/156/

18.
Primo viaggio in Europa.
Ad Alessandria d’Egitto e a Roma.

mia partenza per l’Egitto col p. Spasiani gesuita
[3.6.1850]
Attivò intanto il Vapore inglese da Bombey, epperciò mandai subito a prendere il posto, e sono partito. Più di 50. persone fra i nostri cattolici vennero ad accompagnarmi sino al mare, dove, data loro la benedizione sono salito [p. 252] sul vapore, il quale, levata l’ancora quando il sole era per cadere, la mattina seguente ci siamo levati che lo stretto di Babelmandel era già dietro le nostre spalle.

In viaggio sul ponte vi erano molti missionarii protestanti che venivano dalle indie, e si trovava anche un missionario cattolico vestito da secolare, col quale mi tratteneva soventi; era questi un certo P. Spasiani gesuita, il quale era stato mandato a Sinkapur nel forte della rivoluzione italiana, e veniva richiamato in Italia dopo il ristabilimento del Papa a Roma; questi venuto in Aden si trovava nella missione con noi non avendo potuto continuare il suo viaggio col vapore per mancanza di mezzi, e mi domandava imprestito per continuare il suo viaggio. Io invece di prendere la prima classe ho preso la seconda per lui. Benche noi fossimo nelle seconde ed i missionarii Protestanti fossero nelle prime per noi impenetrabili, alcuni meno indisposti contro di noi venivano e facevano delle famose questioni; io quando aveva qualche tempo libero mi tratteneva con un matelotto scozzese ancor molto giovane per nome Edoardo, molto cortese, il quale più degli altri mostrava disposizioni per sentire.

il tropico.
vento forte
la tenda si leva.
un matelotto è gettato in mare.
In quel tempo i vapori erano ancora a ruote, e camminavano molto più adagio, epperciò nel quinto giorno del nostro viaggio eravamo solamente sul tropico; spiegandosi un poco di vento il Capitano ordinò che fosse levata la tenda, sentito il comando tutti i marinaj in mezzo minuto erano già sopra la tenda per slegarla; quando questa era in parte slegata, un colpo di vento all’improvviso venuto di sotto con gran forza non si trova più il mio Edoardo scozzese! gettò in mare il mio caro Edoardo; allora molti si misero a gridare, /157/ [p. 253] fù un momento [ad] arrestarsi il vapore, ed in pochi momenti calarono tutte le imbarcazioni[;] si cercò più di un quarto d’ora ma non si vidde più nulla ne vivo ne morto. Io non sono capace di giudicare simili questioni, ma secondo il mio debole giudizio, per repentina che sia stata la fermata del vapore deve sempre passare almeno un minuto per dar tempo all’esecuzione del comando, ed anche dopo [essersi] arrestata la machina deve sempre ancora supporsi continuare in proporzione il movimento del vapore; così la vittima doveva già essere lontana qualche centinajo di mettri dal vapore, e la perquisizione non doveva farsi intorno al vapore, ma qualche centinaio di mettri indietro, cosa che non hanno fatto; così dopo circa un quarto d’ora il comandante comando l’imbarco, ed appena montate tutte le imbarcazioni si comandò la partenza, e lasciammo là in balia delle aque la povera vittima. Non era ancora passato un quarto d’ora che il povero Edoardo mi aveva dette queste parole = io sono un’ignorante protestante, e credo di essere nella buona fede = io ho sofferto molto [per] la perdita di quel povero giovane.

Questo traggico fatto seguì circa il mezzo giorno, abbiamo passato ancora tutto il giorno dell’indomani in viaggio e la notte seguente, arrivo a Suez
[11.6.1850];
nuovo console francese.
la mattina del postdomani già eravamo ancorati nel porto di Suez, e circa le dieci già eravamo in casa del Console francese, [che] non [era] più il Signor Costa quel greco di cui abbiamo parlato; ho domandato notizie al bravo maltese, venuto a trovarci, delle nostre antiche conoscenze

morto il pop curato greco, suo successore il famoso figlio di Costa. [p. 254] La prima notizia che mi diede fù della morte del povero curato greco, e domandando chi era stato posto in luogo suo, mi rispose esservi stato posto il figlio di Costa, quel certo appunto che era [stato] incaricato dal suo padre, allora agente consolare francese, per occuparsi di noi. Sentendo questo, come dagli eretici tutto si può supporre, voleva interrogarlo della moglie dell’antico curato, ma egli stesso mi precedette dicendomi che si trovava col nuovo parroco (1a)

il sig[n]or Ennes ci trasporta al Caïro col transito
[19.6.1850]
Sono stato fortunato di trovare in Suez il bravo nostro cattolico inglese, il quale, venendo, ci aveva in Cairo procurato il transito dal Cairo a Suez, e questi dovendo andare in Cairo, [mi disse:] se vuole venire lo prendo con me; così con poco prezzo, io, il P. Spaziani, ed il ragazzo Giorgio che aveva portato con me dall’Abissinia siamo montati in vettu- /158/ ra, ed arrivati in Caïro: la strada ferrata si stava lavorando, ma non era ancora inaugurata.

monsignore non è in Cairo.
visita ad alcune case.
Arrivato in Cairo siamo entrati nel Convento grande di Terra Santa, dove non abbiamo trovato Monsignore Perpetuo [Guasco], andato pochi giorni prima in Alessandria; il P. Filippo confessore delle religiose del Buon Pastore mi portò a vedere queste religiose, le quali erano entrate in una casa stata comprata da Monsignore Perpetuo per la missione Galla, la quale fù poi venduta da noi alle medesime, dove ancora si trovano attualmente in Caïro, benché poi molti anni dopo [p. 255] queste stesse monache, trovandosi troppo ristrette nella casa comprata da noi nel quartiere franco, abbiano fatto un gran stabilimento a Subra fuori di Caïro.

gran cangiamenti in Egitto. Al mio ritorno ho trovato in Cairo gran cangiamento: Mahumed Aly era morto, morto pure Hibrahim Pascià, morto il gran nostro amico Basilius Bey. Regnava allora in Egitto Abbas Pascià, mussulmano molto fanatico, del quale la colonia europea era molto malcontenta, perché uomo affatto contrario all’iniziativa europea incomminciata dal suo Padre. Lo stesso nostro gran benefattore Clot bey fù levato dal suo posto di [ministro della] Publica istruzione, e giubilato si era ritirato a Marsilia.

monsignor Delegato mi chiama.
parto per Alessandria.
Monsignor Delegato intanto mi scrisse che era impaziente di vedermi, epperciò non sono rimasto molto in Caïro, e preso il posto sopra un piccolo vaporetto, col P. Spaziani, e col giovane Giorgio siamo partiti per Alessandria. Come il Nilo era molto basso, il nostro vaporetto che sarebbe arrivato in una mezza giornata, ogni momento si arenava, ed in qualche luogo uopo era di fermare la machina e tirarlo colle corde, motivo per cui ci bisognò un giorno e mezzo per arrivarvi.

la nuova chiesa di s. Cattarina crolla
[11.7.1846].
si rifa
[25.11.1850].
Monsignore Delegato aveva mandato una vettura a prenderci, ed entrammo direttamente in casa sua, dove già ci aspettava il pranzo. Egli stava fabricando una nuova Chiesa, la quale era già arrivata quasi a perfezione, quando per difetto di un pilastro [p. 256] frà i quattro che sostenevano la cuppola, una spaventevole crepatura aveva sospeso tutti i lavori, motivo per cui il povero Prelato si trovava molto afflitto. Nel mio ritorno dall’Europa ho trovato che questa Chiesa era caduta, ed esaminata nei fundamenti si trovò che il pilastro fu mal fondato; era stato fondato sopra una specie di catacomba sotterranea dell’antica Alessandria per incuria dell’architetto. Con altro dissegno fu poi Costrutta l’attuale [chiesa].

/159/ apostasia del p. Bernardo
[set. 1847]
Nei cinque anni che passarono dalla nostra partenza Monsignore Delegato ebbe ancora un’altra rovina nella Chiesa mistica, ben più terribile della caduta della Chiesa materiale suddetta. Fu l’apostasia del P. Berardo già suo Segretario; dopo questo fatto, mi disse, non ebbi più salute, e finirà per condurmi al sepolcro; facia coraggio, gli dissi, è un pezzo di sterco puzzolente che Iddio ha caciato dal suo tabernacolo per farne un’ornamento del santuario protestante.

Monsignore Delegato mi fece vedere i conti, mi domandò il mio consenso per collocare alcune somme che aveva lasciato presso di lui con un’interesse del nove per cento: in caso contrario di risolvere se sarebbe stato più conveniente comprare una casa che si trovava in vendita in Alessandria non molto lontana dalla sua. compra di una casa in Alessandria. Io nemico sempre dell’imprestito, ho scielto quello di comprare la casa suddetta per occupare la moneta che stava per ricevere dalle monache del Buon Pastore per la casa di Cairo: siamo andati a vedere la casa, la quale fruttava due mille franchi ai venditori, [p. 257] abbiamo risoluto di comprarla, e se ne fece subito l’istromento publico al consolato francese; così ho cercato di liberarmi dal rimorso che aveva sugli imprestiti, benché cosa publica e passata da tutti in quell’epoca di gran commercio in Egitto.

partenza per Malta, Marsilia, quarantina
[22.7.1850].
Appena ho finito i miei affari con Monsignore Delegato ho dovuto pensare al mio viaggio. In quel tempo le Messaggerie di Francia toccavano Malta; sgraziatamente era stato ricevuto un’ammalato, con quali cautele di quarantina oggi non mi ricordo; arrivati a Malta qualche caso di collera si erano dichiarati pochi giorni avanti, ed anche là hanno ricevuto qualche passeggiere; per causa di questo non fù più possibile sbarcare, ne a Napoli, ne a Civitavecchia senza quarantina; siamo andati a Marsilia e si dovette sbarcare alla quarantina, e andarsene al lazzaretto per cinque giorni. Alcuni negozianti che avevano grandi affari telegrafarono a Parigi, e venne la riduzione della Quarantina a soli tre giorni, finiti i quali siamo sbarcati.

parto per Livorno, Firenze, Assisi. Dopo un giorno di riposo a Marsilia abbiamo preso un’altro vapore per Livorno, dove sbarcati abbiamo preso la strada ferrata, e fù quella la prima d’Italia, e la prima veduta da me; questa ci portò a Firenze, dove ho trovato il R.mo Padre Andrea d’Arezzo ex Vicario Generale, il quale due anni prima avendo cessato dalla sua carica si era ritirato in Firenze. Da lui ho inteso [inteso] tutti i detagli del Capitolo Generale, nel quale [p. 258] fu eletto il P. Venanzio da Torino in Generale di tutto l’ordine. Da Firenza abbiamo preso la via di Arezzo, di Perugia, e di Assisi; dove mi sono fermato quattro giorni per visitare tutti i nostri Santuarii. /160/ In Assisi venne da Perugia il P. Francesco da Villafranca mio compagno di studio a trovarmi dopo otto anni di separazione, e stette con me due giorni. [a Roma: 14‑15.8.1850] Da Assisi abbiamo preso la strada diretta per Roma, dove siamo arrivati se non erro in due giorni.

P. Venanzio generale.
sue contrarietà
Il povero R.mo Venanzio mio Lettore, il quale si trovava oppresso dai dispiaceri, provò un gran piacere nel vedermi. Il P. Venanzio conosciuto da tutto l’ordine come un uomo piuttosto severo ed amico della riforma, in tutte le province più disorganizzate i buoni, per lo più oppressi dai cattivi, si fecero coraggio, e caddero ai piedi del nuovo Generale domandando che si provedesse a certi disordini; è incredibile il numero delle lettere che il povero Generale riceveva ogni giorno, segnatamente dalle provincie di Napoli. Sgraziatamente si trovava in quel tempo Procuratore Generale il R.mo P. Felice da Lipari napoletano piuttosto inclinato a difendere il partito opposto; per colmo di disgrazia poi era Protettore dell’Ordine l’Em.mo Orioli con due Segretarii, i quali s’intendevano molto bene col partito dei religiosi più guasti; i buoni si dirigevano al Venanzio, e gli altri si attaccavano al Procuratore Generale, il quale era assistito dal Cardinale protettore. Il menomo passo che facesse il Generale, tutto veniva [p. 259] impedito, con disdoro dell’autorità e con trionfo dell’iniquità; si staccano le provincie di Napoli
[29.5.1849]
il Cardinale protettore finì poi con far sortire un decreto, col quale dichiarava tutte le provincie del regno di Napoli sciolte dall’ubbidienza del P. Generale. Già il regno di Napoli con quella così detta Monarchia in materia di disciplina era [già] quasi scismatica, motivo per cui quasi tutti i religiosi di quel regno erano arrivati all’ultimo decadimento in materia di osservanza, non essendo più il P. Generale per loro che un fantocio fatto per aggiungere una formalità alle decisioni quasi scismatiche dei Provinciali divenuti più dipendenti dal governo che da Roma.

Venanzio domanda le dimissioni
[9.7.1850].
ne parlo al Papa
[fine ag. 1850].
Il P. Venanzio vedendo così, scoragiato affatto aveva risolto di dare le sue dimissioni, e già si era raccomandato a parecchie persone per ottenerle. Venuto io mi prego di parlarne al Papa, e ne ho parlato, non perché approvassi le sue dimissioni, perché avrei anzi creduto di fare un peccato allontanando un’uomo forze l’unico capace a riparare le rovine dell’ordine, ma unicamente per aver un motivo di far conoscere il vero stato delle cose al S. Padre. Diffatti quando gli ho parlato il Papa, come uomo che temeva Iddio, dimostrò di essere persuaso in certo modo, e mi rispose evitando la questione, e finì per dirmi, voi, come mi dite dovete andare in Francia ed in Inghilterra [p. 260] andate, io studierò meglio la questione e quando ritornerete tratteremo più direttamente questo affare. Io non sono più venuto, e così il povero /161/ Venanzio rimase in questo stato di violenza sino alla fine del suo generalato.

conto dato del mio operato alla s. c. di Propaganda,
ed al Papa.
Non ho ancora parlato dello scopo per cui sono venuto a Roma, il quale era quello avanti tutto di dar conto alla S. C. di Propaganda della missione che io aveva ricevuto rapporto all’Abissinia del nord, attualmente Vicariato dei Lazzarisri: missione che io doveva credere terminata colla consacrazione di Monsignore Dejacobis. Ho parlato delle ordinazioni come sono state date, come amministrata la Confermazione, ed alcuni altri sacramenti, onde assicurarmi di aver agito in regola, e per munirmi anche a questo riguardo di certe facoltà per ogni caso avvenire.

Avendomi qualcuno interrogato di qualche cosa sul rito, io ho detto che non conoscendo ancora la lingua sacra, [io] dovetti rimettermi in tutto al giudizio di Monsignore Dejacobis, persona per altro capacissima, e di una santità fuori dell’ordinario, persona che ha compreso quel misterioso paese, e che si è fatto comprendere dal medesimo. Se invece di parlare allora come novizio dovessi parlar oggi di Monsignor Dejacobis potrei dire ancora qualche cosa di più, e direi, che morto Dejacobis io confesso di non averlo [p. 261] abbastanza compreso, come non l’hanno compreso molti altri, motivo per cui siamo ancora tutti novizii sulla maniera di trattate la questione abissinese, e l’opera di Dio è rimasta molto indietro. L’Abissinia è figlia dell’oriente, e questo ancora è un gran mistero.

Un secondo motivo per cui era venuto a Roma, era anche quello di andare in Francia per parlare a Lione dei bisogni dells missione di Aden e dei suoi bisogni distinti dalla missione Galla. Quindi per lo stesso motivo di andare anche in Inghilterra. Rapporto al mio viaggio d’Inghilterra io non poteva cogliere una circostanza migliore: venuta a Roma di s e. m.r Visman a prendere il cappello card.
[3.10.1850]
raccomandazioni del Papa a lui,
ed a Lione
[8.10.1850]
qualche giorno dopo il mio arrivo in Roma veniva dall’Inghilterra Monsignor Wisman arcivescovo di Vajmester, e veniva a prendere il Cappello da Cardinale; ho parlato di questo al Papa, il quale mi aveva promesso di presentarmi egli stesso al nuovo cardinale, come poi fece, perché, quando S. Em: prefata si presentava per congedarsi io fui chiamato all’udienza e Pio IX. mi presentò a lui, e lo pregò di assistermi a Londra per tutto ciò che io aveva bisogno.

Il S. Padre mi accordò pure raccomandazioni tutte particolari per il gran Consiglio della Propagazione di Lione, diede ordine alle congregazioni, affinché mi spedissero tutte le carte occorrenti per le facoltà straordinarie che io aveva domandato [p. 262] per la missione dell’in- /162/ temo dei paesi Galla, dove, da quanto aveva già potuto conoscere, avrebbe potuto darsi il caso di trovarmi sequestrato con gran bisogno di facoltà. facoltà straordinarie accordatemi dal Papa
[20.10.1850].
Il Papa allora per il foro di conscienza vivæ vocis oraculo mi diede tutte le facoltà che poteva darmi quasi senza limiti; in foro externo poi mi fece spedire il breve di potermi consacrare un missionario qualunque a mia scielta col titolo di Vescovo di Marocco, facoltà che stette sempre secreta presso di me sino al 1859. in cui fu consacrato Monsignore Cocino.

progetto della s. c. di propaganda di unire la misisone dell’Africa centrale a quella dei Galla
[10.1.1850].
lettere sue per questo.
Prima di lasciar Roma debbo ancora parlare di una cosa, stata dimenticata in Aden. Trovandomi ancora in Aden io aveva ricevuto una lettera dalla S. C. di Propaganda, rapporto alla missione dell’Africa centrale. Monsignore Casolani Vescovo di Mauro-Castro, e Vicario Apostolico dell’Africa centrale, avendo rinunziato alla missione suddetta si trovavano colà i missionarii senza vescovo. Roma che conosce molti paesi più sulle carte geografiche, che per scienza locale, ha creduto un momento possibile l’unione di questi due Vicariati, e mi scrisse a questo riguardo, se non erro, due lettere; in virtù di queste lettere io passando in Egitto ho dato ordine a Monsignore Delegato di spedire a questi missionarii qualche somma, qualora avesse avuto qualche domanda. Venuto a Roma, Monsignor d’Egitto avendomi scritto che D. Knobleker si trovava [p. 263] in viaggio sull’alto Egitto, e la S. C. avendo communicato alcune lettere del medesimo pro voto meo, [17.8.1850;
8.9.1850]
allora ho dato la mia risposta che conveniva aspettare l’arrivo di questo Padre, il quale non mancava di idee rispettabili; che fratanto nel mio ritorno io avrei visitato il Sennaar, ed allora occorrendo avrei data l’ultima mia risposta.


(1a) Il nuovo parroco non aveva sposata la vedova del suo predecessore, il quale già era maritato con un’altra prima di essere ordinato Prete; ma avendo egli fatto baruffa colla sua vera moglie, se ne dimorava buonamente coll’antica sua amica, della quale già se ne parlò a suo luogo. [Torna al testo ]