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23.
Da Cioma a Gombò attraverso il lago verde.
Vaccinazioni e battesimi di bambini.

arrivano altri per l’inoculazione. Mentre noi eravamo discorrendo, ecco una quantità di gente che viene, ecco persone venute molto da lontano per l’inoculazione del vajvolo; non ho voluto che si moltiplicassero, ho voluto inocularle subito sul momento, perché il solo vederne delle quantità mi stancava. Fatto [ciò], essi se ne ritornarono con [l’]ordine di far conoscere [p. 348] che io stava per partire nella notte, e che non mi avrebbero [più] trovato; ma tutto fu inutile[:] vennero ancora altri dieci in due o tre volte, i quali, a misura che venivano erano inoculati, e se ne partivano; di modo che il numero di queste operazioni per quella giornata arrivò a 135. La sera prima di dormire fu conchiuso che io sarei partito di notte secretamente, accompagnato da Avietu, il quale sarebbe venuto sino al lago, e sarebbe ritornato. nostra partenza di notte. Difatti la mattina di notte, prima che arrivassero nuovi disturbi io sono partito col suddetto e con alcuni altri e quando sortiva il sole già eravamo sul bordo del lago (*), dove abbiamo aspettato il resto della carovana, la quale sarebbe partita dopo la preghiera comune, e [il] catechismo.

/199/ Dal piano per discendere allago non vi era più di cento mettri in linea retta verticale. Questo spazio era tutto seminato di grossi pini, o cipressi di una grossezza enorme. barche molto curiose. Il trunco di questi alberi, tagliati in lunghezza di 4. o 5. mettri, scavati dentro in forma di conca con un vano interno di un mettro di larghezza e di profondità, e quattro circa di lunghezza, erano le barche sopra le quali dovevamo attraversare il lago. Ho veduto [che] qualcheduna di queste barche caricavano due bestie bovine, con due o tre [p. 349] persone sopra. descrizione del lago. Tutto ciò però non è ancora quello che più di tutto ha attirato la mia curiosità, ciò che è più singolare in quel lago è il vedere la superficie di questo lago coperta di una patina dello spessore di quasi un palmo, sopra la quale vegeta un’erba alta, da farsi credere una vasta prateria, che, veduta da vicino è leggierissimamente ondegiante. Dall’est all’ovest vi è uno spazio di aqua scoperta, larga, ove più, ove meno circa quattro mettri per la quale passano queste poetiche barche; questa strada, veduta da lontano, si direbbe un fiumicello, e non è che passando, che [ci] si può convincere che è un vero lago, perché avvicinandosi la barcha prendete colle mani questa superficie, composta tutta di radici ben intreciate insieme da renderla anche resistente da potervi reggere qualche peso di un corpo qualunque a larga base. Io con una canna ho voluto sondare la profondità, che affatto non si può misurare, ed ho fatto girare la mia sonda sotto l’erba, e si vede chiaro che è tutt’aqua pura, nella quale vivono dei pesci.

Nel luogo dove l’abbiamo passato il lago avrà [avrà] più di un mezzo kilometro di larghezza. Camminando, a diritta il lago è chiuso da uno scoglio nudo lontano circa 50 mettri dal luogo dove passa la barca /200/ [p. 350] il lungo scoglio che serve di diga al lago è aperto in un sol luogo, di dove sorte l’aqua del lago, e forma la cascata, di cui si è parlato nella passeggiata del giorno primo dell’arrivo al villagio. Dalla parte sinistra il lago si estende indefinitamente, e finisce per essere un fiumicello che gira all’est, e segna i confini del Gudrù e di Nunno sino a Gobbo, da quanto mi dissero. Di questo lago per se stesso molto favorevoli alle favole o mitologie si raccontano molte storie che io aveva notato, ma che ho perduto, fra le altre [di] una banda di masnadieri a cavallo, inseguita da tutte le parti [i quali] entrarono, senza accorgersene, in questo lago e non si viddero più.

sortita dal Gudrù, e separazione da Avietu. Finita !a descrizione di questo lago curioso, dobbiamo venire all’imbarco, ed alla separazione dal caro Avietu. Arrivata finalmente dal villagio la nostra carovana, aveva portato con se ancora cinque o sei persone per l’inoculazione, le quali, al sentire che io era partito, non vollero ritornarsene, ma seguirono la nostra gente sino al lago. Ho inoculato questa gente, e poi, dato un’Addio al caro Avietu, il quale piangeva, siamo montati in barca; anche il piccolo Angelo provò una crisi di lacrime nella separazione dal suo padrone; perché piangi? gli disse uno, ah fratello, se invece di trovare un Gofta Avietu, fossi caduto nella mani di altro padrone, [p. 351] dove sarei io in questo momento? dove sarebbe andata l’anima mia? come posso separarmi da lui senza piangere? egli che mi ha dato tanti buoni consigli? Avietu ci stava guardando, e noi non potevamo girare altrove il nostro occhio fino a tanto che lo spazio ci separò definitivamente.

nostro sbarco, ed arrivo a Gombò. Dopo quasi mezz’ora d’infelice navigazione sopra quelle barche, che minacia[va]no ogni momento di rivoltarsi, siamo arrivati alla sponda opposta del lago sul terreno di Gombò. Questo paese apparteneva a Nunnu e fa da se, epperciò appartiene alla razza di Gemma. I confini di Gombò[:] al Nord confina con Hurru altra razza Galla; all’ovest confina con Sibu, anche questa altra razza Galla; al Sud confina con Giarri, altra divisione di Nunnu; all’Est confina con Nunnu, e più verso il Nord col Gudrù, anch’essa altra razza Galla particolare. Appena sbarcati, abbiamo trovato colà dei parenti di Avietu che ci erano venuti all’incontro, o piuttosto all’incontro del loro Padre che veniva con noi come scorta. Mentre stavamo aspettando una parte della nostra carovana venuta sopra un’altra barca, e che non era ancora sbarcata, la nostra guida tratteneva i suoi compaesani raccontando le cose ammirabili del giorno precedente [indugiavano] sopra la moltitudine delle persone inoculate, motivo del nostro ritardo; io poi [p. 352] stava osservando il lago, perché da quel luogo si scopriva meglio che dalla riva opposta del /201/ Gudrù. si spiega la superficie verde del lago. Il lago girando un poco dal Sud all’Est intorno ai confini del Gudrù, si vedeva quasi la sua punta acumi[mi]nata in forma di fiumicello. Questo fiumicello raccoglie le aque dei confini Sud del Gudrù, e dei confini nord di Nunnu tutte praterie, o pascoli, perché i confini [non] sono mai coltivati, ma sempre [lasciati a] pascoli. Nelle grandi pioggie l’aqua raccoglie molti semi di erba, massime della specie più leggiera e galegiante, e porta il tutto in quel lago, il quale non è altro che un seno, o valle senza sfogo; coll’andar dei secoli questi semi gallegianti sopra l’aqua stagnante hanno germogliato, e formato quella patina di quasi un palmo composta di tutti i vegetali portati dal fiume, ed oggi è abbastanza consistente per servire di base alla vegetazione; così io ho creduto bene di poterla spiegare.

si lascia il lago Quando tutti furono arrivati, siamo partiti ed in meno di un’ora siamo arrivati alla casa dei parenti di Avietu, dove già ci aspettavano, e ci avevano preparato due case vuote per alloggiarci. Gombò è un paese che [non] vidde mai un bianco, ossia europeo, motivo per cui il mio arrivo fu per quel paese una cosa molto straordinaria. Per la strada [gli abitanti] per una parte erano curiosi di vederci, ma poi per [per] altra parte, appena ci vedevano ci fuggivano, massime le donne ed i ragazzi, quasi a facie colubri. [p. 353] Al vederci cosa pensassero nei loro cuori non è tanto facile ad indovinano. In un paese, dove tutto è prestigio, tutto superstizione, alcuni esaggerando il nostro potere immaginandosi che noi potevamo uccidere col solo sguardo, erano inclinati piuttosto a temerci; altri poi sospettando contro di me, quasi fossi un’essere di cattivo augurio che porta malattie, che porta siccità, che porta guerre, o simili malanni ci avrebbero piuttosto veduto volontieri [a] partire, oppure [a] caciarci via. precauzioni necessarie nei paesi barbari. In un paese simile un’europeo prima di andarvi deve pensate a procaciarsi la protezione di una persona di rispetto e di molta influenza, e restarsene tranquillo sotto l’umbra di lui fino a tanto che colla sua popolarità abbia preso un poco di possesso [sugli abitanti] e siasi calmata la prima impressione; altrimenti potrebbe accadere qualche tumulto ed essere massacrato dal popolacio, come qualche volta accade.

Gombò, essendo vicino al Gudrù, dove io aveva aquistata una grande popolarità, le notizie di me han dovuto precedermi sì in buono, che in cattivo senso, secondo le [diverse] persone diversamente disposte. Le stesse persone che mi hanno preceduto, e quelle venute con me non mancarono certamente di raccontare le cose vedute e sentite; epperciò non era che questione di tempo [p. 354] e le cose non avrebbero mancato di [di] spiegarsi molto simpaticamente in favore mio e della mis /202/ sione; ma intanto bisognava usare prudenza. A questo fine ho raccomandato ad Abba Joannes ed ai miei giovani di andare adagio da principio nello stesso catechismo, e catechizzassero solamente quelli che spontaneamente si avvicinavano.

domanda per l’inoculazione; condizioni apposte. Difatti, passarono appena due o tre giorni che incominciarono le istanze dell’inoculazione del vajvolo. Il padrone di casa, persona che più di tutti aveva sentito parlare di tutte le storie del Gudrù non avrebbe voluto perdere la circostanza per procurare questa fortuna alla sua propria casa per metterla a sicuro da questo flagello tanto temuto in Gombò. Me ne fece la domanda con tutte le istanze possibili, alle quali io non ho mancato di opporre tutte le difficoltà = Caro mio, gli dissi, tu non ignori la diversità che passa trà il Gudrù e Gombò; il Gudrù è accostumato ai forestieri, mentre questo non lo è; tu sai che in questo paese di Gombò non sono ancora tre anni, che essendo scoppiato il vajvolo in una casa, diedero il fuoco a quella casa con tutte le persone che vi erano dentro; ora io facendo questo, quando sortirà il vaïvolo [p. 355] alle persone inoculate potrebbero far questo, ed aggiungere ancora il fuoco alla mia casa medesima, come persona venuta a portare questa malattia. Io non voglio rifiutarmi, ma neanche voglio espormi ad un simile pericolo. Io non posso far questo che a due sole condizioni. La prima condizione è quella che tutti i capi del paese riuniti, me ne faciano la domanda, alla quale io metterà le condizioni. oppongono il ritardo del viaggio, e conseguenze. La seconda condizione è quella, che aspettino l’esito del vajvolo inoculato ultimamente in Gudrù, e che mandino colà persone a vederne l’esito dopo cinque o sei giorni, affinché persuadano qui il paese, affinché non temano. Ma [per questo] per tutto questo mi obligherebbe a restare qui molti giorni, e così ritardare molto il mio arrivo a Lagamara, dove mi aspettano =

= Tutto all’opposto, soggiunsi io, penso che sarebbe meglio partire subito, e prevenire tutto questo disturbo. Altrimenti, ecco cosa mi accaderà: supponendo che io mi risolva ad inoculare tutto questo paese, e che tutti guariscano, io di qui debbo passare al paese di Giarri, e troverà là la stessa difficoltà [p. 356] e sarei obligato a fare colà le stesse demarcie, e trattenermi anche colà una quantità di giorni; così dopo Giarri mi arriverà a Gobbo, prima di entrare a Lagamara. Io debbo pensare a tutte queste conseguenze prima di acconsentire a far questo. Una volta incomminciato bisogna finire, e per finir bene mi costa almeno 40. giorni di ritardo del mio viaggio a Lagamara.

la missione nulla perdeva, anzi guadagnava istruzione acettando. In quanto a me, ed alla missione, io non aveva che a guadagnare; io non era sposato, ne al Gudrù, ne a Lagamara; la prima e più importan- /203/ te mia obligazione era quella di rendermi popolare a tutti quei popoli, ed aprirmi la strada a poter[li] [loro] predicare Cristo ed il suo vangelo, fatto questo io faceva tutto. Ora acettando l’inoculazione di quei paesani avrei guadagnato tempo per istruirli, ed avrei guadagnato l’affezione e la popolarità per compite il mio ministero in seguito presso i medesimi, ecco tutto quello che poteva e doveva cercare. Certo che acettando mi avrebbe costato una fatica non indifferente, ma il missionario che lascia l’Europa per andare in quei paesi non va certamente per passarsela in divertimenti, e si suppone disposto a tutto questo. Se io fossi andato là con [p. 357] altre disposizioni, e con altri bisogni, come avrei potuto passare i miei giorni in mezzo a tutti quei tapini, sporchi, grossolani, pieni di pedocchi, di pulci, frammezzo a cimici, e mille altre miserie, oltre ai pericoli della vita stessa? Dal momento che ho lasciato l’Europa, e sono arrivato colà tutti quei tapini sono divenuti miei figli a preferenza degli europei, i quali erano solo miei fratelli, e tutte le loro miserie sono divenute la mia eredità, facio il mio dovere, e vado avanti, quando morirò avrò finita la campagna. Ecco. il ragionamento unico che mi guidava.

si rinnovano le istanze. Il padrone di casa avendo inteso tutte le mie difficoltà, così mi rispose: Il nostro paese non è abituato ai forestieri, e possò dire ancora di più, non gli ama, ma voi siete un’eccezione, è noi già abbiamo fatto tutti i nostri calcoli. Molti del nostro paese usano [di] frequentare il mercato di Assandabo, ed hanno conosciuto anche la casa vostra, epperciò conoscono tutto quello che avete fatto là; stavamo per pregarvi di venire, oggi Iddio vi ha mandato, come possiamo lasciarvi partire senza che faciate per noi quello che avete fatto altrove? per carità non negateci questo favore, perché altrimenti farete un gran dispiacere a tutto il paese. Io parlerò ai capi del paese [p. 358] e dirò loro tutto quello che mi avete detto, ma so già quello che mi risponderanno: essi faranno tutto quello che voi dite, ma assolutamente desiderano questo favore.

acetto il partito; alcuni avisi preventivi. Vedendomi così preso alle strette mi sono rassegnato, come si rassegna colui che è condannato a mangiare la salsicia un poco troppo lunga. Quando è così, risposi, incommincieremo dai vostri. Quanti ne avete voi in casa di quelli che non hanno ancora avuto il vajvolo? Badate bene, se sono molti coloro che devono essere inoculati, è prudente dividerli in due, perché colui che oggi è inoculato nel settimo giorno è ammalato, e se tutti oggi sono inoculati dopo sette giorni non avrete più persone per il servizio di casa, se non quelli che l’hanno già avuta anticamente; la malattia dura solo tre giorni, ma tre giorni sono molto per i bisogni della casa. E bene che sappiate tutto, e vorrei che tutto il /204/ paese lo sapesse, affinché sappiano regolarsi. Fate conoscere tutto questo a quelli che desiderano di essere inoculati, affinché non arrivi[no] poi degli inconvenienti. Se i vostri sono molti ne inoculeremo solo una metà, e poi dopo quattro o cinque giorni inoculeremo gli altri, e così quando i primi saranno guariti, questi ultimi si amaleranno. Tutte le case che ne hanno molti devono far così.

incommincio l’inoculazione. ripugnanza nell’accostarsi a me. Dello stesso giorno ho incomminciato [a] inocularne una quindecina. I pri[mi] si accostavano tremando, parte per la ripugnanza di approssimarsi a me, che guardavano [p. 359] [che guardavano] con un’occhio bianco da energumeno, come si fossero avvicinati ad un’animale feroce, e parte anche, perché temevano la ferita; i piccoli particolarmente erano veri energumeni, e vi bisognava la forza di due persone per tenergli, e finivano sempre per piasciarmi sulle ginocchia, sopra cui son solito mettenti una pelle per liberarmi da questo bell’aspersorio, ed anche dall’abbundanza dei pedochj. A misura che si accostumavano la ripugnanza [si] diminuiva, massime negli adulti; una sola ragazza già quasi arrivata al matrimonio fu come indiavolata; i parenti dovettero portarla [di peso], ed arrivata avanti di me mi sputò in facia. Così passò il primo giorno per i giorni seguenti ho raccomandato ad Abba Joannes ed ai giovani di far conoscere a tutti, che non avrei inoculato più di 30. [persone] per giorno, e che non fossero due della stessa famiglia, affinché non accadesse di ammalarsi tutti insieme. Ho raccomandato il catechismo, ma solo a quelli che venivano a noi, e mai a domicilio senza permesso mio.

pochi si approssimarono nei primi giorni. Nei primi otto giorni venivano, ma pochi, appena ne abbiamo inoculato un centinaio, perché [non] arrivarono mai a trenta, numero che io aveva fissato, qualche volta [erano] dieci, qualche volta 15. e [non] passarono mai i 20. a fronte che la maggior pane dei capi di famiglia raccomandassero di venire, di modo che io ho creduto un momento che fossero per finire, ma invece non fu così, era mancanza [p. 360] di confidenza, e nulla più; dopo che i primi furono inoculati vedendo che la piccola piaghetta seccava quasi subito, e nulla più si vedeva, hanno creduto un momento che questa operazione era una cosa più nominale che altro. da principio un timore panico. Arrivati i sette giorni, avendo veduto che tutti i 15. del primo giorno si ammalarono, si spiegò nel paese un panico opposto, e credettero allora che invece minaciava l’invasione del vaïvolo grande, e neanche uno più si avvicinò. Passati i tre giorni di febbre, vedendo che il valvolo si limitava ad una piccola pustola sulla piaga stessa dell’inoculazione, e si trovava[no] tutti come guariti, fu allora che si manifestò la /205/ confidenza completa, ed incomminciarono a pentirsi di non essere venuti.

confidenza completa. entusiasmo e confusione. Dal momento che in tutto il paese si conobbe l’esito completo dei primi inoculati, e che negli altri posteriori l’inoculazione faceva il suo corso regolate, e guarivano tutti, allora fù che si spiegò un’entusiasmo tale, da non poterlo più dominare. Venivano turbe di adulti, si disputavano la precedenza, e quasi minaciavano di battersi. Io aveva dato degli ordini che non venissero più di 30. [persone] ogni giorno, e che non venissero tutti insieme, per evitare la confusione [p. 361] degli ammalati nelle famiglie, ma tutto fù inutile. Io non poteva più reggermi in piedi per la stanchezza; ho cercato di farmi surrogare da Abba Joannes, a cui aveva insegnato l’operazione, come ho fatto già prima molte volte, ma tutti si allontanarono dicendogli: La tua saliva è sporca come la mia. Quando ho sentito questo mi sono accorto che quella povera gente credeva che io bagnassi la lancetta nella mia saliva perché mi vedevano di quando in quando [a] bagnare il puzzo secco colla saliva. Sono così materiali questi popoli, che danno valore ad una cosa affatto accidentale. Talmente questa persuasione aveva dominato, che io non avrei potuto cangiare più, e se avessi fatto portare dell’aqua per umettare il virus secco, quel tale avrebbe subito sospettato che la cosa sia stata fatta per qualche prestigio, perché mi vedeva fare diversamente da ciò che prima faceva per gli altri.

numero degli inoculati. La calca durò circa una settimana, pendente la quale il numero minimo degli inoculati era di cento per ciascun giorno. In tutta quella settimana, appena poteva trovare il tempo per prendete un poco di cibo, e qualche quarto d’ora di riposo, pendente il quale io mi diceva un poco di officio alla meglio che poteva, perché poi [p. 362] i messaggieri degli antichi inoculati, caduti infermi, da un’altro canto non mi lasciavano più vivere, con delle questioni la più parte inutili, alle quail conveniva rispondere con dei pagliativi per tranquillizzargli. Dopo una settimana di [una] vera confusione incomminciarono a diminuire gli accorrenti; da cento ogni giorno, vennero a sessanta, e poi a cinquanta, a quaranta, a trenta, a venti, e a dieci. Dopo 15. giorni cessò quasi affatto, e venivano ancora alcuni tutti i giorni da lontano. Gli inoculati in Gambò furono certamente piu di mille. Fra questi mi furono consegnati da dieci a dodeci, ai quali l’inoculazione produsse nessun effetto, e che io ho creduto bene reiterare, potendo darsi che l’operazione sia stata incompleta, attesa la confusione; però, da quanto mi risultò, due soli, frà gli inoculati la seconda volta, fuono favoriti da un buon’esito, ma gli altri vid- /206/ dero nessun effetto; forze perché già prima ebbero il vaivolo nell’infanzia, senza che sia stato notato dai parenti. Fra i mille poi, forze 15. sortirono un vero vaivolo, però più mite, dal quale in meno di otto giorni sortirono affatto guariti. Io ho attribuito ciò a predisposizioni molto più forti, e non ad un’influsso epidemico, perché si spiegò al settimo giorno, come tutti gli altri, ne prima, ne dopo, come mi è accaduto qualche volta nelle epidemie.

la providenza mi manda del virus. Bisogna poi dire che è stata per me una vera providenza che questi ultimi 15. mentovati abbiamo sortita questo vaivolo, perché dai medesimi ho potuto raccogliere del virus più che a sufficienza per compensare tutto quello già esaurito, sia in Gudrù, sia in Gombò, [p. 363] altrimenti della gran provvista fatta da principio, più della metà era già esaurita, ed il residuo, appena mi avrebbe bastato per due mille. La gran confidenza aquistata in Gombò mi fece padrone di raccogliere [il virus] a mia volontà; in caso diverso e molto difficile poterne trovare. Quando il vaivolo si spiega epidemicamente i galla non lasciano avvicinare [nessuno]; raccogliere poi [il virus] dagli inoculati, quando l’inoculazione si limita alla sola piaga, come suole accadere ordinariamente, è pochissimo quello che si trova. L’affare poi di Gombò mi avverti sul gran bisogno avvenire, cosa che io prima poco vi pensava. Per tutte queste ragioni fù per me una gran previdenza che sopra i mille inoculati sortissero questi 15. con un vaivolo benigno, ma sufficiente per provvedermi per molti anni [in] avvenire.

astuzia per battezare i bambini. Debbo poi qui notare un’astuzia per battezzare i bambini. Fra mille inoculati quasi un centinajo erano bambini sotto i due anni. Io vedeva mal volontieri questi bambini sortirmi dalle mani senza essere rigenerati col s. battesimo, attesoché, essendo incerta l’epoca in cui io avrei potuto mandare [qualcuno] in Gombò per l’esercizio di un ministero apostolico diretto, fra questi bambini molti sarebbero certamente morti prima dell’uso della ragione. Ora battezzare solamente i bambini sarebbe stata una cosa che poteva cagionare un’impressione sfavorevole agli altri, come se l’operazione non fosse [p. 364] eguale in tutti. Così fù ordinato a tutti, che fatta da me l’inoculazione, andassero tutti da Abba Joannes per ricevere da lui l’aqua benedetta sopra la loro testa. Con Abba Joannes poi eravamo intesi, che agli adulti si versasse l’aqua accompagnata dalla formola di una semplice benedizione, ed ai bimbi amministrasse il s. battesimo.


(*) [p. 348 bis] Nota sul Lago verde. Il piccolo fiumicello, che al Sud del Gudrù scorre tenendo la linea Est-Ovest, e segnando i Confini del Gudrù-Kobbo, e di Gemma-Nunnu; quando questo arriva al Sud di un villagio del Gudrù detto Cioma, egli fa un circolo verso il nord, tra il paese di Gemma-Combò, e l’Ovest di Gudrù, passando per un basso bacino che gli serve di deposito, della larghezza di più di un kilometro prima di gettarsi nella cascata al Nord per prendere il suo corso verso l’Abbay o Nilo azzurro, al Sud della Provincia di Basso-Goggiam, segnando prima i confini del Gudrù e di Horro. Ora il detto fiumicello prima della cascata suddetta presenta un lago di varia profondità trà le prime colline del paese Gombo, e le altezze ovest di Gudrù. Questo lago, veduto dall’alto del Gudrù si direbbe una pianura di una verde prateria, segnata solo di una linea in forma di canale, dove tragittano le barche dal Gudrù a Combo. La vegetazione che si forma sopra quel lago ha una certa [quantità] di strato vegetale, formato dall’intreccio di radici, di uno spessore di 50. centimetri circa galleggiante sopra l’aqua, la quale colando da vasti piani sparsi di maremme, nelle alluvioni importano semi e polvere vegetale sufficiente per la geminazione, e per la consolidazione dello strato suddetto. Le barche che tragittano, scavate in tronchi di grossi alberi, possono contenere al più dieci persone, e presentano un tipo di lavoro affatto primitivo molto curioso; quando io vi sono passato, [p. 348 ter] dette barche o zattere erano da trenta a 40., parte /199/ del Gudrù venuti ad accompagnarmi, e parte di Gombò venute ad incontrarmi; ad eccezione di poche guidate da persone giudiziose e serie, la più parte erano tutti giovani venuti per fare una manovra: una parte di giovani, legate le zattere alla finta riva di erba si gettò nel lago, e come rane o pesci guizzavano sotto lo strato di erba, mettendo fuori la testa di quando in quando, mentre l’altra parte fingeva d’impossessarsi delle zattere abbandonate; sortivano di sotto il lago i giovani nascosti e davano l’assalto ai finti nemici, i quali si gettavano nel lago e fingevano di battersi nel lago medesimo sotto lo strato di erba. Questi giovani, ritornati poi alle loro zattere narravano, che il lago sotto l’erba figurava come una vasta grotta in molti luoghi profondissima illuminata dallo spazio dei canale scoperto, e da certe lontane estremità come da altrettante finestre. Il publico di Combò narrava che in certe epoche della loro storia patria tradizionale, alcune armate nemiche venute per battere il paese, ingannati dal falso piano del lago furono sepolti di notte coi loro cavalli, come già il Faraone d’Egitto lo fu nel mare rosso; fu l’ajana (1*) nostra di Gombò, dicevano i vecchj, che guidò i nemici del nostro paese nel profondo del mare.

(1*) Ayana, nel linguaggio dei Galla pagani, corrisponde perfettamente all’idea che dobbiamo avere noi cattolici, sopra l’angelo tutelare di un paese, o di una persona. [Torna al testo ]