/123/

15.
Dubbio di Abba Hajlù. Udienza reale.
Arresto e liberazione di P. Leone.

una nuova prova alla missione di Ghera. dubbio di abba Hailù sul battesimo. Mentre in Kafa si stavano facendo queste operazioni, e la missione si trovava in un movimento di straordinario fervore, Iddio permetteva alla missione di Ghera una nuova prova: Abba Hajlù Michele andato colà alcuni mesi prima dopo gli scandali di Abba Fessah, [p. 906] appena ha passato colà qualche mese tranquillo nel suo ministero, che cadde in forte dubbio sulla validità del suo battesimo; e quindi di tutti gli altri sacramenti ed ordini ricevuti. Trovandosi ancora in Kafa con me, dopo la solita conferenza teologica sul valore dei sacramenti, un bel giorno venne a trovarmi esponendomi il dubbio sul suo battesimo, ed io l’aveva rimandato senza dar molto valore al suo dubbio, per non confermar lo di più, adducendogli, che non era egli solo, ma che tutti i Sacerdoti cattolici del Tigrè stati ordinati sul battesimo abissino, si trovavano nella medesima situazione, epperciò non pensasse più a simil dubbio, potendo essere una tentazione del diavolo per gettarlo in una incertezza pericolosa. Sentita che ebbe la mia risposta pareva restare tranquillo, e venendo il giorno della sua partenza per Ghera non mi sollevò più alcuna difficoltà e partì. Il suddito ubbidiente suole versare il suo dubbio al Superiore, e poi riposa tranquillo sulla risposta ottenuta, ma non così il Superiore, e questo dubbio mi fu una preoccupazione che [che] non mi lasciava riposo.

sua lettera a me. Difatti mentre in Kafa stavamo ancora nel ritiro sopra citato arrivarono i corrieri da Ghera. Il P. Hajlù così mi s[c]riveva = Padre mio, io non ho più coraggio ne di celebrare, ne di ascoltare le confessioni. Dopo che in Kafa io aveva [p. 907] esternato a Lei il mio dubbio, io me ne restava tranquillo sulla sua parola, ma un giorno, mentre stava riposando mi apparve in sogno il mio antico maestro Deftera Assegai nostro cattolico fervente che Ella conosce, e mi disse queste parole[:] come dici la messa non essendo battezzato? Dopo questo fatto più penso, più il mio dubbio si stabilisce. Ella perciò mi perdoni ma io non posso più /124/ formarmi una conscienza abbastanza certa per esercitare il ministero nelle cose che domandano la potestà dell’ordine. Io non lascio d’istruire e predicare, ma i cristiani non vedendomi [a] celebrare, e non potendo capire la difficoltà in questione incomminciano a turbarsi: Epperciò non manchi di mandare qualcheduno per surrogarmi, affinché io possa venire a Kafa, dove solo Ella potrà aggiustare questo mio affare.

come provvederò? ecco il gran pensiere. Letta questa lettera ho veduto subito che l’affare era grave. Io stesso in seguito al criterio fattomi sul battesimo abissino, dopo averlo veduto io stesso le molte volte nei miei viaggi, non ebbi più coraggio di scrivere al P. Hajlù contro il suo dubbio. Ho esaminato gli inviati venuti per vedere l’opinione di quei cristiani a questo riguardo, ed essi mi assicuravano che le malinconie di Abba Hajlù furono causa di un vero lutto in tutta quella missione, la quale amava il Padre Hajlù come un vero Padre [p. 908] e non sapevano darsi pace come non potesse più risolversi a celebrare, ed ascoltare le confessioni: egli predica come un’angelo, dicevano, e si passerebbe tutta la giornata per sentirlo, ma poi egli si confessa indegno di dire la Messa. Abba Tabacco mi faceva dire che l’unico rimedio sarebbe stata la mia andata a Ghera; questa, diceva, farebbe un gran bene alla missione non solo, ma alla stessa corte di Abba Magal, dove si parla di Lei con molto rispetto.

consiglio pro e contro per l’aboccamento. Il piano di Abba Tabacco veramente sarebbe stato il gran rimedio, ed io avrei bramato molto di effettuarlo, non fosse altro, perché avrei messo alla prova il patto fatto col Re di lasciarmi libera l’entrata e [la] sortita di Kafa, patto da lui giurato ad Abba Baghibo, e ad Abba Magal. Ottenere questo dal Re sarebbe stato un gran trionfo per la missione, ma sarà egli possibile? Alcuni erano d’opinione essere una cosa assolutamente impossibile, anzi pericolosa; altri poi assicuravano che sarebbe stato possibile in un’aboccamento col Re, quando io stesso avessi assicurato il Re che si trattava di pochi giorni, dopo i quali sarei ritornato. Come io non mi era ancora abboccato col Re dalla mia entrata in Kafa, lo stesso abboccamento con lui era ancora un problema, se si sarebbe ottenuto. Il Re nel suo cuore bramava di abboccarsi con me, ma il congresso dei maghi aveva messo un veto, minaciando il Re che nell’abboccamento con me il gran Spirito Deocce residente nel Re [p. 909] minaciava di abbandonarlo per cercarsi un’altra residenza; nel caso di vedersi il Re obligato ad abboccarsi con me, ciò non avrebbe mai potuto aver luogo nella città di Anderacia detta dal gran Spirito come suo santuario, ma per questo il Re sarebbe stato obligato a recarsi alla città di Bonga, città dei forestieri.

/125/ si decide l’aboccamento, e si parte. Sentendo tutte queste difficoltà ho voluto tentare l’abboccamento col Re. Ho mandato Negussiè in Anderacia ove egli resiedeva. Il Re prese qualche giorno di tempo per riflettervi, e probabilmente per conferire coi suoi consiglieri. Dopo circa tre o quattro giorni mi mandò la risposta affermativa, fissando il giorno del nostro incontro in Anderacia stessa, cosa che stupì tutti quelli che si supponevano un poco informati della politica del paese. Si presero dunque tutte le misure, e nel giorno fissato io con tutto il clero maggiore e molte persone di seguito ci siamo recati in Anderacia coi due segnali reali[:] baldachino, ed anello d’oro. Arrivati che fummo in vicinanza della regia sortì una questione per la quale fummo costretti ad aspettare un tantino: si fece consiglio per quale porta io dovessi entrare, come persona avente il diritto di portare il baldachino, e l’oro, i quali erano segni reali. Secondo gli usi del paese, io non poteva essere introdotto per la gran porta della regia [p. 910] ma doveva entrare per la porta secreta; difatti mi fecero girare a ponente per una piccola porticina, dove appena una persona poteva entrare con pena. mia entrata, e visita alla regina coi figli. Entrati dentro il gran recinto della regia, per piccoli viottoli segreti fummo condotti in una piccola capanna tutta vicina al gran capannone reale; là ci siamo seduti, e ci presentarono qualche ristoro, mentre il Re coi suoi consiglieri dovevano decidere la solenne questione del ceremoniale con cui io doveva essere ricevuto. La fummo visitati dalla gran moglie del Re, e dai suoi figli; questi erano liberi e poterono avvicinarsi sino a me in modo che poteva stringer loro le mani e fargli qualche carezza; la madre loro però era come invisibile, perché circondata da una tendina sostenuta dalle sue donne di compagnia. Dentro un corno di gran lusso mi fece presentare una specie di idromele così dolce e così aromatizzato, che appena gustato, l’ho lasciato. Come la conversazione era in lingua di Kafa per interprete, furono [fatti] semplici complimenti.

si ritira la regina; entro dal re.
descrizione della casa e del cerimoniale.
Intanto, essendo venuto l’ordine di entrare dal Re la regina si ritirò coi suoi figli. Fui introdotto nel gran capannone reale di una grandezza [p. 911] esorbitante, ma diviso in vani compartimenti. Il compartimento della porta interna ricevendo tutta la luce della porta medesima era abbastanza illuminato e chiaro. Il compartimento vicino al contrario ricevendo la sua luce da una fenestrella, chiusa questa, era perfettamente oscuro, e riceveva la pochissima sua luce dal compartimento della porta; i due compartimenti erano divisi fra loro da una tendina nella porta di communicazione. Ciò posto, il garzone di camera aveva istruzione di far mettere il mio sedile alla parte opposta della porta del compartimento suddetto non illuminato, dove stava seduto il Re dietro /126/ della porta, ed io dalla parte opposta avendo tutta la luce della porta in facia, il Re poteva vedermi, e vedere tutti i miei gesti; io poi non poteva affatto vedere il Re. Appena entrato col mio seguito io fui condotto al mio sedile, i miei preti fatta una profonda riverenza al Re, si collocarono alla mia destra e sinistra, e restarono in piedi, mentre tutto il resto del mio seguito stava prostrato colla facia per terra.

il re prende la parola Quando ognuno prese la sua posizione, allora il re prima di tutto prese la parola, ed ordinò al dragomanno Negussiè di alzarsi, [il] quale alzatosi, e fatta una triplice riverenza al Re, questi prese la parola diretta a me per mezzo del dragomanno suddetto, [p. 912] incomminciando dai saluti di stretta convenienza, secondo l’uso del paese. Dopo vennero [i] complimenti forze un poco esaggerati, e non totalmente conformi alla convinzione del Re relativamente ai progressi della missione esaggerati e male interpretati dalla politica nemica. espongo gli affari miei al re Nella mia risposta ho cercato indirettamente di battere i pregiudizii esaggerati contro il movimento cattolico, per mettere in guardia il Re, assicurandolo che il movimento cattolico è anzi favorevole al Re e all’ordine publico. Ho parlato quindi che i cristiani non potevano essere budda, rilevando l’antico diritto dei medesimi, di non essere obligati a bere la medicina. Quindi io sono passato a trattare la questione del mio viaggio a Ghera, cosa che molto mi occupava in quel momento.

la monarchia di Kafa è un mistero. Debbo confessare che il Re pareva ben disposto in quanto a lui, ma la costituzione del regno di Kafa è un vero mistero per le persone stesse le più iniziate del paese per pronunziare [giudizi] sopra l’esito di un’affare qualunque. A prima vista il regno di Kafa si direbbe una monarchia di ferro, in cui il Re è quello che può tutto, e fa tutto, ma poi il consiglio dei Sette nella sostanza è quello che conchiude ogni affare sempre colla parola del Re. il consiglio dei sette. Per comprendere questo basti il dire che alla morte del Re stesso, nascosta la sua morte, il consiglio dei Sette, raduna i figli [p. 913] pretendenti, e chiusili tutti in disparte, il consiglio prende quello che deve regnare, gli fa prestare giuramento, e messolo sul trono, restando ancora gli altri non scielti sempre chiusi, prima di tutto si fa conoscere al Regno il nuovo Re, e questo vestito in gran lutto a nome del defunto suo Padre, a cui seguitano tutti gli onori, ordina i suoi funerali, ed assiste ai medesimi. Da ciò si può capire la forza di questo consiglio, massime nelle cose più essenziali e gelose del regno. Per questa ragione in tutti i grandi affari, come era il mio, il Re sente, ma secretamente esiste sempre uno dei consiglieri [secretamente] presente, e nulla si conchiude sul momento. Occorrendo una questione grave sopra uno dei consiglieri, il Re raduna i sei altri e con essi si /127/ decide la questione, anche capitale del medesimo, ed a sua insaputa si elegge un nuovo consigliere, e poi si procede contro il destituito.

mie domande al re, e risposte. Ciò posto, è inutile che io quì dica l’esito del mio abboccamento, perche questo dipendeva quasi totalmente dal Consiglio dei Sette. Quando un’affare è apertamente contrario al consiglio suddetto, come cosa già conosciuta dal Re, allora questi può dare sul momento una risposta quasi [p. 914] decisiva. Per questa ragione il Re in tutte le altre cose rispose con generalità favorevoli in apparenza, facendo notare solo che il paese essendo solamente cristiano a metà il governo, aveva delle misure [d]a prendere non sempre in tutto favorevoli. Ma venendo all’affare del mio viaggio a Ghera, egli mi pregò di lasciare da una parte questa mia risoluzione, essendo una cosa che avrebbe domandato delle procedure troppo lunghe pr deciderla. Vedendo così non ho voluto insistere, ed ho presentato il progetto di mandarvi invece il P. Leone. A questo progetto il Re [non] presentò nessuna difficoltà, e parve una cosa come decisa; tanto più che io aveva assicurato il Re che andando il P. Leone a Ghera, sarebbe venuto a Kafa il padre Hajlù. La cosa dunque si terminò in questo senso; si aggiunsero ancora poche altre cose di pura convenienza, e poco dopo ci siamo congedati.

congedo e sortita Sortiti dall’udienza del Re, siamo ritornati nella nostra capanna vicina, dove la regina ritornò a rivederci, e presentarci: qualche ristoro come prima, ma ci siamo [rimasti] molto poco, e congedatici siamo partiti. una domanda dei principini. Nel congedarmi dai principi reali, uno di questi, unito al mio Gabriele, [p. 915] mi disse queste parole, oh Padre mio, mi lascii quì questo suo giovane per istruirci, molto bene, risposi io, tu non hai da far altro che intenderti colla tua Madre e col tuo Papà, che io sono disposto di mandartelo quando essi me lo domanderanno. Seppi poi dopo che questo mio giovane chierico ex mussulmano, sapendo molto bene la lingua di Kafa, egli lasciò tutte le convenienze, e passò tutto quel tempo ad istruire i giovani principi, e già era arrivato ad impadronirsi dei loro cuori, in modo che fui costretto poi a mandarlo per acconsentire al desiderio della Regina. Per non ritornare su questo punto dirò che questo mio giovane chierico andato parecchie volte alla corte, fece là un piccolo oratorio, ed incomminciò a risvegliare un proselitismo tale, che il consiglio dei maghi ingelosito lo fece allontanare dal consiglio dei Sette; ma il lievito evangelico dal momento che ha incomminciato [ad agire] è come la po[l]vere da schioppo, la quale ha bisogno di essere incarcerata per far brecia.

ritorno a casa. Sortiti dalla regia per la stessa porta secreta per cui eravamo entrati, mentre si rimontava la montagna ritornando alla nostra casa di Sciap, /128/ secondo il mio solito, io teneva l’orecchio aperto a quanto si diceva dalle persone del mio seguito stesso per conoscere l’impressione che fece nel publico la mia andata [p. 916] alla corte, perché in quei paesi la verità, cercata direttamente ed officialmente da una persona di riguardo qualunque, difficilmente si trova, e per sentirla le vie più certe sono le indirette, quando le persone parlano accademicamente frà loro. Il mio chierico Gabriele, il quale in viaggio mai si allontanava da me, egli tutto sentiva e tutto mi riferiva. pubbliche vociferazioni. Fu allora che ho potuto capire la ragione per cui non fui introdotto nella città reale per la gran porta: due Re non possono entrare per la gran porta, dicevano, altrimenti uno doveva morire; per la stessa ragione, il Re che porta l’oro non poté trovarsi dirimpetto all’Abuna che veste l’oro perché due ori non si possono fra loro incontrare senza rompersi [frà loro], come due caraffe; per questa ragione il nominale rè di Ennerea che porta l’oro, anche egli se viene dal Re non passa per la gran porta, e non si trova al cospetto del Re. La terza ragione è perché la città di Anderacia essendo il santuario del gran spirito Deocce, i maghi non l’hanno permesso; l’abuna perciò dovette entrare secreto.

partenza del padre Leone
[mar. 1861].
Queste e simili tradizioni curiose si sentirono strada facendo. Fratanto siamo arrivati a Sciap, dove, preso un poco di respiro, ho dovuto pensare all’affare di Ghera, il quale mi premeva [p. 917] più di tutto; non potendo andare io a Ghera fù subito combinata la partenza del padre Leone. Negussiè dragomanno e procuratore per gli affari colla corte pensò ad un calatie o porta parola; l’indomani P. Leone partì accompagnato da alcuni dei nostri giovani nativi di Ghera, e la famiglia lo accompagnò sino a certa distanza, e poi ritornò. I nostri viaggiatori camminarono tranquilli [per] tutto lo spazio da Sciap sino al gran mercato di Bonga; solamente lungo la strada si sentirono alcune voci isolate che gridavano[:] l’Abuna parte, attenti!, ma semplici voci senza conseguenza. Il Padre Leone entrò nella città dei mercanti, dove doveva unirsi ad alcuni viaggiatori di Ghera, e dovette fermarsi circa un’ora.

grido di guerra Quando il P. Leone in compagnia dei mercanti si pose[ro] in viaggio un grido vago e lontano incomminciò a sentirsi con in lontananza il solito tamburro, o cassone che batte il segno di guerra; poco dopo incomminciò [a] spiegarsi un movimento di popolo verso una delle gran porte interne di Kafa, e più si allontanavano il movimento del popolo [si] andava crescendo come la piena di un torrente quando fa un temporale, ma intanto nessuno parlava, a segno che i nostri potevano bensì dubitare che quel movimento fosse contro di loro, ma nulla di [di] certo, e credettero [di] poter continuare il loro [p. 918] viaggio.

/129/ gran movimento di popolo. All’avvicinarsi della prima porta di Bongo, una popolazione immensa colà aspettava, e la porta era chiusa a tutti quelli che sortivano, ed aperta solo a coloro che entravano. Arriva [un] mondo [di gente] da tutte le parti, e la moltitudine ancora si sta ingrossando. Quelli che vengono dalle due porte inferiori verso la frontiera annunziano [che] anche là le porte [sono] chiuse a tutti quelli che sortono, ed aperte solo a coloro che entrano; anche nelle porte della frontiera un’affluenza di popolo immensa che cresce, ma per qual motivo? non si sa il certo, solamente alcune voci dicono che l’Abuna è fuggito. Da tutte le parti i capi mandano corrieri, e dalla corte stessa, ed ancora il segnale di guerra batte da tutte le parti.

il padre Leone è arrestato. Il Padre Leone intanto si trova arrestato, e con lui arrestati tutti i mercanti venuti dal gran mercato di Bonga. Nessuna violenza, anzi gran rispetto a tutti; dalle case vicine viene caffè, birra, ed anche qualche cosa da mangiare per gli arrestati. Il portavoce del Re gira e parla a tutti gli impiegati, gran rispetto anche per lui, ma non è sentito. I corrieri intanto che vanno e che vengono si moltiplicano, ma nulla si sa, solamente una voce secreta passa da uno all’altro, l’Abuna è fuggito. Il Padre Leone ha bel protestare che egli non è l’Abuna, ma le sue proteste [p. 919] sono venerate, ma [non] servono a nulla. affluenza di corrieri; p. Leone ritorna. Solamente verso le due dopo mezzo giorno cessò l’affluenza delle moltitudini; dopo venne dal Nagadaras di Bonga una deputazione per riconoscere e distinguere i mercanti che dovevano sortire [dal]la porta da quelli che partirono col Padre Leone. Poco dopo un’altro corriere da Anderacia essendo venuto, benché il messaggio fosse secreto, pure [fu ordinato che] il Padre Leone con tutte le persone partite con lui dal mercato di Bonga dovessero retrocedere per la stessa strada fatta venendo. Un’unda di popolo, sempre credendo che fosse l’Abuna, con gran rispetto e venerazione; frà i trilli di trionfo, fù direi quasi portato sino al gran mercato, dove arrivato, il Nagadaras con tutti i suoi impiegati fecero la ricognizione, ed il Padre Leone verso notte, portato da tutte quelle moltitudini poté arrivare alla casa di Sciap. Per fortuna che il pane, la birra, ed il latte ricevuto nella giornata venne con loro, altrimenti la casa non avrebbe potuto dare qualche ristoro a tutta quella moltitudine che l’accompagnò.

Già io aveva avuto notizia incompleta dell’incontro avvenuto al Padre Leone, ma sempre ancora mi persuadeva che alla fine, riconosciuta la verità, questo padre sarebbe stato lasciato libero di andare al suo destino, ma quando la sera a notte lo viddi arrivare [p. 920] lascio considerare quale non dovette essere il mio stupore. Non vi fu specie di giudi- /130/ diversi pareri sul fatto. zio vero, temerario, o falso che non sia stato fatto da noi in quella sera. Alcuni giudicavano che il governo avesse fatto questo per impedire la partenza stessa del P. Leone; altri invece dicevano che veramente in governo avesse sospettato della mia partenza, ingannato dalle voci del popolo; non mancavano altri poi, i quali giudicavano quello un semplice colpo di mano del governo per metterci in guardia in avvenire; lo stesso Negussiè, persona cresciuta con quella corte non sapeva come interpretare una storia simile. Si passò quella notte pensando, riflettendo, e progettando sul quid agendum?

viene una deputazione del re L’indomani dopo l’esercizio del mattino, sia per l’interno della casa, sia ancora quello dei catecumeni sempre numerosissimi, mentre tutta la casa stava nel suo lavoro, o di scuola, oppure manuale vengono ad annunziarmi una deputazione venuta dalla corte, composta tutta di grandi personagi, cioè di quattro consiglieri, del Procuratore del Re, e di alcuni altri alti dignitari. Vado di volo alla gran casa di ricevimento, accompagnato dal P. Leone e dagli altri Sacerdoti, da Negussiè, da Gabriele, e da alcuni altri giovani. interrogatorio sul fatto occorso Appena passati i complimenti di uso, uno dei Consiglieri, il Gucci-rascià capo della razza cristiana [p. 921] prese la parola a nome del Re ed incomminciò per fare certe scuse per gli affari del giorno precedente, e, come se nulla sapesse, domandò chi era quello che partì. Allora io ho dato la parola al P. Leone, il quale in breve raccontò la storia. Ma il Gucci-rascià, rivolto a me disse, non è Lei che doveva partire? io desiderava partire, risposi, ma il Re non avendo aderito, dissi al Re stesso che avrei mandato il P. Leone, ed egli aderì; in seguito di ciò Negussiè procuratore e dragomanno andò dal Re e ricevette il porta-voce, ed il Padre Leone accompagnato dal medesimo è partito. Allora il Gucci-rascià, di nuovo rivolto a me, ma lei jeri non è sortito affatto? il Gucci-rascià domanda del giovane Gabriele. No, dissi, non son sortito affatto di casa. Il Gucci-rascià sentito questo abbandonò la questione, e mi parlò del giovane Gabriele: Lei tiene quì in casa un giovane che alcuni [lo] credono mussulmano, disse, come va questo? So chi volete dire, dissi, era uno schiavo di Abba Magal, epperciò mussulmano, ma oggi è battezzato, ed è fervente cristiano; lo facio chiamare, ed egli stesso si spiegherà.

dialogo famoso trà il Gucci-rascià e Gabriele. Ho fatto chiamare Gabriele, il quale stava catechizzando fuori i giovani di tutti quei Signori. Venuto questo giovane, subito il Gucci-rascià, non sei tu un giovane di Abba Magal? interrogandolo gli disse. Sì, egli rispose, ma oggi, per la grazia di Dio sono un figlio dell’Abuna, sono cristiano, [p. 922] e voglio essere cristiano sino alla morte, perché il solo cristiano va in paradiso e si salva per tutta l’eternità. Ma come, ripigliò il Gucci-rascià, credi tu sinceramente che il mussulmano non si /131/ salva, e non vada in paradiso? Io sono talmente persuaso che il mussulmano non va in paradiso, [rispose il giovane,] che prima di credere una cosa simile sono disposto, anzi desidero sul momento di morire e dare tutto il mio sangue. Ma come tu mussulmano figlio di Abba Magal, disse il Gucci-rascià, hai potuto farti cristiano? è vero io non poteva, rispose, ma lo sono ora per un vero miracolo fatto da Dio, da Maria [SS.], da [S.] Michele, e da S. Giorgio; quando io era mussulmano era un sacco pieno di diavoli, i quali non mi lasciavano più vivere, e mi rendevano pazzo per tutti i piaceri della carne; dopo ho [ho] sentito le parole dell’abuna, egli mi ha battezzato, e tutti questi diavoli come tanti cani arrabiati sono fuggiti da me, oh allora quante cose Iddio mi ha fatto vedere! quì non ho tempo a dir tutto, ma prego il Signore, affinché le facia vedere anche a voi, e possiate salvarvi. Ma io, sono cristiano, eppure io non vedo tutte queste cose, riprese [p. 923] allora il Gucci-rascià, come va, che tu hai veduto tante cose? Voi siete cristiano, rispose Gabriele, perché siete nato da un Padre che si credeva cristiano, ma voi non avete ancora sentito la parola dell’abuna, voi non siete ancora stato battezzato e fatto figlio di Cristo, voi non avete ancora gustato il Kurvan, voi avete ancora molte donne, epperciò siete ancora sotto il potere del diavolo; voi non avete ancora la fede, la quale è come l’occhio del uomo, epperciò non potete ancora vedere e gustare tante belle cose.

Gabriele parte, e parlano i consiglieri frà di loro Il Gucci-rascià al sentire tutte queste cose disse al giovane, hai ragione, ma la nostra conversazione è già troppo lunga, e parleremo ancora altra volta, e lo licenziò, ed alzatosi [Gabriele] ritornò fuori a continuare il suo catechismo. Partito che fu il giovane il Gucci-rascià disse ai suoi compagni quasi secretamente: ho capito ora, come i figli del Re si sono innamorati di questo giovane e tormentano la sua madre per averlo là qualche giorno. Ma se questo giovane viene nella regia e resterà qualche tempo, una gran quantità della nostra gente si farebbe cristiana; io credo bene [di] far osservare questo ai nostri padroni. Allora un’altro della deputazione soggiunse: ciò non si può impedire, meglio [p. 924] che venga, ed aggiustare le cose in modo che resti poco. Io stesso, disse un’altro, avrei passato mezza la giornata a sentirlo.

il Gucci-rascià ammira Gabriele. Dopo questa conferenza fra loro, prese la parola di nuovo il Gucci-rascià e disse a me: ora comprendo come una gran quantità di Kafa inclina [a] farsi cristiano; io stesso incomminciava [a] commovermi, ed ho dovuto finirla presto con lui; ha un modo di parlare che prima di arrivare alle orecchie giunge al cuore. Quando tutto Kafa vorrà farsi cristiano basta questo ragazzo. Ora parliamo dei nostri affari, perché /132/ essendo tardi dobbiamo partire per Anderacia, e dar conto al Re della nostra missione. È dunque risolta la partenza del P. Leone per Ghera? Certamente, dissi, anzi ha molta premura, ma non vorrei poi che accadesse un’inconveniente simile a quello dell’altro giorno. Come la cosa preme, sarebbe bene che il Padre Leone parta subito domani, prima che le notizie di jeri faciano una cattiva impressione sui Cristiani di Ghera e che si allarmino. si conchiude la partenza del p. Leone. Allora il Gucci-rascià prese la parola e disse: il P. Leone può partire domani? avendo risposto di sì; ebbene, disse egli, noi parleremo al re, e domani mattina il P. Leone ci aspetti sul mercato, e si manderà una persona [p. 925] conosciuta e sicura che l’accompagnerà sino alla porta del confine. Ciò detto si licenziarono.

Il P. Leone partì l’indomani, ed arrivato al gran mercato di Bongo già lo aspettavano lo stesso Procuratore del Re con uno dei primi capi della dogana, coi quali partì immediatamente verso la frontiera di Ghera. Sortito dalla porta ultima dei confini non tardò a scorgere una quantità di gente che lo aspettava vicino al fiume Goggieb; erano i cristiani di Affallo, i quali, avendo sentito la storia del ritorno del P. Leone, supposto l’abuna, erano discesi in massa per riceverlo, ed anche per fare una specie di dimostrazione ostile per la violenza fattagli, ma a misura che il P. Leone si avvicinava; avendo loro raccontato tutto l’accaduto gli riuscì di calmargli, e così proseguirono pacificamente il loro viaggio sino alle terme, già da me descritte altrove. Là presero un poco di ristoro, dopo il quale proseguirono il loro viaggio sino ad Affallo, dove arrivarono la sera verso notte.

p. Leone arriva a Ghera. L’arrivo del P. Leone tranquillizzò in parte la cristianità di Ghera, la quale già aveva concepita una speranza della mia andata colà, venendo egli, dicevano, aggiusterà l’affare di Abba Hajlù da loro [p. 926] molto amato, e restandovi quì alcuni giorni darà una nuova scossa alla missione di questo paese, cosa che il P. Leone ancora nuovo, e senza lingua non potrà fare. Quei cristiani tuttavia si rassegnarono ricevendo con piacere il P. Leone. Abba Hajlù perciò fatta che ebbe la consegna della casa al suddetto, e congedatosi dal Re, e dalla popolazione, dopo pochi giorni già arrivava in Kafa.