Massaja
Lettere

Vol. 2

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A sua santità Pio IX
Pontefice Massimo – Roma

F. 267rBeatissimo Padre

Kafa in festo Exaltationis S. Crucis [14 settembre] anni 1860.

Corre l’anno 15. dallo stabilimento di questa missione, il decimo dalla mia seconda partenza da Roma, e l’ottavo dalla mia prima entrata ai paesi del mio Vicariato. Quasi la metà del tempo del mio apostolato è stato passato in viaggi disastrosissimi che mi hanno notabilmente invecchiato ed indebolito. Ora trovandomi verso sera della mia giornata vorrei bene dare un rendiconto consolante alla S. V., ma, calcolato tutto veggo che i debiti sono maggiori dei crediti – È vero che in questo poco tempo abbiamo non solo aperta la via a tutti i Preti Cattolici in quasi tutti i paesi Galla e Sidama, ma abbiamo di più fatto conoscere il clero Cattolico in senso diverso dall’Abissinia, abbiamo qualche Prete indigeno, bensì imperfettissimo, ma sufficientemente rispettato in paese; abbiamo varie cappelle sparse di qua e di là, tanto nei paesi Galla, che Sidama, ed abbiamo ancora un numero sufficiente di Cristiani, i quali hanno imparato un poco il catechismo, e recitano le loro preghiere nelle loro rispettive lingue; tutto ciò è vero, ma poi conosco che questa missione non ha lasciato d’incontrare gravissimi debiti verso Dio, verso la Sua Chiesa, e verso il mondo Cristiano, e ciò probabilissimamente per la debolezza ed insufficienza di colui che ne è stato indegno amministratore. Nel primo impianto della missione ho ricevuto tre missionarii stati eletti dalla Propaganda e non da me, di questi tre, due hanno percorso una storia poco edificante in facia a questi paesi, ed in facia all’Europa, è benché tutti [e] due morti nella pace del Signore e con sentimenti di edificazione, pure sono stati tutti due di un grande inciampo all’opera di Dio – L’attuale mio Coadjutore, /215/ sempre considerato come il più debole dei tré in capacità, se non altro ha mantenuto tutta la sua gravità sacerdotale per tredeci anni compiti, e fu l’unico rimastomi fedele, benché non forte lavoratore, motivo per cui ho tardato due anni a consacrarlo, e non l’ho fatto se non per forza l’anno scorso prima di lasciare i paesi Galla; anche questi dopo il mio allontanamento ha fatto qualche bassezza poco degna del suo carattere, benché ora abbia ricevuto abbastanza con umiltà i miei castighi e correzioni. Il P. Leone ha passato quattro anni in viaggi disastrosi, nei quali però non ha perduto il suo tempo, ma ha studiato i paesi ed ha fatto delle osservazioni che saranno utili a suo tempo; solamente in Maggio di questo anno gli riuscì di penetrare sino a me; ringrazio continuamente il Signore che l’ha portato qui può dirsi a forza di miracoli; sarebbe quello che mi potrebbe ajutare, ma il suo cuore pare un poco spaventato dalle difficoltà del paese, e non ha ancora [f. 267v] deciso di morire sul campo di battaglia. Il P. Gabriele da Rivalta sono più di quattro anni che gira, e che vive a spese di questa missione, ancora non ha potuto arrivarvi, ne conosco che uomo sia, benché allievo della mia Provincia di Piemonte. I paesi poi di questo Vicariato, e i popoli del medesimo presentano delli difficoltà gravissime, le quali dovranno anche essere calcolate nell’uscita di questa missione per il calcolo che deve farne il Padrone che è V. S., a cui intendo rimettere la decisione definitiva di ogni cosa per il futuro – Questi paesi sono troppo sequestrati dal mare; le strade sono difficilissime; i mezzi di sussistenza sono la metà mangiati dalla strada, parte rubati, e parte consummati in paghe; i missionarii che arrivano dissipano il loro capitale di fervore girando di qua e di là, senza un capo, ed arrivano disanimati, deboli, stanchi, mal accostumati, quelli che possono arrivarvi, alcuni periscono anche in via, oppure finiscono per ritornarsene in Europa senza avere neanche conosciuto il paese della loro missione; arrivati qui, se non sono più che santi diventano superbi, perchè in facia a questi popoli sono uguali ai Superiori, e questi si trovano obbligati a vincere colla pazienza, del resto hanno nessunissimo potere. Io a forza di soffrire come primus inter pares, in questi ultimi anni appena ho potuto aquistare un poco di ascendente, [è] il Signore che me lo ha dato, del resto la maggior parte dei missionarii Europei non hanno voluto saperne affatto di dipendenza, ed alcuni avevano dei patroni più potenti dei miei in Roma medesima. Questi popoli poi sono superbi nella loro miseria medesima, effetto di trovarsi troppo sequestrati dal mondo civilizzato, epperciò sono attaccatissimi ai loro usi e superstizioni – manchiamo qui di basi sociali e di governi sodi per intavolare operazioni in grande e solide; ciò segnatamente nei paesi Galla, dove i cuori sarebbero forse migliori e più suscettibili di educazione; nel paese Sidama il Prete è onorato e trova anche qualche piccola risorsa pel vitto; il governo ama i Preti, ma nel suo piccolo è un poco simile al Brasile, favorirebbe anche i scismatici, e viziosi; ho fatto qui dei forti tentativi per far riconoscere la gerarchia ecclesiastica, anche di Roma; le vittorie riportate sin qui sopra i scismatici Preti /216/ han fatto conoscere la massima nel popolo, ma il governo è troppo selvaggio per dare una forma legale a queste cose, come vorrei; i cuori Sidama son più leggieri dei Galla, e meno suscettibili di educazione – La diversità delle lingue tra il popolo Sidama e Galla, e sopratutto la diversità del genio fra loro diametralmente opposto porterà col tempo il bisogno di fare due vicariati a parte, se l’operazione sarà continuata; la razza Galla è abbastanza grande per meritarsi di farne un Vicariato a parte, benché molto sparpagliata, e quasi toccante tutta la circonferenza dei paesi Sidama; la razza Sidama è più unita, ma abbastanza grande, e Kafa che ne è il regno principale può equivalere ad una delle più grandi archidiocesi d’Europa – Se difficoltà esterne non amazzeranno questa missione, le interne solamente non sarebbero invincibili, e con buoni missionarii si potrebbe fare del bene, e preparare anche un bell’avvenire alla Chiesa; per ora Kafa potrebbe servire di centro, perchè il Prete ha una rappresentanza, [f. 268r] Ciò sia detto di passaggio, non convenendo trattenere V. S. in detagli troppo minuti. Venendo ora agli affari che più interessano, dirò che per il passato nei bisogni della missione ho scritto parecchie volte alla S. C. di Propaganda esponendo parecchi miei bisogni, in dieci anni non ho avuto che due risposte, una sull’affare del coadjutore, e l’altra sul prolungamento e conferma delle facoltà straordinarie spirate nel decennio; di tutto il resto che ho scritto, nulla ho saputo più. Per questa ragione sono stato assalito parecchie volte da una terribile malinconia, e fui tentato persino di lasciar tutto e andarmene al mio convento, il timore unico di trasgredire la volontà di Dio espressa nell’oracolo della Santità vostra mi ha trattenuto fra questo martirio di apostolato, dove l’uomo evangelico che teme Iddio, si trova continuamente oppresso da miserie e tribolazioni di ogni genere tanto nello spirito che nel corpo, senza nessun sollievo e consolazione di sorta; fui persino tentato di farne qualcheduna grossa, per guadagnarmi il riposo della S. Inquisizione, che per me sarebbe cento volte migliore, ma il timore dell’offesa di Dio mi ha trattenuto. Qualche volta ai piedi del crocifisso sfogando le mie malinconie, diceva fra me stesso: che tutto il mondo mi dimentichi, ed anche mi calpesti è poco, perchè l’uomo evangelico dovendo urtare la corrente del mondo, e rompere ovunque le trappole del diavolo, non potrà avere mai questa generazione a se favorevole, i nostri Padri dell’apostolato hanno trovato così, noi non troveremo diversamente, ma che Roma la sposa vivente del crocifisso, la nostra madre comune per cui tanto ci affatichiamo, ella ci dimentichi, ella ci disprezzi... Se la mia condotta è degna di rimprovero, allora come figlio ho diritto di sentire la voce della mia madre che mi grida e che mi castiga; se poi la mia condotta non è degna di rimprovero, ho diritto di essere sentito nei miei bisogni, ed anche ajutato e consolato nelle mie afflizioni... questo silenzio assoluto, questo vedersi gettato come un arnese inutile in un’angolo della casa senza nessun segno di pensiero per noi... ravvolgendo fra me ai piedi dell’altare queste malinconie, non una volta, ma parecchie volte mi /217/ vennero delle idee, che a prima vista mi parevano tentazioni del diavolo, e temeva solamente a pensarvi, perchè per il passato è mai stato mio costume non solo di criticare i Superiori, ma neanche ho voluto mai pensare solamente sulle demarcie dei medesime per timore di mancare di rispetto; presentemente però la cosa mi pare accompagnata da segni tali, che il nasconderle a vostra Santità, avrei paura di violare i sacri doveri di figlio che mi legano a Lei. Prostrato perciò ai piedi della S. V. La prego a non affliggersi, e non attribuire ciò che Le dico a fini bassi e secondarii per parte mia, come suole per lo più accadere a quelli che presentano piani o idee di riforma ai principi e regnanti; io sono un povero vecchio vicino a morire, che non amo altro che di morire nella pace del Signore; conosco di essere stato esaltato a un grado che non mi conveniva e che non voleva, epperciò non aspiro ad altro, e non voglio altro che assicurarmi di aver fatto il mio dovere, anche in ciò che dico, disposto a tacere, ed anche abbruciare la presente il primo momento che Iddio mi farà conoscere bene di farlo, come prego V. S. di distruggere la presente appena l’avrà letta. In Ottobre del 1850. ho avuto l’onore di baciarLe il piede; [f. 268v] forse si ricorderà che Le ho parlato del R.mo P. Venanzio da Torino allora Generale dell’Ordine dei Cappuccini, quello che mi ha educato ed istruito, persona che per via puramente canonica e legittima Iddio aveva portato in vicinanza di V. S. capace di ajutarLa nel governo dell’Ordine, ed in tutto il resto di cui avrebbe potuto essere incaricato, e che uno spirito certamente non bono l’ha allontanato... In allora aveva anche alcune altre cose nel mio cuore ad esternarLe, ma il troppo rispetto per la di Lei imponente persona, mi ha troncata la parola; fu volontà di Dio che mi chiamava in questi paesi, perchè altrimenti certamente non sarei venuto qui, non perchè pensi che sarei stato impiegato in Roma, tutto all’opposto sarei stato preso in diffidenza. Presentemente sono passati dieci anni, ho avuto tempo a meditare meglio le cose avanti Dio, e mi trovo fuori di ogni sospetto di fini secondarii, perchè vecchio, e forse anche senza forze per ritornare in Europa, mi pare dunque di poter parlare francamente – L’affare dell’Ordine stia da una parte, la missione che Iddio aveva fatta sorgere in tempo del Generale Rumily, continuata dal P. Venanzio, la credo morta, e così andera zoppicando fino a tanto che piaccia a Dio farla risorgere per togliere i scandali e le coruttele che vi sono, ciò che più m’interessa è la Chiesa di Cristo, di cui se V. S. è capo io sarò il dito mignolo del piede sinistro; specialmente quella che più mi interessa è la S. Congregazione di Propaganda, della quale facio parte. Trovandomi in Roma nell’epoca suddetta ho potuto studiarla e meditarla, e sentire il parere anche di persone molto illuminate; qui poi ho provato io stesso, e benché lontano, pure sento sufficientemente i scandali, i disordini che vi sono nelle missioni dei due mondi, scandali di missionarj, ed anche di Vescovi, gare di Ordini e Congregazioni che si supplantano a vicenda e si disputano i posti, un disgusto quasi universale, un disanimo di molti... Potrei sbagliarmi, o meglio lo spirito che mi fa parlare, po- /218/ trebbe anche essere uno spirito di inganno in me, il giudizio sta a V. S., ma la causa principale di tutto questo, non è tanto la mancanza di spirito nei missionarii, quanto la debole organizzazione delle missioni, e sopratutto di Propaganda che è la testa. La malattia della testa è malattia di tutte le diramazioni dei membri, e la debolezza di quella sarà la debolezza di questi. Santità mi perdoni se metto la mano nella vigna altrui, non è lo spirito di partito che mi fa parlare, ma il puro amore della S. causa, e mentre scrivo tengo il S. crocifisso nelle mani raccomandando a lui ogni parola che scrivo, ma, prima di tutto rifletto, che un capo di dicastero ecclesiastico equivalente a cento cattedre episcopali, che non sia non solo Vescovo, ma neanche Prete per offrire qualche Sacrifizio per le sue pecorelle è una cosa che stia? è vero che non è in jure un benefizio, ma questa è questione di parole, è vero pastore sopra il quale V. S. si sgrava di tutto il gran precetto dell’apostolato mondiale, epperciò ha bisogno di essere un Sacerdote che continui l’operazione del divin maestro offrendo continuamente se stesso con santi sospiri a Dio, ed offrendo giornalmente il Sacrifizio incruento per i suoi figli sparsi sopra il globo; allora discenderanno i lumi a guidarlo, e discenderà il fuoco necessario per accendere il mondo apostolico, ma un mezzo secolare circondato da pochi scrivani animati da spirito di paga [f. 269r] come potranno accendere il mondo; una curia divenuta quasi tutta secolare, come potrà governare un corpo così colossale? debole, fredda, e snervata come potrà essere centro del movimento dinamico-evangelico a tutto l’orbe? per altra parte poi, persone che non conoscono il di fuori delle porte di Roma, come potranno giudicare le cause gravissime delle quattro parti del mondo? Di qui nasce quella lentezza nel[lo] sbrogliare gli affari anche i più gravi ed urgenti, nel rispondere alle lettere anche più interessanti, perchè non si da importanza agli affari, perchè [nel] in effetto non vi è nel cuore; di qui quello stile di lettere freddo, e più freddo ancora degli stessi dicasteri civili e attei, nei quali si vede per lo più sempre un sentimento dello scrivente o che compatisce o che incoragisce, e che prende parte attiva nell’affare; di qui nascono le lagnanze di missionarii di merito, di Vescovi vecchj, i quali con mille fatiche e spese percorrono l’emisfero per portarsi a Roma per consultare l’oracolo divino, e là arrivati si vedono disputare l’udienza da un cittadino Romano il quale forse avrà un’affare estraneo al ministero della Propaganda, e ricevuto troverà una freddezza che lo stordisce e gli da l’ultimo colpo di disanimo, perchè forse quel minutante, quell’impiegato avrà degli altri impieghi in Roma per moltiplicare paghe, ed impiegherà ancora quel pochissimo tempo che sta all’officio in affari estranei senza curarsi del suo dovere principale; di qui le lagnanze di Procuratori degli Ordini che avranno un dicastero a parte delle missioni, ed una curia in Convento importantissima data da Propaganda, i quali anderanno alla Congregazione per consultare Sua Eminenza, o Monsignore Segretario, od anche solamente un minutante molto inferiore a lui, e si vedranno obbligati a tornare la seconda la terza volta, e mandati anche da Erode a /219/ Pilato con grave discapito degli affari suoi proprii; quindi nasce il disanimo e la poca cura di tutti; quindi il ritiro dei veri[i] spiriti apostolici che prenderebbero parte nelle missioni, e l’introduzione degli indifferenti; quindi le nomine dei missionarii, dei Superiori, e dei Vescovi poco esaminate; quindi il dire di sì a tutte le cose senza conoscerle e studiarle, l’ascoltare e forse fomentare tutti i partiti, senza neanche saperlo, perchè non prendono a cuore le cose, e non le studiano bene; la ragione di tutto questo, perchè la Propaganda è troppo secolarizzata, è divenuta un corpo senza anima di spirito evangelico. Santità, io sono un uomo nullo, incapace di dare consigli a Pietro, prima di me vi è Giacomo, vi sono tutti gli altri Apostoli, i Settanta due discepoli, e mille altri eletti cari a Dio che non mancano, ma credo che V. S. non vorrà disprezzare il mio parere di figlio divoto, e lo degnerà di un momento di riflessione; prima di tutto per capo dell’Apostolato in Propaganda vi sia un’Apostolo che porti in cuore eminentemente lo spirito che devono avere gli apostoli sparsi per il globo, che porti in cuore i bisogni di tutte le missioni, e che agisca per principio; quindi si studii di formare un consiglio più omogeneo, composto di vecchj sperimentati missionarii, i quali nelle missioni hanno dato saggio di vero spirito apostolico; invece che i consiglieri sono tutti cardinali, [f. 269v] persone rispettabili, ma poco conoscitori delle Missioni, ed occupati in mille affari, tutte le congregazioni di qualunque nazione siano, le quali hanno un certo quale numero di missionarii e di missioni, e maggior merito presso Propaganda, abbiano diritto ad un consigliere in Propaganda, presentato dall’Ordine fra il numero dei missionarii più vecchj, approvato da V. S.; questi sia consigliere a lato del Cardinale Prefetto, e stia in Propaganda con un numero di minutanti del suo Ordine, il quale nel tempo stesso sia consigliere di Propaganda, e capo del dicastero delle missioni del suo ordine rispettivo; il consiglio di Propaganda così composto, per una parte sveglierà l’emulazione di tutte le congregazioni, e per l’altra ovvierà l’inconveniente delle gare, perchè tutti gli affari saranno radunati in un consiglio solo, vi sarà un solo interesse, ed il rispettivo rappresentante di una congregazione dovendo produrre lui stesso in consiglio le cause gravi della missione del suo Ordine, sarà obbligato a vegliare per non fare cattiva figura, e non stare dissotto agli altri; quindi il sistema di governo delle missioni avrà più unità; il Consigliere dell’Ordine, che avrà maggior merito abbia precedenza in Consiglio – Santità, i Regolari sono sempre stati in tutti i tempi i baluardi del Papa, elementi direttamente a lui soggetti sparsi per tutte le Chiese del globo, dati dalla Providenza contro lo spirito di scisma; sono sempre stati il capitale inesauribile, per cui il Papa ha potuto far fronte a tutti gli affari, appunto perchè direttamente nelle Sue mani, ed indipendenti dai Vescovi; trovandomi in Roma sono rimasto di vedere un fermento di emancipazione, ed in certi impiegati uno spirito di gallicanismo a rinascere, dopo essere stato sradicato dal suo paese; La riforma dei regolari certamente che deve essere una delle sollecitudini principali della Sanità vostra, perchè, come le gerarchie celesti /220/ sono l’ornamento del divin trono, così sono i religiosi relativamente al trono di V. S., col vehicolo dei quali Ella può far correre la voce a tutto il mondo. Perchè le coruttele dei regolari sono tutte richiamate a Roma, al di Lei occhio pare una cosa un poco grave, e lo sarà anche in parte, ma se le coruttele del clero secolare fosse visibile, vedrebbe qualche cosa di peggio – Comunque la riforma dei Religiosi è sempre stata una delle sollecitudini dei Papi, e possiamo dire che in varie epoche si è ottenuto anche del bene, ma secondo me, Roma deve pensare a consolidare le autorità generali e Provinciali; e non indebolirle colla troppa facilità nel sentire gli appelli, perchè per lo più sono gli indisciplinati quelli che appellano; gli indisciplinati di Genova e di Napoli hanno gridato contro Rumily e contro il Venanzio; quest’ultimo ne è stato vittima, e con lui è stata avvilita la gerarchia generalizia; secondo me, meno male se qualche individuo sarà vittima di cattivo giudizio nelle provincie di quello che sia, se il capo dell’Ordine verrà schiacciato, con pericolo che l’Ordine stesso diventi acefalo nell’esecuzione del governo; anzi direi bene se venissero prolungate le autorità generali e Provinciali; eleggere buoni Superiori e poi sostenerli; non è che i generali e Provinciali non siano capaci, perchè si è veduto, che alcuni tolti dall’ordine sono divenuti uomini grandi; piuttosto perchè l’autorità loro è stata indebolita – [f. 270r] è più rispettato un Provinciale nelle provincie, di quello che sia un Generale in Roma, dove un fraticello anche indisciplinato che abbia degli amici nelle congregazioni è più sentito, che un Generale, il quale sarà obbligato a fare l’anticamera, e ritornare parecchie volte con discapito dei suoi grandi affari; è cosa conosciuta che è più regolare la gerarchia di un generale militare, che di un generale di Ordine religioso. V. S. ha ragione di dirmi medice cura teipsum, perchè realmente nella missione ho avuto disordini e scandali, ma sappia che queste cose sono succedute appunto per questa ragione; i due religiosi scandalosi sono stati eletti alla missione prima di me, ed uno dei medesimi doveva essere Superiore in luogo mio; per questa ragione i Superiori dell’Ordine dissentivano fra loro; siamo partiti, ma i due erano superbi, ed appunto lo erano perchè sapevano di avere patroni più forti dei miei; se io avessi fatto delle questioni, avrei fatto fare la guerra in Roma, e rovinata la spedizione; ho avuto pazienza, si sono scapriciati, e poi sono caduti ai miei piedi, e ne sono sortito per protezione di Dio; del resto chi poteva trattare la mia causa in Roma era il Venanzio, quale ha sempre avuto il dissotto e finì per andarsene, mentre chi trattava la causa loro ha sempre avuto il dissopra, e fu fatto Cardinale; ciò non ostante non avrei temuto, gli avrei contenuto, ma loro erano in Abissinia, ed io esiliato e ne sapeva nulla. Se Monsignore Brunelli è ancora in vita potrà mettere V. S. al corrente di questo affare. In verbo di questo Prelato, la sua rimozione da Propaganda è stata una gran perdita, come è stata quella di Monsignore Vespasiani, i soli due che ho conosciuto che agivano per principio. Santità, ancora due parole: prima di esaltare un individuo ad una carica, facia severe indagini sulla condotta privata e secreta, /221/ e poi ad ogni costo tenga lontano chi non è santo, del resto la cattedra di S. Pietro non sarà più portata dagli Angeli, e sottentreranno invece diavoletti a preparare il disordine –

Ritornando ora alle cose di questa missione, io sono vecchio e distrutto – debbo pensare all’avvenire della medesima. Come il vecchio, non potendo più tutto vedere e fare da se stesso suole rovinare nella vecchiaja il poco di bene fatto nella sua virilità prestando il suo nome venerando ai male intenzionati, perciò mi dichiaro di non poter più a lungo tenere le redini di questa missione e promovere il bene della medesima; la presente serva di mia dimissione, e V. S. pensi a mandare qui un soggetto capace e ben intenzionato, il quale potrà essere fatto direttamente Vicario Apostolico assoluto: io continuerò sino al suo arivo, ed arrivato cercherò di rimettergli tutta l’influenza che ho potuto guadagnare fra questi popoli. Come io nell’ingresso in questi paesi ho fatto voto di non più ritornarmene, se V. S. avrà la bontà di dispensarmi, io penso di ritornarmene in Convento per prepararmi alla morte; se poi Ella non vuole, oppure che non mi senta più di mettermi in viaggio, allora resterò qui, e prego di raccomandare a chi viene che abbia carità alla mia vecchiaja; la ragione che mi induce a domandare dispensa dal voto, è perchè ho poca virtù, ed il pensare di dover poi morir qui fra la miseria e vermina fra i selvaggi mi fa ribrezzo.

F. 270v Ho detto di scegliere una persona capace per mettere alla testa di questa missione. Ella dirà, e Monsignore Cocino Vescovo di Marocco? Questi dopo la sua consacrazione e dopo il mio allontanamento dall’Ennerea ha fatto qualche bassezza che non voglio nasconderLe; l’ho castigato, si è umiliato, e se Iddio gli darà la perseveranza nel bene, non meriterebbe per questa sola ragione di essere privato della successione, ma a dirgliela schietta, questo uomo manca d’immaginazione e di energia sufficiente per condurre e promovere come bisogna questo affare, già abbastanza in grande e scabroso, e per poco che cresca lo sarà ancor più – Io qui farò tutto il possibile per persuadere Monsignore Vescovo di Marocco a restarsene e continuare a restarsene in qualità di Coadjutore. Questo Prelato conosce bene la lingua ed i paesi, potrà essere di grande ajuto al Vicario Apostolico futuro, se quello saprà accaparrarselo; in caso poi che non voglia, si facia un nuovo Vicario Apostolico per i paesi Sidama e Waratta, e lasciare lui per i paesi Galla sotto sorveglianza del Vicario Apostolico Sidama. Per l’elezione di questo Vicario Apostolico potrebbero intendere la cosa colla Provincia di Francia dei Cappuccini, coi quali eravamo già come intesi che avrebbero preso cura di questa missione. Se questa Provincia s’incarica di questa operazione, tutto bene, allora sarà bene eleggere il futuro Vicario Apostolico dalla medesima, affinchè sia omogeneo ai missionarii che verranno; in caso contrario non saprei se sia tanto facile trovare un soggetto bono, ed a preferenza di mandare un soggetto meno sicuro potrebbero riflettere se convenga forse meglio eleggere il P. Leone des Avancher, quello stesso che io penso mandare in Europa, onde sollecitare la spedizione di tutte le cose domandate alla S. C. di Pro- /222/ paganda, ed organizzare l’administrazione e spedizione delle limosine che ci vengono dall’Europa. Ho detto di appoggiare questa Missione alla Provincia dei Cap[p]uccini di Lione per due ragioni. Prima, perchè se una Provincia d’Europa non si prende questa impresa, preveggo che non potrà andare avanti, atteso che la S. C. di Propaganda suole occuparsi di una missione quando i missionarii o Vescovi gli stanno alle trozze e la molestano tanto che basti, quelle missioni che sono lontane, e che non possono ogni volta che vogliono andare o mandare a Roma, oppure almeno scrivere a suo talento, sono perfettamente dimenticate, benché siano le più bisognose; anzi si trovano ancora per lo più attraversate, come è accaduto a questa, la quale avendo organizzato qualche cosa colla Provincia di Francia, la S. C. lo ha disfatto per compiacere Monsignore Persico nelle Indie, il quale poteva coltivarla più di me. Venendo in Roma P. Leone suddetto porterà una quantità di ragazzi per l’educazione, unica via per poter disciplinare questi popo[po]li ed introdurre la vera idea di civilizzazione Cristiana fra i medesimi; come sarà difficile che la Propaganda possa incaricarsi di tutti, prego V. S. a raccomandare in Francia, affinchè si facia un piccolo stabilimento colà per l’educazione dei medesimi sotto la direzione di quella stessa Provincia dei Cappuccini, la quale [f. 271r] deve già avere qualche elemento per le mani. Fino a tanto che non potremo avere di ritorno questi ragazzi la missione potrà mai fare gran passi per mancanza di soggetti; potrei bene ancora aggiunge[re] Preti indigeni, di quelli allevati qui alla meglio da me, ma moltiplicargli troppo temo per l’avvenire che non siano poi di ostacolo ad una totale disciplina quando si potrà, se non ve ne sarà una quantità di quelli allevati in Europa; perciò prego V. S. a raccomandare in Napoli, affinchè siano dati a questa missione alcuni giovani del collegio Palme, nativi di questi paesi, i quali si suppongono già abbastanza educati, venendo questi riempiranno il vuoto sino all’arrivo dei nostri; altrimenti sarò obbligato ad ordinare ancora di questi Preti, i quali benché buoni, pure non avendo veduto l’Europa, potranno mai avere quelle idee di disciplina, e quel[l’] attaccamento che si desidera alle massime europee e della Chiesa. Prima di chiudere la presente aggiungo ancora una cosa, ed è, che da qualche anno ho mandato un’estratto di regola da me fatta per i monaci di questi paesi, alla Propaganda, pregandola di farla esaminare, e quindi farla approvare, o come regola diretta, oppure come costituzioni spiegative della regola minoritana; di ciò ne ho saputo più nulla. La prima regola minoritana in questi paesi ha delle cose, che dovrebbero correggersi; la regola del terzo Ordine ha molte cose santissime per l’Europa, ma poco utili allo scopo principale di questa missione, quale è di legare all’apostolato di questi paesi i monaci e sacerdoti, e sopratutto per introdurre con questo titolo la disciplina del celibato, e distruggere l’antica idea dei preti ammogliati. Io perciò vorrei l’approvazione, o in senso di regola, o in senso di costituzioni, o almeno una decisione che dichiari contenersi in essa i punti principali della regola minoritana, e che gli osservatori di tale estratto, siano Europei missionarii, qui ve- /223/ nuti, siano indigeni o in Europa, o qui professi, siano dichiarati sicuri in conscienza, osservatori della regola di S. Francesco. V. Santità domandi conto alla Propaganda di questo mio lavoro, comunque sia, lo facia esaminare, e poi facia in Domino quel caso che crederà meglio della mia domanda, calculatis omnibus.

Il presente originale di lettera a V. Santità, è stato coppiato, e nel coppiarlo è stato da me variato ed accresciuto, motivo per cui non si troveranno conformi. Se non vi fosse pericolo che la coppia mandata in Roma si perda, avrei distrutto questo originale per levarlo dal pericolo di cadere nelle mani di qualche estraneo, non essendo conveniente, che si sappia ciò che in confidenza di figlio al suo Padre è stato scritto per puro [f. 271v] amore alla Sacra Sua persona, ed alla causa di tutta la Chiesa in Lei personificata – La consegno però ad una persona molto timorata, la quale non mancherà di portarla direttamente nelle di Lei mani.

Le bacio il S. piede, e pregandoLa della Sua benedizione sopra di me, e di questa rozzissima vigna, inginocchiato colla testa per terra Le domando perdono, assicurandoLa che sono sempre

D. Santità V.

Divot.mo servo e figlio in G. C.
† Fr: G. Massaja V.o di Cassia