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8.
Sifilide di Kisti-Duki: diagnosi e terapia.
Lingua galla scritta. Schiave riscattate.

[solo con Morka e i giovani;
Kisti Duki]
Io me ne sono rimasto solo in Assandabo con Giovanni Morka, e la maggior parte dei giovani, a lui confidati sino al ritorno del Sacerdote indigeno. La malinconia della casa era simile a quella, dove morì una gran persona, subito dopo passata l’agitazione della sepoltura. Il mio cuore era come quello di una donna vicino a partorire, e sentiva tutto il peso dell’avvenire vicino e lontano della spedizione. Gama che aveva accompagnato la carovana fù di ritorno la sera ad un’ora di notte [p. 104] e venne subito ad annunziarmi che la nostra spedizione era arrivata felicemente alla casa di Kisti-Duki, fratello di Guluma Duki, residente in Kobbo [al] confine Sud del Gudrù, luogo dove il Bukkù (capo di tutti gli atti civili e religiosi del Gudrù) suole radunare tutti i capi Gadà del paese per decidere le grandi questioni. Kisti Duki si era obligato con giuramento di fargli accompagnare l’indomani nel giro verso l’Est sino a Gondol Wako, luogo dove passò d’Abbadie nel suo ritorno dall’Ennerea. Gama mi assicurò che io poteva fidarmi di Kisti Duki, perche questo uomo desiderava un’occasione di rendermi un servizio, per la speranza di ottenere da me la cura da una vecchia sifilide, la quale [gli] aveva già fatto dei gran guasti alla gola, e stava facendo progressi.

arrivo di Kisti Duki, e notizie della spedizione. Difatti passarono appena tre giorni che Kisti Duki venne da me portando un carico di miele ed un bue in regalo, per pregarmi di quanto sopra; l’ho esaminato molto attentamente, ed ho veduto che la sua malattia era grave: un giovane suo accostumato a sentirlo lo poteva intendere, e gli faceva come da dragomanno, altrimenti [p. 105] la sua voce era quasi nulla, perché il canale della respirazione era quasi tutto mangiato; uno spurgo quasi continuo [che] lo obligava a sputare quasi ogni momento. Le sue persone che avevano accompagnato la nostra spedizione mi portarono una letterina del P. Cesare, nella quale mi dava notizie del loro felice arrivo a Gondol Wako, e mi raccomandava di occuparmi di Kisti Duki, il quale gli tratto molto bene, e meglio ancora gli fece accompagnare.

/72/ cura sifilitica di Kisti Duki. Gama gli diede una casa tutto vicina a lui per restarvi tutto il tempo della cura, ed egli fece venire da casa sua persone per sentirlo, e provviste di ogni genere, perché era uno dei più ricchi del Gudrù. Ho incomminciato per purgarlo blandamente, e poi gli ho dato dell’unguento mercuriale e gli ho ordinato frizioni in dosi molto moderate per non fare una crisi molte forte e violenta, perché in quei paesi tutte le cautele sono molto difficili ad ottenersi. Dopo 15. giorni incomminciò a migliorare, e dopo un mese era cessato affatto lo spurgo da chiamarsi come guarito. Dopo un tempo più lungo anche la voce ha guadagnato molto, e guadagnava ancora ogni giorno a misura che le piaghe guarite si rifecero affatto, [p. 106] dei tessuti corrosi dalla cancrena. La siffilide, mala[la]ttia terribile in questi ultimi tempi, e che fa tante vittime nell’anima e nel corpo, è stata portata dagli arabi anche in Abissinia, e vi fa colà una gran strage, massime nei centri, perché il paese non è abbastanza organizzato da prendere certe cautele legali.

[caratteri diversi della sifilide] Questa malattia non presenta i medesimi caratteri in tutti i paesi. Io aveva preso molte note circostanziate e caratterizzate per quanto comportava la mia poca perizia. Di 50. circa cure che ho fatto, la più parte nei primi anni, prima che si moltiplicassero i lavori del ministero apostolico, circa dieci cure furono [praticate su abitanti] dei paesi bassi e caldi, a poche centinaja di mettri di altezza; le altre poi erano quasi tutte dei paesi alti sopra due mille metti di altezza.

[nei paesi bassi] Quelle dei paesi bassi erano sempre per lo più alla cute come un’affezione dartrosa, solamente le moltissime piaghette si presentavano coi contorni sifilitici, erano per lo più rosse e vegete nella luna nuova, purolenti nella luna piena, ed asciutte verso il fine della luna. Già ho notato altrove la marcatissima influenza che ha la luna nei paesi della Zona in tutto, nelle variazioni dell’atmosfera, nella vegetazione, nelle malattie, a preferenza dei nostri paesi; [p. 107] questa influenza si fa particolarmente sentire in questa malatia sifilitica dei paesi bassi, a preferenza dei paesi alti. Questa malattia nei paesi caldi, col beneficio del sudore quasi continuo, se l’ammalato ha cura di guardarsi dal fresco della notte, massime in certe stagioni nelle quali è più sensibile, con un terzo di meno di mercurio, sia metallico, sia sublimato, in poco tempo sparisce con tutta facilità.

[nei paesi alti] Nei paesi alti e varii casi di sifilide che io ho curati è stata quasi sempre nei maschi il cancro al naso, alla bocca, alla gola, raramente all’ano ed alle parti naturali, due sole volte si sono presentati di altra natura, uno era [di] un ricco mussulmano, al quale da principio essendogli sortita una gran piaga all’uretra, dietro certo qual rimedio somministratogli da /73/ un’empirico del paese, scomparve dall’uretra, ed il virus morboso s’impadronì di quasi tutte le articolazioni, le quali incomminciarono a gonfiare notabilmente, e soffriva dei dolori orribii, principalmente dal novilunio al plenilunio, lasciandogli un poco di tregua nella luna decrescente. Un’altro caso simile, ma meno grave.

[la sifilide delle donne] Le cure fatte a donne due erano affette da una cancrena al palato, ma [in] tutte le altre la malattia manifestatasi da principio alle parti naturali, di là si portò all’interno, lasciandole [p. 108] in un’apparente stato di salute, senza nessun segnale di morbo. Le donne affette da simile malattia, ad eccezione di alcune di un’educazione più elevata, sono un vero flagello; come sembrano sane, e per lo più [più] travagliate dalla passione più delle altre, nei centri, dove avvi molta popolazione, guastano tutta la gioventù; queste hanno per lo più ancora figli, quando non sono date alla publica prostituzione, ma questi figli nascono colla sifilide e mojono appena nati;

guarigione di Ras Govana, e di sua moglie. A questo riguardo voglio citare un fatto di una Signora conosciutissima anche da molti europei, è questa la moglie di ras Govana del regno di Schioha; questa Signora dopo avere generato cinque figli, fù presa da questa malattia, dopo la quale ebbe ancora cinque altri figli; i primi cinque furono allevati bene, ma i cinque ultimi morirono tutti di sifilide appena nati. Ho fatto la cura al marito ed alla moglie nel medesimo tempo. Quello del marito è l’unico caso di bubone che ho veduto in 30. e più anni, e guarì felicemente; la moglie parimenti guarita, dopo otto anni di sterilità, ad un’età già molto avvanzata, ebbe ancora un figlio ed una figlia, cosa che fù creduta miracolo da molti indigeni; la figlia morì dopo un’anno, il figlio era ancor vivo nella mia partenza il [24.6.1879] 24. Giugno 1880.

guarigione di una povera donna ritenuta lebbrosa. Alcuni anni prima nello stesso paese di Ras Govana mi fu presentata una povera donna, come ammalata di lebbra, ed era in uno stato orrido e compassionevole, ripudiata dal suo marito [p. 109] e da tutti fuggita, perché la sua persona era una piaga sola da capo a fundo. Io l’ho esaminata, e vedendo dovunque il carattere sifilitico, gli ho amministrato le pilole di sublimato ordinandogli di bere una gran quantità di gumma arabica sciolta nell’aqua con un poco di miele, nulla più; questa povera donna dopo tre settimane era perfettamente guarita con stupore universale di tutti. Anche questa è stata l’unica sifilide di questo genere trovata da me nei paesi alti.

consigli ad un medico europeo in quei paesi. Prima di chiudere questa mia digressione, onde non ritornarvi tanto presto voglio far conoscere un cosa, la quale potrebbe essere utile a chi /74/ pensasse di recarsi in quei paesi, onde speculare sulla medicina. In quei paesi [non] serve a nulla la laurea ed il dottorato, perché colà una persona prudente di una prudenza propria di quei paesi con un poco di empirismo può far scomparire il più gran protomedico del mondo. Io mi sono trovato due o tre volte pregato da alcuni dei principi di quei paesi di far venire qualche medico dall’Europa, ma non ho avuto coraggio di accingermi a simile impresa, sicuro di espormi ad uno scacco solenne, perché [p. 110] colà una cura andata a male senza colpa, ed anche per colpa dell’ammalato, o di quelli che lo circondano, può togliere il prestigio ad una persona di gran merito e scienza, perché la persuasione del publico è attaccata in gran parte ad un principio superstizioso, e da poco peso al calcolo fisico. Una volta caduto, potrà ancora restarsene sicuro sotto l’umbra e l’amicizia dell’autorità, la quale pure è versatile, ma perderà affatto la confidenza publica, e nessuno più lo cercherà. Nei paesi dove non vi è un’autorità per sostenerlo, potrebbe anche qualche volta cadere nella macchia del sangue, cosa che lo obligherebbe a lasciare il paese. Io ho potuto utilizzare questo elemento, ma so quanto mi ha costato, e quanti timori ho avuto di compromettere anche la mia posizione di missionario cattolico.

notizie avute da Kisti Duki sopra Plauden e Bel
[2a metà 1845].
Ritornando ora alla nostra storia, la guarigione di Kisti Duki ha fatto un gran chiasso nel Gudrù; Da questo Signore ho potuto avere tutti i detagli riguardanti la storia dei due inglesi Walter Plauden e Giovanni Bel sopra narrata, perché Kisti Duki essendo fratello di Guluma Duki, è una storia che si deve considerare come [p. 111] avvenuta in casa sua, epperciò persona più di tutti informata della verità di quella storia. Se qualcheduno ha potuto pensare o scrivere chi i due viaggiatori sumentovati hanno ammazzato collo scopo di chiudere la strada al Signor Antonio d’Abbadie, mi pare che si siano sbagliati, poiché Kisti Duki mi assicurò che i medesimi assolutamente non volevano battersi.

ritorno del sacerdote indigeno da Lagamara, notizie. Frattanto, dopo circa tre settimane dalla partenza della nostra spedizione all’Ennerea fu di ritorno il Sacerdote indigeno da Lagamara portando con se molti catecumeni nipoti di Abba Gallet, ed una lettera del P. Cesare, nella quale questo missionario mi dava i detagli del loro viaggio sino a Lagamara, e delle belle accoglienze colà ricevute dai principali capi di quel paese, e principalmente dalla gran famiglia di Abba Gallet: nei tre giorni che rimasero colà si fecero alcuni battesimi, e si radunarono molti capi famiglia cristiani d’Abissinia per domandare che si facesse colà una Chiesa, e vi si stabilisse un prete; Lagamara, diceva nella sua lettera il P. Cesare, è il più bel paese di tutti quei contorni, ed è forze il luogo che si presta di più per diffondere la missione in tutti quei con- /75/ torni. Il P. Hajlù Michele poi ci descrisse tutte le circostanze favorevoli della partenza della nostra spedizione in modo da restarne tranquilli [p. 112] per tutto il resto della strada sino all’Ennerea. Diminuirono perciò le mie sollecitudini sul viaggio della spedizione, ed ho potuto pensare più tranquillamente alla riorganizzazione della mia casa di Gudrù cogli elementi che mi rimanevano.

Io rimaneva solo per l’amministrazione della casa, e per l’istruzione dei giovani, mentre per altra parte le brighe esterne col paese del Gudrù andavano crescendo ogni giorno. Io mi sono trovato nella necessità di creare nuovi catechisti, nuovi maestri di lettura, tanto di lingua abissinese, che di lingua latina, e creare nel tempo stesso dei manovali d’istruzione di ogni genere.

tentativi di scrivere la lingua galla coi caratteri abissini. Già prima della partenza dei missionarii per l’Ennerea sono stati fatti tentativi di ogni sorta per scrivere la lingua galla colle lettere dell’alfabeto amarico, o abissinese, ma tutto riuscì inutile, perché le lettere abissinesi affatto non si prestavano per esprimere la sillaba rotonda e quasi latina della lingua galla; gli stessi allievi abissinesi naturalmente portati a servirsi del loro alfabeto, non potevano esprimere nella sua naturalezza la lingua galla col loro alfabeto, e gli allievi galla leggendo i loro [p. 113] manoscritti essendo imbarazzati, il Padre Hajlù Michele stesso, doveva servirsi delle lettere latine per esprimersi. A fronte di tutti [gl]i sforzi, e tentativi, in pratica fù adottato l’alfabeto latino per scrivere i manovali d’istruzione in lingua galla, come ho scritto dodeci anni dopo nella grammatica da me stampata in Parigi col titolo di Lectiones grammaticales.

libri protestanti in lingua galla in caratteri abissini. Per non ritornare sopra questo argomento nel 1872. venuti in Scioha i ministri evangelici capitanati dal Signor Mayer hanno portato una gran quantità di libri galla stampati coll’alfabeto abissinese; avendone regalato una quantità alla missione nostra, i nostri allievi galla non poterono cavarne costrutto, e debbo confessare che io stesso ho tentato più volte di leggervi, ma non poteva cavarmela; una volta venuto in casa nostra un’allievo di questi reverendi missionarii per qualche affare, ho provato farmi leggere da lui un capitolo di detti libri, ne io, ne i miei allievi galla abbiamo potuto capire, che per discrezione qualche cosa, lo steso allievo loro, non potendo dire altro diceva che [che] era stato mal scritto.

Io dunque mi sono trovato obligato a scrivere tutti i manovali d’istruzione suddetta, compreso anche il catechismo, [p. 114] coi caratteri latini; ma siccome nessuno degli allievi era accostumato a leggere la /76/ nostra scrittura grafica a mano, perché avevano solo imparato i caratteri di stampa, io ho dovuto abituarmi per forza a scrivere tutti questi manovali in stampella, cosa che mi costò molta fatica, benché poi, dopo molto tempo, sia arrivato a scrivere molto presto.

Mentre io stava così occupato, [mar. 1854] circa la metà di Decembre ebbe luogo la venuta di Ras Kassà nei paesi galla per legare Degiace Berrù Gosciò rifugiatosi nel Liban Kuttai; [le donne di degiace Himam] Degiace Himam fratello germano di Ras-Aly, avendo avuto la [notizia da una] spia che Kassa stava passando il Nilo per venire, abbandonò Degiace Gosciò Berrù, e se ne fuggì lasciando tutte le sue donne consegnate ad alcuni galla amici con molti oggetti di servizio come già ho citato sopra nella storia della caduta di Ras Aly, e del regno di Kassa.

due donne abissine [abissine] gridano «aviet» in tempo della s. messa. Ora questi Galla, avendo veduto che Degiace Himam non ritornava più, hanno deciso di vendere tutte queste donne ed oggetti da lui depositati. Un bel giorno, mentre io stava celebrando la S. Messa alle cinque del mattino, un grido[:] avíet avíet [= signor mio! signor mio!] si sentì vicino alla nostra casa; il mio Giovanni Morka che stava servendo la Messa col sacerdote indigeno, si svestì sul mo- [p. 115] mento della cotta, e sortì per vedere cosa era, per impedire anche che non gridassero di più, e non mi disturbassero. Mi lasciò finire la Messa, la preghiera del mattino e [il] catechismo che ne veniva di seguito, e quando tutto fu finito venne a dirmi che i galla di Kuttai portavano a vendere al mercato due donne di Degiace Himam, e queste gridavano per pietà di essere comprate da noi per non essere comprate dai Galla, dando speranza che Degiace Himam le avrebbe riscattate certamente col tempo.

sono portate a vendere
tutti vogliono che le compri
Appena sortì una simile questione tutti gli abissini di casa, si misero in ginocchio a supplicare, indotti, parte dalla compassione, e parte anche dall’onore nazionale. Io mi sono accorto subito che il caso era molto grave, e che difficilmente poteva dispensarmene dal farlo, a fronte che io mi trovassi quasi senza mezzi pecuniarli, avendo dato alla spedizione di Ennerea quasi tutto quello che aveva; l’affare era grave per questa parte, perché non poteva farlo senza far debiti, ed ancora più grave, perché due donne abissinesi mall’accostumate potevano guastarmi molti giovani.

Lo stesso Gama venne a trovarmi e mi esortava a farlo dicendo che rapporto ai mezzi egli mi avrebbe imprestato il necessario in caso di bisogno; [p. 116] così preso da tutte le parti, ho dovuto acconsentire; [le donne] furono subito chiamate, e con gran piacere viddi che una era già di un’età fuori di ogni pericolo, perché si avvicinava ai 40. [an- /77/ ni], ma l’altra appena arrivava ai 25. compra delle donne, Ho detto che io avrei comprata la più vecchia, ma che la più giovane non mi sentiva di comprarla, sia perché più cara di prezzo, sia perché più pericolosa per la mia casa. Appena detto questo, la più giovane si mise a gridare ad alta voce in modo che crepava il cuore, e tutti mi saltarono alle spalle perorando per essa.

spesa, e bilancio. I venditori domandavano 800. sali, i quali al prezzo del mercato equivalevano a 32. talleri di Maria Teresa, cioè circa 170. franchi. Era questa più della metà della moneta europea che mi restava nelle mani; aveva però ancora circa cinquanta tele nere, le quali si vendevano circa sette sali caduna, con qualche milliaja di veroterie, e qualche centinajo di sali. In ogni mercato la spesa ordinaria si avvicinava quasi sempre ai tre talleri per la compra di grani, carne, pepe rosso e cipolle, unica cosa che si trova in paese. Quando si compravano delle tele per i giovani, allora la spesa era di più, perché una tela per un giovane costava almeno dieci sali, cioè mezzo tallero. Ecco tutto quello che mi rimaneva con una famiglia di circa 20. persone.

Comprate che [che] furono queste due donne le ho prese in disparte, alla presenza del prete indigeno, e del giovane [p. 117] Morka; la più vecchia aveva delle eccellenti disposizioni, e fece una parlata che merita di essere qui notata per la semplicità delle sue espressioni, e per le cose interessanti e curiose che disse. Appena entrata si gettò ai miei piedi: padre mio! disse, voi ci avete fatto sortire dall’inferno, e ci avete cavato dalla unghie dei demonii, che Iddio vi [ri]paghi! Sono molti anni che io pensava di abbandonare il mondo e ritirarmi in qualche chiesa per pensare all’anima mia, oggi io mi credeva perduta, e mi trovo salva al colmo dei miei desiderii; io dunque sarò vostra sino alla mia morte, fate di me come volete; un’assoluzione dei peccati passati e futuri. sono sette anni, con tutte le mie compagne [e] con qualche regalo siamo andate a prendere la benedizione dal nostro Padre Salama (il Vescovo eretico), il quale ci ha ricevutò molto bene, e ci fece molte carezze, ed alla fine licenziandoci ci disse[:] io vi assolvo da tutti i vostri peccati passati e futuri sino a sette anni; che providenza! oggi passati i sette anni sono nelle vostre mani, ne sia lodato Iddio!

Da questa parlata si può comprendere tutta la semplicità di questa donna, e la sua ignoranza nel tempo stesso; essa non ha tradito alle nostre speranze, ma è diventata una donna [p. 118] tutta spirituale, è religiosa terziaria nostra, e conta già 30. anni di fedele servizio nei tempi prosperi ed avversi; io l’ho lasciata in Scioha, e sono 18. anni dacché non l’ho più veduta.

/78/ la più giovane delle due fu restituita ai suoi parenti cristiani. La sua compagna poi fù una creatura tutta diversa; essa non aveva rinunziato al mondo; l’avrei tenuta qualche tempo per istruirla, e forze sarebbe divenuta anche buona, ma vedendola vagheggiata da persone, colle quali io non avrei potuto lottare, e per altra parte temendo per la mia famiglia, ho risolto di mandarla al più presto ai suoi parenti; stette appena 15. giorni, e sacrificando a Dio la spesa fatta [per acquistarla] l’ho mandata a Workie Jasu al di là del Nilo, affinché la consegnasse ai suoi parenti cristiani del Gogiam; così ho dato anche un’esempio di redenzione, cosa che fece molto parlare.