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33.
A Leka. Schiavitù ed evirazione.
Gigio e Gabriele. L’oro e la via di Dabbo.

lascio Nonno e vado a Lèca Fatto questo mi sono congedato da Nonno, e sono partito accompagnato da turbe che mi esternavano sentimenti i più figliali di affetto nutriti da una speranza di presto rivederci. separazione per pochi giorni divenuti anni... Io partiva per Leca dicendo a tutta quella [p. 291] turba un’addio di pochi giorni, separandomi da loro per un tratto di pochi miglia, come chi va ad una casa per ritornarvi, addio a rivederci dopo pochi mesi. Oggi che scrivo i mesi Sono divenuti 20. anni, e lo spazio di pochi miglia sono diventati trenta e quaranta gradi, e quella speranza e diventata un sogno, addio! arrivederci in paradiso con chi sarà stato fedele al suo Dio! arrivo a Lèca Dopo poche ore arrivo a Leca, paese di gran mercato, dove vanno e vengono i mercanti del Sud sino a Ghera, e sino a Kafa; vanno e vengono quelli dell’Ovest sino a Dàbbo in cerca dell’oro dei paesi che separano i nostri Galla dal Sennar, e dal Fasuglu.

In Leca fummo ricevuti da una piccola colonia di Cristiani nostri mercanti stabiliti nel paese, e soliti [a] ricevere il sacro ministero dai nostri di passaggio per il Sud di Ennerea, di Ghera, e di Kafa; in difetto soliti [a] recarsi à Lagamara nei loro bisogni spirituali. mercanti venuti da Kafa e da Ghera, molte notizie. Ma ciò che più richiamava la nostra attenzione, trovammo dei mercanti recentemente venuti da Kafa e da Ghera per la via di Gumma [p. 292] essi mi parlarono di persone molto care, fatti di tenera nel tempo stesso, e di amara rimembranza: il P. Leone le scriverà, disse uno, una notizia che le farà molto piacere. Camo è arrivato da Gemma Kaka, ed è fuggito con lui il fratello del suo cognato, e se può fuggire verrà in Lagamara, ma e il mio Camo come sta? dissi, oh il povero Camo, disse, egli è ammalato colla tosse, ha molto sofferto, e da quanto diceva il P. Leone, egli non guarirà più: che tenera notizia, esclamai! e rivolto ai quattro o cinque penitenti che mi seguirono di Nonno Billò, avete sentito? dissi loro, avete sentito come Camo si è fatto mussulmano; ed ha preso moglie in Gem- /278/ ma Kaka, invece di farsi mussulmano, egli ha rubato un mussulmano per farlo Cristiano; oh fosse quì Gabriele, quanto godrebbe di questa notizia! tu Abba Joannes, manda subito questa notizia a Gabriele in Nonno, ed al nostro catecumeno Galla, perché faranno gran festa, e tutto Nonno conosca una volta le bugie del diavolo...!

mercanti venuti da Gudriò, altre notizie Ma il mio cuore era troppo piccolo e debole per contenere e sopportare tante notizie fra loro disparate! Abba Joannes stava appunto parlando con altri mercanti del Gudrù diretti per Ghera e Kafa; ma non potrebbero, dissi io, [p. 293] andare per Nonno, onde raccontare a Gabriele la bella storia di Camo? quanto farebbe piacere al nostro catecumeno galla, il quale sta raccogliendo effemeridi del buon diavolo che in un giorno ha messo in disordine la missione ed il paese di Nonno colle inventate sue bugie! Sarebbe anche questa una bella collezione [da presentare] ai nostri giovani! Ah Padre, rispose Abba Joannes, voi parlate di una cosa impossibile, perché Lagamara, Giarri, Gombò, Gudrù, e persino Tedla Gualu del Gogiam l’hanno giurata contro Abba Gommol di Ennerea, e più nessun mercante anderà in Ennerea dopo la storia del vostro esilio da quel paese. Bisogna crepar di rider al sentire le storie che si raccontano in Gudrù del mussulmano caduto morto dall’altare, dell’Abba Misan, il quale stava scavando la latrina per trovare il tesoro, e cadde svenuto, e sopra tutto del Re, di cui si sono ingrossate le mutande colla medicina, e colla speranza di [avere] un figlio che avrebbe regnato in tutto il mondo...!

rimproveri contro le esaggerazioni dei nostri cattolici Ma, caro mio, [intervenni io,] non parlar più di queste esaggerazioni; il cuor mio è divenuto così piccino piccino, che non può soffrire simili cose. Che il diavolo abbia esaggerato contro il povero Camo [p. 294] per ingannare i nostri giovani, e possederli un’altra volta; che il diavolo abbia messo in furia Abba Gommol contro Nonno per sollevare questo paese contro la missione e farci caciare, questo è troppo naturale, perche il diavolo mentitore da principio ha fatto niente più che il suo mestiere. Ma che poi il diavolo abbia esaggerato e mentito contro i mussulmani suoi legittimi figli, questo è appunto quello che non posso intendere, ne tanto meno sentire dai nostri fattisi esaggeratori anche essi. Che il mussulmano montato sull’altare sia caduto ed anche morto, bene gli stava, perché è montato per far la guerra a Cristo, e montando non ha misurato bene il suo piede. Che l’Abba Misan scavando la latrina per cercare il tesoro sia caduto svenuto, niente di più naturale, perche dalla latrina non sortiva certamente odore, ne di gelzomini ne di rose. Così del Re fanatico mussulmano, figlio divoto del diavolo, che fosse furioso contro la missione di Nonno, anche ciò è naturale.

/279/ ho fatto la pace con abba Gommol, ecco la base. Una sol cosa non è da tollerarsi ed è che i nostri prendano parte a tutte queste esaggerazioni con pericolo evidente di compromettere i nostri cristiani di Ennerea. E vero [che] io sono stato esiliato [p. 295] dal Re in modo barbaro ed inumano, ma è vero altresì che io invitato dal Re a ritornarvi, sono ritornato per motivi di prudenza, onde salvare i cristiani di quel regno da una persecuzione imminente, e che ritornandovi ho fatto con lui la pace, dopo la quale non è lecito a noi di riprendere un linguagio di esaggerazione e di menzogna. Che mentisca il diavolo, e che mentiscano i mussulmani, è parte loro e non nostra, ma che noi cattolici con esaggerazioni e con bugie prendiamo parte contro l’Ennerea, questo poi no. La guerra col diavolo e sacrosanta, ma non con Abba Gommol fino a tanto che questi sarà Re d’Ennerea, paese che noi dobbiamo evangelizzare come tutti gli altri. Si faciano adunque sentire a tutti queste mie deliberazioni, e che io perciò non entro, ne posso entrare nei proclami contro il commercio di quel paese.

Ciò nulla ostante i mercanti vollero tenere la via di Gumma per Ghera e Kafa, dove portarono, oltre [ad] alcune lettere a loro consegnate per il P. Leone e per Abba Hajlù, i miei saluti e la mia benedizione [p. 296] a tutti quei cristiani di quei due paesi, in specie al caro chierico Camo martire della fede.

mie promesse di ritorno a Ghera e Kafa Figli miei fatevi coragio, feci dire a tutti, le trattative col Re di Kafa sono a buon porto, pregate Iddio, che io, visitate che avrò queste missioni, col suo ajuto volerò tra voi: questa era la mia parola che camminava al Sud verso Ghera e Kafa, ma io non pensava che l’uomo è un piccolo insetto portato sulle ali della Providenza, e stava appunto scritto negli arcani di questa die che io non avrei più veduto quei paesi, appunto perché troppo amati.

monsignore Coccino in Nunnu tratta la pace. Molte erano le notizie venute dal Nord. Monsignor Cocino mio Coadjutore aveva già visitato il Gudrù, e di ritorno da Assandabo si trovava in Nunno in casa di Natan-Abdì, dove dietro le raccomandazioni di Gama, stava trattando la pace con Nunnu per il sangue versato dai due Viaggiatori Plauden e Bel nell’anno 1844. Di là sperava [di] ritornare a Lagamara per ricevermi, ma l’affare della pace avendolo trattenuto più di quello che credeva, non arrivò a tempo. Gama teneva molto a questa pace, affinché, arrivato io in Lagamara, potessi [io] andare subito in Gudrù per la via, più diretta, senza [p. 297] fare il giro all’Ovest di Giarri e di Gombò, perché le cose di Gudrù incomminciando ad intorbidarsi, egli sperava sopra di me per calmare i partiti. Con Monsignore Coccino stavano in Nunnu i corrieri venuti dalla Costa, e benché egli /280/ fosse autorizzato ad aprire le lettere, pure, veduto il mio prossimo arrivo, aveva voluto rispettarle.

Io ho dovuto passare alcuni giorni in Leca per amministrare i Sacramenti ad alcuni neonati, e ad alcuni vecchj, e infermi, i quali non avrebbero potuto venire in Lagamara Ghiviè. La nostra dimora era naturalmente in un piccolo villagio cristiano, tutto vicino al villagio mussulmano più grosso. una visita ad uno stabilimento di giovani schiavi. Abba Joannes un giorno verso sera volle farmi vedere anche il villagio dei mussulmani; là siamo entrati in un gran cortile diviso in tre nel suo interno: siamo entrati in uno dei compartimenti; si trovavano là in una capanacia una decina di giovani tutti coi ferri ai piedi; i custodi credevano che noi andavamo cercando qualcheduno da comprare, e ci lasciavano girare: ecco il luogo, [esclamò Abba Joannes,] dove 14. anni sono, [p. 298] io, appena arrivato dal mio paese con mia madre, [io] era legato: ah caro Padre, bisogna vedere di notte quì il bel spettacolo: in questo luogo maledetto io ho imparato quello che in casa di mio padre pagano non si sapeva ancora. Dopo in un’altro compartimento mi fece vedere il luogo dove era legata la sua madre. Siamo sortiti da quel luogo, e mi contò la storia che già sta scritta a suo luogo. Ci accompagnava il cognato del fù nostro Gabriele Boca, il nostro apostolo morto in Ghera, e si trovava pure là Gigio lo stesso suo fratello, tutte persone state educate nella stessa nostra casa di Tullu Leca in Lagamara. là si trova la fabrica degli eunuchi. Mi fecero vedere un’altro luogo un poco più lontano, là, mi dissero, è il luogo dove si fanno gli eunuchi, ma voi siete troppo conosciuto, e non vi lascieranno vedere. Questi mussulmani conoscono molto bene ciò che avete fatto in Cobbo di Gudrù contro... [questo infame mestiere].

Oggi divenuto uomo, soggiunse Abba Joannes, tremo ed inorridisco al solo vedere queste cose, e queste case maledette, e ringrazio [p. 299] Iddio di essere sortito tutto intiero dalle mani dei mussulmani, benché per mia eterna disgrazia non sia sortito innocente, come era alla casa del mio povero padre, che voi avete conosciuto in Kafa. come mai si tollera un simile scandalo? risposta Ma dimmi un poco[:] questo Abba Dula di Lèca non potrebbe impedire questo scandalo, dissi io a quelli che mi seguivano? Il nostro paese è paese di libertà, ed il poco governo che esiste, come voi dovete sapere, non si occupa affatto della casta mercante, la quale si giudica da se. In questi paesi Galla oromo liberi dal momento che [uno] ha pagato il piccolo tributo in viaggio passando sul terreno di un Gaddà, più nessuno pensa a lui, se egli rispetta i nativi. Occorrendo questione coi Galla oromo, l’offeso non cerca il mercante, ma cerca il Galla padrone del terreno dove si trova. La casta dei mercanti è solidaria verso il padrone del /281/ luogo, ed il capo della casta giudica infra essa. Fra i mercanti lo schiavo non è sentito, egli non ha personalità civile, ma è un semplice valore, come un’animale; non solo il padrone lo può mutilare, ma lo può anche amazzare se vuole.

Gama lo proibisce in Cobbo Se voi avete potuto impedire un simile scandalo in Cobbo di Gudrù, non è in forza della legge del paese, ma perché Gama aveva regnato, e regnando è passato sopra tutte le leggi [p. 300] sia dei galla, che dei mercanti. Gama restando disse[:] il Gudrù è mio, ed io solo sono risponsabile avanti [a] Dio, ed avanti [a]gli uomini del male che si fa nel paese mio, sia che questo si facia dagli oromo Galla, sia ancora che si commetta dalla casta mercante, epperciò non voglio più questo scandalo. Gama neanche avrebbe fatto una simile proibizione se prima non avesse avuto sufficienti istruzioni cristiane dalla missione nostra. Quando voi siete arrivato in Lagamara, proseguirono i suddetti, esisteva questa specie di macello dei giovani schiavi nel borgo mussulmano non lontano dal fiume Lagamara, epperciò vicino alla casa stessa della missione, ma avendo voi quasi subito preso un’ascendente sul nostro paese, i mussulmani stessi usarono prudenza, e trasportarono altrove la loro infame bottega per timore, e noi sappiamo dove essa è.

Gigio e Gabriele Ho parlato sopra di Gigio fratello germano di Gabriele nostro chierico morto in Ghera. Questi due fratelli figli di Boca-Dilò, sono stati tutti [e] due allevati dalla missione. Gigio era il primogenito, giovane molto calmo e flemmatico, a differenza del suo fratello, il quale aveva molto maggiore immaginazione e vivacità; la virtù perciò [p. 301] di quest’ultimo aveva molto maggior valore del primo, perché costava maggior sacrifizio. una questione fra due fratelli Boca loro padre essendosi lagnato a me che i due giovanetti passavano il giorno alla missione, allora io ho dato loro un giorno di tempo per decidere chi dei due avrebbe dovuto restare col Padre. Tutti [e] due avrebbero voluto restare [alla missione], e per decidere la questione vennero tutti [e] due, e fecero la loro confessione publica non sacramentale, affinché io decidessi. Prese la parola il più piccolo e disse queste parole: Gigio e più saggio di me e può restare in casa senza pericolo; al contrario se io resterò in casa [io] diventerò un diavoletto e non sarò utile ne a me, ne al mio Padre; per una specie d’imparzialità ho detto: ebbene tirate la sorte; questa cadde sopra Gabriele, e due anni circa dopo questo atto Gabriele moriva in Ghera martire del ministero, come a suo luogo si parlò molto di lui, e delle cose mirabili che Iddio operò per mezzo suo.

Nel tempo che io era in Leca Gigio contava dai 19. ai 20. anni di età, la sua sorella maritatasi ad un mercante di Leca aveva due anni di più, /282/ ed aveva già due figli maschi. Gigio era arrivato da Dabbo qualche giorno prima, ed aspettava la mia venuta in casa di sua sorella. Si doveva fare il solenne [p. 302] battesimo di uno dei suoi nipotini.

una conversazione con Gigio Ora trovandomi un momento da solo con lui, ebbene, Gigio mio, [gli dissi,] tu sei stato sempre bono, come ti sei regolato dopo la mia partenza da Lagamara? Vedete, caro Padre, [rispose,] fino a tanto che stette in Lagamara il mio fratello, benché egli fosse più giovane, pure egli mi custodiva; come voi sapete, la sera, finito il catechismo e dopo la sua cena, egli veniva a dormire a casa, la sera ci faceva il catechismo, poi detto il rosario in famiglia, come voi sapete, dormivamo insieme, guai che di notte avesse trovato le mie mani in cattivo luogo, egli mi svegliava e mi metteva in penitenza; egli era divenuto come il mio padre. Dopo [che] voi siete partito, e partito Gabriele ancora io sono rimasto come una pecora senza pastore.

Per sei mesi dopo la vostra partenza mi sono ancora tenuto in piedi alla meglio, ma [a] poco a poco ho incomminciato a dimenticare i vostri consigli, e quelli del mio fratello. Il diavolo incomminciò a dominarmi, mi fece dimenticare la preghiera, e poi mi fece amare le conversazioni, anche colle donne, e finalmente una sera il diavolo mi mise la briglia, e divenuto come pazzo sono sortito di casa per andare a trovare una persona [p. 303] che nella giornata mi aveva fatto promettere [di incontrarla]; apparizione di Gabriele a Gigio. io mi trovava proprio vicino a quella casa, quando una persona con un’aria imperiosa, dove vai? mi disse, e senza null’altro aggiungere mi prende per la mano, e mi dice come chi comanda, andiamo a casa; preso dalla paura l’ho seguito senza sapere chi era, ma le sue maniere erano le stesse del mio fratello Gabriele, ma pure non poteva crederlo, perché egli era ben lontano da Lagamara. Entro in casa, credendo che egli fosse già entrato prima di me, ma appena entrato non lo viddi più. Ho passato una notte molto agitata, ma mi passarono tutte le cattive tentazioni. L’indomani parlo di questo ad un mio compagno, il quale aveva contribuito a guastarmi, ed egli mi disse chiaro[:] quella persona è il tuo fratello Gabriele, egli è venuto anche da me. Restammo tutti [e] due nelle più grandi agitazioni per due giorni, quando venne il messaggiere ad annunziarci la sua morte da Santo, con tante meraviglie. Tanto bastò per rimettermi in regola e restarmene tranquillo.

Gigio mi parla del suo matrimonio. Il mio cognato, il quale mi fa da Padre, ha voluto legarmi con una nipote di Abba Gallet, ed a quest’ora sarei già maritato con essa, ma la notizia del vostro arrivo ha fatto [sì] che abbiamo aspettato per avere la consolazione di essere sposati da voi. [p. 304] molto bene, risposi io, ed io vi sposerò volontieri, sperando che il vostro matrimonio sarà un /283/ rimedio, e non un’ostacolo per la vostra eterna salute. Ma dimmi un poco, o caro Gigio mio, hai tu dimenticato la questione, chi dei due [fratelli] doveva restare alla missione? hai tu dimenticato come avete tirato la sorte? differenza tra Gigio e Gabriele suo fratello chi avrebbe creduto allora che Gabriele tuo piccolo fratello avrebbe tanto corso nella strada del Cielo? Tu oggi pensi al matrimonio per avere forze qualche figlio colla generazione carnale, chi avrebbe detto che egli in due anni senza moglie avrebbe generato centinaja di figli? Non hai parlato tu con Gabriele chierico esso pure, e suo gran figlio? Tu stesso poco fa non mi dicevi che ti faceva da Padre? Vedi dunque come Iddio con quella sorte ha scielto lui per farlo grande, e lasciò te indietro, ed ancora oggi sei molto picino: Il tuo fratello è stato scielto a preferenza di te, perché egli prima ha saputo date tutto il suo cuore a Dio. Se non hai saputo essere grande nella casa di Dio, sappi almeno oggi esserlo nella casa tua, santificando te stesso, la tua moglie, ed i figli.

commercio dell’oro col paese di Dabbo Ancora una cosa voglio domandarti, e poi terminiamo questa nostra conversazione. Tu vieni di Dabbo, dimmi un poco, hai comprato molto oro? Sia ringraziato Iddio, [rispose,] [p. 305] non c’è male; per mio conto ne ho comprato sette oncie, ed otto oncie per conto del mio cognato. Voi sapete che noi non possiamo negoziare nei schiavi, e vi siamo andati quattro compagni di Lagamara con del rame rotto e molto sale; abbiamo passato là quasi tre settimane, e ne abbiamo portato via quasi quattro libbre in tutto. Ma i negozianti del Gudrù sono stati più fortunati di noi, essi erano sette, e ne avranno portato via quasi dieci libre. L’oro di Dabbo appena un terzo viene da questa parte, la maggior parte lo portano via i mercanti di Matamma, i quali vengono dalle frontiere dei galla e dell’Abissinia, e lo comprano con delle verroterie, con delle tele bianche e di colore.

via di Dabbo per Matamma. Io aveva già tentato di aprire quella strada per la via di Dabbo, quando da Matamma sono andato a Dunkur coll’intenzione di seguire, come mercante, i mercantelli che tengono le frontiere ovest dell’Abissinia e dei Galla sino a Dabbo, ma non mi è stato possibile per causa del fanatismo mussulmanoo di quegli arabi, come già ho scritto a suo luogo. Trovandomi in Lagamara ho sempre raccomandato [p. 306] ai miei cristiani che mercantegiavano con Dabbo di esaminare questa questione per l’apertura di quella strada, la quale avrebbe resa indipendente la missione nostra dall’Abissinia, ma i nostri mercantelli galla mancano di lingua per conferite coi neri di quei paesi bassi situati trà l’alto piano etiopico ed il Fasuglu. distanza tra Dabbo e Fasuglu Secondo i calcoli da me fatti sulle carte geografiche, in linea retta, trà Dabbo e Fasuglu non deve esservi gran cosa di /284/ più che 25. miglia geografici; spazio però molto malsano, perché molto basso, e tenuto dal Nilo azzurro, ma più pericoloso ancora per le bande, sia di negri nemici dei turchi, e sia ancora degli stessi Galla che sogliono discendere alla cacia dell’elefante; tutte bande armate che uccidono impunemente. Per questa ragione la pochissima communicazione che esiste trà l’alto piano etiopico coi negri di quelle parti si trova più al Sud di Dabbo nel paese di Wallaga, dove si trova qualche relazione con Fadassi, di cui ho parlato già altrove descrivendo il mio viaggio sopra il Fasuglu [nel] 1851.

sacro ministero in Leca In Leca siamo rimasti tre giorni, nei quali si fece il solenne battesi[mo] del nipote di Gigio e di alcuni altri bimbi; si celebrò la S. Messa, nella quale fece la comunione Gigio, la sua sorella, ed alcuni altri. [p. 307] Il cognato di Gigio amazzò un bue, e fece una festa bellina, alla quale furono invitati i principali nostri cristiani. partenza da Leca, e arrivo a Ciàu. Dopo questa festa abbiamo lasciato Leca e siamo partiti per Ciau, poche ore lontano da Leca, paese conquistato dai lagamaresi verso l’est di Leca, detto Ciau, per dire al di là del fiume, essendo questo paese di conquista al sud del fiume Ghiviè, conquistato parte sopra Leca, parte sopra Nonno, e parte sopra Warra Ilù. In Ciau eravamo aspettati da un figlio del fù Abba Gallet, padre della sposa di Gigio, la cui casa era quasi sulla riva sud del fiume Ghiviè. Là abbiamo dovuto rimanere anche due giorni per amministrare alcuni battesimi di bimbi, ed alcuni Sacramenti ad alcuni vecchi o infermi, i quali non potevano recarsi a Lagamara. Innoltri si dovevano prendere là le ultime determinazioni per le nozze di Gigio; finalmente perché dovevano venire in gran tenuta i nostri lagamaresi ad aspettarci sulla riva opposta del Ghiviè, la mattina del posdomani.