Massaja
Lettere

Vol. 2

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1856

206

Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 1156rEminenza Reverendissima

Gemma – Legamara 8. Decembre 1856.

Dopo il mio ingresso in Gudrù in Novembre 1852. più volte Le scrissi informandoLa delle cose di questa Missione, ma siccome finora nessun riscontro affatto ho ricevuto, mi fa temere che tutte le mie lettere siano andate perdute. In Giugno di quest’anno mi veniva da Massawah un corriere con molte lettere, e con cento talleri per il vitto, di cui mi trovo nell’estrema necessità, e questo corriere fu spogliato di tutto qui sui confini di Gudrù e di Gemma, e ciò da un traditore Cristiano, a cui io per l’avanti aveva appoggiato tutte le mie corrispondenze – Forse risposte le più interessanti che io aspettava dalla S. Sede sono rimaste nelle mani del ladro –

Prima di tutto debbo avvertirLa che tutte le autorità straordinarie accordatemi da Gregorio XVI. di felice memoria, sono tutte quante spirate in Maggio scorso, ed attesa la difficoltà di comunicazione colla S. Sede, credo potermi servire delle medesime, tanto più che scrissi più volte, e debbo sperare che la concessione sia venuta e perdutasi in via – Alcune facoltà mi sono tanto necessarie, che senza le medesime potrei subito chiudere la mia spirituale bottega, come fra le altre quella di poter dispensare sull’affinità in primo grado di linea collaterale, perché qui è legge del paese l’ereditare la moglie [f. 1156v] del defunto fratello; supposto anche tutto il rigore possibile nel non accordare simile dispensa a chi cerca contrarre de novo, coloro che hanno contratto prima meritano qualche compassione, e questi non sono pochi. Non solo questa facoltà, che è possibile alla Chiesa di Cristo, ma quella ancora che Iddio accordò ad Abramo, se io l’avessi potrei salvare molte anime di più, attesoché la poligamia è terribile in questi paesi; ciò Le dico per far conoscere il paese dove Iddio mi ha mandato a predicare la Sua parola – Due giorni fa mi accadde una storia molto espressiva, quale, benché ridicola, la riferisco per farLe conoscere il paese: qui i gatti sono molto preziosi e rari; nella casa d’un mio vicino avvi un gatto maschio, e vengono da lontano a portare qui le femmine per la razza: venne l’altro jeri un Cristiano il quale ha una femmina, e l’ho pregato di darmi un gattino quando la gatta sua avrebbe partorito, perché sono tormentato dai sorcj; volentieri, mi disse, ma non trovo maschio per la mia gatta; portala qui al mio vicino, gli dissi, ed io la nutrirò qualche giorno; Dio mi liberi, /94/ egli disse, la mia gatta e questo gatto sono fratelli uterini, e non conviene – dimodoché questo sciocco restò scandalizzato dal mio detto... briccone!, gli dissi tu hai due mogli sorelle uterine e non temi, ma poi temi del gatto? Ora lascio a Lei argomentare in quali paesi sono, e se bastano le autorità del S. Padre – Non manchi perciò di mandarmi tutte le facoltà che potrà ottenermi.

Premessa qualche lepidezza, passiamo ora alla storia dolorosa della Missione, storia che mi costa molte lacrime da un anno a questa parte, e finirà per mandarmi al sepolcro – [f. 1157r] Sono diciotto mesi compiti dacché partì di Limu la spedizione per Caffa, composta di due Sacerdoti, due ragazzi studenti ed un Servo – Alla testa di tutti aveva posto il P. Cesare da Castelfranco, a cui, per causa della lontananza e difficile communicazione, ho conferito tutte le facoltà che ho comunicabili, aggiungendovi il titolo di Prefetto di tutto [il] regno Sidama, onde animarlo ad incomminciare con energia l’operazione apostolica in quel paese, dove io contava di consacrarlo Vescovo mio coadjutore (all’arrivo delle credenziali che io aspettava dalla S. Sede per lui, e V. Em: ben sa); tutto ciò non bastando, onde animarlo di più nella sua partenza, e cercando anche di spingere il suo amor proprio, pensando che è uomo, bisognoso di spinta di ogni genere, non ho lasciato di lasciargli intendere questi miei calcoli... Chi avrebbe mai creduto che detto P. Cesare, il quale nel breve tempo che abbiamo passato insieme mi diede sempre dei saggi da crederlo il migliore fra i tre compagni ricevuti dalla S. Congregazione, dovesse essere un solenne ipocrita traditore? qui prostrato ai piedi di V. Em: e della Santa Sede con lagrime di sangue domando perdono della mia scioccagine nel non aver conosciuto simile ipocrita, e di averlo proposto per la Consacrazione al Vescovado... benché io non abbia ancora documenti da giudicarlo definitivamente e canonicamente per solenne traditore e spergiuro, perché tra qui e Caffa avvi gran difficoltà di communicazione diretta, pure stando alle notizie del volgo, ed ai gravi motivi che ho di sospettare, il P. Cesare ha tradito solennemente ai doveri del suo ministero, e pare arrivato all’eccesso di aver preso moglie come fecero gli antichi preti Abissinesi – queste mie asserzioni sono appoggiate alle dicerie del publico, delle quali il paese ne è pieno con gran scandalo di questi nostri neofiti, [f. 1157v] fra i quali, quanto è stato finora di edificazione il celibato e la continenza dei Sacerdoti nostri, altrettanto ora è di scandalo la prevaricazione del suddetto Padre; noi siamo divenuti il vituperio persino dei mussulmani, e sarà questa una piaga terribile nel cuore dei nuovi aspiranti allo stato clericale.

I motivi che ho da credere reale ciò che si dice dal volgo sono molti – 1. Relazione reiterata di persone direttamente venute di Caffa in Limu, come potrà vedere da una lettera del P. Felicissimo che qui acchiudo; le relazioni però sono contradittorie; alcuni dicono che abbia realmente preso moglie, e che per questa ragione siasi disgustato col Re, il quale avendogli proposto una di sua parentela, /95/ la ricusò, e poi prese un’altra offertagli da un grande del regno; altri al contrario dicono, che abbia una sola schiava in casa nascosta, e che il matrimonio sia solamente progettato. 2. Secondo me, il documento che prova più di tutto è l’assoluto silenzio del P. Cesare con me dopo la sua partenza; io gli scrissi cinque lettere monitorie, prima paterne e poi monitorie in forma, nelle quali, se egli non si sarebbe giustificato, io lo denunziava come scismatico e spergiuro, ma egli nulla mi rispose affatto; potrebbe addurre mancanza di occasioni, ma sono venute di là parecchie persone, ed in specie quelle mandate dal Re di Limu ad accompagnarlo, per le quali mandò al P. Felicissimo la lettera qui compiegata e misteriosa, dalla quale incominciarono i miei dubbj, e nella quale si degna neanche di salutarmi. 3 Le espressioni che si trovano nella lettera suddetta diretta al P. Felicissimo, l’unica che abbiamo ricevuta = ne Monsignore ne altro Vescovo avrà mai alcuna influenza sui missionarii di Caffa... il Prete di Caffa ed il Vescovo dell’Abissinia è la stessa cosa... Se avesse detto ne Monsignore ne altro avrà mai alcuna influenza sul paese di Caffa, potrebbe interpretarsi come risposta alle incombenze di trattative di cui è incaricato, ma dicendo sui missionarii di Caffa, e non essendovi altro missionario colà [f. 1158r] fuori del P. Cesare e del P. Giacomo, pare che con queste espressioni volesse indicare il suo piano ribelle, che finora ha provato coi fatti; V. Em: leggendo questa lettera sua potrà vedere ancora certe altre espressioni poco soddisfacenti; noi qui fra gli idolatri abbiamo di che fare per sostenerci per non essere espulsi, egli colà avendo trovato buon’accoglimento, patrimonio ecclesiastico e tutto ciò che desidera, come interpretare quelle altre espressioni che dicono esservi nessuna speranza di ministero in Caffa; forse pretendeva trovare Cristiani perfetti senza fargli? è molto che il missionario sia ben accolto, tutto il resto deve pensare a farselo; per questo è partito dai suoi paesi – Finalmente il quarto motivo che ho da credere reale la prevaricazione del P. Cesare, è una piccola letterina del P. Giacomo suo compagno, quale, benché non molto perito a scrivere, in due tre linee che mi scrisse in lingua amara, esprime un certo quale dolore che non sa spiegare, ma che dice abbastanza; le notizie poi di questo buoa prete indigeno sono finora molto consolanti; egli pure, interrogato dal Re se voleva prender moglie rispose da vero apostolo in modo che si seppe da tutti – La mia sposa è la croce, prima dovete pensare ad affiggermi sulla medesima come il mio Signore.... e dalle notizie ultime pare che perciò il rispetto per questo buon Sacerdote abbia incominciato a voltarsi, poiché il consiglio di stato ha proposto di prendere la metà dei beni ecclesiastici dati al P. Cesare, e darla a lui; che Iddio conservi la sua costanza, benché mi si dica che il P. Cesare facia tutto per voltarlo, ed il poveretto novello Sacerdote senza istruzione abbia bisogno dell’Europeo traditore per la scuola –

Posto ciò io mi trovo nel bisogno di riparare lo scandalo gravissimo fra i neofiti, e pensava di procedere ad una sentenza di /96/ deposizione e di scomunica contro il P. Cesare, subito che avrò potuto avere documenti un poco più certi, e quindi far publicare detta sentenza in tutti i luoghi, dove [f. 1158v] vi sono dei nostri Cristiani, particolarmente qui in Legamara, in Nonno, ed in Limu; poscia mandarne coppia al delinquente, al P. Giacomo suo compagno, ed al Re di Caffa, ed anche a Monsignore De-jacobis, perché non tarderanno le notizie a fare un chiazzo anche là, per la gran quantità di negozianti che circolano – Questo è il mio piano; se fossi in altro luogo più vicino non farei questo senza prima ottenere una risposta della S. Sede, ma qui cosa debbo fare, se in quattro anni ancora non so se le mie lettere siano arrivate a Roma? per altra parte mi trovo qui isolato senza una persona da potermi consigliare, e senza un solo libro canonico di guida. Dal momento che incomminciarono i miei timori a questo riguardo, io sono divenuto vecchio, i miei cappelli sono diventati bianchi come questa carta, ed ho dei momenti così tristi, che il pensiero della morte è l’unico mio ristoro. Le cose erano così bene incamminate, che fra pochi anni sperava gran cose; tante erano le mie speranze che le fatiche e le pene di ogni genere mi erano undivertimento; questo fatto mi turbò ogni cosa e sopratutto abbatte talmente il mio cuore, che non ho più coraggio a nulla – Se io ho qualche colpa in ciò è certamente quella di avere precipitata la spedizione a Caffa, e di non aver preso alcune precauzioni da impedire simile scandalo. Quando partì la spedizione dal Gudrù per Caffa era composta di due Sacerdoti Europei, dei quali P. Felicissimo doveva recarsi a parlamentare il Re a mio nome, e prese col medesimo le dovute intelligenze, doveva ritornare a me; ai due Sacerdoti Europei aveva aggiunto il P. Ajlù Michele, persona dottissima nei libri Etiopici e uomo di petto, quale avrebbe bastato a mettere in soggezione il P. Cesare; ma essendosi la spedizione fermata un’anno in Limu, dove si aprì una Chiesa e si fecero molti Cristiani, dovetti tagliare la spedizione per Caffa, e mandare colà il solo P. Cesare; le minacie del principe Abissinese d’invadere questi paesi, fece che [f. 1159r] ho dovuto pensare ai paesi di qua ed a me, e così fui ancora costretto a fare il cangio del P. Ajlù Michele nel P. Giacomo, neo Sacerdote fervidissimo, ma timido ed ancora bisognosissimo di scuola; così il P. Cesare restò senza briglia in luogo, dove è come un Principe ed io non posso raggiungerlo – La ragione poi per cui ho precipitato la spedizione suddetta era per avere un paese Cristiano di appoggio, dove avrei potuto contare persino sopra i mezzi di sussistenza per questa missione, perché là il patrimonio ecclesiastico è molto forte e basterebbe per mantenere tre o quattro case di qua, aspettando di più, qualche impostore Abissinese mi avrebbe tagliata la strada – Se il P. Cesare fosse uomo questa missione sarebbe assicurata per sempre; Caffa era un gran punto su cui si fondavano i miei calcoli; ora diventerà forse nostra nemica.

Perduto il punto di Caffa le speranze di questa missione sono diminuite della metà; in tutti gli altri paesi Galla si può fare e si /97/ fa realmente del bene, ma vi vuole gran pazienza, e non potremo mai tentare un’operazione clamorosa per mancanza di elemento sociale; qui si deve lavorare prima di tutto a distruggere prima di tutto i pregiudizii del paese che ci sono contrarii, quindi pensare a farsi un credito, e poscia creare tutto de novo in letteratura, in società, ed in tutto – Qui il paese tutto attribuisce a prestigio ed a magia; una mortalità, una grandine, la morte di qualche persona di riguardo, una disfatta in guerra, la fame, tutto ci fa temere, perché tutto essendo prestigio, tutti si rivolgono a noi e sogliono attribuire ogni male a quell’essere straordinario mai veduto in paese – Dopo tutti questi timori io debbo far scuola di ogni genere se voglio vedere qualche cosa di fatto, e lavorare colle mie proprie mani se voglio fare la Chiesa e qualche commodità di casa –

Ciò non ostante, dissi, che si è fatto e si fa qualche cosa; i battezzati da noi in Gudrù, in Lagamara, in Nonno, ed in Limu passano certamente i quattro cento; compresi i battezzati in Abissinia contiamo più di tre mille Cristiani, dei quali non so se potrò contarne [f. 1159v] cento che incomminciano confessarsi; quindi ho tre preti indigeni: un Suddiacono, un Accolito, due Lettori, due Ostiarii, e quattro altri giovani scuolari; tutto ciò si è fatto da Dio in quattro anni; dopo cosa si farà non lo so, massime dopo questo scandalo – Io stanco, e pieno di malinconie sono tentato ogni momento di ritornarmene in Europa, ma il timore di Dio mi è presentemente una catena insupportabile a questo riguardo... Iddio mi custodisca... Dopo tutte queste tribulazioni il Signore mi vuole provare ancora colla fame; sono presto tre anni che non ho ricevuto più nulla da Massawah per le difficoltà di communicazione colla costa – Sono straciato come un verme, pieno di vermina, quale ora vado io nettando nei momenti di riposo, ma quando sarò decrepito e non potrò più farlo, non so chi mi farà questa carità, perché il paese conta per nulla queste cose; così sono le cose del Vescovo di Cassia, L’assicuro ben purgato... Iddio conti questa cassia che prendo giornalmente, dopo l’ordinazione del gran Medico che mi ha fatto in Roma, in purga dei miei peccati – Se non avessi questa Cassia in corpo potrei fare qualche scappatina di più, come han fatto alcuni dei miei, ma quel benedetto Gregorio di fel: Mem: me ne ha dato una dose piuttosto grossa, ed il S. Padre attuale prosegue l’ordinazione, e non pensa a darmi un poco di riposo – Sia per amor di Dio la sua santa carità... così mi insegnò a rispondere un Sant’uomo mio maestro del noviziato, quando ancora mi batteva, e così sia sino alla morte, protestando [che] al di là della medesima non avrò più tanta pazienza...

Nelle mie lettere precedenti ho scritto per missionarii e per coadiutori; ora non ho più coraggio di domandare; non so se altri Preti d’Europa potranno arrivare qui; nel caso affermativo avvi ancora di che pensare dopo lo scandalo del P. Cesare; qualche anima ben provata e disposta a fare il purgatorio in questo mondo; se si trova venga, se no, dopo la mia morte non so come andera?

/98/ Prostrato ai piedi di V. Em: e del S. Padre domando la benedizione per tutti questi popoli fedeli ed infedeli, mentre con figliale venerazione godo raffermarmi

D. V. Em: R.ma

Divot.mo figlio
† Fr: G. Massaja Vescovo I.

F. 1160r P. S. Se V. Em: R.ma crede bene di procurare le opportune credenziali per la consecrazione di un Coadiutore, io non ho più altra persona fuori del P. Felicissimo da Cortemilia; lo facia se lo crede, perché io non ho più coraggio a domandare; questo Padre conserva il suo carattere di missionario abbastanza lodevolmente; solamente che non è una testa di gran calcolo e capacità – Se crede meglio spedirmi uno d’Europa, facia come in Domino crederà meglio; solamente Le facio osservare che questi paesi domandano cuori di una risoluzione unica, disposti a sacrificarsi per Dio e per le anime; cuori di vocazione media possono aver luogo nei paesi di missione stabilita, ma non qui.