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20.
Ritorno in Africa.
Arnaldo d’Abbadie e l’Abuna Salama II.

27. marzo
[4.4.1851]
mia partenza per l’Egitto
Arrivata la mattina del 27. accompagnato dal solo P. Guardiano, e dal mio Segretario sono andato a bordo del vapore, e quando questi tirava l’ancora mi sono congedato raccomandando al Segretario di mettere alla posta le lettere per l’Arcivescovo Franzoni e per il Marchese Brignole Sale; aggiungendo di fare una visita per me ai principali amici e benefattori di Marsilia, facendo le mie scuse per la mia partenza d’urgenza.

incontro con Arnou d’Abbadie. Appena il vapore ha preso il suo corso di mare sogliono i viaggiatori passeggiare sul ponte tenendo gli occhi verso la terra o meglio la città abbandonata, come ultimo segnale di simpatia per la Città e per gli amici. Mentre io ubbidiva a questo bisogno tutto all’improvviso mi trovo vicino ad un signore che non conosceva ancora personalmente, ma molto di fama, un signore per me molto importante perché fratello del Signor Antoine d’Abbadie [p. 281] per il quale ho un rispetto come a fundatore della missione, molto importante perché persona che conosce l’Abissinia ove restò otto anni, e persona che conosce non solo la lingua abissina, ma il vero lusso della medesima. Conobbi che questo signore era il Signor A[r]naux d’Abbadie da un discorso che faceva con un’altro signore; allora mi sono avvicinato, e gli ho domandato[:] voi siete dunque il Signor Arnoux d’Abbadie? Sì, e Lei è per avventura Monsignor Massaia? [Risposi:] appunto: eccomi dunque in rapporto con una persona che mi avrebbe bastato per confabulare sino ad Alessandria, desiderando io molto di parlare con lui, come egli certamente doveva [avere] un gran desiderio di parlare con me.

intime conferenze con Arnous d’Abbadie sull’Abissinia,
specialmente su Abba Salama, a cui fu mio porta parola
Non basterebbe un libro per riferire tutti i discorsi tutti interessantissimi che ebbero luogo tra me e M.r Arnoux d’Abbadie in tutta la traversata da Marsilia ad Alessandria. Egli persona che aveva conosciuto l’Abissinia ed i paesi Galla per lo spazio di otto anni, io persona ancora /174/ affatto nuova che in forza del mio ministero era destinato a passarvi l’intiera mia vita; può perciò ognuno immaginarsi se io ho lasciato un sol momento senza interessare il discorso ogni qual volta politamente mi era permesso.

Voglio limitarmi a dire una sul cosa, ed è la delegazione fatta da me per portare la mia parola al Vescovo eretico Abba Salama. M.r A. D’Abbadie essendo un semplice viaggiatore andatovi prima che sortissero le questioni religiose [p. 282] ha potuto frequentare, ed anche essere amico di Abba Salama senza nessuna nota di scandalo; epperciò diversamente io non avrei potuto sfogare con lui il gran bisogno che io sentiva nel mio cuore di evangelizzarlo, non potendo, ne io andare da lui, ne egli venire da me, senza comprometterci.

Prima di far conoscere il messagio mandato per mezzo di Arnous d’Abbadie al Vescovo Salama, [ritengo che questo] è un punto di storia troppo essenziale nelle cose dell’Abissinia per non sentire il bisogno di far conoscere qui in breve chi è questo Vescovo Salama.

morte del vescovo eretico cirillo
[c. 1828],
e principio di Salama.
Dopo la morte del Vescovo Kirillos, se non erro, avvenuta [avvenuta] nel 1834. stato avvelenato da Degiace Sabagadis Princi[pi]pe del Tigrè predecessore di Degiace Ubiè, l’Abissinia stette senza Vescovo cinque o sei anni, ed il popolo incomminciava [a] gridare, perché i preti mancavano per le Chiese: consigliarono perciò i principi di tutta l’Abissinia, e convennero di farne venire uno. Misero perciò in contribuzione tutto il Paese per radunare denari a questo scopo, secondo l’uso antico, sia per la spesa del viaggio, sia ancora per il tributo da darsi in Egitto al Patriarca Copto eretico, ed al governo egiziano. Tutti questi denari furono spediti a Degiace Ubiè incaricato da tutti gli altri principi di fare questa spedizione in Egitto, nella quale si trovavano deputati di tutti i principi abissini, e la deputazione contava circa 30. persone.

Degiace Ubiè incaricato di far venire un vescovo dall’Egitto Degiace Ubjè incaricato di questa spedizione cercava un’europeo di sua confidenza per accompagnare detta spedizione, affinché non venisse [de]rubata in strada, [p. 283] come già arrivò qualche volta anticamente. Monsignor De-jacobis si trovava allora da circa due anni in Abissinia, senza nulla poter fare, ed aveva fatto il sistema di passare i suoi giorni nelle chiese del Paese a pregare come certi monaci del paese e più venerati, onde guadagnarsi la fiducia del paese medesimo, pago di parlare di religione a quelli che si avvicinavano. Degiace Ubiè gettò il suo sguardo sopra di lui per questo affare. Dejacobis chiamato da Degiace Ubiè
[5.1.1841],
è pregato di accomp[a]gnare la deputazione in Egitto
[partenza: 20.1.1841]
Lo fece chiamare a se e gli fece la proposta. Monsignor Dejscobis era una persona troppo accorta per non vedere la delicatezza di questo passo, anche solamente in facia /175/ alla critica cattolica, e senza rifiutarsi assolutamente pose una condizione per acettare; la condizione era di condurre la spedizione a Roma; quando tutte le persone della spedizione avessero acconsentito. Degiace Ubiè interrogò tutti gli altri principi, non osando arbitrare, e ad eccezione di qualcuno, la risposta alla condizione essendo affermativa, [De Jacobis] acconsentì, e si mise alla testa della spedizione medesima.

tribolazioni provate in strada da Dejacobis Io che ho conosciuto personalmente molti di coloro che ban fatto parte di questa spedizione, e che ho voluto particolarmente esaminargli, non si può non solo credere, ma neanche immaginare, i sacrifizii di ogni genere fatti da quel sant’uomo lungo la strada sino al Caïro, strada che durò più di tre mesi, onde accapparrarsi tutta quella comitiva grossolana ed impertinente, [p. 284] e vi arrivò, perché arrivati appena in Egitto, egli ne possedeva almeno i tre quarti; ma il diavolo che non dorme in simili circostanze sollevò tante opposizioni per parte degli eretici copti, e degli stessi mussulmani, che la spedizione fù obligata [a] presentarsi al Patriarca eretico: invece di prendere la strada di Roma, come Dejacobis sperava, e per cui tanto aveva faticato. Vedendosi così contrariato Dejacobis si ritirò nel convento di Terra Santa, spiando da lontano l’opera di Dio, ed attendendo da Lui solo quello che tanto desiderava.

un certo Andrea, ragazzo di piazza, preso ed educato dai protestanti; mandato a Malta per le alte scuole Un giovanetto per nome Andrea era anni addietro stato raccolto dalle contrade di Cairo dai missionarii Protestanti, allevato dai medesimi per alcuni anni, e poscia per le scuole superiori mandato da loro a Malta, anche collo scopo di liberarsi dalla molestia dei parenti che lo vedevano mal volontieri fatto Protestante: quando questi, giunto ad una certa età ritornava in Cairo fanatico Protestante, i parenti se ne impadronirono [di lui], e lo mandarono in punizione al gran Convento di S. Antonio nel deserto delle Tebaidi, dove stette quattro anni rozzicando la catena; là fattosi capo banda in una rivoluzione in cui minaciavasi niente meno che [di] uccidere il superiore ne fù caciato, ed in uno stato di violenza, perché giovane di 18. anni, fatto monaco per forza, il nostro Andrea si trovava in Caïro sotto l’influenza dei missionarii protestanti, quando arrivò la spedizione [p. 285] abissinese. astuzia del giovane per esser eletto vescovo
[23-24.5.1841].
Un giovane scaltro come lui, pensò [di] cogliere la circostanza, e tanto seppe fare presso i Protestanti, promettendo di protestantizzare l’Abissinia, che questi con una somma che, da quanto seppi da testimonii degni di fede, si calcolava di 15. mille franchi ottennero in pochi giorni la sua elezione in Vescovo d’Abissinia col nome di Salama secondo, perché in Abissinia Salama primo è S. Fromenzio, per rispetto del quale più nessuno in seguito si chiamò con tal nome.

/176/ Una volta nominato il nuovo Vescovo, la deputazione fù obligata a visitarlo e riconoscerlo, e benché alcuni, già prevenuti dalla voce publica della sua qualità di Protestante, rifiutassero il Patriarca gli obligò colla forza. esterna la sua fede protestante; gli abissini si separano da lui Fu allora che arrivò una farsa che rivelò la sua fede dubbia, e mise in rivolta quasi tutta la depurazione. Il nuovo Vescovo domandò agli abissini se veneravano la Madonna? chi non venera la Madonna? risposero; allora il Vescovo [sentenziò], sono queste certe anticaje che poco per volta si lascieranno. Queste parole, unite alle molte cose già sentite in città dagli abissini, gli indisposero talmente, che ad eccezione di quattro o cinque, protestarono solennemente di non più entrare in questa elezione del giovane Vescovo. Si presentarono quindi a Monsignor Dejacobis protestando di non voler più saperne di Copti.

gli abissini rifugiati [d]al console; questi gli manda in Alessandria
[21.6.1841].
di là a Roma con Dejacobis
[12.8.1841].
Monsignor Dejacobis per mettere in sicuro questa gente dalle violenze dei Copti, gli portò [p. 286] al Console francese, e combinarono di mandargli subito in Alessandria. Naque in seguito, benché troppo tardi, una lotta, nella quale presero parte anche molti altri consolati. Il tutto però [de]terminò per consigliare Monsignore Dejacobis a portare tutta questa gente a Roma. La ricevuta che ebbero in Napoli dal Re, molto più poi quella che ebbero in Roma dal Papa Gregorio XVI. è una cosa talmente conosciuta in Europa, e trattata da tutti i giornali del 1839. Poscia anzi consacrata ad aeternam memoriam sul monumento [funebre] di questo Papa, che io posso dispensarmi dal parlarne in questa mia storia.

il patriarca copto fa partire subito il nuvo vescovo Salama coi pochi abissini rimasti per l’Abissinia. In vista di ciò il Patriarca, anzi lo stesso governo egiziano fecero partire subito il nuovo vescovo Salama per l’Abissinia coi pochi abissinesi rimasti in Egitto. Così questo bel colpo di stato fatto dal povero Prefetto Dejacobis non servì ad altro che a sollevare la questione e rendere più cauto il partito Copto contro la missione cattolica, e quando i poveri abissinesi fatti quasi tutti cattolici in Roma, fecero ritorno in Abissinia furono presi di mira dal Vescovo Salama, ed ebbero una persecuzione tremenda, ed uno per nome Abba Ghebra Michele fù vero martire morto sotto [la] sferza del Vescovo Salama ai tempi di Teodoro, quando questo imperatore stava facendo la guerra ai Wollo Galla.

Salama arriva in Abissinia
[12.11.1841],
va a Gondar
[feb. 1842].
Per terminare in breve la Storia di questo Vescovo, dirò che arrivato in Abissinia molti mesi prima che ritornasse da Roma Dejacobis coi tre quarti della spedizione, egli di volo se ne andò alla capitale antica di Gondar per prendere possesso della sua casa, ed antico patrimonio. [p. 287] Appena attivato in Gondar, privo ancora di lingua non seppe tenersi e sollevò tante e tali questioni sulla fede, che i popoli stessi, /177/ massime la casta sacerdotale, sollevati in massa, e venuti dallo stesso regno dello Scioha, gli fecero una guerra accanita, è caciato da Gondar.
resta in Tigrè
[dal 1845]
sino al regno di Teodoro
[11.2.1855].
a segno che Ras Aly per mettere la pace al suo paese colla forza lo fece partire, poco più di un’anno dopo del suo arrivo, per il Tigrè, dove restando, fu sempre egli che sollevò la guerra per ben due volte trà Ubiè e Ras Aly, e vi stette sempre sino al Regno di Teodoro, il quale lo fece ritornare a Gondar, tenendolo quasi sempre presso di se al suo campo, fino a tanto che stanco anch’egli delle sue mene [confinato: 1864]
[† 25.10.1867]
lo confinò nel 1862. sulla fortezza di Magdalà, dove morì avvellenato nel 1867.

mia missiva a Salama col mezzo di Arnou d’Abbadie Ritornando ora al filo della mia storia con Arnou d’Abbadì, prima di separarci ho voluto terminare la missione che io intendeva pregarlo [di fare] al Vescovo Salama. Gli ho scritto una lettera nella quale gli diceva che Arnou d’Abbadie, detto in Abissinia Ras Michael gli avrebbe portata la mia parola, parola non di un nemico, ma di un grande amico che desidera[va] sinceramente il suo bene: io so, diceva io, che voi siete abbastanza istruito per conoscere la verità del cattolicismo, e la sincerità di chi vi parla, ma ad ogni evento il vostro amico Ras Michael egli conosce e potrà informarvi di tutte le buone disposizioni che io tengo per voi, disposto anche a farvi da servo, quando voi messovi sulla buona strada servirete Cristo sotto la guida [p. 288] della Sua Chiesa, e del Papa successore di S. Pietro. Alla lettera poi ho aggiunto in parole moltissime altre cose: l’affare delle ordinazioni che soleva dare in modo ridicolo, neanche osservando [il rito] quello con cui egli era stato ordinato in Egitto dai medesimi Copti eretici, i quali ordinano ancora validamente; così di altre infinite cose che d’Abbadie conosceva meglio di me. Per finirla dirò che Arnou d’Abbadie fu di parola, curiosa risposta del vescovo Salama. perché a nome di Abba Salama mi rispose una lettera che mi arrivò in Gudrù nel 1853. Con questa lettera il Vescovo Salama mi faceva dire molti complimenti, frà i quali, che era convinto delle mie buone disposizioni, che in seguito [non] avrebbe mai più molestato i miei missionarii nel loro passaggio in Abissinia; per riguardo all’ordinazione poi mi mandò una ridicola risposta, degna di un razionalista fatto nella scuola Protestante, che cioè gli abissini non sono uomini, ma scimmie, e che perciò non conveniva dare loro la vera Ordinazione...!

cattivo carattere di questo vescovo. Avrei molte altre cose da dire sul carattere di questo uomo, persona fornita di tutta l’astuzia copta, nato ed educato fra i mussulmani, epperciò ab infantia mezzo mussulmano; sopra tutto ciò, e sopra l’immoralità eccessiva orientale passò cinque anni nelle scuole di lingua, e di una religione sostenuta dal razionalismo protestante, quello che ci vuole per indurire il cuore e confermarlo di più nella sua immoralità, ognuno /178/ potrà immaginarsi che brutto regalo [venne] fatto alla povera Abissinia, di cui fù l’ultima rovina, sia nella sua religione, che nella sua politica.