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26.
Mediazione di pace di due preti.
Croci sui confini e vittoria di Lagàmara.

il paese ai miei piedi; domanda la pace; usi galla. In questa crisi di spavento i capi del paese, e quasi tutto il popolo cadde ai miei piedi. I capi tutti d’accordo avevano risolto di domandare la pace, come io aveva loro consigliato, ma la gran difficoltà stava nella scielta delle persone da mandarsi. In queste circostanze tutti i maschi dopo i 12, anni non possono più comparire sul terreno nemico senza pericolo di essere amazzati. I mercanti colle loro mercanzie, e bestie da carico hanno il passaggio per la sola strada comune, ma non possono più ritornate indietro a loro volontà, se non dopo [aver] fatto il loro commercio, ed [essere] accompagnati da loro sino ai confini. Le donne possono andare senza pericolo di essere amazzate, ma possono essere trattenute, tanto più nel caso speciale, in cui la guerra ebbe luogo per causa di una donna. usi abissini; i miei due sacerdoti. Come in quei paesi si conosce abbastanza l’uso frà i cristiani d’Abissinia, che i Preti sono quelli che per lo più sono destinati a parlamentare in simili circostanze col nemico, quando si tratta della pace, mi fecero la domanda di mandare i miei due Sacerdoti indigeni. In paese Cristiano sarebbe stato il mio dovere, perché colà il prete che va e viene per la pace non è in pericolo, ma frà i galla, dove il prete non è conosciuto avvi sempre un gran pericolo. Per me poi il sacrificare questi due zelanti Sacerdoti [p. 394] era per me questione di vita e di morte, non solo di questi due individui, ma molto più ancora, di morte, e di vita della missione, essendo allora questi due Sacerdoti di mio grande ajuto, senza dei quali era poco quello che poteva fare. Con tutto ciò mi fù impossibile sbrigarmi dall’acconsentire a questa domanda; i due Sacerdoti medesimi, sempre confidando (forze oltre [la] prudenza ordinaria) in Dio, lasciavano travedere allo stesso publico la loro disposizione di andarvi, direi anzi desiderio.

In seguito a tutto ciò, non potendo io. più esimermi, mi sono veduto come costretto ad entrare direttamente in questa delicatissima questione; si decise la spedizione dei due Sacerdoti, accompagnati da una ma- /224/ trona nativa di Celia, maritata in Lagamara con un grande, e madre di numerosa famiglia, come persona che aveva in Celia una gran parentela che poteva scortarla, e metterla fuori di ogni pericolo. Si decise che nella notte si sarebbe preparato ogni cosa, e l’indomani mattina, giorno di gran mercato in Celia, sarebbe partita la spedizione. Messa e comunione. Si passò la notte in orazione, e verso mattina io ho celebrato la Messa votiva pro Pace, nella quale ho detto qualche parola in proposito, e quasi tutta la famiglia fece la santa communione. Appena tutto questo era finito già il popolo incomminciava [a] radunarsi, impaziente di vedere la spedizione [a] partire. la pecora simbolo della pace. Io, ancora forestiere in paese, credeva [p. 395] di vedere qualche regalo preparato, ma niente di tutto questo, una sola pecora tutta bianca, con al collo sospeso un nido di ucelli domestici, i quali sogliono fare il loro nido tutto rotondo, ben tessuto di erba finissima, con un solo buco per entrarvi, e che si trova appeso agli alberi, ben soventi in gran quantità. Questo ucelletto, più piccolo della nostra passera ordinaria, la femina è grigia senza altra macchia, il maschio poi ha la testa di un rosso infiammato, il quale si spande in forma di ragio, e si perde affatto alla metà del corpo. E un uccello delizioso, il quale è considerato come il più domestico; qualche volta entrano a turbe in casa, e se la persona se ne sta immobile viene a mangiare le briciole sulla mano del uomo. Qualche volta mentre stava scrivendo mi compiaceva di mettere un poco di tieffe (specie di miglio, del quale si fa il miglior pane nel paese) sulla carta, ed il mio ucelletto veniva a mangiarlo.

cerimonia galla; itinerario in chiesa
[21.10.1855].
Ciò detto, come di passaggio il Buku del paese non lasciò di fare la sua funzione pagana e superstiziosa di uso in simili circostanze: in poca lontananza dalla missione scannò un toro, e del sangue di questo ha asperso la pecora, da quanto mi dissero, perché, mentre si faceva questo io [io] coi due miei Sacerdoti me ne stava colle lacrime agli occhi dicendo l’itinerario, e pregando Iddio affinché mi custodisse queste due vittime della pace publica, e per un bene avvenire ancora incerto della Missione. [p. 396] Ciò fatto, il Bukù con tutti i capi del paese ritornarono da me, ed alla presenza di tutta la moltitudine mandarono la domanda di pace al paese di Celia per la bocca dei due preti e della matrona che gli accompagnava; io ho dato l’ultima benedizione ai miei due, e tutta la moltitudine partì conducendo gli inviati, e la pecora verso la frontiera, Dal momento che partirono i due Sacerdoti per Celia, io ho chiuso la mia porta dell’Oratorio, ed ho passato tutto il tempo sospirando avanti l’altare della Madonna, e non ho avuto più requie sino al loro ritorno.

/225/ tradizione sull’uso della pecora della pace. Avendo parlato sopra della pecora segnale di pace devo dire due parole per spiegare questo uso quasi universale presso tutte le razze o tribù barbare e pagane, le quali si reggono dietro usi tradizionali più o meno antichi. Io credo questo uso molto importante, perché si attacca alla storia biblica antidiluviana e post diluviana, ai tempi del Sacerdozio dei primogeniti. Colla legge Mosaica è stato creato un nuovo Sacerdozio, e sono stati ordinati dei riti per i sacrifizii, ma il materiale dei sacrifizii medesimi non è stato variato; questa legge però non si propagò gran cosa fuori della schiatta israelitica, lasciando sempre negli antichi usi tradizionali tutti i pagani del mondo che non si fecero israeliti, oppure non aderirono a qualcheduna delle sette nuove con riti a parte. Esiste fra i galla un magiorasco universale severissimo unito al Sacerdozio [p. 397] nel senso dei patriarchi, ed il materiale dei sacrifizii lo credo pocopresso il medesimo; pare che tutti gli animali mundi possano essere materiale di sacrifizio, benché primeggino le due specie bovina e pecorina. Iddio colla legge mosaica, avendo consacrata la pecora per il gran mistero della Pasqua antica, figura della Pasqua evangelica; questa consacrazione della pecora ha trovato eco anche presso le razze pagane, motivo per cui in molte cerimonie pagane, è stata scielta a preferenza di altri animali sacrificabili; frà le altre in questa di cui è caso.

ritorno della spedizione; la pecora è ritornata. Tutto il popolo ha passato il giorno, parte sulla frontiera aspettando il ritorno dei messaggieri di Celia, e parte sulla mia porta. Erano circa le tre di sera, quando [gli inviati] arrivarono riportando la pecora tal quale era andata. Se fosse stata acettata la pace, la pecora doveva essere scannata in Celia alla presenza dei nostri, ed in quel momento dovevano cessare le ostilità, essendo ritornata, era una nuova intimazione di guerra. Appena arrivammo alle prime case di Celia [al]la veduta della Pecora, dissero gli inviati, lungo la strada fù un vero trionfo di gioia negli abitanti; lo stesso fù al nostro arrivo sul mercato, non si può dire [p. 398] l’entusiasmo universale che ha prodotto l’apparizione della pecora in tutto il paese di Celia; non poteva essere a meno, perché essendo quel paese da molto tempo in pace con Lagamara, esistevano parentele miste, e molti interessi fra questi due paesi, ed il publico era stanco di questa guerra, e di vedersi spargere il sangue. noi, dicevano, eravamo come certi della pace; alcuni mussulmani vinti da gelosia che i preti [ri]portassero una vittoria così onorifica, incomminciarono a mettersi in giro a persuadere in contrario alcuni capi, e massime la gioventù guerriera, esortandoli ad opporsi. In meno di un’ora sollevarono una vera procella contro di noi, ed abbiamo veduto il momento di esserne vittime. Ghilindi Nonno abba dula vedendoci in pericolo arringò la moltitu- /226/ dine, e riuscì a calmarla un poco; ci prese, e scortato da tutti i suoi soldati ci portò fuori pericolo sino alla frontiera. Mentre tutto il popolo sospirava la pace la gioventù di Celia già ubriacca di sangue [di] Lagamara, non era ancor sazia, e rimandò la pecora a costo della rovina totale del paese. Così arriva nei paesi dove regna la democrazia.

Quando io aveva consigliato il paese di Lagamara a domandare la pace, aveva promesso al medesimo, che in caso di rifiuto Iddio sarebbe stato per lui e l’avrebbe protetto. Io mi sono creduto perciò in dovere di prendere finalmente la parola per rilevare il popolo [p. 399] dall’estremo avvilimento in cui era caduto, sperando anche io in Dio, che avrebbe preso la sue parti. storia di profezie misteriose. Io parlando mi guardava molto nelle espressioni per non compromettermi, ma quello che non diceva io lo diceva il mio dragomanno, sempre guidato da un zelo e da una fiducia innesplicabile in Dio; quello che non diceva egli, il popolo soleva completarlo interpretando. Fatto sta ed è che ancor della stessa sera sento publicate delle mie profezie le più precise e le più determinate sulle future vittorie di Lagamara contro Celia = domani i miei preti pianteranno la croce sui confini di Lagamara, qualunque dei nemici gli passerà sarà morto = prima dei tre mesi, dove arrivò la pecora mandata da Lagramara, il terreno sarà coperto di cadaveri nemici; i soldati di Lagamara passeranno i confini opposti di Celia lasciando dovunque il terreno coperto di cadaveri = Io restai morto al sentire queste profezie da me non dette; lo stesso mio dragomanno, disse benissimo qualche cosa per eletrizzare il paese, ma non entrò in queste specialità, perché io intendeva abbastanza le sue parole; bisogna dire adunque che Iddio fece parlare il publico a mio nome.

cerimonia delle croci
[22.10.1855].
Venne l’indomani [e] tutto il popolo radunato intorno alla casa della missione, obligò i preti a piantare le croci sulle frontiere, a fronte che io fossi di parere contrario; si fece una funzione solenne, detta la funzione delle croci. Le notizie arrivarono a Celia; a prima vista [p. 400] Celia restò spaventata, e passarono otto giorni in perfetta calma; ma poi un mussulmano fanatico di Celia incomminciò a predicare contro di noi e gli riuscì di sollevare il popolo, segnatamente i giovani ad un nuovo attacco direttamente contro le croci. I combattenti di Lagamara si prepa[rarono] e vollero tutti una croce da attaccare al loro scudo; questa croce consisteva in un biglietto segnato con croce, e sotto di essa [la scritta:] in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Io ho proibito di passare i confini, ma di aspettargli sulla linea delle croci. Dopo alcuni giorni, un bel mattino venne l’attacco: il nemico si /227/ fece vedete circa un kilometro lontano dalla frontiera, esplorando da lontano la situazione, e forze aspettando che si completasse il numero dell’armata. Dalla nostra parte si avvanzarono un terzo circa dei combattenti radunati, anche essi stando in osservazione, mentre la maggior parte stava dietro una collina per volare al primo attacco. Il nemico vedendo il piccolo numero dei nostri si avvicinò, passò il fiumicello del confine, e veniva ad ataccare, quando il grosso dell’armata volò loro addosso, facendo una vera strage della maggior parte che non poté fuggire. Il colpo fu così bello, che mise il terrore nei nemici, mentre i nostri ereditarono tutto il loro coraggio. Una gran parte dei morti erano mussulmani, i nemici della croce di Cristo, quelli appunto che impedirono la pace tra Lagamara a Celia. Così il prestigio passò da Celia [p. 401] a Lagamara. Passò un lungo tempo di silenzio, i nostri di Lagamara volevano servirsi del buon momento per moltiplicare gli attacchi, ma io gli ho proibito, temendo che non venisse a cangiarsi il vento favorevole con qualche imprudenza, perché fra quei popoli suole accadere come frà i ragazzi, ai quali poco basta per sollevargli, e poco anche basta per abbattergli.

ultima distruzione di Celia, e compimento delle profezie. Corse fratanto la voce in Gobbo, in Giarri, in Gombò, che in Lagamara le cose andavano male, e tutti quei paesi andavano il momento di darmi una dimostrazione per i servizii loro fatti venendo. Credendo io che da lontano pochi combattenti sarebbero venuti, ho fissato loro l’epoca, e circa due mesi dopo venne tanta gente in soccorso, che mi spaventò, perché io non avrei voluto una distruzione totale di Celia, ma mi fù impossibile mettervi un’argine; vi andarono i lagamaresi con tutta questa moltitudine, e coprirono Celia di Combattenti. Si fece un’attacco sul luogo stesso del mercato, dove la pecora era stata rifiutata, e là furono vittima tutti i combattenti di Celia. Dopo di ciò i nostri misero a sacco e fuoco tutto quel povero paese, e non vi rimase [p. 402] più una sola casa, ne un solo combattente fuori di quelli che in simili circostanze sogliono fuggire, come le donne ed i ragazzi. Ghilindi Nonno, quegli che aveva salvato i miei due preti, quando andarono a domandare la pace, egli, non avendo voluto prendere parte negli ultimi attacchi, si era ritirato fuori del paese in tutta questa ultima crisi, e fù il solo Abba Dula salvo. Lagamara divenuta padrona di Celia, lasciò a Ghilindi Nonno tutti i suoi terreni e bestiami, col solo obligo di restare sempre unito a Lagamara.

numero spropositato di trofei; Nel ritorno della spedizione furono contati i trofei delle vittime emasculate e passavano di molto i mille. La donna, che in radice fu causa di questa guerra, avendo avuto nelle mani il trofeo del suo marito abban- /228/ donato, lo mandò in regalo alla sua emola prima causa di tutti questi mali. i vincitori passano da me; Passarono da me i capi di Gombò, di Giarri, e di Gobbo per salutarmi, ed avendoli invitati ad entrare rifiutarono dicendo = noi siamo immondi per aver versato il sangue dei nostri fratelli, epperciò non possiamo entrare in qualunque casa se prima non calmeremo l’ajana dei morti per nostra mano, cosa che non può aver luogo che prima di entrare in casa nostra = [p. 403] [Costoro] riempivano l’aria di gridi spaventevoli, e sgraziatamente mischiavano anche il mio nome in quei loro canti o piuttosto urli di uso. In punta della lancia loro avevano ciascheduno chi uno, chi due, e chi anche tre trofei infilzati; era una scena che faceva spavento. Povera gente dovevano camminare tutto il giorno, ed alcuni anche tutta la notte per arrivare alle loro case in questo stato. complimenti Arrivati, tutta la parentela gli riceve con grandi feste, come sposi; una volta constatati i trofei sono attaccati per lo più sopra la porta della casa come monumento di trionfo, e venendo la morte sono appesi ad un palo sopra il sepolcro, secondo l’uso di quei paesi. divisione del bottino. Portavano con loro un gran bottino di bestiami e di alcuni altri oggetti più preziosi, divisibile poi frà loro secondo l’uso del paese, dai loro abba dula o capi.

La spedizione, arrivata in Lagamara, fù fatta la prima divisione del bottino, nella quale, quelli che vennero da lontano presero solamente bestiami più o meno, secondo la maggiore o minore lontananza del paese di dove vengono. I muli sono proprietà dei capi; i cavalli sono di diritto personale a chi l’ha preso; gli oggetti sono anche personali. I soli bestiami sono stati presi in corpo, e divisibili, secondo le qualità [p. 404] delle persone, e gli usi particolari del paese. divisione del terreno, e dell’altro dominio di Celia. Per riguardo ai terreni la divisione è concepita poco presso così: i terreni che fra noi si direbbero urbani, cioè esistenti nel paese abitato, o vicini alle proprie abitazioni sono lasciati agli antichi proprietarii che possono ritornare al luogo loro. I terreni abitabili di confini sono divisi dai diversi Abba Dula particolari, i quali poi ne danno ai loro combattenti. I pascoli publici del paese vinto, diventano pascoli, comuni del paese vincitore. Per una liberalità di Lagamara, anche la missione ebbe terreni, e bestiami. Ho detto per una liberalità, perché il forestiere non ha diritto a terreni; dandoci terreni è stata come una ricognizione della missione.

Dopo un massacro universale, ed una disfatta generale, come quella di Celia il paese rimase deserto qualche settimana per dar tempo alle jene ed ai corvi di distruggere i cadaveri che infettavano l’aria. In quel frattempo, [furono] congregati gli Abba Dula di Lagamara presso il Bukù, chiamati da Tuuli loro capo in quella spedizione, e fù diviso l’alto do- /229/ minio di Celia. Ghilindi Nonno fù lasciato nel suo posto con tutti gli onori e poteri che aveva prima della guerra, sempre Abba Dula non più di Celia, ma, di Lagamara. Tutto il resto del paese di Celia fu diviso fra i tre Abba Dula, Tuuli, Gigio, ed Orghessa. Tuuli, come capo generale della spedizione in tempo della guerra [p. 405] ritenne la sua posizione di capo per le questioni di Celia (1a). Così terminò la guerra di Celia, guerra che diede tanti impicci alla missione, ma che procaciò alla medesima una posizione molto indipendente in Lagamara. In tutto il tempo che io restai colà i consigli del paese si tenevano quasi sempre sulla porta della Chiesa, benché i capi non fossero persone che presentassero gran speranza in materia di progresso spirituale. Tuuli, la persona più influente di Lagamara veniva tutti i giorni a baciare la porta del nostro oratorio per la riconoscenza che aveva, e questa era tutta la sua religione. Tuttavia con ciò noi eravamo molto liberi nell’istruzione della gioventù, e questo era tutto il bene che si era ottenuto in quel luogo.


(1a) Gli antichi proprietarii dei terreni per rientrare al possesso dovevano prendere la medicia [= atto di soggezione e sudditanza] dei nuovi Abba Dula, ciascheduno dal nuovo Signore del distretto. [Torna al testo ]