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27.
Lagàmara: geografia, religione, abitazioni.
Triste fine di quattro maghi influenti.

descrizione del paese Lagamara. Lagamara, nome composto di Laga (fiume), ed Amara (cristiano), era un paese composto di razze cristiane divenute galla; era diviso in tre razze dominanti, dette Wara Gibbu, Wara Gode, Wara Badesso, cioè figli di Gibbu, di Gode, e di Badesso. Queste tre razze adventizie di Cristiani divenuti Galla, avevano costituito un paese quasi a parte nel Tibiè, vero nome di quel paese, soggette allo stesso Bukù. Fra le medesime esistevano molte case cristiane di mercanti [p. 406] più recentemente stabiliti, i quali non erano ancora divenuti galla, ma conservavano ancora la loro fede cristiana eretica dell’Abissinia; frà questi ultimi il più principale era Abba Gallet, di cui ho dato la storia sopra, il quale contava da 15. a 20. famiglie sotto di se. Questa sola colonia di cristiani abissinesi contava circa 60. e più case, e formava la nostra speranza più vicina per il nostro apostolico ministero; benché i più vecchi fra i medesimi non mancassero di corruzione e di pregiudizii per tenergli lontani, pure i due terzi erano assidui all’istruzione, ed anche i più alieni, bisognosi di avere un centro di società a loro simpatica, non lasciavano di frequentare [la missione] Quindi i giovani di questa casta a misura che si affezionavano, non mancavano di tirare con loro i compagni galla.

bellezza, clima, e fertilità di Lagamara. Per la parte materiale non si trova un paese migliore di Lagamara, sia per la sua bellezza, sia per il suo clima, sia per la sua fertilità, sia ancora per la sua posizione geografica relativamente alla missione in grande. Lagamara è un vasto piano più di 200. mettri più basso degli alti piani del suo circondano in mezzo al quale da ponente a levante scorre il fiume Ghiviè. Al nord si vede l’alta catena di montagne, di cui abbiamo già parlato poco avanti; sopra questa si solleva ancora una montagna detta Tullu Amara, ai piedi della quale sorte il fiumicello, [p. 407] che da il secondo nome a questo vasto piano del Ghiviè; come è un’anfiteatro riparato al nord dalla montagna suddetta, e quasi tutto /231/ all’intorno in lontananza da altre montagne o colline, è il clima più dolce di tutti i contorni, dove si trovano tutte le produzioni dei paesi alti, e dei paesi bassi. vantagi in Lagamara per il forestiere. Un forestiere venuto a Lagamara, per pochi capitali che abbia, compra la superficie di terreni per alcuni anni, e si presentano subito coltivatori a metà, di modo che senza più pensarvi trova grani per vivere, ed anche per farvi un commercio se vuole. La dolcezza del clima, e la facilità di vivere in questo paese ha chiamato da tutte le parti una gran quantità di popolazione straniera, massime dall’Abissinia, anzi i due terzi della popolazione sono razze straniere divenute galla, ma che hanno conservato molta simpatia dei loro paesi. Si trova[no] perciò in Lagamara certi usi, che non si trovano in altri paesi dei contorni di razza puramente galla, cosa molto simpatica agli stranieri, massime mercanti.

In Lagamara il forestiere si trova come in paese, suo, veduto con piacere, o almeno con indifferenza, e non trova quella certa diffidenza, o disprezzo che suoi trovarsi in molti paesi di pura razza galla poco abituati allo straniero. Per tutte queste ragioni si trova in Lagamara una gran quantità di mercanti di ogni razza colà stabiliti [p. 408] e si può dire che tutto il commercio del Sud e del Nord è fatto dai mercanti di quel paese. le corrispondenze favcili alla missione in Lagamara. Per questa ragione la missione stabilita in Lagamara, con tutta facilità trova mezzi per la corrispondenza dalla parte del Nord col Gudrù e col Gogiam, ed anche con Massawah; come altresì trova occasioni per corrispondere al Sud coll’Ennerea e con Kafa, ogni qual volta lo desidera, e posso dire che per questa parte è il luogo più centrale, ed il più a proposito per la casa madre e residenza del Vescovo. Anche rapporto al ministero la missione gode in Lagamara una libertà che non si gode in altri luoghi.

Sotto altri rapporti poi la missione in Lagamara non lascia di avere le sue difficoltà per impedire il suo progresso spirituale. Quell’emporio di diverse razze, e di diverse religioni lascia un certo deposito d’indifferenza, per cui i cuori diventano più sordi alle impressioni della parola evangelica, e della grazia divina. Oltre al paganesimo, ed all’islamismo, [in] Lagamara per la gran quantità di cristiani abissinesi non lascia di presentare un partito eretico, debole bensì, perché privo di clero, ma sordamente anche pericoloso.

come sono i cristiani di Lagamara. In Lagamara la missione conta molti cristiani, i quali sono veri amici anche sinceri del missionario e della Chiesa; ascoltano molto volontieri la parola di Dio, e vengono alla Messa; si dicono anche cattolici, e prendono anche vivamente le parti della missione quando è attaccata /232/ dai mussulmani, oppure dai pagani. [Di] più, nessuno presenta [p. 409] delle difficoltà sulle materie questionabili dell’eresia, perché essi [non] hanno nessuna idea di tutto questo, perché per loro il solo digiuno e le feste hanno un’importanza. La castità del missionario e della casa, è anche per quei Cristiani un’oggetto di gran venerazione per noi. Fin qui possiamo dire che la missione possiede in quei cristiani dei veri cattolici, e molti anche zelanti, e dispostissimi ad ajutarci in tutti i nostri bisogni materiali, ma poi quando è questione di Sacramenti, i quali sono la pietra di paragone [per la fede], allora appena il terzo possiamo dire che sono veri cattolici, i due terzi sono di un’indifferenza tale, che senza ricusare [se] ne stanno lontani. Ho studiata molto questa loro indifferenza per vedere se vi era qualche radice di eresia, ma ho dovuto convincermi sulla negativa: la corruzione, l’immoralità, la debolezza umana, al più l’abitudine dell’abissinia, dove la frequenza dei Sacramenti è quasi abbandonata affatto, e da loro abbastanza conosciuta, deve esserne la ragione quasi totale. In pericolo di morte poi sono solleciti a chiamare il prete per confessarsi, ed anche per comunicarsi.

La casa della missione era stata fabricata ai piedi di Tullu Danco sopra un terreno appartenente ad un ricco proprietario di Wara Gode per nome Dagna Minda, a levante del fiume Lagamara, luogo poco simpatico ai Cristiani, sia perché troppo lontano, e sia anche perché situato all’estremità Est del paese, epperciò i nostri [p. 410] cristiani instavano sempre affinché si facesse un’altra casa più al centro del paese. La questione restava sospesa, quando un fatto barbaro accaduto tutto vicino a noi decise [sul]la questione medesima a prendere una risoluzione. fatto tragico; Tutto vicino a noi esisteva un cristiano per nome Develò, il quale, benché mezzo galla nella sua condotta, pure aveva una numerosa famiglia che frequentava i Sacramenti, epperciò era molto cara. oracolo di una maga. Questo Develò avendo perduto uno schiavo, come Saulle andò a consultare Samuele per l’asina, così egli andò a consultare una maga, essendo in paese Galla la dichiarazione del mago una testimonianza legale che può servire di base ad un giudizio. Nella dichiarazione della maga entrando in scena la moglie di Dagna Minda patrono del luogo, dove si trovava la missione e la suddetta famiglia cristiana, questa Signora irritata, mentre dormiva di notte la suddetta famiglia cristiana, fece appiccare il fuoco alla casa proprio sulla porta. La casa essendo di paglia, appena poté salvarsi qualcheduno, e tutti [gli altri] perirono. Questo caso, affatto nuovo anche in quei paesi, mise lo spavento a tutti i nostri, si sollevarono tutti i cristiani, e così si decise di lasciare quel luogo, e fare la casa altrove. Il trasporto della nostra casa altrove era una piccola questione che appena /233/ avrebbe meritato [p. 411] di essere citato in questo mio diario, ma in questo fatto vi sono delle questioni interessanti la storia di quei paesi, voglio dire la forma delle case galla, e la piaga dei maghi, i quali in certi casi sono considerati come oracoli officiali.

casa di forma galla, e di forma abissina. Riguardo alle case io per la missione ho sempre tenuto fermo il sistema di costruire le case al modo abissino, come meno pericoloso per il fuoco, ed anche più sicuro per i ladri. La casa di forma abissina è fatta con circolo di grossi legni piantati in terra ad una certa profundità ben legati con pertiche dentro e fuori; dopo si fa il coperto parimenti di legni uniti e ben legati in forma di parasole, sopra il quale si aggiusta l’erba e si lega [in modo] che non sia importata dal vento. Una volta che [che] la casa è coperta s’impiastra di fango tutto il muro sino al tetto. Quando è secca suona come una botte, ed un ladro non può romperla senza farsi sentire. Di necessità il fuoco casuale è meno pericoloso, e quello appiccato per malizia di un nemico, dovendo incomminciare dal tetto lascia tempo alla fuga, ed anche per salvare oggetti e bestiami. Laddove la casa di uso galla, non solo è coperta di erba, ma tutto all’intorno sino a terra è chiusa con erba ben legata, anzi cucita, [dello] spessore quasi di un palmo. Se prende il fuoco alla porta è chiaro che nessuno di quelli che sono dentro [non] possono salvarsi, [p. 412] perché dovrebbero passare per una corrente di fuoco, e gli individui che si trovano dentro in meno di dieci minuti si trovano per una parte suffocati dal fumo, e per l’altra circondati da un fuoco d’inferno che gli carbonizza in meno di mezz’ora. descrizione del caso tragico. La casa di cui è questione sopra era una casa di forma galla, e siccome il padrone era un povero mercante, non aveva che quella casa, nella quale si trovava tutta la famiglia cristiana, la quale fu quasi tutta vittima, ad eccezione del padrone assente, e di uno schiavo più coragioso, il quale passò fra le fiamme con gran scapito. Per fortuna tutte le vittime erano persone che frequentavano i Sacramentti. Da tutti si diceva che questa barbara e crudele azione è stata fatta o fatta fare dalla moglie di Dagna Minda padrona del luogo, ma la cosa non si poteva provare. I cristiani tutti d’accordo presero una parte vivissima in questo affronto, ed un giorno poco vi mancò che si venisse alle mani, ma sortirono tutti i grandi del Tibiè e calmarono il paese irritato per un sì gran misfatto. Intanto la missione fù costretta a cangiare sito, e si fece la casa più nel centro sul pendio di Tullu Leca, montagna dalla parte ovest del fiume Lagamara, sulla proprietà di Abdì Leca.

la magia dei galla, e dell’europa. Venendo ora all’affare dei maghi, l’oracolo dei quali è un’atto officiale presso i galla, se quello che scrivo oggi l’avessi scritto mezzo secolo /234/ avanti, per rendermi cedibile avrei dovuto misurarmi un poco di più, ma oggi che il paganesimo sta guadagnando molto nei nostri paesi, dopo che [che] si sono publicate tante storie sullo spiritismo dei nostri, [p. 413] e che questa infamia nostra di far parlare il diavolo da chi nega l’esistenza di Dio suo padrone, è divenuta una cosa onorata, ed anzi un progresso, ho qualche diritto di più ad essere creduto se dico che fra i galla pagani, ed anche in molti paesi cristiani d’Abissinia divenuti come pagani, il diavolo parla e dice[:] chi ha rubato è un tale, chi ha amazzato è un tale, è una testimonianza legale per pronunziare una sentenza irremissibile contro quella [ta] tale persona per non essere punita, perché l’oracolo avendo parlato non vi è più dubio. sviluppo pratico di questa verità. Il principio è giusto, perché non vi è dubio che il diavolo, il quale nei nostri paesi [si] dice semplicemente spirito per nobilitarlo, e per ingannare i gonzi, certamente può svelare un secreto di ordine passato o presente, quando perciò ottenga il permesso del suo padrone che è il solo Dio, qual permesso Iddio può accordare in punizione del uomo orgoglioso che va in cerca della menzogna; tutto ciò è certo.

Solamente, rapporto ai maghi dei paesi galla, dove il diavolo [non] ha niente da guadagnare, essendo il paese tutto suo, non trattandosi colà della gran questione di far perdere la fede in Cristo, non è poi ne tanto umile, ne tanto fedele di arrendersi al servizio d’un semplice uomo, e per mantenere la massima viva, certamente potrà parlare al mago per scoprire qualche fatto [p. 414] secreto, anche vero e reale, ma due cose [non] bisogna mai dimenticare in ciò. mali grandi dalle rivelazioni dei maghi. La prima è quella che il diavolo non rende sempre il suo oracolo al mago galla, e lo lascia ben soventi sottoposto alla corrente delle passioni del mago medesimo che suole abusarne. La seconda cosa ancora più terribile è l’abuso di quest’oracolo, una volta passato in massima, che può farne il diavolo stesso, come difatti avviene. Io se volessi riferire tutti i fatti orribili di discordie nelle famiglie, di guerre orribili trà paesi e paesi, ed inimicizie personali sollevate da rivelazioni vere o falze di questi maghi non mi basterebbe un libro. Oltre il fuoco della casa sopra riferita dietro rivelazioni di un mago, come già dissi, la guerra di Celia che costò la rovina totale del paese, e una maga che da una parte rivelava le relazioni con altra donna alla moglie, e dall’altra rivelava la passione di questa all’amico che la ricevette; quando io ho mandato i miei preti per la pace è stata quella stessa diavola di maga che sollevò i mussulmani per impedire la pace. Dopo la rovina quella maga medesima cadde nelle mie mani pentita e mi confessò tutte le sue menzogne orribili a dirsi.

il diavolo non cerca che disordini; in fine è sempre vinto. Non bisogna poi credere che il diavolo porti sempre la vittoria; anzi /235/ tutto l’opposto egli finisce sempre per essere vinto; l’unica, cosa che entra nel suo sacco sono i disordini, cioè le discordie, le guerre, [p. 415] i massacri, i furti, gli adulterii, le impudicizie, ed altri simili disordini che gli procurano delle anime al suo partito, ma poi egli stesso conosce molto bene che non può ambire una vittoria completa, ne tanto meno sperarla, perché ciò dipende da Dio. Egli si serve dei maghi per fare del male, ed i maghi si servono di lui per ingannare il mondo, e mangiate del pane, ma poi egli in fine finisce per essere sempre vinto, ed i suoi maghi è raro che la finiscano bene. Io potrei scrivere un libro di belle storiette o vedute, o sentite, per divertire i miei lettori, ma come io non cerco di divertire ma di avvertire e di convincere, per finirla in questa materia, e non ritornarvi più di proposito ne sceglierò qualcheduna di esse, accadute in diverse epoche.

Dacci maga del Gudrù. Appena arrivato in Gudrù da principio del mio ministero fra i galla, si parlava molto colà di una gran maga chiamata Dacci (nome credo venuto di Kafa, dove si pronunzia Deocce), la quale si era fatto un gran nome in Gudrù in seguito a prova che diede di se in facia a tutto il paese: [era] entrata nell’aqua tutta nuda e vi sortì con una flacola accesa, come mi si raccontò quasi da tutti. In seguito a ciò fù riconosciuta e proclamata; a forza di regali e di offerte divenne richissima, e si faceva chiamare, non più in feminino, ma in mascolino il Signore del Gudrù, da tutti rispettata e temuta. Dopo il mio arrivo vedendo essa che molti del Gudrù mi frequentavano, temendo forze che io volessi prendere la sua posizione, incomminciò a farmi la guerra [p. 416] ed arrivò persino a minaciarmi di farmi abbruciare vivo in casa di notte nel sonno, come già scrissi altrove. Gama aquistando ogni giorno maggiore influenza sopra il Gudrù [la maga] gli sollevò contro la rivolta di Wara Kumbi. Si mise essa alla testa dei nemici di Gama nella guerra credendo di vincere col suo prestigio, ma acadde tutto l’opposto. Gama fù vincitore, come già si vidde altrove; Wara Kumbi dovette fuggire all’estero; essa ritiratasi in casa un bel giorno fu sorpresa da Gama, dovette fuggire travestita, e Gama impadronitosi di tutto finì per dare il fuoco al suo villagio. Finì raccomandandosi a me per far la pace, ma inutilmente, e morì raminga.

la maga Hada Garos. Dopo che ho lasciato la casa di Tullu Danco, e la missione si è stabilita a Tullu Leca, facendo la sera due passi con Abba Joannes, questi mi fece vedete poco lontano dalla nuova casa della missione un gran recinto, con moltissime case da sembrare un piccolo villagio, è quella, disse, la casa della gran maga di Lagamara, detta Hada Garos, e dal popolo chiamata Gofta (Signore); è quella che domina tutto il paese, ed anche /236/ in gran parte i nostri cristiani; essa ha avuto gran dispiacere della nostra venuta a Tullu Leca, anzi ha fatto di tutto per impedire che si facesse la casa quì. Viddi subito che Iddio ci stava preparando un’altra tribolazione. Difatti non tardai ad accorgermi del linguagio che essa teneva contro la missione parlando con tutti coloro che andavano ad onorare il suo oracolo; essa arrivò persino a proibire [ad] alcuni dei nostri cristiani di venire alla chiesa minaciandoli, come altrimenti [p. 417] avrebbero provato la sua collera; collera di un mago vuoi dire qualche brutto malanno in casa. Essendo venuto qualcheduno di questi cristiani a farmi questa confidenza, allora gli ho risposto: va subito da questa maga e gli dirai con tutta libertà che la malaria minaciata a voi, Iddio l’ha riservata per la casa sua; detto ciò, senza aggiungere altro ritornerai da me a portarmi la risposta. Come questi maghi [hanno] la loro debolezza e menzogna, e non conoscono noi, ho creduto bene prenderla in questo senso per imporre [la mia autorità] alla maga medesima, e così metterla un poco in paura. Difatti, ritornato il cristiano mi disse che cercò di fare la sue scuse, e protestò di essere nostro amico.

essa mi rivolta il popolo. Restò così tranquilla per qualche tempo, ma il diavolo non può fare una pace sincera colla chiesa e con noi. Passò difatti qualche mese in silenzio, ma venuta la stagione delle sementi, e tardando la pioggia incomminciò un’altra storia ed incomminciava a far spargere presso i contadini [la diceria] che il prete e la Chiesa era[no] una cosa molto cattiva per il paese, e che perciò le stagioni andavano cangiando, e le pioggie non venivano più a tempo, e così via dicendo, e ciò per sollevarci in massa i contadini medesimi. Una sera dopo l’Ave Maria incomminciarono [a] sentirsi certi gridi di guerra di quà e di là, e non tardò [p. 418] a mettersi in ordine e marciare verso di noi armati di barre e di ferri per distruggere la casa. Tuuli Abba Dula informato di tutto aveva preso le sue misure, e con tutta secretezza aveva radunato i suoi bravi, e si era imboscato; i figli di Abba Galet nostri cristiani, d’accordo con Tuuli si erano collocati da un’altra parte aspettando. Appena la turba dei contadini avvicinatasi incomminciava le ostilità sorsero da tutte le parti all’improvviso i nostri, ed incomminciando Tuuli col piede della lancia come bastone percuoteva senza misericordia. I nemici vedendo tutta quell’armata che veniva in furia fra le tenebre della notte, diedesi in una fuga precititata per l’unica via aperta, dell’impraticabile boschetto pieno di precipizii; così parve finita la scena, ma tutto all’opposto, mentre Tuuli con alcuni altri stava discorrendo con me vengono a dirci che rimase impiccato come Assalonne. una persona nel precipizio del boschetto gridava pietà, [e preso] presto un fanale, ed accesolo se ne andò a quella volta, ed io seguiva la turba /237/ di dietro. L’oscurità, le spine, ed il precipizio mi spaventarono, e lasciato discendere gli altri, io sono rimasto sul piano.

Chiamato in fretta discendo alla meglio accompagnato da un mio giovane, ed appena arrivato, che spettacolo! un giovane, tutto insanguinato, frà le spine, e come per morire; vengono altri lumi dalla casa, esamino e scorgo un’altro spettacolo [p. 419] molto più grave, un legno duro stato rotto e seccato ad una certa altezza, mentre il poveretto discendeva con violenza gli si ficcò nello scroto, e, come ho supposto io, facendo degli sforzi per liberarsi fra tutte quelle spine, cadde svenuto per terra, ed il peso della persona fece sì che il legno trapassò lo scroto, ed il misero restò impicato. La punta del legno entrava nel ventre. Con una piccola sega si segò il legno, si tagliarono le spine, ed alla meglio che si è potuto si portò il povero paziente sul piano e sino alla casa. cura fatta; gravità delle ferite. Messo sopra un letto, alla meglio che ho potuto gli ho cavato il legno. Per calmare l’amorogia, in mancanza di altro, ho fatto fare gran bagni di aceto ed aqua. A forza di amoniaca alle narici, alle tempia, poco per volta il paziente si ri[n]venne dal suo svenimento, ed incomminciò ad aprire gli occhi. Il sangue coagulato non permettendo di vedere tutta la gravità della piaga, con pazienza l’ho lavata con aqua ed aceto.

Ho esaminato la piaga del ventre, come la più importante per la vita, ma, da quanto ho potuto vedere, la punta del legno era bensì entrata circa due dita dentro, ma tenne una direzione parallela ai tegumenti, e non pareva aver toccato gli intestini, epperciò dovevamo sperare della vita. La piaga più complicata era quella dello scroto; un testicolo, il destro, era quasi sortito fuori della borsa, e si trovava come sradicato nella sua radice spermatica. Il testicolo sinistro pareva non avere sofferto molto, ed era ancora aderente alla sua radice. Ho consegnato l’ammalato ad Abba Joannes, persona la più abituata alle cure che faceva, raccomandandogli di continuare [p. 420] i bagni di aqua e di aceto. Fratanto io mi sono ritirato per dormire un pochino. Sortendo dalla casa dell’ammalato, trovo l’Abba Dula Tuuli che mi aspettava sulla porta; appena mi vidde si mise ad esclamare[:] Wakajo ciala (Iddio è più grande)! Sapete chi è quello [che state curando] ? disse; no, risposi io; è il drudo della Maga Hada Garos, disse, è come il suo padrone di casa; dopo che è divenuta maga, è come una regina, ed Abba Garos suo marito non può più avvicinarsi [a lei] senza essere chiamato; chi fa tutto in casa, e sta con essa, è questo giovane, il quale è anche suo parente; ciò detto egli partì per la casa sua, ed io andai a riposare un poco, perché si avvicinava la mezza notte.

/238/ l’infermo è il drudo della maga. Dopo aver riposato un poco, al canto del gallo (circa le 3 in quel paese), Abba Joannes venne a dirmi che l’infermo mi chiamava, vado subito e lo trovo un poco meglio, lo svanirnento era perfettamente cessato, [ma si stava,] ma incomminciava un po di reazione al calore febbrile. Esamino bene le piaghe e tendevano verso il bianco, ancor nessuna apparenza d’infiammazione, solamente il ventre era un poco gonfio, ma nessuna apparenza di singhiozzo, ciò che più mi preoccupava, come segnale di attacco intestinale. Affatto cessata l’amorogia. Ho ordinato di preparare una bollitura di malva ben tagliuzzata con un mezzo pugno di [di] linosa. confessione sua; sentimenti di ritorno. Mentre si stava ciò preparando l’ammalato mi fa segno di far sortire il giovane, quale sortito mi prese la mano, me la bacia e piange; io, disse, sono venuto per ammazzarvi, e Iddio mi ha punito, e mi trovo qui nelle sue mani confuso da tutte queste cure e carezze, l’assicuro che non so più cosa dirmi; [p. 421] io sono il compagno indivisibile, e come marito di Hada Garos vostro gran nemico, ho tutti i misteri di quella casa nelle mani, epperciò essa sarà desolata di questo affare. Domani mattina verranno a prendermi, ma io non vorrei andare, perché là non saranno capaci di assistermi come mi assistete voi; credete voi che possa guarire? Sentite, dissi, se quel legno che è entrato nel ventre non ha ferito gli intestini, guarirete, se siete ferito negli intestini non passerete il giorno di domani; se guarirete perderete un testicolo. oh anche tutti [e] due, disse, perché ne ho troppo abusato... oh quanto male ho fatto io! io per impadronirmi della padrona ho messo la discordia col suo marito, vuoi credere che Iddio mi perdonerà? Io non voglio più separarmi da Abba Joannes... è possibile che un galla parli così bene? [riflettevo io.] Egli si stupiva di Abba Joannes, ed io mi stupiva di lui, che venuto per uccidermi, e caduto, come S. Paolo, fosse così mutato! Appena si fece giorno vennero i domestici della Maga per prenderlo, ma egli non volle andarvi, dicendo che aveva bisogno di me per guarire.

desolazione della maga. La maga fu desolata, e fù inconsolabile quando sentì che il suo drudo si trovava in quello stato, e voleva restare in casa nostra sino alla guarigione. Fu questo per essa un gran castigo, ma non bastava, perché non passarono 8. giorni che Gatos suo figlio primogenito fù preso dalla febbre gialla, e fù l’ultimo colpo della providenza per essa, perché, appena si seppe da una parte l’affare del suo drudo, e dall’altra la malatia epidemica entrata in casa sua, perdette il credito presso il publico, e nessuno più si avvicinò ad essa per molto tempo. [p. 422] così si verificò la minacia che io gli aveva mandato dal cristiano in risposta a quella che essa aveva fatto ai cristiani quando gli proibiva di venire alla /239/ Chiesa. Ed ecco un’altro fatto che prova come il diavolo in fine finisce sempre per essere vinto.

il mago arbitro del sole e della pioggia detto Elma Dole. Passo ora ad un’altro fatto in prova di questa stessa verità, arrivato pure in Lagamara, il quale ebbe il suo compimento molti anni dopo l’epoca del suddetto. Questo fatto fa conoscere la storia di un mago di altro genere dei precedenti, il quale tormentò la missione di Lagamara dal suo principio [nel] 1856. sino al 1868. Era questo un mago, il quale non si occupava di oracoli, di medicine, e di malattia, ma solo della pioggia e del sole, di cui si spaciava come l’arbitro. Egli si chiamava Elma Dole, (figlio di Dole). Il suo padre Dole aveva già esercitato questo mestiere molti anni prima dell’arrivo della missione a Lagamara, e quando io sono arrivato, ne era in possesso. Questo mascalzone riceveva il tributo; non solo da Lagamara e Tibie, ma da tutti i paesi circonvicini a circa dieci kilometri. Aveva i suoi rappresentanti in tutti i circondarii che raccoglievano i suoi tributi; era divenuto un riccone. Oltre i tributi ordinarii di tutti i possidenti in grani, gli adventizii erano anche molti: Una spedizione militare, un viaggio, una gran festa di nozze, si mandava a lui per avere il bel tempo, e si mandava [p. 423] sempre con un regalo corrispondente, o un bove, o una pecora, o sali o tele, oppure veroterie di mercato, altrimenti [diceva lui:] invece di avete il sole avranno la pioggia.

sforzi di Elma Dole contro la missione
[19.4.1858]
Questo mago serenatore, pendente tutto il tempo che io sono rimasto in Lagamara, sino alla mia partenza per l’Ennerea e per Kafa nel 1859. ogni qual volta egli si trovava imbarazzato, e minaciato dal publico, perchè la pioggia a suo tempo non veniva, oppure nelle raccolte si guastavano i grani per mancanza di sole, egli cercava sempre di coprire la sua ipocrisia dando la causa a me, e cercando di sollevarmi le masse contro, ma Iddio mi diede un’ascendente tale nel paese, che rendeva la questione molto difficile [per lui]; il numero dei cristiani incomminciava a farsi rispettare; oltre di ciò i gran servizii prestati da me, e quelli che prestava continuamente coll’inoculazione del vajvolo, colle medicine, e colle limosine ai poveri, mi avevano fatto un piedestallo di pietra molto più solido delle sue imposture. [2.5.1858 e 16.5.1858] Una volta ebbe la baldanza di recarsi ai commizii del Bukù in Guddeja per accusarmi: io vi mando la pioggia a suo tempo, [andava] dicendo, ed il prete la cacia via; io vi mando via la pioggia e facio sortire il sole quando ne avete bisogno, ed il prete mi fa piovere, cosa debbo fare? Caciate il prete ed avrete tutto ciò che volete. Allora prese la parola un capo, vecchio venerando, e disse, briccone che sei tu mangi la paga per dar la pioggia o il sole, ed il prete cosa mangia? [p. 424] Se il prete è più forte di voi, perché voi /240/ c’ingannate? Il prete anzi dice che l’uomo non può comandare alla pioggia ne al sole, ma che il padrone è Dio solo. Andate impostore che siete, voi volete inimicarci il prete, quello che salva il paese dalla guerra, dal vaivolo, dalle malattie, quello che è il padre dei nostri poveri. Appena questo vecchio ha finito di parlare, [che] si sollevò il popolo, e l’avrebbe fatto in pezzi se non fuggiva.

ultimi tentativi di Elma Dole Dopo questo fatto Elma Dole lasciò in pace la missione sino alla mia partenza nel 1859., dopo fece ancora qualche sortita, ma i cristiani uniti al prete indigeno bastarono per vincerlo. Ritornato io in Lagamara in Gennajo 1862. dopo il mio esilio di Kafa e di Ennerea, armato delle notizie di questi miei esuli, credette di vincere la questione contro di me, ma tutto l’opposto[:] il popolo di Lagamara era entrato in sentimenti di simpatia ancor maggiore per me, e gli impose silenzio. Fui gravemente ammalato, ed essendosi propagata la [falsa notizia della] mia morte, Elma Dole fece gran feste alla sua Ajana che alla fine mi aveva schiaciato; ma poi seppe che io viveva ancora, e si morsicò la lingua. Partito io per il Gudrù dello stesso anno lasciando Monsignor Cocino in Lagamara, ed essendo partito definitivamente dal Gudrù per l’Europa diede ancora molti fastidij a Monsignore Cocino. suo tragico fine. Finalmente di ritorno dall’Europa trovai una lettera di Monsignore Cocino in strada scritta da Lagamara [17.1.1865] sul fine del 1865. [in cui] mi riferiva che avendo dato un’ultimo attacco al tribunale del Buku, alla fine tutto il paese avendo preso le difese nostre, Lagamara si sbrigò [p. 425] di Elma Dole. I lagamaresi per vendicare una questione di sangue contro il suo partito, furono autorizzati di battersi; si sono battuti valorosamente, ma in fine prevalsero i lagamaresi; [20.4.1864] tutta la sua schiatta venne distrutta, ed abbruciate le case. Così si esprimeva il Prelato suddetto, e così finì anche in questo di [di] avere una sconfitta il diavolo.

il gran mago di Enne[re]a. Ancora [parlo di] un’altro mago e poi termino questa materia. Nel 1856. trovandosi in Ennerea P. Felicissimo da Cortemilia ebbe luogo questa storia che io non ho veduto, ma egli fu che me la riferì nelle sue più minute particolarità; io la riferirò molto abbreviata. Regnava questo mago in Ennerea da molto tempo prima che avesse luogo la nostra spedizione in quel paese. Era divenuto così classico, che da tutte le parti anche fuori di quel regno venivano i popoli a turme, e passavano anche parecchi giorni alla sua porta per aver l’onore di presentar[g]li le loro offerte, e domandare le medicine o [le] Profezie [appropriate]. Era divenuto così ricco e potente che camminava sotto un baldachino con un seguito più numeroso dello stesso Re, al [cospetto del] quale entra- /241/ va sotto [il] baldakino, ed avvicinatosi soleva sedersi sopra una sedia venuta da casa sua. Abba Baghibo lo venerava come un grand’uomo, epperciò soffriva tutto da lui. All’arrivo dei missionarii anche quello si dimostrò contrario, ma Abba Baghibo non lo ascoltò. Donoce consigliato dal mago si ribella al padre
[1857].
Donoce primo figlio del Re e principe ereditario era impaziente di regnare, e pensava alla rivolta. Ne fece parola a questo Mago [p. 426] e questi lo esorta a farlo promettendogli di assisterlo consigliando i grandi a unirsi a lui, assicurandolo del buon risultato. Egli non domandava altro che, appena avrebbe regnato, caciasse via i preti dall’Ennerea. Quando tutto fu aggiustato, al giorno convenuto Donoce colla sua truppa si presenta alla casa del Re, quasi disarmato, perché appena un terzo della truppa restò con lui. La truppa che stava col rivoltoso, nella maggior parte era stata ingannata, e sapeva nulla della congiura. Per questa ragione Donoce non avrebbe potuto dare un’attacco direttamente al Re, pensava di legare il Re in privato, e poi presentarsi al publico come padrone. vittoria di Abba Baghibo; Donoce è legato Abba Baghibo che conosceva il suo popolo, ed era molto amato, sortì egli all’incontro, e fece una parlata svelando tutto ciò che si passava. Allora la maggior parte della truppa del rivoltoso passò al Padre, e Donoce appena poté presentare una resistenza per difendersi un’istante, ma fu subito preso e legato; così finì la guerra per quel giorno.

giudizio dei colpevoli; il mago è chiamato. Abba Baghibo da vecchio furbo e prudente incomminciò per mandare il figlio rivoltoso in esilio in Ghera dichiarandolo privo di regno, e poi poco per volta fece passare al consiglio di guerra tutti i capi di rivolta. Dopo un mese che tutto era finito, quando il gran mago non se ne dubitava più, un bel giorno lo fece chiamare, come se nulla fosse, [ed] egli venne secondo il suo solito con gran decoro sotto il baldachino e facendo precedere il suo seggiolone; quando arrivò in sua presenza fece ritornare [p. 427] indietro tutta la sua gente col baldachino e col segiolone, ed in presenza di tutta la corte gli fece questa interrogazione, conosci tu l’avvenire? io conosco tutto; rispose, ed Abba Baghibo gli disse allora, se conosci tutto l’avvenire, perché non hai conosciuto che io t’ho fatto venire per legarti? dunque sei un bugiardo, come sei stato un bugiardo promettendo il regno al mio figlio Donoce: quindi disse ai suoi fidi, legatelo e portatelo nella prigione di prima classe. Quando il mago fu partito mandò i suoi soldati alla casa del mago a sequestrare tutto, persino le mogli ed i figli. Fece portar tutto avanti la gran porta della sua regia: milliaja erano i bestiami, un numero enorme i schiavi, e le schiavette a se riservate; i sali, le tele, i talleri di Maria Teresa, le veroterie, il tutto fu messo in un gra[n] cumulo in piazza, richezze che passavano quelle del Re.

/242/ richezze del mago date ai poveri. Dopo ciò ad un giorno determinato ordinò che venissero tutti i poveri del regno accompagnati dai loro capi; venissero tutti quelli che mancavano di best[i]e per arare la terra. Quando arrivò questo giorno egli sortì in publica piazza ed arringò il popolo Limu (il nome della razza)[;] disse, quanto sei sciocco, vedi tu quanta roba hai dato a questo impostore? Se io avessi ordinato di darmi il decimo, tu venivi a gridare misericordia, e poi fai il liberale con un’ipocrita. Ora sappi che io [non] voglio niente di tutta questa roba rubata. Le bestie vadano a coloro che [ne] mancano per lavorare la terra; tutto il resto coi grani [p. 428] ordinò che venisse distribuito ai poveri in sua presenza. Fatto ciò comandò ai suoi bravi di prendere il mago, e legatagli una pietra al collo, lo gettassero nel fiume Didessa, confluente del Nilo azurro che va al Fasuglu, da quanto mi pare, poiché non l’ho ben esaminato. Così terminò la storia del gran mago di Ennerea, presentando anch’egli una sconfitta dello spirito diabolico.

giudizio publico di tutti i reati del mago. Prima ancora che si eseguisse questa sentenza Abba Baghibo volle ancora fare un’altro giudizio avanti il publico. Fissò un giorno, e quando tutto il publico fu radunato, allora sedette il Re, e così parlò. Limu hai veduto il giudizio che ho fatto di questo mago, e come ho ordinato che tutta la sua roba sia distribuita ai poveri, ma sappi che io non posso dare tutta questa roba ad altri se prima non ho pagato tutti i debiti suoi; chi dunque ha delle ragioni contro di lui ecco il momento opportuno; non temere, perché, come sai, prima ho voluto condannare lui ai cocodrilli, affinché tu non avessi timore di parlare. Ora, disse, quelli che hanno diritti di sangue sparso da lui si mettano da una parte; quelli che hanno persone state prese da lui si mettano anche [d]a parte, e provato [il delitto], se saranno trovate, se le prendano coi loro figli. [p. 429] Tutto il resto, essendo roba data al mago sia dei poveri.

Dopo questa parlata del re, 15. persone dichiararono che avevano diritto di sangue sul mago, avendo [egli] ucciso persone in casa sua; fu esaminata la questione e quei stessi di casa lo confessarono. Più di cento riclamavano persone prese, cioè mogli, donne, figli e figlie; si esaminò la questione, circa una quarantina furono trovati ancora; tutti gli altri sono stati secretamente portati ai mercati lontani, dove constava che erano stati venduti. La verificazione fù molto facile a farsi, perché le stesse persone della casa del mago parlavano.

sentenza contro i colpevoli. Allora prese di nuovo la parola Abba Baghibo e disse: il mago ha ammazzato egli stesso le persone che si pretendono morte[?], e gli fu risposto di no, ma faceva fare tutto ciò dai dieci giovani suoi fidi, allora gli fece venire, e confessarono la verità. Ora ditemi, disse il Re a questi /243/ dieci manigoldi, sapevate voi che [che] in tutto il mio regno nessuno muore se non è condannato? perché dunque avete ubbidito al padrone? fece segno, e furono legati sul momento e condotti in prigione. Ebbene sappiate, disse ancora il Re, molti delle persone rubate sono stati venduti in paesi lontani, ma, io calcolo questi come uccisi, perché separati per sempre dal loro paese, dai loro parenti, e dai loro amici; epperciò dichiaro [p. 430] che tutti coloro che hanno perduto qualche persona, e non si è più trovata, hanno diritto al valore di uno schiavo, e più quello del sangue sul mago e suoi complici. ultima parlata di Abba Baghibo al paese. Ancora una cosa, disse il Re, Limu, sono 35. anni che regno, e sono stupito come tutto questo sia arrivato senza che io l’abbia saputo; sapete che io amo i poveri, ed ho fatto sempre giustizia in favore degli oppressi, perché nessuno mi parlò? Allora un vecchio venerando del paese, ottenuto il permesso, parlò per tutti, e disse: Signore, questo mago non era un’uomo come gli altri, egli aveva il diavolo per se, e quando era in collera con qualcheduno faceva venire il diavolo, gli dava nelle mani quella persona, e questa non si vedeva più; noi perciò credendo che voi ancora lo temevate non volevamo compromettervi, epperciò, chi osava parlare? non solamente parlare, ma neanche osavano pensare contro del mago, perché egli sapeva anche il nostro cuore.

improvisa comparsa del mago. Tutto il popolo credeva che il mago fosse già morto e mangiato dal cocodrillo, invece il Re aveva ordinato di tenerlo nascosto, e lo fece comparire in publico. Quando [si] lo vidde tutti fecero un gran grido, siamo perduti! ci finirà tutti! Dopo di lui fece venire i dieci bravi del mago, quali arrivati, ecco, disse il Re, i dieci diavoli che aveva al suo comando. emasculazione; prezzo del sangue. Fece quindi venire i 15. che avevano il diritto del sangue per persone ammazzate in casa del mago, e poi disse il Re, il trofeo del mago [p. 431] vale per cinque, andarono cinque pretendenti e ne tagliarono ciascheduno un pezzo; dopo il mago ciascheduno degli altri pretendenti se ne prese uno dei bravi e lo emasculò. i 15. pretendenti, disse il Re, avranno un terzo dei terreni di proprietà del mago. Gli altri due terzi dei terreni se lo divideranno quelli che hanno perduto persone di loro casa e sono state vendute. Ciò detto ordinò che tutto il popolo conducesse le vittime al fiume. Così finì la storia ed il Re si ritirò. Le povere vittime tutte grondanti sangue, e nude dovettero ancora camminare a piedi sino al fiume fra le maledizioni e le bestemmie; arrivate là, come emasculati epperciò immundi, nessuno gli toccò più colle sue mani, ma con legni furono come spazzati, e così entrarono nel fiume; era un’orrido spettacolo.

Quando arrivò questo fatto io mi trovava in Lagamara; ed in Ennerea si /244/ trovava P. Felicissimo, il quale pure non vidde coi proprii occhi l’orrida scena, ma la sentì dai testimonii oculari, e me la scrisse in breve. Non tardò però a sentirsi dovunque, forze con qualche esagerazione, come suol accadere. mie apprezzazioni sul fatto. Io non posso lodare Abba Baghibo circa l’affare dell’emasculazione publica, e anche quello di far gettare le vittime ancor vive ai cocodrilli. Per altro debbo confessare che quel Re, di pensieri molto vasti, attesa la circostanza che l’emasculazione in quei paesi è come una legge generale e normale nei soli casi di guerra; Abba Baghibo, vedendo il bisogno di abbassare il prestigio [p. 432] di questi maghi spiritisti dei paese, e forse anche pensando a salvare il suo nome presso le generazioni future dal pericolo di complicità, ha creduto bene di far questo. efetti di questa storia sull’opinione. Posso dire difatti che il complesso di questa storia, forze esaggerata dal publico, ha prodotto un bene maggiore della mia predicazione; il certo si è che dopo ciò i maghi hanno perduto molto del loro concetto frà gli oromo. Io poi vado più avanti, e dico fra me stesso, la nostra Europa ancor novizia nelle vie dello spiritismo, leggendo queste mie memorie, e vedendo il dispotismo orribile delle case dove regna questo spiritismo nemico di Dio e di cristo, troverà di che meditare. Oggi lo spiritismo fra noi [è] in via di conquista, e teme ancora di rompere il naso battendosi colla pietra angolare di Cristo, e colla rocca innespugnabile della sua Chiesa, epperciò fa il bello, e si trattiene volontieri di amoretti per prendere nella rete gli incauti, ma quando questo spiritismo sarà montato in trono, allora sorgeranno da tutte le parti gli innominati, ed il basso popolo oppresso da questi despoti cercherà dei Padri Cristofori, ma non gli troverà più, perché sono soppressi [dai governi].