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30.
Riti funebri cattolici e «taskàr» etiopico.
«Rosari di riparazione e rassegnazione».

gran pianto per la notizia della morte di mio padre, dell’avo, del fratello. Ritornando ora alla missione di Lagamara, l’arrivo di questo corriere fu per quella missione un’afflizione generale, ma fu altresì una circostanza di consolazione per tutti. Appena si sparse nel paese la notizia che io aveva ricevuto notizie dal mio paese della morte di mio Padre, del mio gran Padre (l’Em.mo Prefetto di Propaganda), e di un missionario mio Prete in Gogiam (quei poveri galla per le loro idee ristrette dicono Gogiam tutto ciò che è al di là del Nilo), come si usa in tutte quelle razze etiopiche [p. 470] si fece un gran pianto di uso. cerimoniale del pianto galla. Nel primo giorno vennero tutti i più vicini, e dopo in seguito anche i lontani da tutti i paesi che ebbero qualche conoscenza o relazione con me, come dal Gudrù, da Gombò, da Giarri, da Gobbo, e da Celia. Duranti quasi otto giorni continui io non ebbi più un momento di riposo; incomminciando dalla mattina, anche prima del sole, io era obligato a restare seduto fuori della porta a ricevere questi complimenti di uso. A misura che arrivavano in vista, ognuno lasciava cadere dalle sue spalle un’estremità della sua tela sino a terra in forma di lungo mantello (segno di lutto), e poi si mettevano a gridare ad alta voce[:] ani badé (io sono perduto). Quindi, non potendo nei loro complimenti cantare le lodi delle persone morte che non conobbero, cantavano i motivi di riconoscenza che avevano con me, la più parte per medicine o per l’inoculazione dei vaivolo. Fatto ciò per il tratto di dieci minuti circa, si sedevano in circuito, per circa un’ora, e poi se ne andavano.

si faceva un’istruzione adatta alla circostanza. Io volendo utilizzare questa circostanza per l’istruzione di tutta quella gente, aveva distribuito ai preti e [ai] giovani chierici l’incarico di ricevere in particolare i diversi drapelli di quelli che venivano, e questi si sedevano con loro, e raccontavano [p. 471] gli usi dei paesi cristiani di radunarsi in Chiesa a pregare Iddio per i morti, affinché ricevesse la anime loro in paradiso, e di sviluppare ai medesimi le gran verità cristiane dell’immortalità dell’anima, e della vita eterna, secondo la diversi- /267/ tà delle persone più o meno istruite precedentemente. Come poi questa povera gente non [non] conosceva le persone morte, i miei preti rispondendo alle loro interrogazioni che non mancavano di fare, prendevano occasione da ciò, per spiegare loro la storia di quei morti, in modo edificante ed istruttivo, facendo loro conoscere la diversa posizione loro relativamente a me, la gerarchia della chiesa, la Propaganda, i superiori ecclesiastici, e simili, cercando d’insinuare ai medesimi un’idea di questa parentela spirituale tanto sacra, quanto la carnale.

Passata la crisi del pianto, si pensò a preparare i funerali concepiti in modo che ritenendo il buono e commendevole dei funerali del paese detti[:] taschar, avessero poi tutta la parte religiosa in Chiesa, come la Messa dei morti e l’assoluzione, o esequie secondo il cerimoniale latino, onde far conoscere anche questa parte, la quale per tutta quella gente materiale non mancava di avere una grande attrattiva.

[p. 472] Ho ordinato perciò che si facessero tre giorni di funerali solenni, cioè uno per Sua Em. il Cardinale Franzoni, un secondo per il mio Padre, ed un terzo per il P. Giusto da Urbino. preparativi per i funerali Per quei tre giorni che si preparasse tanta birra che avrebbe bastato per il tascar, ossia pranzo mortuario dei poveri; così parimenti un poco d’idromele, con tutto il resto per i tre giorni fissati. Alcuni giorni prima si fecero pure i preparativi per la Messa Solenne, e per le esequie. Nella chiesa poco fu quello che si poté preparare, perché la missione mancava di tutto; ma siccome la Chiesa e[ra] molto piccola, e fatta in modo che non permetterebbe un catafalco, avanti la Chiesa si fece una baracca con legni, coperta di tele abbastanza grande per contenere la piccola cristianità, quelli almeno che si aprossimavano ai Sacramenti. In mezzo si fece un catafalco, sul quale vi era la mitra, ed un bastone pastorale di semplice figura per il primo gior[no] destinato per il Cardinale; così per i due giorni posteriori, senza insegne per il mio Padre, e colla stola distesa per il P. Giusto.

funzione solenne elementare di un vescovo missionario. Arrivato il giorno fissato per i funerali, cioè il trigesimo calcolando dal giorno della notizia si cantò la messa solenne; dico solenne nel senso possibile in un paese, dove la missione [p. 473] si trova nel primo o secondo anno, ed un vescovo è obligato a funzionare senza missionarli europei, circondato da soli pochi allievi indigeni; in luogo dove si manca di parati per la Messa in tre, dove l’educazione dei giovani anche chierici e preti è tutta elementare, a modo dei tempi apostolici, dove la cattedrale è una cappella, o dirò meglio capanna di paglia, e l’altare è guernito di candelieri fatti di fango seccato, tanto che basti per tener /268/ diritta la candela, dove il vescovo stesso ben soventi è obligato a farsi le candele, le ostie, ed un poco di vino col zebibo per le sole messe, e dove il vino si misura con un cucchiarino nella parte che serve alla validità del mistero, e dove finalmente il povero vescovo è obligato ad insegnare a cucire le vesti sacre ai suoi giovani chierici e sacerdoti; paesi finalmente molto più elementari dei paesi stessi evangelizzati dagli apostoli medesimi che ricevettero la missione immediata da Cristo stesso, come erano i nostri paesi in quei tempi apostolici. Ciò posto posso dire che abbiamo cantata la Messa Solenne, sperando di essere compreso, anche dai vescovi e sacerdoti dei nostri paesi, i quali naquero ed invechiarono nell’abondanza di ogni genere sì materiale che ideale, ai quali tutto il suddetto potrebbe sembrar loro spettacolo, anche da scandalizzarli.

Con tutto ciò io vestito da semplice celebrante, con una mitra e pastorale fatto dai miei neofiti chierici, ed essi vestiti di semplice cotta, per mancanza di dalmatiche e tunicelle, i due preti che mi facevano da assistenti [p. 474] colla stola per potermi avvicinare e servire nel tempo dell’infra actionem, abbiamo potuto cantare la messa, cioè il requiem æternam, il Kyrie eleyson, il Dies iræ, il pr[a]efatio, il Pater noster, l’Agnus Dei, il Lux æterna. Quindi il Libera me Domine per l’assoluzione al feretro, tutte parti di canto imparate dai giovani per abituarli nelle esequie dei morti, ed imparate per abitudine non per grammatica. Così ebbe luogo la nostra Messa cantata solenne per Sua Em. il Cardinale Franzoni, non solo per il titolo che aveva come Prefetto della Propaganda, ma ancora per quello di mio consacratore, avendomi egli consacrato il 24. Maggio 1846. nella Chiesa di S. Carlo al Corso con ben altre solennità ed apparati. La funzione fatta per il Cardinale, fu ripetuta l’indomani per mio Padre, e nel terzo giorno per il P. Giusto.

sublimità e semplicità del culto cattolico. Ho scritto questa storia persuaso di non avvilire con ciò la liturgia latina cattolica, convinto anzi di fare della medesima la più sublime apologia. Il rito latino [che] è l’espressione la più categorica del sentimento cattolico della Chiesa di Cristo. Niente di più semplice ed elementare che il rito latino nell’amministrazione dei Sacramenti, e nella celebrzione dei misteri i più sacrosanti e sublimi quando è tempo, e quando domanda il bisogno e la necessità. Ed all’opposto niente di più sublime e grande quando è tempo, perché Iddio che ha creato ogni cosa, ed è padrone di tutto merita anche tutto quando si può. Nella storia surriferita, ognuno può convincersi [p. 475] per quali vie di povertà, e strettezze di culto Iddio conduca i suoi ministri e la sua Chiesa. fatto di un giovane venuto a Roma
[14-15.8.1850].
Un giovane galla educato in mezzo a queste strettezze, passa in Egitto, dove questo /269/ culto incommincia a dilatarsi, benché ancora fra la polvere dell’infedeltà; arriva in Francia ed in Italia, e sempre cresce e si dilata; viene in Roma entra nel Vaticano mentre il gran Pontefice Pio IX. [pontificava] in S. Pietro era in gran pontificale; il povero galla vedendo quella vastità di Chiesa che nel mondo non ha eguale, e scorgendo là il Pontefice frà tanta grandezza di culto che non può trovarsi altrove, il poveretto ha dimenticato un momento di trovarsi ancora sulla terra, e credette di essere già arrivato alla meta da lui tanto vagheggiata del Paradiso. Un’altro giorno il povero galla è condotto alla visita del Papa, e dopo aver passato tutte quelle sale del Vaticano, è chiamato dal Papa; entra nel suo gabinetto tutto semplice, e vede un uomo in veste talare bianca con una calota quasi abissinese al piede di un crocifisso, e questo è il Papa? Oh Roma, esclama tutto estatico, oh Roma, dove si passa dal Cielo alla terra, e dalla terra al Cielo!

il mio Giorgio morto in Propaganda
[25.2.1852].
Ciò che scrivo non è una supposizione, ne un sogno mio, è un fatto reale. Il giovane si chiama Giorgio venuto con me da quei paesi, e morto in Propaganda dopo di aver dato [buon esempio] ai suoi compagni [p. 476] colà venuti da tutte le parti del mondo per imparare la fede, e lasciate le sue spoglie state sepolte nella cappella di quel collegio cosmopolitico ed internazionale la sua bell’anima volò dal regno del Vicario di Cristo al regno celeste. Roma è grande, ripetiamo, è la sommità della piramide sacerdotale, ma e grande, perché ha sotto i piedi le catacombe, dove è stata fondata nel tempo della sua esistenza ancor semplice ed elementare, di cui conserva tutta la sua idea anche oggi in tempo della sua maestà.

taskar, ossia pranzo mortuario. Ritornando ora ai nostri funerali, dopo celebrata la S. Messa da requiem, non ho voluto privarlo [il defunto] degli onori del così detto Taskar, ossia pranzo mortuario tanto in uso in tutti quei paesi dell’alta Etiopia, e direi anche in quasi tutto l’oriente. Questo taskar ha dovuto avere origine dalla carità evangelica verso i poveri, come opera soddisfatoria in suffragio del defunto, perché altrimenti non si saprebbe spiegare un pasto, di tanto sfarzo in circostanza di gran lutto nella famiglia; Oggi è divenuto un pasto di gran lusso primariamente per i grandi, e secondariamente per i poveri.

Come il taskar per se è una cosa buona, quando è ben fatta, cioè fatta per i poveri, e nei limiti di cristiana sobrietà, anche per non avere l’aria di disprezzare tutti i loro usi, [p. 477] per tre giorni di seguito si diede da mangiare a tutti e [non] si rifiutò a nessuno [il cibo], principalmente ai piu poveri. A tutti si diede un bel pezzo di carne bollita, e condita /270/ secondo il [gusto del] paese, un pezzo di carne cruda, pane più che sufficiente, e birra da bere; gli uomini da una parte, e le donne da un’altra. Mentre si mangiava giravano i chierici e preti ad istruire, e raccontare qualche storia edificante. rosario dei morti come è? Il pranzo si incomminciava col rosario dei morti, e si finiva col rosario dei morti, cioè specie di preghiera proporzionata a tutti, molto facile ad impararsi, e che io faceva insegnare, affinché occorrendo la morte di qualche cristiano in luogo dove, o non si trovava il prete, oppure anche nei luoghi dove vi era, i secolari avessero per le mani una qualche preghiera facile da fare, per compensare la divagazione del pianto, e suffragare nel tempo stesso il defunto. Consisteva questo rosario, nella recitazione di 150. requiem æternam, intercalati per ogni decina da un Pater ed Ave nel modo stesso del rosario della SS. Vergine con facoltà di dividerlo in tre parti, come il suddetto. In luogo dei misteri del [del] rosario, per quel dei morti si dice il seguente formolario per ogni decina = un pater ed ave e dieci requiem æternam per le debolezze del nostro defunto contro il primo comandamento di Dio = [p. 478] così in seguito in tutte le decine cangiando il numero del comandamento di Dio sino al decimo inclusive; quindi passando ai cinque comandamenti della Chiesa per arrivate alla fine della terza parte del rosario. In ogni decina, dopo i dieci requiem si dice[:] requiescat in pace per passare alla seconda decina. Quando questo rosario si dice da una persona capace, allora sul fine di ogni terza parte, oppure sul fine della quindecina, la terminazione è col versicolo[:] Domine exaudi e coll’Oremus[:] Fidelium.

rosario di riparazione. Postoché ho parlato di questo rosario dei morti voglio parlare ancora di un’altro rosario, detto rosario di riparazione stato anche messo in uso in molti luoghi della missione. Come la conversione alla fede di una persona qualunque, e tanto più di un popolo è una grande misericordia di Dio, ne viene per conseguenza, che il mezzo principale di ottenerla deve essere quello di placare Iddio per i peccati che provocano la sua ira, massime i peccati di bestemmia, come i più diretti contro Dio stesso, e nei quali ha meno parte la debolezza del uomo, e vi domina la pura malizia. Per questa ragione il missionario, sentendo il bisogno di riparare a questi peccati, ha imaginato un rosario di riparazione molto semplice e facile alla portata di tutti. Per non moltiplicare [p. 479] corone di diversa specie, si è servito della stessa corona del rosario della SS. Vergine. Questo rosario è così concepito: cinquanta gloria Patri, in luogo delle 50. Ave Maria, e cinque Pater ed Ave per ogni decina. In luogo dei cinque misteri si dice questo formolario: un Pater ed un’Ave con dieci Gloria Patri per riparare tutte le bestemie dei pa- /271/ gani. Nella seconda decina [si usa] lo stesso formolario, ma in luogo dei pagani si dice mussulmani. Nella terza decina si cangia anche, e si dice invece[:] contro le bestemie degli Ebrei e di coloro che negano la divinità di Cristo. Nella quarta decina si dice[:] contro le bestemie degli eretici. Nella quinta decina[:] contro le bestemie dei cattivi cristiani. In fine delle cinque poste se la persona è capace, si termina col versicolo[:] Domine non secundum peccata nostra facias nobis, e quindi coll’oremus: Deus qui culpa offenderis. In questo caso pi deve incomminciare coll’antifona[:] Ne reminiscaris, massime quando si recita in comune.

rosario di rassegnazione, medicina dei tribolati. Per terminare questa materia di preghiere popolari da me raccomandate in quella missione parlerò ancora di un quarto rosario molto più breve e facile chiamato il rosario della rassegnazione, medicina per gli afflitti, composto di 50. fiat voluntas tua in un solo pater noster. Prima di esporre la maniera di eseguirlo, per far conoscere il valore del medesimo, è bene considerare [p. 480] che l’uniformità alla volontà di Dio forma tutta la perfezione cristiana, quando la volontà del uomo è trovata da Dio tutta conforme alla sua legge eterna, ed i movimenti del cuore umano, o almeno i sforzi del medesimo, camminano d’accordo, allora il cristiano potrà dirsi perfetto; la carità viene di seguito a questa, e ne è come il frutto, e la corona. Nell’orazione dominicale perciò il Fiat voluntas tua deve dirsi la parte principale dell’orazione medesima, quella stessa che G.[esù] C.[risto] nella sua umanità ha voluto praticamente insegnarci, e sentirne, tutto il peso nell’orto di Getsemani. modo di eseguire il rosario suddetto. Ciò posto il rosario in questione così si eseguisce; colla corona ordinaria della Madonna, detto il Deus in adjutorium, s’incommincia immediatamente il Pater, ed arrivato al fiat voluntas tua lo ripete dieci volte percorrendo i dieci grani della prima decina, dopo di che aggiunge[:] sicut in Cœlo, et in terra. Quindi ricomincia il Pater, come nella prima decina, e così di tutte le altre; quando è arrivato al fine della quinta, sempre tenendo lo stesso ordine, allora solamente finisce il Pater e l’Ave, e si aggiunge un Gloria Patri. Chi recita questo rosario, mentre lo recita, deve pensare alla debolezza che più lo tormenta, facendone un sacrifizio in unione a Gesù nell’orto.