Massaja
Lettere

Vol. 4

/350/

759

Al capitano Sebastiano Martini Bernardi
membro della spedizione geografica italiana – Roma

P. 1Caro Capitano Martini mio carissimo

Escia-Eloi – Choha 17. feb. 1879.

Le ho scritto per molte altre vie e per mezzo di corriere precedentemente spedito dal Re alla costa; ma dubito molto che dette mie lettere non Le siano arrivate, perchè i nostri nemici vegliano molto per impedire tutte le corrispondenze nostre.

Oggi colla partenza delle nostra carovana ho già consegnato una lettera ad Antinori per Lei, nella quale non ho detto tutto il mio pensiero. Col mezzo di M.r Leone Piquignol Le invio questa mia, nella quale Le dico più sicuramente il mio sentimento. Ella mi scrisse da Roma una lettera confidenziale rapporto ai signori alemanni testé venuti, ed io la tradussi, ma sapeva benissimo che il Re aveva dato pieno consenso, diffatti nulla mi rispose in proposito. Creda pure, caro Capitano mio, molto meglio che siano venuti, perchè il Re prima aveva grandi speranze di regali dai medesimi e per questa ragione il Re favoriva la [p. 2] loro venuta; oggi avendo ricevuto un bel nulla, e coll’aggiunta di tutte le mencanzie perdute, e le pretenzioni di circa 10 mila talleri che spiegano, pare che incominci a disingannarsi e speriamo che ritornerà al buon senso. Venuto da Warra Ilù per riceverli, restò tre giorni e poi ripartì senza dar loro veruna soddisfazione, rimettendo ogni loro conto al suo ritorno, Dio sa quando... Per questo Ella non sia in pensiero affatto, perchè anzi io credo che finiranno per romperla... Piuttosto io sono in pensiero per la politica attuale del paese, la quale ci minaccia molto in quest’anno. Dopo la di Lei partenza è venuto Ati Joannes, col quale il Re non si è battuto, ma hanno fatto la pace; epperciò oggi è divenuto tributario e suddito dell’imperatore Giovanni, il quale non è amico nostro; in tutti questi torbidi il povero Re ha perduto molto del suo prestigio e forza morale... Come questa è una questione gelosa amo meglio che Ella s’informi dal latore della presente, come altresì da Monsieur Giobert, dai quali Ella com- [p. 3] prenderà la vera situazione delle cose nostre attuali. In tutto il corso di questo anno abbiamo avuto dei disturbi incredibili e dei timori gravi di essere tutti cacciati: Oggi pare dissipato affatto il temporale, e lo stesso imperatore Giovanni da quanto si suppone, non è più quello dell’anno scorso, sia nelle forze materiali, sia ancora nelle sue pretenzioni, ma la politica Abissinia cangia come cangia il vento, epperciò avvi sempre da temere. Ultimamente ho passato un’ora in conferenza segreta col Re, nella quale abbiamo parlato molto di Lei, ed ho potuto comprendere che ha molte speranze in Lei, soprattutto di ricevere armi; se Ella venendo porterà armi, allora non tema Ella sola basterà per distruggere tutte le tele ordite dagli alemanni.. ecco cosa posso positivamente dirLe. Il Re ha ricevuto una lettera da Ismaele Bascià, nella quale gli promette di lasciar passare i can- /351/ noni e le armi; crede Lei, mi disse, che gli inglesi non si opporranno a tale permissione? Non credo, io gli risposi, perchè se [p. 4] Ismaele ha scritto così è dietro consenso inglese, a cui il Re d’Italia deve essersi diretto, da quanto io suppongo; la stessa conferenza ha fatto il Re con Antinori, forse un poco più ristretta perchè egli parlava per dragomanno, ed il Re non poteva essere così libero.

Caro Capitano mio, faccia dunque coraggio e venga tranquillamente, perchè è molto desiderato. Sia dal Re, che da noi, la sua venuta sarà una crisi favorevole ai latini contro il nord; così con me tutti sperano.

Sono stato molto contento del modo con cui Ella è stata ricevuta in Italia, e spero che l’onore che ha ricevuto avrà una coda più lunga che non si crede; il suo ritorno è un vero merito presso il Re nostro e presso la Patria. Ho scritto una lettera al Re Umberto, ed alla Regina per continuare l’opera incominciata; un’altra lettera di risposta al segretario Dalla Vedova, tenendo sempre il linguaggio mio che Lei conosce: queste lettere sono state consegnate ad Antinori, unitamente alla lettera al Papa [p. 5] Leone XIII, ed a molte altre per l’Italia e per l’Europa. Se queste arriveranno felicemente, spero che faranno del bene.

Sul momento che scrivo Monsignore Taurin mio Coadjutore scrive ad Antinori alcune notizie molto gravi rapporto ai due viaggiatori Cecchi e Chiarini. Queste notizie sono state portate da mercanti venuti a Mogghiè [Rogghiè] vicino a Finfinnì, i quali si dicono testimonii oculari. Secondo questi i due nostri viaggiatori suddetti si trovano in Ennerea, spogliati di tutto, legati ed obbligati a lavorare il ferro.

Il paese di Ennerea, quando regnava colà Abba Baghibo, era il paese de’ forestieri, e fu appunto colà che Antoine d’Abbadie restò circa un anno, e di là potè recarsi sino a Kafa colle raccomandazioni del suddetto Re molto amico degli europei. Sotto la stessa sua protezione nel 1852, la missione cattolica potè stabilirsi nell’Ennerea, dove aveva una Chiesa la quale fiorì fino al 1862, in cui morì Abba Baghibo e regnò il suo figlio, il meno capace, chiamato [p. 6] Abba Gommol, il quale ci cacciò in modo indegno. È questo che regna attualmente e che ha imprigionato i nostri due cari viaggiatori in questione. M.r Leon l’informerà di più precisi dettagli sopra questo disgustoso affare. Io spero ancora che la notizia sia o esagerata o falsa; ma ad ogni evento che sia vera è molto grave. Antinori ha scritto all’Azzage in mancanza del Re, e l’Azzage ha scritto a Govana di fare tutto il possibile per fare liberare i suddetti, e non dubito che lo farà, ma comunque l’affare è grave. Il Re non può che indirettamente, e per minaccie future agire sul Re dell’Ennerea, perchè le sue truppe non sono ancora arrivate che ad una certa distanza di là. Il Re di colà è uno scioperato e fanatico musulmano, il quale ha già perduto più della metà del suo regno avuto dal suo Padre. Questa notizia tal quale è stata mandata a Roma da Antinori, e da me.

Le acchiudo qui una lettera [p. 7] per i miei preti che devono venire con Lei, in questa esorto e comando ai medesimi di nascondere /352/ la loro qualità di preti e di venire sotto i di Lei ordini e come persone a Lei addette sino al loro arrivo qui. In questo affare io confido in Lei, e se arriveranno, come spero, faremo le nozze qui al loro arrivo, ma gli onori dello sposo saranno dovuti a Lei.

Ho rimesso a Ghebra Selassie un biglietto di 400 talleri che riceverà in Aden alla Missione. Questa somma nella maggior parte è stata ricevuta da noi qui, ed è un debito che abbiamo verso due o tre persone, le quali hanno delegato il suddetto Ghebra Selassie per comprare loro qualche oggetto in Aden; nel caso che la missione abbia rimesso a V. S. qualche somma per noi, e che i fondi nostri presso la medesima siano esauriti. Se il missionario non avrà più denari da pagare, Ella paghi, affinchè il debito nostro ai suddetti non manchi di [p. 8] pagarsi; quando Ella arriverà qui aggiusteremo i conti.

Caro Martini, non la finirei più con Lei, ma pure debbo finire questa lunga mia lettera, e così rimettermi nelle mani della Provvidenza a sperare il suo arrivo, il quale sarà non prima di Giugno certamente. Faccia Iddio di avere ancora questa consolazione; Ella porterà qui i miei missionarii vivi nuovamente venuti; ma non dimentichi la promessa fattami di portarmi ancora il corpo del fu nostro defunto P. Alessio per il quale ho già preparato qui il luogo del suo riposo, tutto vicino a quello già preparato per me stesso.

Con questa speranza La lascio abbracciandoLa in ispirito, mentre mi dico

Di V. S. Ill.ma

Divot.mo Servo
Fr. G. Massaja V.o