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18.
Rischiosa traversata del Mare Rosso.
Espediente di negrieri. La nuova Suez.

partenza da Gedda La mattina passò nella crisi di congedo dai consoli e da alcuni amici che lasciammo in Gedda e nei preparativi. La sera prima delle tre eravamo fuori del porto di Gedda, e prima della notte abbiamo avuto tempo per innoltrarci in alto mare, e sortire dai banchi che si trovano in tutto quel circondario. Il bastimento era carico di carbone, di mercanzie, e di gente, epperciò camminava molto lentamente. Il tempo era bello quanto potevamo desiderare. siamo sotto i[l] tropico, e racconto un fatto La mattini del terzo giorno dalla nostra partenza sono rimasto stupito quando il capo machinista [p. 829] mi assicurò che eravamo solo avanti [a] Jambo sotto il tropico, luogo perlopiù dove il mare è sempre un poco agitato. Poco presso in questo luogo nel 1850. sopra un vapore, inglese, dissi io al machinista, ho veduto un giovanetto vostro compaesano, per nome Edoardo, gettato in mare dal vento, e non fù più trovato; gli ho raccontato la storia già narrata altrove in queste mie memorie; io aveva sofferto molto nella perdita di quel giovane, perché egli sentiva volontieri [a] parlare di Dio: mi ricordo, disse il machinista, di aver sentito parlare di questo fatto, e conosco anche il paese di quel giovane, crede Ella che si sia salvato? una mia risposta al machinista Caro mio, risposi, la questione è molto delicata; voi conoscete abbastanza i vizii della vostra gioventù protestante, senza un sacerdote che la dirigga, ed a cui egli apra il suo cuore, con tutte le cattive compagnie che si trovano nei bastimenti; mi ricordo che gli aveva detto molte cose, e mi aveva anche promesso di farsi cattolico, ma non furono che parole, ed un colpo di vento lo prese all’improvviso e non ebbe tempo a pensare all’anima sua, poveretto!

un’obiezione di un protestante Al sentire questo, il buon machinista ritornò ad instare: voi mi dite sempre: lasciate il peccato, abbiate per il peccato un’odio, un’avversione, pentitevi di esso; e piangete le vostre colpe; dopo tutto [p. 830] questo voi mi dite di fare coragio, di sperare in Dio misericordioso, e mi raccomandate di amarlo, e dare a lui il nostro cuore; i nostri [prote- /160/ stanti] all’opposto [non] ci parlano quasi mai del peccato, Gesù Cristo è morto per noi, ha soddisfatto egli per i nostri peccati, dicono, ravvivate solo la vostra fede, e fate coraggio. Ora il nostro povero giovane Edoardo con una vera fede in Gesù Cristo morto per noi, non ha potuto salvarsi? una breve risposta Caro mio, risposi io, la vostra difficoltà è molto grave, e domanda una risposta più diretta. Fin quì io [non] ho mai sollevato il nome dei vostri maestri protestanti, ma ora che voi gli citate, non posso dispensarmi dal dirvi, che essi vi hanno ingannato. I vostri maestri per dirvi tutto dovevano ragionare diversamente e dire: nostro Signore G.[esù] C.[risto] è morto per i nostri peccati, dunque egli odia di necessità i peccati; ora [se noi] amiamo i nostri peccati che esso odia, come possiamo meritarsi il perdono? Voi leggete il vangelo, e trovate che dopo la morte di Cristo alcuni illuminati conobbero che era figlio di Dio, e se ne ritornavano, battendosi il petto di pentimento; ora se dopo averlo conosciuto si fossero ancora gloriati d’averlo crocifisso cosa vi pare? La sola fede non solo non basta per rimettere i peccati, ma anzi gli aggrava... Si non venissem...

la vera speranza in G. C. è unita colla penitenza Bisogna dunque convenire che il povero Edoardo fu mal informato dai suoi maestri protestanti. La fede è la base del cristianesimo, è il fundamento di ogni costruzione in ordine alla salute eterna, ma non è la corona, [p. 831] la quale consiste nella carità, ma questa non si trova dal peccatore senza la penitenza, la quale sola può cancellare il peccato, l’unico ostacolo alla carità. La fede ci mette alla presenza di Dio, la speranza ci da il movimento verso di Lui, e la carità ci unisce, e corona l’opera incomminciata dalla fede; la carità per purgar il cuore ha bisogno della penitenza per cacciare tutti gli altri amori disordinati per rendere il nostro cuore degno di unirsi a Dio. Ora che nostro Signor G.[esù] C.[risto] sia morto per noi, ed abbia soddisfatto per i nostri peccati sono grandi verità, le quali devono farci coragio a noi pentiti e risoluti di lasciare il peccato col suo ajuto; ma non possono farci coragio a peccare; quì sta il veleno. Con questa chiave voi trovate tutto l’inganno. Lasciamo Edoardo, e parliamo di voi; voi al sentire la mia prima conferenza avete risolto di lasciare la schiava ricevuta di quella stessa giornata, e G.[esù] C.[risto] vi ha perdonato subito dopo il vostro pentimento; ma se al contrario voi dicevate[:] non voglio lasciare il peccato, perché G.[esù] C.[risto] ha già soddisfatto per me non avreste ottenuto la sua misericordia.

il bastimento fra gli scogli Mentre io mi trovava in questa conferenza coi capo machinista, viene il Secondo del bastimento, e dice al capo machinista di fare diminuire il fuoco a rallentare la machina, perché eravamo [p. 832] in presenza di /161/ un banco; [non] dite nulla, soggiunse il Secondo, e fate dolcemente la vostra operazione per non allarmare l’equipagio, e guadagnare intanto il tempo per la manovra; [non] dite nulla al comandante, perché è ubriacco. Ciò detto, partirono sul momento ciascheduno per le loro operazioni, chi verso il timone, e chi verso la machina. Il Dottore La Garde montò sul ponte in osservazione, ed io me ne sono rimasto a pregare, per non allarmare la moltitudine. mie inquietudini Io pregava con gran fervore, ma lascio considerare la mia inquietudine; si manovrò più di mezz’ora per sortire da un seno di banchi visibili, dove eravamo entrati. Dopo un’ora venne il Dottore per tranquillizzarmi; io voleva venire prima per tranquillizzarvi, mi disse il dottore, ma il Secondo ed alcuni uffiziali mi obligarono a restarvi in osservazione; sortiti per miracolo da quel labirinto, si cercava la gran carta delle ultime osservazioni per riprendere la via più sicura, ma la gran carta si trovava nelle mani del il comandante ubriaco Comandante ubriacco, il quale si divertiva con un ragazzo; guai a chi entrava...!

Ciò detto, il Dottore rimontò sul Ponte, ed io sono sortito dalla cabina per guardare l’orologio dei machinisti, il quale segnava le tre di sera. Il [p. 833] Comandante ridestatosi dalla sua duplice ubriachezza, vedendo che il bastimento faceva un movimento nominale incomminciava a sollevare questioni e minaciare a destra ed a sinistra. Allora il Secondo, con tutta calma, entrò nella Cabina del Comandante, e presa la carta gli fece vedere il luogo dove si trovava il bastimento; per fortuna che il Comandante, orizzontatosi un tantino, si calmò, si presero le misure, e si rimisero in viaggio. Per fortuna che un simile incontro arrivò di giorno, del restante eravamo perduti. Nella notte ad insaputa del Comandante, il suo Secondo distese l’atto di tutto l’occorso, e lo fece segnare da tutte le persone intelligenti, e la cosa passo così.

i postriboli del bordo. Dopo che tutto rientrò nell’ordine, la sera dopo la cena si parlava di questo fatto: vedete, disse il capo machinista, la carta doveva restare nel salone, visibile a tutti gli uffiziali del bordo, ma invece il salone era divenuto un postribolo orribile a vedersi. La carta con tutti gli stromenti di osservazione [stando] nelle mani del Comandante ubriacco di aquavite, ed ubriacco di passioni immonde, è un miracolo se noi arriviamo a Suez sani e salvi. La colpa, continuava il machinista, è del governo; [p. 834] il Viceré non fa che mandare denari a Costantinopoli per ottenere la successione dei suoi figli nel trono di Egitto contro le leggi mussulmane del loro Corano. gli europei surrogati dai turchi Intanto per mancanza di denari non potendo pagare gli impiegati, cacia gli europei dagli impieghi, e vi mette degli arabi incapaci di amministrazione, massime nella marina; ecco dove è il gran male. Io, proseguiva il machinista, ho domandato le di- /162/ missioni, e non posso ottenerle; ho domandato di cangiare bastimento per non trovarmi con questo comandante incapace, e da un giorno all’altro sono tenuto a bada. Un bel giorno questo vapore anderà a fundo, e così finiranno le questioni (1a).

Infatti, parlando con altri impiegati arabi del bordo; essi stessi si lagnavano di avere due o tre anni di paghe da ricevere. Non era già che gli europei fossero odiati dal governo egiziano per ragioni diplomatiche o religiose, ma sibbene per due altre ragioni. due ragioni in proposito La prima ragione era la questione dei schiavi, nominalmente proibita anche nei paesi musulmani; per questa gli impiegati europei erano sospetti di spionagio col giornalismo europeo. La seconda ragione era quella delle paghe; gli europei vessavano il governo egiziano per essere pagati mediante l’intervento [p. 835] dei consoli rispettivi, mentre gli impiegati indigeni mancavano di protezione per farsi pagare. sistema delle amministrazioni Io parecchie volte, discorrendo con impiegati, ho potuto conoscere che il governo egiziano, per una speculazione, ritardava solo di alcuni mesi le paghe, ma non lasciava di pagare; solamente pagava all’amministrazione militare, la quale pure faceva altre speculazioni sopra, ritardando ancora le paghe, mentre la moneta fruttava nelle banche egiziane. Così prima che le paghe arrivassero alle mani degli impiegati, erano sempre in ritardo di anni. paghe degli impiegati, e sistema di furti. Era questa una gran piaga nelle amministrazioni dell’impero musulmano. Da questa piaga nascevano altre piaghe peggiori; il rubarizio passato in sistema nelle amministrazioni, e quindi il commercio degli stessi impiegati. Per esempio sul bastimento sul quale noi eravamo erano 500. circa i schiavi del bordo, ma solo poco più della metà erano di proprietà del governo; tutti gli altri erano [di] proprietà private, intanto il passagio, il nutrimento tutto era alle spese del governo; il quale, come faceva questo secretamente aveva bisogno di lasciare mangiare agli altri.

un poco di respiro al bastimento Finalmente nel settimo giorno dalla nostra partenza da Gedda siamo arrivati la sera verso la notte ad un piccolo porto o rada, dove si gettò l’ancora sotto pretesto di aspettare il giorno per camminare. Io aveva domandato il nome di quel luogo, ma o non seppero, o non vollero dirmelo. si scaricano i schiavi. Si passò [p. 836] [la notte] in gran movimento e schiamazzo, ma noi eravamo in un luogo immune, dove regnava un silenzio comple- /163/ to. Bastava per me il sapere che non era [il] caso di naufragio per restarmene tranquillo, e lasciare tranquilli quelli che non mi cercavano. L’indomani mattina venne secretamente da me il capo machinista, il quale mi disse una parola all’orecchio = non si affretti a sortire, perché stanno lavando il ponte... tutti i schiavi sono sortiti questa notte. Ho capito, dissi io, la nave ha partorito, e stanno facendo gli uffizii di carità alla puerpera. Dopo qualche ora sono montato sul ponte, e vi regnava una gran solitudine; qualcheduno che la sera avanti si trovava nel numero dei schiavi vestito di tela, era diventato uno zerbinotto, [oppure simile] a una damigella di città; erano pochi schiavi ritenuti come servi dal rispettivi padroni. Ho guardato l’orizzonte per sapere dove eravamo, e la sera si passa avanti [a] Tor riconobbi che avevamo passato il golfo che separa l’Arabia Petrea, ed avevamo il Sinai al nostro Nord Est; cioè una giornatina lontani dal porto di Tor, avanti il quale siamo passati la sera verso notte.

ultime cortesie del capo machinista La sera il nostro capo machinista volle darci l’ultima dimostrazione di affetto e di riconoscenza, invitando ancora l’armeno cattolico suo padrino di battesimo, con una cena generosa, per quanto gli fù possibile. [p. 837] noi volevamo aggiustare i nostri conti con lui per le spese e sacrifizii personali da lui fatti per noi, ma invece si dichiarò ancora egli debitore, e ci pregò di non lasciare il bordo senza di lui, perché, appena assestati alcuni suoi affari d’amministrazione egli contava di condurci sani e salvi, o al consolato, oppure alla Chiesa Cattolica, ove noi credevamo [di] diriggerci. Dopo la cena passò la sera con noi in conversazione. alcuni suoi fracconti. Ci diede in quella sera alcuni detagli interessantissimi sull’amministrazione egiziana, in specie sulla marina. Quindi parlò del commercio dei schiavi: tutta la nostra Europa, diceva egli, è intimamente persuasa di aver riformato l’Oriente dalla peste della tratta dei schiavi; [corrono] be[be]lle parole in Europa, e bellissime ancora quì; un vero commercio di bugie reciproche, e di inganni vicendevoli. L’Europa, mentre si corona di allori per avere tutto vinto, di sotto conosce di [non] avere nulla ottenuto; lo spettacolo da voi toccato con mani è al di là di ogni prova; se voi parlerete di ciò che, avete veduto e toccato con mano, faranno finta di non credere, mentre si sa tutto.

nuovo sistema di commercio I nostri governi sono ingannati, e si gonfiano di progressi nominali, ma molto più inganna ed è ingannato questo povero governo egiziano. Prima che i governi europei si mischiassero il commercio si faceva normalmente dai mercanti, ed il governo [p. 838] egiziano si poteva dire passivo in questo trafico brutale, e vi guadagnava qualche millione di dogane; oggi il governo stesso si può dire come unico monopolista della tratta dei neri, perché anche quello che si fa da altri tutto si fa a suo /164/ nome, ed a sue spese; oggi invece il povero governo ci rimette delle somme favolose, perché tutti lo mangiano, e tutti cadono sopra di lui. trafici immorali e perdite È sommamente curioso poi il seguire la via che tengono questi schiavi; una parte è spedita a Costantinopoli, ed una parte rimane quì al governo, i maschi per le truppe, le femine per gli harem; quelli che vanno a Costantinopoli passano da un postribolo all’altro, come Ella ha veduto quì sopra il bastimento, per arrivare a Costantinopoli le piccole verginelle [sono] divenuti stracci da strofinare. Ciò oltre i cangi che si fanno, perché uno che ha uno schiavo, maschio o femina, di cui non sa cosa farne, con una raccomandazione o regalo lo porta al governo e sceglie, perché non vari la cifra. Ben inteso che si parla quì di ciò che accadeva in quei tempi.

arrivo a Suez. Si passò la notte ultima in simili discorsi o racconti. La mattina sul fare del giorno siamo arrivati a Suez. Appena arrivati, viene il direttore della quarantina, si fanno [p. 839] la formalità di uso e si dichiara il bastimento libero di prendere pratica. si prende pratica. La puerpera riceve le sue visite, alcuni zerbinotti, ed alcune damigelle, residui dei schiavi travestiti, se ne partono coi loro nuovi padroni come persone di servizio domestico, e ciascuno va per i fatti suoi, e la nostra parturiente sorte dalle immondezze del parto ed entra in conversazione coi bastimenti della marina libera da ogni macchia di tratta dei neri in facia alla visita. Intanto il capo machinista, finito che ebbe i suoi affari, prende una lancetta del bordo con alcuni marinari, con bandiera egiziana, e si prende pratica.

nostro sbarco a Suez; grandi novità, e gran notizie Siamo sbarcati, e fummo ricevuti in consolato francese. Io aveva lasciato Suez l’ultima volta nel 1850. e non la conosceva più. Nei 15. anni che passarono, Suez per la costruzione del canale era divenuta una città europea per me affatto nuova. Il console francese ci riceve colla massima cortesia: si passa un’ora in conversazione, in cui si parla dell’Abissinia, si parla di Massawah, e si parla di Gedda; per contracambio io sento [per] la prima volta notizie di Francia, di Roma, e dei nuovi [p. 840] missionarii Galla. Sento [per] la prima volta il nome di questi nuovi missionarii, P. Domenico V.[ice] Prefetto, P. Felice, e P. Esuperio. il mio arrivo è un’avvenimento Io era un morto risuscitato per loro, ed avevano doppio motivo di felicitarmi del mio arrivo, e ricevetti gran numero di visite, di francesi, di italiani, ed anche di Abissinesi, perché i lavori del canale avevano fatto correre un mezzo mondo da tutti i paesi; ed il terrorismo di Teodoro aveva fatto emigrare molti abissinesi venuti per guadagnare il pane in Suez. Appena questi sentirono il mio arrivo si radunarono tutti per complimentarmi, e furono felici di trovare nel mio seguito due compae- /165/ sani loro nel mio monachello Raffaele, e nel giovane Stefano; questi pure furono fortunati di poter parlare in lingua loro.

si telegrafò al Cairo, ad Alessandria, ed a Roma Senza nulla dirmi, il Console mandò subito un telegramma, al Caïro, ad Alessandria, ed a Roma. Il Dottore La Garde telegrafò in Francia il suo arrivo con me. In Francia ed in Italia ne parlarono i giornali; così io tornai a rivivere in facia al mondo amico. I Superiori dell’Ordine che avevano fatto la nuova spedizione, scrissero subito essi stessi il mio arrivo, in Aden al nuovo V.[ice] Prefetto [p. 841] richiamandolo in Europa per intendersi con me. Nel giorno del mio arrivo in Suez il console Francese volle farmi pranzare, con lui, invitando anche a pranzo il console italiano ed alcuni altri, fra i quali il missionario di Suez, certo P. Antonio irlandese, il quale si mise subito in relazione col capo machinista del vapore. lasio il consolato e vado alla missione. Dopo pranzo ho lasciato il Dottore La Garde in consolato, ed io col P. Gabriele, i miei due abissinesi, accompagnati dal P. Antonio, e dal capo machinista siamo andati alla missione, dove si stava costruendo la casa. Siamo entrati nella Cappella, dove [per] la prima volta il nostro neofito machinista fece la sua visita a Gesù Sacramentato, al quale io l’ho rimesso, raccomandandolo caldamente a Gesù padrone nostro, affinché terminasse l’opera incomminciata.

arriva il p. Venanzio dal Cairo Della stessa sera arrivo il P. Venanzio Prefetto del piccolo convento di Caïro, il quale appena sentito il mio arrivo, partì sul momento e venne in Suez per ricevermi. Io aveva conosciuto questo Padre nel 1850. sopra un vaporetto da Alessandria al Caïro: Fù egli che stabilì la missione di Suez subito da principio quando si incomminciavano i lavori del canale. questione tra il consolato francese ed austriaco Come egli era Prefetto del piccolo convento del Caïro, il quale era convento appartenente ai riformati, sede del Vicario Apostolico Copto, e la missione dei Copti era protetta austriaca, [p. 842] protezione passata all’Austria colla republica di Venezia; il P. Venanzio, considerando quel nuovo stabilimento di Suez eguale agli altri dell’alto Egitto, riconobbe come protettore il Console austriaco di Suez. Quando io ho lasciato il consolato francese, per andare alla missione, io non l’accompagno, disse il console, perché il P. Venanzio ha messo quella missione sotto la protezione dell’Austria, quando è protezione francese; allora mi sono accorto della questione tra i due consolati, francese ed austriaco, questione che durò circa 20. anni, anzi più, perché nel 1880. arrivando io dal paese di Scioha in Suez ho trovato che il povero P. Venanzio dopo aver lavorato circa 20. anni in Suez dovette lasciarlo, per essere incorporata quella missone alle altre di Terra Santa. Le protezioni dei governi europei nei tempi critici dell’islamismo, è innegabile /166/ che ban fatto del gran bene in oriente. Ma dopo che il governo musulmano si mise in un piede di tolleranza quasi legale, sarebbe stato desiderabile che simili protettorati non si eriggessero in Patronati, da creare molti disturbi alla Chiesa di Dio, la quale ha bisogno di essere libera da ogni titolo politico per svilupparsi.

arriva fratello MardrusL’indomani venne ancora dal Caïro Fatalla Mardrus mio procuratore di Caïro che aveva lasciato in ajuto a Monsignore Perpetuo Guasco per gli interessi della missione Galla, persona che io aveva lasciato in Kartum, o meglio [p. 843] [nel] Sennar, dove [1.12.1851] ci siamo separati in Novembre 1851. questi appena mi vidde, oh il morto resuscitato[!], esclamò. notizie antiche e recenti Mardrus era impaziente di sentire il risultato del mio viaggio sopra Kartum e Fasuglu, come io era impaziente di sentire da lui le molte questioni da me lasciate in via nella [21.10.1852] mia partenza di Kartum, quella dei Padri della compagnia che ho lasciato in via di partire, quella di [† 13.4.1858] Knobleker in via per arrivare dall’Europa; e quella di [† 21.1.1853] Angelo Vinco frà i Bari del fiume bianco. Anche lasciando da una parte tutte le notizie di Caïro e di Alessandria, quelle della procura, quelle di Monsignor Delegato defunto e del nuovo venuto, e mille altre cose, le antiche sopradette bastavano per occuparci tutta la giornata. Il mio arrivo poi dopo tanti anni di assenza mi metteva nella necessità di scrivere molte lettere di prima necessità, sia in Aden, sia in Caïro, sia in Alessandria, sia a Roma, e sia in molti altri luoghi. Il tempo perciò incomminciava a farmi difetto. la colonia abissina di Suez La piccola colonia abissinese stabilitasi in Suez, nella quale esistevano cattolici, e molti eretici anche avrebbero inclinato al cattolicismo, avrebbero desiderato che io [vi] rimanessi [per] qualche tempo, perché i poveretti per mancanza di lingua erano privi d’istruzione, e dei sacramenti.

sacro ministero agli abissinesi. Vedendo così ho fissato tre giorni intieri per gli abissinesi: passato d’accordo col P. Venanzio, è stato destinato un luogo per il catechismo da farsi continuamente dai miei due giovani, dove io di quando [in quando] avrei fatto delle conferenze adattate a loro, per disporli [p. 844] [a]i sacramenti, quelli che sarebbero stati giudicati meglio disposti. Ho fatto comprare un poco di riso ed una quantità di datili da distribuire la mattina e la sera, affinché col titolo della fame non si disperdessero, e non si divagassero. La colonia era composta di circa quindeci [elementi], nei tre giorni quasi tutti si confessarono; ricevettero il battesimo sub conditione, secondo le istruzioni della S. Congregazione, e cinque o sei hanno potuto ricevere la santissima eucaristia. Nell’ultimo giorno ho raccomandato loro di frequentare la Chiesa, almeno quelli che erano più vicini. Sentite, dissi loro, come quì non vi sono preti che conoscano /167/ la vostra lingua, occorrendo una malattia grave non mancate di chiamare il prete, e di pentirvi dei vostri peccati, egli potrà sempre darvi la S. assoluzione, ed amministrarvi nel caso anche l’estrema unzione. Altrimenti non frequentando la Chiesa e non chiamando il prete, non si saprà neanche dove seppelirvi, se coi mussulmani, oppure coi cristiani. Gli abissinesi fanno gran conto della sepoltura cristiana, ed è questo un mezzo termine per attaccarli alla Chiesa. Per assicurare sempre più l’unione di questi giovani frà loro, e colla Chiesa, ho dato loro un capo per sorvegliargli e gli ho raccomandato all’amministrazione del canale.


(1a) Questo bastimento stesso un’anno dopo è andato a fundo nel mar rosso; io però ignoro sotto quale Comandante, e chi fosse il capo machinista. Io mi trovava a Parigi quando ho veduto annunziata questa catastrofe senza detagli; ho Scritto in Egitto ad alcuni amici per sapere almeno qualche notizia del machinista, ma nulla ho potuto sapere. [Torna al testo ]