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9.
Convito offerto ai capi del Gudrù:
pane, birra, idromele, «brondò».

Frattanto io non doveva dimenticare il Gudrù dopo tutti i pregiudizii sparsi, ed i pericoli passati; io aspirava a far approvare la missione nei comizii generali del Gudrù coll’oracolo dello stesso Buccù. Gama aveva già a questo proposito fatti alcuni passi, ma mi esortava a fare un grande invito di tutti i grandi; d’altronde io aveva ancora certi debiti da pagare [p. 119] ai nostri vicini, i quali avevano faticato molto nella costruzione delle case, e dei quali avevamo sempre bisogno.

Io aveva tre o quattro carichi di miele statimi regalati da Abba Baghibo e da Kisti Duki, capitale da me sempre conservato allo scopo di distruggere le nubi e i pregiudizii che ancor mi separavano dal Gudrù, paese troppo importante alla Missione; io aveva ancora due o tre bovi statimi regalati per alcune medicine amministrate; a tutto ciò aggiungendo ancora al più due scudi per la provvis[ta] di grani necessarii per la birra e per il pane, io poteva fare l’invito in questione senza gran spesa.

preparazione per il grande invito del Gudrù. Come la casa mancava ancora di vasi o giarre che si ricercano, sia per l’idromele, che per la birra, ne ho parlato a Gama ed a Dunghi sua madre, i quali mi promisero tutto il necessario; [per di] più non avendo io una casa abbastanza grande per tutta questa operazione Gama mise a mia disposizione una vecchia casacia tutta vicina al nostro recinto, dove furono collocate dodeci giarre della capacità di 150. litri circa caduna, per l’idromele, ed altre dodeci per la birra. amaricanti che si aggiungono all’idromele, alla birra. I miei ragazzi sortiro[no] un giorno in massa a raccogliere una quantità di foglie di ghisciò, e radice di thaddo, [p. 120] arbusti che si trovano frà le boscaglie delle rive incolte. Il ghisciò ha una foglia molto amara di forma quasi ovale oblunga, quasi simile alla foglia del caffè, e serve per l’idromele, e per la birra. Il thaddo è un’altro arbusto colla foglia quasi simile al mirto o alla pruna selvatica nostra; la sua radice, o legno serve solo per l’idro- /80/ mele nei paesi, dove non è in uso il ghisciò, perché si dice che questo da alla testa ed ubbriacca di più. Io mi sono servito di questi arbusti anche come febrifughi con felice esito. Sia il ghisciò, sia il thaddo si raccoglie, si fa seccare, e poi si pesta nei grossi mortaj di legno, ed in alcuni luoghi si vende anche sui mercati in detaglio. In mancanza di ghisciò e di thaddo ho veduto in qualche luogo supplirvi colla foglia di olivo, oppure colla grawa altro arbusto che ha la foglia molto amara, e che fa un fiore, da cui le api raccolgono un miele molto aromatico, in certi paesi riservato ai principi per l’idromele.

In capo a pochi giorni tutto fu disposto per fare l’idromele e la birra. diverse qualità d’idromele. Si fece tre specie d’idromele, una in proporzione di cinque parti di aqua, ed uno di miele, la seconda di sei di aqua ed uno di miele, la terza di sette di aqua ed uno di miele. Fa in quei paesi questa diversa specie d’idromele la figura che [presso di noi] fa la diversa specie di vino più o meno squisito, e si dà alle diverse persone secondo la loro condizione; se ne può fare anche colla proporzione di quattro o di tre, e sortirebbe un’idromele solo per i principi. modo di fare l’idromele. Il modo con cui si fa è semplicissimo; secondo la qualità dell’idromele che si desidera, si mette in proporzione, come sopra l’aqua ed il miele, e poi si scioglie bene, perché naturalmente [p. 121] il miele che si mette è miele brutto colla cera, tal quale è sortito dall’alveare; dopo che si è sciolto bene si lascia circa tre giorni, più o meno secondo la stagione, luogo, o circostanza più o meno calda; dal momento che incommincia la fermentazione tutta la cera monta in alto, ed allora si raccoglie esattamente più che si può, o colle mani, oppure con qualche istromento, o anche passando l’idromele ad uno stracio o setacio; fatta questa operazione si mette o il ghisciò, oppure il thaddo e si agita di nuovo, affinché [si] mischi bene, e poi si chiude il vaso, e si mastica per levarlo dal contatto dell’aria tanto che si può; secondo i luoghi più o meno caldi dai dieci ai quindeci giorni l’idromele è fatto, se si desidera che sia ancora un poco dolce. Per beverlo bisogna passarlo in uno stracio o setacio, per purgarlo dall’ghisciò o thaddo.

modo di conservare l’idromele. Nel caso che si voglia bere un poco più secco, si può lasciare anche cinque o sei giorni di più senza toccarlo. Nel caso di volerlo conservare maggior tempo, allora, purgato l’idromele come sopra, e lavato il vaso, si unge l’interno del vaso con un poco di miele e si rimette l’idromele puro, si chiude e si mastica bene in modo da impedire l’esalazione e la circolazione dell’aria; così [lo si] potrà conservare [per] un mese, in caso di volerlo conservare di più si deve ripetere ogni mese la stessa operazione, sempre passandolo, perché altrimenti la poca cera che ri- /81/ mane gli darebbe cattivo gusto. Ho detto questo per i vasi di terra di quei paesi, nei quali avvi sempre un poco di traspirazione, e di necessità bisogna alimentare il liquido con un poco di miele per sostenerlo, perché così ben coltivato [p. 122] io sono arrivato a conservarlo anche sei mesi in buonissimo stato. Quando fosse questione dei nostri paesi, [tenendolo] dentro vasi di vetro, oppure di altro simile [materiale] senza tante manovre, dopo che è ben purgato si può conservare anche degli anni chiuso ermeticamente. Io nelle bottiglie [tappate] con un buon turaciolo l’ho conservato più di un’anno, e quando l’ho aperto spumava come il nostro Sciampagne.

birra dei galla, modo di farla. Riguardo alla birra quasi in tutti i paesi cangiano il modo di farla; io descriverò, qui brevemente, ed alla meglio, la birra che si usa [di] fare nel Gudrù. La birra fatta nel Gudrù, che è poco presso la medesima di quasi tutti i paesi galla, è la più semplice che vi sia: non fanno altro che fare grossi pani senza lievito di qualunque specie di grani, come tieffe (specie di miglio), orzo, fromento, meliga rossa, o qualche altra specie, e poi, rotto questo pane a pezzi lo gettano in una giarra, piena sino quasi la metà; sopra questo pane vi mettono l’aqua in modo che il vaso sia quasi pieno, e così rimane due o tre giorni; poi quando incommincia la fermentazione gli aggiungono una farina composta di orzo germogliato secco, e di ghisciò macinato, e così la lasciano fermentare sino a maturità, cioè sino a tanto che gustandola la credono arrivata [al punto giusto]. modo [di] distribuirla e di beverla. Ciò fatto danno al forestiero un corno di quella birra che sembra una panata molto spessa; quando hanno servito tutti mettono dell’aqua nel gran vaso, [p. 123] e seguitano a tirare da quel vaso per aggiungere ai bevitori nel corno che si suppone diminuito, ed a misura che tirano dal gran vaso seguitano ad aggiungere aqua, e così aggiungere pure al corno dei bevitori fino a tanto che la birra si raffredda in modo che non ha più gusto. Il primo corno la birra è molto spessa, ed è talmente forte che il solo odore ributta, e due mediocri corni basterebbero ad ubbriaccare; è molto buona dopo che si è aggiunto, una, due, o tre volte, ma poi incommincia [ad] indebolirsi, allora raccolgono i corni e l’avvanzo lo rimettono nel vaso, si aggiunge aqua, e passata la notte l’indomani si ottiene ancora una birra leggiera simile al nostro vinetto. Tale è l’uso di quasi tutti i Galla.

birra nera del Gogiam. Per fare la birra nera del Gogiam il processo è lo stesso come quello dei Galla da principio; ma poi quando la fermentazione è bene incamminata gli aggiungono una farina di grano bollito, secco, e macinato, farina che sembra quasi caffè macinato, perché prima di macinarlo lo abrustoliscono come il caffè. Finita la fermentazione diventa una pasta /82/ nerastra, che conservano in un vaso anche un mese e più. Questa a misura che occorre il bisogno, in un vaso più o meno grande si scioglie nell’aqua in proporzione di cinque [parti di] aqua ed uno di pasta, ed in poco tempo si sviluppano i gaz, e bolle; è buonissima se è bevuta [p. 124] nel momento della fermentazione, perché dopo subito si indebolisce. È molto sana, e qualche volta mi è riuscito di calmare una diarrea, facendola bere soventi in piccole dosi, con una dieta rigorosa di altro cibo.

prossimi preparativi per gli invitati. Mentre io mi occupava della birra e dell’idromele, Gama aveva preso le sue misure col Gudrù, e d’accordo con me aveva fissato il giorno, quale avvicinandosi, per mancanza di una casa abbastanza grande, si fece una baracca di legni, e provisoriamente coperta di paglia della grandezza da contenere un centinajo di persone. I miei giovani sortirono con falcette del paese a tagliare erba in abbondanza, e dieci fascii bastarono per coprire il pavimento del nostro gran salone galla. Sopra l’erba si [e]stesero circa dodeci pelli di bue, tappeto ordinario etiopico di lusso. In una estremità opposta alla porta d’entrata fù preparato un luogo un poco più elevato per me e per alcuni gran dignitarii del paese.

arnesi indispensabili nel pasto. Dunghi madre di Gama mi fornì tutti i vasi necessarii per il gran pasto, cioè 25. vasi di paglia tessuta per mettervi il pane, detti mosseb, o liemet in lingua amarica; un centinajo e più di corni per bere, dette [p. 125] wancie, con una ventina trà bicchieri e caraffe, per le persone più distinte; una trentina di piatti di creta fatti nel paese per il primo servizio di brodo e carne cotta, altri piccoli piatti per il sale e pepe circa trenta; 50. coltelli per mangiare la carne cruda detta brondò; uno serve per due persone.

due buoi scannati, e divisione della carne. Arrivata la mattina del giorno fissato di buon mattino furono scannati due buoi dai miei giovani, e fù separata la carne, che, secondo l’uso si suole mangiare cruda da quella che si suole mangiare cotta, oppure arrostita; fu tutta consegnata ad un giovane a pezzi numerati, secondo l’uso dell’Abissinia. è cosa ammirabile vedere, come non vi è un pezzo, per piccolo che egli sia, il quale non abbia il suo nome particolare, del quale non debba dar conto la persona incaricata. Io che ho assistito più volte [alle] operazioni anatomiche posso assicurare che la nostra lingua anatomica, non è così perfetta, come la lingua abissinese in questo genere solamente, e l’operatore che prepara i pezzi umani per la scuola non è così disinvolto come l’abissino che prepara la carne in questi casi. Il galla è meno [p. 126] destro, e va molto più alla buona in questo; anche la lingua galla è meno ricca.

/83/ modo di fare il brodo, o pietanza. Una volta che la carne è divisa, la parte destinata per bollire è tagliata a piccoli pezzi in gran quantità, e poi una giarra della capacità di 200. litri è collocata solidamente sopra tre pietre al luogo del fuoco, vi mettono dentro tutta quella carne e si riempie d’aqua e si fa bollire. Per condizionarla poi, [si prende] un kilò circa di farina di fave, un’altro di sale, ed un terzo di peperosso fatto in farina, [e] messo tutto insieme e fattane una pasta, quando la carne è cotta, si scioglie questa pasta nel gran vaso; così il brodo, o pietanza è preparata.

avvicinamento della birra, pane, e pietanza. Nei quattro angoli del gran salone si colloca un gran vaso di birra portati almeno da otto persone [almeno], e con gran delicatezza, affinché non si spezzi. Vicino a ciaschedun vaso [si colloca] un cesto pieno di corni, bicchieri e caraffe, come sopra, e sono destinate due persone ad ogni vaso per la distribuzione della birra nel modo già sopra indicato. Ciò fatto, si distribuiscono i 25. vasi di pane in tutto lo spazio del salone con del pane sufficiente per cinque o sei persone caduno, ad una distanza sufficiente in modo che permetta la circolazione delle persone.

[p. 127] cerimoniale sul principio del pranzo. Quando ogni cosa fù in ordine si fecero entrare gli invitati; l’ora di simili pranzi diplomatici, è poco presso la stessa dei gran pranzi di Parigi, cioè la sera, colla differenza che in Gudrù [vi] passano tutta la notte, mentre in Parigi circa mezza notte tutti si ritirano. Sedute le Sette case di Gudrù, ciascheduna in drapello a parte, il Bukù alla mia destra, con Gama alla mia sinistra, dice[:] kotu dufe (viene venuto, ceremoniale con cui sempre incomincia un’atto publico) si trova tutto il Torba Gudrù?, e rispondono tutti[:] dufne (siamo venuti), il Bukù augura buon’appetito a tutti, si incommincia [a] mangiare, e si distribuisce la birra, come sopra.

ordine del pranzo. La prima sessione del pranzo, quella cioè della birra, e del brodo e cane cotta, dura circa un’ora; quando la birra incommincia [a] raffreddarsi, e divenire leggiera, e ciascheduno ha lasciato di mangiare, si ritirano i corni, ed i piatti, e si portano via i gran vasi di birra, mentre tutti gli invitati fanno un complimento ad alta voce. Con grande solennità, e gran saluto entrano i quattro gran vasi d’idromele e sono collocati in luogo della birra; entra la carne cruda e si distribuisce in modo eguale a tutti i circoli, ed un piccolo piattellino con sale e pepe coi coltelli per tagliare il brondò (came cruda, la quale è per lo più puro muscolo), e così incommincia la seconda sessione del pranzo.

[p. 128] Si distribuisce l’idromele nei corni stati lavati, e ciascheduno nel suo circolo mangia il brondò, cioè carne cruda. Da principio del /84/ mie idee ed impressioni sulla carne cruda mio ingresso in Abissinia quasi mi ripugnava vedere mangiare la carne cruda, ma poi accostumatomi vedeva questo con indifferenza; anzi vedendo l’avidità, il gusto, e la facilità con cui la masticavano, svegliava in me un certo senso d’invidia; non mi stupisco perciò che alcuni nostri europei siansi accostumati, a costo di prendere la tenia o verme solitario; parlando con alcuni europei accostumati mi assicurarono che la carne cruda è tenerissima, e per il gusto è il miglior piatto di carne che si possa gustare; è anche molto leggiera allo stommaco, è forze per questa ragione che oggi ritornando in Europa incommincio [a] vedere che i medici stessi sono molto più facili [a] ordinarla. Quando il brondò è finito sarebbe una sgarbatezza domandarne ancora: si domanda del pane, della birra, o dell’idromele quando il corno è vuoto, a suo tempo si domanda anche del brodo, se è finito, ma [non] si domanda mai [il] brondò.

terza sessione di complimenti Col brondò finisce la seconda sessione del pranzo diplomatico; dopo si incommincia la terza ed ultima sessione del pranzo: si accende un gran fuoco nel mezzo della sala, se già non è acceso, perché allora, mentre si seguita a bere, ciascheduno può arrostire sul fuoco qualche rimazuglio di brondò meno tenero, oppure domandare qualche pezzo che si usa [di] arrostire, come le coste del bue, chi vuole.

[p. 129] Frattanto la terza sessione è la sessione delle parole e dei complimenti. Ha incomminciato il Bukù a fare un gran complimento alla missione, disapprovando il modo di procedere di alcuni nemici della medesima. Dopo di lui si levarono alcuni oracoli del paese sempre secondando il movimento dato dal Bukù. Dopo tutti si alzò Gama Moras lagnandosi di molti che avevano esternato sentimenti opposti a noi, e fece una descrizione, o meglio un’apologia al sistema nostro di ordine, di pace e di carità, a segno tale che da lontano incomminciano [a] invidiare la sorte del Gudrù, ed ha dovuto soffrire la partenza di una parte dei missionarii, io domando perciò, disse, che il sangue di questi Signori, e di tutta la gente loro sia dichiarato sangue nostro, e sangue di tutto il Gudrù; dopo di lui si alzarono tutti e gridarono[:] hajtau hajtau (sia).

decisione del Bukù in favore della missione. Al sentir questo il Bukù si alzò, e tre volte lanciando la sua sferza disse: kotu dufe, daghesse torba Gudrù (equivale a vieni venuto, sentite o sette razze del Gudrù) questi uomini sono uomini di Dio, essi non sono mercanti, epperciò quando vanno o vengono non molestategli con delle dogane, ma onorategli, fategli entrare nelle vostre case e dategli da mang[i]are e da bere, alloggiategli in casa vostra, e custoditegli in strada, perché il sangue loro è sangue mio, è sangue di tutto il Gudrù. /85/ Gama è il loro custode, ed al grido di Gama tutti dovete unirvi a lui per difendergli; allora tutti dissero[:] hajtau (sia).

[p. 130] Dopo questo alcuni vecchi si ritirarono a dormire, ma tutti gli altri seguitarono a bere e cantare quasi tutta la notte; al canto del gallo pochi rimasero col loro corno in mano, e quasi tutti caddero vinti dal sonno col loro corno a metà aggiustato vicino [a] loro. Così finì il gran pasto, e la mattina se ne partirono tutti.

ho fatto mangiare 100. poveri L’indomani si radunarono tutti gli avvanzi di carne, sì cruda che cotta si fece di nuovo un gran vaso di brodo e carne; due gran vasi di birra, e due d’idromele, ho radunato circa un centinajo di poveri di tutti i contorni, e gli ho fatto mangiare e bere; non si diede però della carne cruda.

invito della cattegoria media Il terzo giorno, esistendo ancora qualche pezzo di carne cruda presentabile, ho fatto scannare un’altro bove, ed ho invitato un’altro centinajo di capi di famiglia della classe media, e si sono bevuti trè gran vasi di birra, aggiungendo i depositi d’avvanzo dei giorni precedenti; si mangiò carne cotta con brodo, come nel primo giorno, e poi si passò al brondò in minore quantità; anche nell’idromele bastarono tre vasi, perché si aggiunsero gli avvanzi dei giorni precedenti.

[p. 131] Nel quarto giorno cogli avvanzi dei giorni precedenti ho fatto mangiare tutta la mia casa, ed il numeroso servizio della casa di Gama, e ciò per i grandi servizii prestati alla missione; ho dato solamente carne cotta con brodo ben fatto all’uso del paese; non ho fatto mangiare carne cruda che a poche persone in privato; raccogliendo tutti gli avvanzi precedenti, mi bastò un solo gran vaso di birra, ed un solo gran vaso d’idromele.

in tutto mangiarono 500. persone con tre talleri. In questi quattro giorni, tutto compreso, e comprese le persone non chiamate, e non calcolate, ma che in tutti i giorni si sono aggiunte a titolo di seguito, o di amicizia, mangiarono circa 500. persone. La spesa non poteva essere minore di dodeci talleri, quando avessi dovuto comprare tutto, ma siccome la carne ed il miele, che formano la spesa principale, furono di regalo, appena la spesa viva da me fatta arrivò a tre talleri. Con questa spesa ho dato una dimostrazione a tutto il Gudrù, e sono arrivato a dissipare alcuni pregiudizii che pesavano sopra la missione. Il Galla, una volta invitato, e passata la notte in una casa in questo senso incontra un vero debito in facia al paese, e difficilmente tradisce.