Massaja
Lettere

Vol. 2

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Al padre Venanzio Burdese da Torino OFMCap.
ex ministro generale – Moncalieri-Testona

P. 120Rev. P. Lettore mio amatissimo

Lega-Amara – Gemma 18. Novembre 1855.

Non so il perché, tutta l’Europa è un silenzio con me da quattro anni: anche V. P. Rev. e sempre carissima non vuole degnarmi di qualche sua veneratissima? Forse mi credono morto? Non faccio che scrivere lettere e gridare che sono ancor vivo, eppure credo che già mi abbiano fatto i funerali, perché più nessuno pensa a me. Qualora abbiano già celebrato le messe per l’anima mia, profitteranno al mio corpo, e si degneranno ripeterle fra poco. Per ora mi degnino di una risposta, perché sono ancor vivo, ed ho già fatto una quantità di figli, che perpetueranno la mia memoria.

Va a compirsi il terzo anno del mio [p. 121] ingresso nei paesi Gallas, e già mi trovo con quattro grosse case e chiese, lontane mesi di viaggio fra loro. Sono otto mesi dacché è partita la spedizione per Caffa. Ricevo ogni giorno notizie volanti di grandi cose che si fanno colà, ma ancora non ho ricevuto relazione formale comunicabile dal P. Cesare, nominato prefetto di quel regno: tanta è la lontananza, o meglio la difficoltà di comunicazione fra noi. Il P. Felicissimo è prefetto della Missione in Ennerea, la quale conta circa mille cristiani, alla quale ho spedito ieri regolamenti relativi alle sepolture e matrimoni. Io mi trovo qui a Legamara con più di mille cristiani, dove si è benedetta solennemente la chiesa nel giorno 29 di settembre, perché dedicata a S. Michele. Sono occupatissimo ad istruire allievi per il sacerdozio. Dopo avere insegnato la filosofia e la teologia molti anni, faccio qui scuola dell’alfabeto e delie sillabe: quindi del catechismo, della morale nell’accademia, o università curiosa, nuovamente eretta nei paesi Galla. Faccio ancora lo stampatore, scrivendo in istampatella libri e manovali di scuola e dei sacramenti: faccio il sarto, cucendo ed insegnando a cucire [p. 122] le vesti di chiesa: faccio ancora lo scarpellino lavorando pietre sacre. Non basta: riesco ancora mediocremente nel mestiere di ciabattino, facendomi i sandali...! E qualora ciò sia poco, dico che faccio anche /84/ il medico, e tra vivi e morti, il certo si è che ho un gran concorso, e vorrei avere medicine in quantità, che potrei fare gran bene anche alle anime.

Un sol mestiere non mi è riuscito: per mancanza di carta, mi era posto a fare il conciatore di pergamene, e ne ho guastate molte. Per fortuna che mi arrivò un poco di carta, del resto l’avrei passata molto male. Mi mancava solamente di fare il mestiere di soldato, ed anche questo dovetti fare ultimamente, ma in modo che sono subito diventato generale d’armata. Ed ecco come: arrivato qui in Legamara in tempo di guerra, tutti i signori vennero a trovarmi, raccomandandosi a me per guadagnare forza e battere i loro nemici. Risposi che essendo io padre anche dei nemici, non poteva pregare Dio contro i miei figli, e presi occasione per esortarli alla pace: si misero nelle mie mani: ho mandato i miei preti a proporre la pace, e poco loro mancò di essere uccisi. Come sono stato decorato [p. 123] del titolo di capo del paese, ho dovuto prendere parte attiva, e parlamentare un migliaio di soldati. Quindi feci piantare tanti croci sulle frontiere con gran solennità. E come qui tutto è superstizione, tanto bastò per ispaventare i nemici, ed al momento che scrivo, un mese dopo, con sorpresa di tutti è cessata la guerra, e già incominciano le trattative di pace. Così vanno le cose di questi paesi, così andò a finire il povero Fr. Guglielmo fatto vescovo.

Le bacio le antiche mani, che mi fanno sovvenire le tante sollecitudini di lei per me... ed abbracciandola nel santo crocifisso, sono

Di V. P. Rev.

Studente Aff.mo
† Fr. Guglielmo Massaia
Vesc. Cappucc.

P. S. Mi faccia la carità di fare pervenire le mie notizie es saluti a tutti i religiosi fratelli della provincia, segnatamente al P. provinciale, definitori ed amici, fra i quali il P. Medico, ed [p. 124] i miei studenti, senza dimenticare i miei parenti, ai quali lascio al di lei cuore scrivere quelle espressioni di consolazione che crederà. Dica a tutti, che lontano sono bensì di corpo, ma molto vicino di cuore, e che sciolta questa miserabile carne in un volo ci abbraccieremo con Dio.