le cose del mondo, sarà rispettato e lasciato in santa ed imponente libertà.

Si guardino ancora gelosamente del mischiarsi in affari di politica per non compromettere ne la loro persona, ne la causa della Missione; il Missionario anzi deve mettere per base e far conoscere a tutti essere affatto opposta la sua missione ed il suo genio; ciò ottenendo, qualunque crisi politica che succeda nel paese sarà mai a carico ne di lui, ne del suo ministero, e la sua sacra posizione gli servirà come di asilo da metterlo al riparo d’ogni sconvolgimento politico. Vi sono dei titoli talmente speciosi che sogliono inviluppare il Prete nella politica del paese, che alle volte potrebbe sembrare anche un dovere di carità e di giustizia. Il raccomandare uno al [f. 321v] Principe per un impiego, il voler prendere le parti non solo giuste ma anche di certo dovere per un altro minacciato di perderlo, il cercare di cambiare un impiegato per motivi anche patentemente interessanti la religione, sono queste operazioni, per le quali il Sacerdote potrebbe essere anche sollecitato dal suo zelo, eppure nel fondo sono cose molto pericolose di trovarsi sbilanciato in faccia al pubblico ed al Principe, perché tutte queste persone hanno il loro partito, e non si possono intavolare simili operazioni /47/ senza inimicarsi ora un partito ora un altro, ed inimicato venendo a dominare si farà sentire contro il Prete per vie giuste o ingiuste poco importa. Simili cose sono pericolose in Europa, tanto più in questi paesi, dove i Principi sono despoti assoluti che vedono con sospetto anche la sola amicizia e famigliarità coi grandi.

Anche il cercare l’amicizia del Principe e dei grandi con regali più di quanto vuole una vera necessità è una cosa sommamente da schivarsi. Incominciato il sistema dei regali finisce per lo più per diventare un tributo insopportabile, ed un germe d’inimicizia con quello o con altri Principi o impiegati. L’ingordigia di questi paesi dice mai basta, ed una volta accostumati a [f. 322r] prendere hanno sempre un nuovo desiderio da spiegare; contentato uno, come non si possono contentare tutti, colui che si riceve una negativa spiegherà subito la bandiera nemica. In questi paesi lontani dove a gran pena possiamo far venire di che vivere, e le nostre sostanze sono spese una parte nella paga di uomini, ed una parte rubate in strada, avvi ben di che a calcolare prima di mettere usi di regali vistosi.

Si stabilisce adunque che non si possa regalare più di chitab ክታብ kətab dall’arabo كتاب kitāb “libro”: amuleti, im genere rotolini di pergamena con formule magiche, venivano appesi al collo con altri ornamenti una collana di chitab con alcuni gennetò particolari, quando si tratterà di un benefattore da cui poter fare qualche capitale, oppure un anello d’argento; chi regalerà di più senza licenza si dichiara che avrà disubbidito in materia sostanziale. I regali maggiori che si faranno con licenza si debbono sempre fare a nome del Superiore e della Missione per non essere obbligato a nuovi regali ogni movimento che farà un Missionario. In Gaffa, dove nessuno Europeo è ancora arrivato, e dove i Preti etiopici, non solo non facevano regali, ma andavano bisognosi di tutto, nulla si possa regalare senza licenza particolare, e ciò sempre a nome del Vescovo per far conoscere la gerarchia a quel paese uso a vivere affatto emancipato; come Caffa s’intendono regolati tutti i paesi, dove non sono arrivati gli Europei.

Il caso più scabroso per il Missionario è quando [f. 322v] in un paese incominciando a farsi sentire la parola, qualcheduno massime persone di rango, bramassero di essere battezzate senza tutte quelle disposizioni ai sacrifizii di mogli e di superstizioni nelle quali sono abituati; ciò tanto più in Caffa, dove la popolazione si crede cristiana, sanzionata la corruzione colà da tutti i Preti eretici che hanno preceduto.

A questo riguardo si raccomanda somma prudenza, per una parte affinché non occorra d’irritare gli animi sino ad una totale rovina, cosa molto facile ad accadere principalmente in Caffa dove vi sono abitudini di Religione Cristiana precedente; e per l’altra onde non prostituire il sacro ministero e l’oracolo della verità. Il Missionario abbia sopratutto in vista di coltivare la gioventù meno schiava di abitudini antiche, e cercarsi fra la medesima di crearsi un popolo in tutto il rigore della legge Cristiana. In quanto agli adulti invecchiati nelle corruzioni dovrà prendere un sistema di tolleranza puramente negativa, cioè non pretendere più di quanto può la debolezza /48/ del selvaggio: senza mai tacere la verità, non facia violenza a nessuno abusando alle volte del vento che potrà favorirlo qualche momento; nel spiegare la legge Santa di Dio come è, sulla pratica sia più facile ad esternare la sua compassione [f. 323r] ed il suo dolore che la sua collera sulla corruzione dell’individuo; il minacciare e castigare è proprio di quel Sacerdote già collocato in trono da un credito e da un sistema di cose stabilito, non di chi s’introduce e cerca di farsi largo fra la corruzione infedele e selvaggia. Se nel ministro di Dio in ogni luogo è più da lodarsi il senso di compassione per il peccatore a preferenza di una collera indiscreta, tanto più lo deve essere in questi paesi dove è mai arrivata la parola di Dio, e più di altrove in Caffa; dove col mancare la parola di Dio la corruttela è stata di più autenticata dai Sacerdoti medesimi da loro creduti oracoli, eppure figli dell’errore e di una corruzione infernale.

Iddio ha dato una latitudine di 40 anni, dopo i quali solamente la legge evangelica divenne obbligatoria, e mortifera la Mosajca, perché ogni legge debbe essere promulgata, e la crisi morale di una nazione deve essere figlia della persuasione che non si ottiene in poco tempo e con poche prediche; vorremo poi pretendere noi di vedere cangiati i cuori di una nazione al primo comparire della nostra predicazione? Il selvaggio sia dunque istruito indefessamente, compatito generosamente, e lasciato perfettamente tranquillo senza molestia alcuna; quello poi che bramasse partecipare dei tesori dipendenti [f. 323v] dal nostro ministero, non sia ammesso, se non farà tutti i sacrifizii che occorrono; frattanto occorrendo che qualche deboluccio, massime persona di riguardo volesse o pretendesse il battesimo, per non disgustarlo gli si potrà dare una benedizione, e con quella potrà essere annoverato fra i catecumeni e considerato come cristiano fino a tanto che sarà in caso di ricevere il battesimo ed ulteriori Sacramenti. Nei tempi apostolici la Chiesa tollerava alcuni nello stato di catecumeno anche 20. e 30. anni, e qualche volta sino alla morte, appunto da supporsi per le difficoltà che si trovano in questi paesi pagani e selvaggi: noi qui siamo perfettamente nelle circostanze dei tempi apostolici, anzi più compatibili le nostre, perché allora i paesi evangelizzati dagli apostoli avevano il veicolo de’ libri, e si trovavano in paesi di società stabilita; laddove qui troviamo l’uomo privo di tutti questi adminiculi, ed in uno stato d’isolamento e di corruzione selvaggia, che sa dar il valore a nessuna ragione di qualsiasi specie.

In questi casi scabrosi, affinché tutti i Missionarii tengano il medesimo linguaggio di compassionevole tolleranza, potranno così esprimersi, come nelle seguenti supposizioni. 1º. Occorrendo che qualcheduno (massime persona di riguardo che potrà fare del bene alla Missione) bramasse il battesimo [f. 324r] e nel tempo stesso si scorgesse poco disposto a lasciare la poligamia, si potrà maneggiare come sopra accettandolo come catecumeno, e gli si potrà dire = voi in qualità di catecumeno sarete come tutti gli altri Cristiani figlio della Chiesa, solamente non potrete ricevere i Sacra- /49/ menti; frattanto Iddio colla sua grazia renderà facile non solo quello che ora vi sarebbe troppo difficile, ma delizioso ancora, e talmente da voi desiderato che non potrete resistere al movimento della grazia del Signore venuta nel vostro cuore; voi allora sarete come sono tanti altri Cristiani i quali sentono nel loro cuore un vero sdegno per tutte quelle cose che non sono secondo la legge di Dio, ed arrossiscono [di] queste passioni per le quali diventano simili alle bestie [=].

Diverso poi è il caso di regolarsi quando queste persone domandassero da noi e dal nostro ministero azioni o funzioni superstiziose. Tunquaj ጠንቋይ ṭänqʷay mago, indovino Saul e la pitonessa di Endor → 1 Samuele 28 Se queste fossero semplicemente medicine, predizioni del futuro, o altre simili usate dai così detti Tunquaj, alle persone capaci di ragione si dovrà addurre la proibizione espressa di Dio adducendo loro qualche fatto della Scrittura come quello di Saulle colla pitonessa, ed altri simili quasi infiniti; a quelli poi che nulla capiscono si possono usare paliativi, tali però che [f. 324v] nulla abbiano di superstizioso, ne atto per se a confermargli nelle loro superstizioni, come medicine reali, vere benedizioni e predizioni generali fundate sulla rivelazione, come lunga vita a chi onora il genitore, vittorie a chi confida in Dio, salute e prosperità a chi osserva la continenza e temperanza cristiana, ed anche fecondità di figli a chi viverà con la legittima moglie; minacciando il contrario ai trasgressori; questa sarà una vera maniera di profetare conveniente al Missionario, al quale investito di Spirito di Dio, non mancheranno espressioni cortesi e saggie da appagare i voti di questi deboli, affinché mantenghino il loro credito ai Sacerdoti senza compromettere la gravità del loro ministero. Il pretendere che questa gente guidata da un costume anticamente stabilito e legittimato dai Preti medesimi, trunchi il filo alle sue superstizioni alle prime parole del nostro ministero, è una vera schioccheria; ciò avrà luogo solamente quando il credito dei nuovi Missionarii sarà stabilito; fa duopo perciò compatire, e frattanto giuocare di S. industria per non distruggere l’elemento di credito ai Sacerdoti, aumentarlo anzi più che si può con appagare le loro brame senza contraffare alla legge S. di Dio, anzi con elementi che portano alla [f. 325r] medesima. Il bisogno che provano i nostri grandi ragionatori e sodi filosofi di ricorrere al sopranaturale a spiegare quelle cose alle quali la ragione loro non arriva, è quello stesso che provano questi popoli, nudamente istruiti e guidati dalla religione, di ricorrere al sopranaturale superstizioso in tutte le cose per le quali non può arrivare la loro industria; dal momento che si veggono appagati in qualche modo si tranquillizzano; nel compatirgli perciò si guardi il Missionario da un’aria di troppo disprezzo e mordente, perché fino a tanto che non sono ragionati il disprezzo cadrebbe sul sistema sopranaturale da loro creduto legittimo, ed avrebbe un’aspetto d’incredulità detestabile alla loro erronea coscienza.

Diverso e più delicato sarebbe il caso, quando occorresse di dover concorrere con funzioni ecclesiastiche formali, come la sepoltura ecclesiastica a persone forse neanche battezzate e supposte tali /50/ dall’opinione pubblica, alle quali secondo l’uso, sarebbe dovuta e troppo scabroso il negarla.

A questo proposito dirò la legge di Dio e della Chiesa quale è, ed esporrò il mio sentimento pratico, onde facilitare una prudente sortita da simili impicii.

Iddio proibisce ai ministri del vero culto di [f. 325v] [non] approvare ne direttamente ne indirettamente, ne con detti ne con fatti, solenni o privati che siano, le funzioni di un culto superstizioso e falso qualunque egli sia anche Cristiano: che io sappia, la proibizione di Dio non va più avanti, ne discende a specialità, fuori di quelle che si conoscono proibite nel Vangelo relativamente agli idolatri, ed alle osservanze legali Mosajche; quali però devono servirci di norma.

La Chiesa poi, [è] come Maestra pratica ed unica giudice competente in queste materie. Nel caso delle sepolture le specialità stabilite dall’oracolo della Chiesa sono le seguenti segnate dal Rituale Romano come segue.

«Negatur Ecclesiastica sepultura Paganis, Judaeis et omnibus infidelibus, haereticis, et eorum fautoribus, apostatis a C[h]ristiana Fide, schismaticis, et publicis excommunicatis excommunicatione majori, interdictis nominatim, et iis qui sunt in loco interdicto, eo durante. Seipsos occidentibus ob desperationem vel iracundiam, (non tamen ex insania) nisi ante mortem dederint signa poenitentiae. Morientibus in duello etiamsi ante obitum dederint poenitentiae signa. Manifestis et publicis peccatoribus qui sine poenitentia perierunt. [f. 326r] Iis de quibus publice constat quod semel in anno non susceperunt Sacramenta Confessionis et Communionis in Pascha, et absque ullo signo contritionis obierunt. Infantibus mortuis absque Baptismo. Ubi vero in praedictis casibus dubium occurrerit, Ordinarius consulatur». Ita Rituale Romanum.

Ciò posto la nazione Sidama che nutre un sentimento invitto di essere cristiana benché guidata da un’ignoranza che si deve calcolare più che invincibile, dal momento che riceve i Preti Cattolici e si mette nelle loro mani in quanto alla magistratura in materia di fede, prima che abbia potuto sentire l’influenza del ministero Cattolico, per cui naturalmente ci vuole tempo materiale, resta a vedere se possa venire contemplata in qualche clausula delle proibizioni sopradette fatte dalla Chiesa per la sepoltura ecclesiastica, quando occorresse la morte di qualcheduno, a cui senza malizia di renitenza alcuna non sia arrivato il ministero del Prete.

Lasciando da una parte le clausule che in nessun modo entrano nel caso nostro; videndum se la nazione Sidama nel supposto caso, debba entrare nella proibizione fatta per i pagani, per gli eretici e scismatici, o in quella semplicemente degl’infanti morti senza battesimo, oppure debba ridursi la ques- [f. 326v] tione presente puramente disciplinare al caso dei catecumeni morti senza battesimo, per i quali la cosa sarebbe molto diversa.

La nazione Sidama nella supposizione sopradetta non dovrebbe /51/ considerarsi come semplicemente Pagana, atteso il sentimento cristiano stabilito, per il quale si potrebbero supporre alcuni talmente disposti di piuttosto incontrare qualunque perdita che passare all’infedeltà nel loro senso concepita; in quanto alla mancanza del Battesimo, avendo l’idea stabilita del medesimo, la persuasione di averlo ricevuto, potrebbe equivalere al voto di riceverlo; essendo per loro tutto il resto pura ignoranza invincibile, per cui o in tutto o in parte è applicabile al caso pratico la morale sull’infedeltà puramente negativa di quelli ai quali la dottrina di Cristo non è arrivata, quale non è peccato. Per il fermo sentimento Cristiano, e per il Battesimo in voto che si potrebbe supporre come sopra non potrebbe avere luogo la clausula proibitiva fatta per gl’infanti morti senza Battesimo. Che poi la nazione Sidama nel supposto medesimo non debba considerarsi come eretica o scismatica. Sarebbe ancor più chiaro, quando per l’oracolo di chi la rappresenta si rimettesse ciecamente alla Magistratura dei Preti [f. 327r] Cattolici. La questione presente perciò dovrebbe ridursi semplicemente alla posizione e caso di un catecumeno morto senza Battesimo improvvisamente e senza sua colpa, nel quale dovendosi supporre il desiderio, benché il Rituale nulla dica, la Chiesa non nega sepoltura ecclesiastica; per lo meno la questione dovrebbe considerarsi dubbia lasciata all’arbitrio dell’Ordinario.

La proibizione di Dio al Sacerdote di concorrere formalmente alle funzioni di un falso culto, non avendo luogo nel paese Sidama, perché il culto di esso come nazionale, essendo nelle mani de’ Preti Cattolici, non è più culto falso o eretico. Le molte proibizioni della Chiesa inflitte per la contumacia del peccatore non avendo parimenti luogo in paese Sidama nell’unico caso supposto. Dubitandosi finalmente se nel caso nostro il defunto debba considerarsi come pagano, o come eretico, o come semplicemente morto senza Battesimo: onde levare da ogni angustia il cuore del Missionario che potrebbe trovarsi in simile caso si dichiara.

1º. Venendo a morte di quelli ai quali non è arrivato il nostro ministero, non siano cercati per la sepoltura ecclesiastica, ne per altri diritti che potrebbero competere al Sacerdote, non si [f. 327v] proibisce però di ricevere ciò che spontaneamente venisse donato in simile occasione.

2º. Occorrendo di essere cercati per la sepoltura ecclesiastica de’ medesimi, se non saranno di coloro che abbiano protestato contro di noi, oppure negato di ricevere il nostro ministero; constando semplicemente aver dato segni di sentimenti religiosi e cristiani prima di morire, possano accordare loro la sepoltura Ecclesiastica, secondo l’uso antico, e nulla più, concorrendo anche il Sacerdote nostro a benedirla, se ciò sarà di uso.

3º. Potendo introdursi la sepoltura Ecclesiastica con le solennità prescritte dal Rituale latino, questa si riservi per quei soli che moriranno nei termini Cristiani, ricevendo i Sacramenti della Chiesa.

Le presenti istruzioni ai Missionarii Europei, dovranno leggersi /52/ dai medesimi in comune nelle Solennità seguenti[:] Pasqua, Pentecoste, Natale ed ogni volta che crederà il Superiore.

Assandabo – Gudrù 16. Marzo 1854.

† Fr: Guglielmo Massaja Vescovo di Cassia
Vicario Apostolico dei Galla

F: Felicissimo da Cortemilia
Segretario Cappuccino