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31.
Apostasia di p. Cesare da Castelfranco.
Morte di Abba Gallèt: pianto e successione.

la più terribile notizia di vita mia
[2a metà 1856].
Non era ancor finito il pianto per la morte del Cardinale Franzoni, per quella di mio Padre carnale, e per quella del P. Giusto, tre morti, le quali mi fecero mettere in pratica il sudetto rosario della rassegnazione, che mi arriva un’altra notizia molto più terribile, [p. 481] la quale poco mancò che non mi costasse la vita, furono per me tre anni di lacrime e di Venerdì Santo che mi costò prima di arrivare a celebrare una Pasqua consolante. Già dissi poco sopra che l’opera di Dio camminava molto bene, non solo in Lagamara, ma in Ennerea, ed in Gudrù, il solo silenzio di Kafa però molto mi inquietava. Infatti non mi sono sbagliato; nei tre giorni di funerali incomminciarono a circolare certe notizie secretamente, che i miei stessi di casa, temendo che non mi facessero un’impressione funesta, me le tennero nascoste colla massima delicatezza, ma a che valse nascondere? lette[re] venute dall’Ennerea e da Kafa. proprio la sera del terzo giorno di questi funerali, quando, io stanco da tutti quei trambusti, da cedere come sfinito, avrei avuto bisogno di qualche dì di riposo, mi arrivò dall’Ennerea un corriere del P. Felicissimo, il quale mi raccontava tutta la storia di Kafa, e mi mandava una lettera del sacerdote novello Abba Jacob, nella quale questo compagno del P. Cesare attestava tutto quello che ogni giorno si sentiva dal publico.

gravità dello scandalo Questo affare, divenuto pur troppo publico, come la brina ed il gelo del mese di maggio, che cade sopra la nuova vegetazione, così fu nella missione lo scandalo del P. Cesare sopra tutta la missione di nuovo stabilita, ed in specie sopra il cuore di tutti i novelli giovani [p. 482] chierici, ed anche sacerdoti. In un paese pagano e selvagio, dove la castità è cosa quasi sconosciuta, ed il vizio incommincia, per così dire, quasi dalla culla, abbiamo dovuto faticare per gettare nel cuore di alcuni giovani un poco di amore alla castità, onde ottenere col tempo dei modelli indigeni di questa bella virtù discesa dal cielo con filiuolo di /273/ Dio fatto uomo, e grazie a Dio potevamo dirci consolati, perché questa angelica virtù incominciava a gettare le radici nel cuore di molti. Ora lo scandalo di una persona considerata come un’oracolo nella missione, quall’impressione non farà in tutti questi nostri giovani accostumati più a guardare noi prima ancora di conoscerne tutta la sua celeste origine? Questo sentimento opprimeva il mio cuore, e spremeva le mie pupille in una corrente di quasi continue lacrime; queste mie lacrime, diceva fra me, almeno ripareranno in parte la piaga fatale [prodotta] nell’opera di Dio!

una riparazione. Una piaga aperta più non si nasconde, un publico scandalo bisogna ripararlo. Per una parte ho intimato subito un ritiro di riparazione a tutta la casa, e publiche preghiere ai pochi cristiani capaci di comprendere la gravità dei caso: figli miei, dissi, prima di questo scanda- [p. 483] lo potevate credere che la castità fosse in noi [una], o una cosa naturale, oppure una gemma finta, ma no, Iddio con ciò ha voluto farvi conoscete che essa è una gemma molto preziosa, la quale deve costare una guerra perpetua non solo in voi, ma anche in noi per possederla, per carità non cangiate natura a questa divina lezione, invece di scandalizzarvi, siate anzi più coragiosi nel combattere; il cielo è un regno, la castità è una corona, ora il regno e la corona non si guadagna[no] dai pigri. Per una stella caduta dal cielo lascieranno di brillare tutte le altre, ed il sole si ecclisserà? Siate fermi, e pregate per il traviato, e non dubitate della vittoria: [o] mio Gesù! o Vergine madre mia! [esclamai:] vi domando o la vittoria o la morte per la salute di queste anime. Ciò dicendo proruppi io in [un] pianto dirotto, e con me piansero tutti i miei cristiani.

lettera al p. Felicissimo; istruzioni in proposito. Scrissi subito una lettera al Padre Felicissimo in Ennerea sul modo di riparare lo scandalo. Una seconda lettera di monitorio al traviato. Scrissi al P. Felicissimo di organizzare la cosa col re Abba Baghibo, affinché disponesse le cose col re di Kafa per un mio futuro viaggio colà. Ciò fatto, diceva al P. Felicissimo [p. 484] suddetto, che, aggiustata ogni cosa col re per la spedizione di un corriere a Kafa, egli lasciasse uno dei suoi giovani per continuare il catechismo, intanto con tutti gli altri non mancasse di venire a Lagamara, dove vi sarebbe stato un ritiro da incomminciarsi il Sabbato di Passione, [20.3.1858] onde fosse terminato per la Pasqua. Col medesimo corriere ho spedito una lunga lettera ad Abba Jacob di istruzione sulla maniera di governarsi in Kafa nella delicata posizione in cui si trovava per il traviato compagno. In questa medesima lettera essendo egli incombenzato di rimettere la prima ammonizione al traviato compagno, gli insegnava la maniera di consegnarla, la quale /274/ avrebbe servita per le ammonizioni seguenti che gli avrei mandato immancabilmente.

p. Felicissimo parte
[3.1.1858],
ed arriva a Lagamara
[9.1.1858].
Il P. Felicissimo poi, dopo [aver] prese tutte le intelligenze con Abba Baghibo, eseguite le mie prescrizioni rapporto ai cristiani di Ennerea per la riparazione dello scandalo, e fatte che ebbe le spedizioni a Kafa, partì colla maggior parte dei suoi giovani; passando per Nonno Bilò, dove vi erano dei Cristiani, fece anche là una sosta di due giorni esercitando il suo ministero. Lo stesso fece in Leca, dove pure avevamo dei cristiani ammalati. Finalmente arrivò felicemente a [p. 485] Lagamara. Passavano i tre anni dacché non ci eravamo [più] veduti, fu perciò da una parte una consolazione, e per l’altra [i] circostanza di gran malinconia. S’incominciarono subito gli esercizii spirituali sia per noi in particolare, e sia ancora per tutti gli allievi. Due volte al giorno venivano anche i Cristiani dei contorni, e si facevano anche per loro alcune conferenze. Doppio era lo scopo di questo ritiro, uno era quello di dare un poco di scossa allo spirito di tutta quella gente, come si sa; l’altro poi era quello di fare un contro colpo allo scandalo per l’affare di Kafa, che aveva fatto un gran male dovunque. La circostanza della Settimana Santa era anche molto a proposito per concentrare gli spiriti di tutti, e le cose camminavano abbastanza bene. Ma Iddio volle anche egli aggiungere una crisi edificante per coronare l’opera nostra.

storia della morte di abba Gallet. Nel tempo che eravamo in Gudrò, quattro anni addietro ho parlato molto di un certo Abba Gallet, un buon vecchio di Lagamara, uomo stato sempre di un grande esempio ai cristiani di Lagamara, ancor prima del nostro arrivo in quel paese, come si può vedere più addietro. Ora Iddio aveva deciso di chiamarlo [p. 486] a Se proprio in quella circostanza, sia per edificare quei cristiani in quella circostanza di gran bisogno, sia ancora per glorificarlo nella sua sepoltura, come circostanza in cui eravamo molti chierici per un decoroso accompagnamento al suo sepolcro. Difatti, appena noi avevamo incomminciato il nostro ritiro, egli si ammalò, e tutti i giorni Abba Hajlù suo confessore si recava una o due volte a vederlo, e per amministrarlo.

abba Gallet riceve gli ultimi sacramenti; sua parlata
[3.4.1858].
Ricevette tutti i Sacramenti con grande edificazione e concorso di popolo. Io stesso ho voluto recarmi ad amministrargli l’estrema Unzione la mattina stessa del Sabbato Santo. Fu allora che fece una brevissima parlata ai suoi figli, e nipoti, i quali erano in gran quantità, come quei del Patriarca Giacobbe = figli miei, [disse ai presenti, io] mojo consolato di vedervi tutti qui; spero che tutti sarete fedeli a mantenere la vostra fede che ci hanno portato questi Sacerdoti venuti da Roma; non /275/ siate scandalizzati da queste ultime notizie; i nostri preti del Gogiam non sono tutti così? chi là si scandalizza? qui vi scandalizzate, sapete perché? siete soliti qui a vedere dei preti che sono angeli, se essi non venivano chi si sarebbe scandalizzato? ma siate certi che domani tutto si farà luce, e quello [l’apostata] diventerà meglio di prima = vedendolo commosso, e che si affaticava, ho dovuto proibirlo di più parlarne; e me ne ritornai a casa.

[p. 487] Ritornato in casa, fummo tutta la giornata occupati nella chiusa dei Santi [Esercizi] e si passò la sera per [ascoltare] le confessioni. Il P. Hajlù Michele, il quale stava quasi sempre coll’ammalato, volle venire per fare a[n]che egli la sue divozioni, sperando che l’ammalato l’avrebbe aspettato. La mattina si celebrò la Messa di Pasqua un poco più presto: morte di abba Gallet
[4.4.1858];
gran pianto.
mentre si stava in funzione venne un messaggiere a chiamare Abba Hajlù, il quale stava facendo la sua communione, epperciò dovette tardare un pochino; dopo la comunione io feci un fervorino, ma il suddetto non l’aspettò, ed era già partito; non era lontano un mezzo kilometro, che si fece il pianto: Abba Gallet, mentre tutti gli altri facevano la S. Comunione, egli morì per andare a fare la comunione eterna. La sua morte divulgata, fu un pianto universale, ed io sono rimasto solo in casa, perché tutti andarono al pianto.

lodi del defunto in bocca di tutti. Non tardò un quarto d’ora che da tutte le parti venivano turbe di gente, ed i contorni della casa a gran distanza furono tutti coperti di piangenti. Facendo ognuno gli elogi di Abba Gallet non si esaltava il suo valore in guerra, oppure altra sua qualità mondana, come si suol fare in simili circostanze, ma si parlava della sua carità per i poveri e per i forestieri, [del]la sua grande abilità nel pacificare i nemici, nel conciliare i dissidenti, nel perdonare i nemici; ma sopratutto si esaltava alle stelle [p. 488] la sua fedeltà alla sua moglie, non avendo egli conosciuto altra donna in vita sua. Egli non mangiava carne, se non di animali della casa propria, oppure comprati da persona conosciuta per timore che non fosse cosa rubata. Tanta era l’opinione publica sulla sincerità della sua asserzione, che[:] parola di Abba Gallet era divenuto come un proverbio in bocca di tutti per autenticare la propria parola. I miei giovani che circuivano il popolo immenso accorso al pianto, mi assicuravano, che le ultime parole dette ai figli prima di morire erano in bocca di tutti. Si poteva dire in verità che quest’uomo era canonizzato dal publico nel giorno stesso della sua morte. Gli stessi galla poligami lodavano la sua monogamia, e la sua morte fu una vera istruzione cristiana.

/276/ formazione della cassa sepolcrale Appena morto i suoi figli fecero tagliare un grand’albero, e nella parte inferiore del tronco ne cavarono la cassa mortuaria. In quei paesi non essendo conosciute le seghe per cavarne delle tavole, e quindi farne delle casse, devono tagliare il tronco della lunghezza [di] qualche palmo di più del uomo colla semplice ascia molto imperfetta del paese, e poi scavare colla medesima, e farne, per così dire una conca sufficiente per ricevere il cadavere. Per questo lavoro fu necessaria tutta la giornata di Pasqua e [la] notte seguente, benché vi lavorassero molte persone. Dimodoché non si poté fare la sepoltura che l’indomani mattina. Non essendovi ancora il cimittero in Lagamara, e d’altronde il trasporto [p. 489] della cassa [essendo] molto difficile, perché molto pesante si scavò il sepolcro in luogo non molto lontano dalla casa all’uso galla; e così la funzione si fece nel luogo stesso. cerimonia cattolica nella sepoltura. In altro tempo si sarebbe celebrata la S. Messa dei morti sotto la tenda, ma siccome era la Pasqua, si pensò di lasciare la Messa; si disse solamente l’offizio dei morti intorno al feretro, e poi si fece il solenne trasporto per quanto fù possibile in quei paesi. Si lavorò qualche giorno prima a cucire delle cotte, e delle veste talari di cotonina bleu, così tutto il clero era in Cotta, ed il solo celebrante in Piviale. Si prepararono delle candele in quantità per tutto il clero, e per tutti i figli del defunto usi a frequentare i Sacramenti, e così la processione preceduta dal tamburro della Chiesa, con croce inalberata si recò al sepolcro. I Galla amarono molto quella funzione, solamente per molti pareva una cosa strana che un’uomo così ricco fosse sepolto senza un poco di pane da mangiare, e qualche cosa da bere, come è l’uso del paese da me descritto nella sepoltura di Kigi fratello di Gama in Gudrù.

genio orientale per il pianto mortuario. Il genio dei popoli orientali in genere, ed in specie tutte le razze etiopiche [ci] tengono molto alle cerimonie esterne, principalmente nelle cerimonie mortuarie. Sarebbe stata una cosa molto più cristiana lasciare anche il pianto, ma siccome in esso per se non vi è cosa [p. 490] da condannarsi, o come eretica, o come superstiziosa, solamente è una cosa poco lodevole, perché poco conforme alla rassegnazione cristiana ed alla speranza di una vita futura. D’altronde poi, anche nel caso di volerlo impedire, non si potrebbe proibire ai pagani, come uno degli atti più sacri della società informe di quei popoli, atto che si deve fare, e si fa verso un nemico mortale, fino a tanto che non vi è framezzo la macchia del sangue. Così si giudicò conveniente tollerarlo, e la missione stessa doveva praticarlo, principalmente verso i pagani, o mussulmani.

il pianto mortuario della bibia, e delle diverse razze etiopiche. La storia biblica di tutti i tempi, compresi anche i tempi evangelici ci presenta il pianto mortuario in tutto il suo vigore, ed anche sotto un’a- /277/ spetto religioso a misura che si monta a maggiore antichità. Il pianto dell’Abissinia è più calmo, cosa che si deve attribuire all’influenza evangelica, ma ha conservato dei ceremoniali, e si veggono colà entrare in scena i tamburri e certi canti che inchiudono la massima e [il] dogma cristiano. Lo stesso si deve dire del pianto mussulmano, fra i quali la rassegnazione cristiana diventa fatalismo, e la speranza futura inchiude dei sogni di piaceri materiali. Il Galla invece ha un pianto più duro e crudele, e si spiega con dei gridi disperati. [p. 491] Le razze di Kafa, Warata, ed altre vanno molto più lontano dei galla nell’esprimere il dolore loro materiale, anche con delle carnificine sulla persona propria da dare un’idea di una specie di disperazione, perché meno dominate dall’idea di vita futura, come è chiaro, essendo essi tutti pagani con qualche idea d’immortalità oscura, e di poca influenza sopra le loro affezioni e sentimenti umani.

condotta della missione nel pianto mortuario. La missione nostra ha dovuto rispettare questi bisogni quasi naturali nella circostanza mortuaria[;] solamente ha dovuto moderargli, principalmente fra i suoi proseliti cercando di alleggerire il dolore materiale col balsamo della speranza futura, patrimonio tutto evangelico. Quando si trattava di pianti fra persone anche pagane, ma di una derta quale pratica ed amicizia con noi, io soleva mandare i miei giovani più fidi al pianto colla missione di seminarvi qualche idea di speranza futura un poco più categorica ed esplicita, che in simili momenti di crisi del cuore suole entrare molto più facilmente, come un balsamo di consolazione, di cui l’uomo ha molto bisogno in simili circostanze; qualche volta, posso dire, che si è ottenuto del bene.

[p. 492] Nella morte di Abba Gallet ho dovuto sorvegliare, affinché non avessero luogo le superstizioni dei galla. Quì di tutta necessità ho dovuto tener fermo, perché sta di mezzo la conscienza del missionario, e quella dei cristiani. Lascio le superstizioni più materiali, come le proviste di comestibili che si mettono nel sepolcro, delle quali ho parlato già nel Gudrù, quando ho parlato della morte di Kigi fratello di Gama; [in] queste come cose puramente pagane, e che non hanno conseguenze nello stato civile, una semplice raccomandazione ha potuto bastare per tenere i nostri neofiti in regola. Ma vi sono delle superstizioni semitiche che si attaccano all’ebraismo, per alcune delle quali la stessa Abissinia cristiana eterodossa ha delle inclinazioni non indifferenti. il maggiorasco galla, e l’eredità delle mogli. Fra queste domina quella del sacrifizio di animali sopra il sepolcro, praticato da tutti i galla: sacrifizii primitivi anti mosaici, coi quali si dichiara il primogenito sacerdote della casta con diritto civile di magiorasco assoluto [civile] sopra i suoi fratelli. Questa è forze la più grave superstizione /278/ difficile ad impedirsi, massime per quei cristiani che si sono sottomessi alle leggi galla, e sortiti dalla casta mercante. La seconda difficoltà è per la successione o eredità della moglie o mogli del fratello defunto, alla quale queste mogli hanno un certo diritto, e non si può lasciare senza un’infamia delle medesime, massime sino a tanto che la cristiana religione non è ancora [p. 493] abbastanza conosciuta e dominante da servire di titolo legale ad una rinunzia onorata. precauzioni del defunto a questo riguardo. Walde Joannes, detto Abba Gallet, per troncare tutte le pretensioni del suo primogenito Gallet al magiorasco, e così troncare tutte le tentazioni di questi a farsi galla, per godere di questa prerogativa, aveva distribuito tutte le sue proprietà ai figli già molto prima. Ciò non ostante, il primogenito di Gallet, già morto prima, avrebbe voluta sacrificare sopra il sepolcro di suo Padre a modo galla, per mantenere il suo maggiorasco, e ci volle tutto per impedire questo, ma la maledizione del defunto lo trattenne, e così la cosa se ne passò tranquilla, e tutta la discendenza rimase nella sua indipendenza secondo la legge abissinese cristiana della casta mercante.

Ho voluto esporre tutte queste specialità per far conoscere le diverse legislazioni galla ed abissina, ed una gran tentazione a cui vanno soggetti gli abissinesi cristiani, passati ai paesi galla di farsi Oromo pagani per godere di questo maggiorasco. Ma in Lagamara la razza forestiera era troppo numerosa, e stava già per prevalere sopra gli oromo. Il defunto Abba Gallet colla sua fermezza, aveva anche contribuito non poco a mantenere [p. 494] la legge cristiana d’abissinia molto favorevole alla missione. Negli altri paesi puramente oromo, è questa una delle grandi difficoltà per la propagazione del cristianesimo; alla morte del Padre il primogenito è tentato alla superstizione di sacrificare sul suo sepolcro per godere del maggiorasco galla; gli stessi cristiani di origine sono molto esposti a questa tentazione. Lo stesso è dell’eredità delle mogli del fratello defunto.

la morte di abba Gallet fece un gran bene. Ritornando ora al defunto Abba Gallet, la sua morte da vero cristiano ha fatto del gran bene alla nostra missione, sia per le ragioni sopra esposte, sia ancora, perché è stata una vera crisi per far dimenticare lo scandalo di Kafa. Bisogna confessare che Iddio aveva proprio tutto misurato, ed aveva riservata la morte di questo vero patriarca cristiano per glorificarlo, perché morì nel momento che tutto il nostro poco clero era radunato in Lagamara, e si poté fare una solenne sepoltura, ed il suo esempio non solo, ma le sue parole furono un vero balsamo a tutti i nostri giovani in quella circostanza di abbattimento. La sua morte in /279/ simile circostanza nel giorno di Pasqua, e nell’ora della risurrezione di Cristo intenerì tutti; gli stessi oromo galla invidiarono la morte di questo vero cristiano.