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17.
Il sepolcro di Eva: fede e ateismo.
Ministero ecclesiastico e conversione.

non viddi più Gedda, e non so cosa siasi fatto. Dopo questo fatto io non ho veduto più Gedda e non so come abbia poi terminata la questione; tanto più che poco dopo il Console di Francia il Signor Monz fu richiamato per motivi di salute, e mandato poi in Aleppo. Nello spazio dei tre giorni che abbiamo passato in Gedda si fece visita al sepolcro di Eva una visita pure al famoso Santuario mussulmano detto il Sepolcro di Eva, luogo molto venerato dai pellegrini della Meca. Io non ci teneva molto a fare questa visita per il pericolo di [di] qualche collisione col fanatismo mussulmano, ma, sia il Dottore La Gard, sia il mio compagno P. Gabriele seppero talmente perorare la causa presso i due consoli, che ottennero questa facoltà dal Bascià di Gedda, il quale per assicurarsi che nulla accadesse ci fece accompagnare da una scorta di 25. circa soldati arabi, raccomandazioni del governatore, e nostri timori aggiungendo grandi raccomandazioni di non esternare alcun atto di disprezzo, per non irritare [p. 813] il popolacio, il quale sempre abbunda in simili luoghi. Questo Santuario si trova [a] circa due kilometri dalla porta detta la porta della Mecca a levante di Gedda in un piano deserto di sedimento marino, e tutto sabioso. Siamo partiti la mattina molto presto per non prendere il sole, e per anticipare il convegno dei poveri e mascalzoni della città, sperando di fare una visita secreta; ma già nella notte era corsa voce, e trovammo là una quantità di mascalzoni che ci seguivano, la più parte venuti colla speranza di guadagnare qualche cosa. Il console, ed il capo dei soldati non facevano che ripeterci la raccomandazione del Bascià Governatore di guardarci bene di non lasciar trasparire il menomo segnale di riso, oppure di disprezzo, ma noi non ne avevamo bisogno, la sola idea del massacro succeduto pochi anni prima ci bastava a contenerci. Per fortuna che io non capiva abbastanza l’arabo per comprendere tutte le stravaganze che si dicevano, del resto io per il primo non saprei come avrei potuto contenermi. Il P. Gabriele conosceva molto bene la lingua di Gedda, perché in Massawa era la sua lingua di casa.

/151/ veduta del monumento da lontano Appena sortiti [dal]la porta della città avanti di noi un poco a sinistra si rese visibile il famoso monumento: un fabbricato bianco lungo forze più di 200. mettri in forma di una lunghissima mummia con, in mezzo una piccola moschea di forma araba a cupola, era tutta la gran meraviglia. Come era in mezzo ad un piano arido e deserto, appariva da lontano un colosso, più alto, [p. 814] e più grande di quanto fosse in realtà; a misura che ci avvicinavamo, invece di crescere, esso diminuiva. Siamo arrivati all’estremità Sud, ed il frontone presentava un quadrato largo da quattro a cinque mettri, ed alto altrettanto. i supposti piedi di Eva Gli arabi ci invitarono ad ascendere alcuni gradini in mezzo al quadrato per baciare i piedi della nostra madre Eva, era quella una specie di fenestrina, dove spuntavano due pietre in forma di piedi, io gli ho guardati bene, e gli ho toccati, certamente non erano più caldi, e senza baciarli sono disceso con tutta gravità per lasciare montare gli altri a loro volta. Finita la visita dei piedi, e dato qualche parà (centesimi arabi) ai custodi, abbiamo preso la nostra sinistra a ponente, e costeggiando il monumento, se mal non m’appiglio, abbiamo fatto un tratto di circa cento passi ordinarii, per arrivare alla porta della moschea fundata sopra l’umbilico della nostra gran madre Eva.

La Moschea [non] aveva nessun valore di stile conosciuto, [costituita di] due terzi di un’ovo fuori terra, ed un terzo supposto sotto terra, lavoro arabo semplicissimo; il circolo della pianta interna [misurava] al più dieci mettri di diagonale. cangiamento delle scarpe Era questione di entrare nella moschea, e non potendo noi entrare colle nostre scarpe immonde, ci presentarono [p. 815] [delle] scarpe benedette da essi, secondo lo stile dei Santuarii arabi, come si fa in Gerusalemme al forestiere che vuole entrare nella famosa moschea d’Omar, o antico tempio salomonico. Così siamo entrati nella moschea in discorso per vedere l’umbilico della gran madre Eva. Appena entrati a parte destra ci fecero vedere la madre di Abdul Megid
[† 29.6.1861]
il sepolcro della madre del Sultano Abdul Megid, morta qualche anno prima, e colà sepolta; da quanto si diceva in quei tempi in oriente, quella donna, una delle antiche mogli del Sultano Mahemud, era una schiava di nascita e di religione greca, epperciò cristiana fatta mussulmana, la quale morendo si era lasciata [seppellire] per testamento in questa moschea. In quel sepolcro [non si notava] niente di particolare, [vi] era una cassa fuori terra coperta di un ricco tappeto con un dervis custode, al quale bisognò dare qualche parà di regalo, secondo l’uso.

il tempietto di mezzo, e le scritture Dopo ci condussero in mezzo della moschea, dove esisteva un piccolo tempietto a colonne chiuse con tendine abbastanza ricche, dove vi erano alcuni lumi accesi; ci dissero che bisognava fare tre giri intorno, ma /152/ noi ne abbiamo fatto un[o] solo per esaminare alcune scritture arabe, che ci dicevano state scritte dalla madre Eva. visita all’umbilico della gran madre Dopo di ciò ciascheduno di noi era introdotto a sua volta nel tempietto [p. 816] per baciare l’umbilico della gran madre; ho detto al P. Gabriele di fare la mie scuse alla guida, perché io per certi miei incommodi non potendo piegarmi sino a terra delegava lui a farlo; il P. Gabriele già accostumato in Massawah a trattare [con] quegli arabi, e sentire tutte le loro stravaganti tradizioni, non era imbrogliato a dare loro un’importanza a sangue freddo come conveniva, egli fece tutto per me pagando qualche parà di più. Alcuni altri dei nostri alla loro volta entrati e veduto il gran secreto, siamo ritornati verso la porta della moschea, e sortiti fuori, depositate le scarpe d’affitto, e riprese le nostre, sarebbe stato il caso di fare altri cento passi al nord per arrivare alla testa della gran madre; quindi rifare tutto il viaggio a levante in pieno sole per ritornare ai piedi e compire il giro di uso; fate le mie scuse, dissi al P. Gabriele, date ciò che è di uso, e ritorniamo per la via che siamo venuti: Così si fece, e siamo ritornati.

nostro ritorno da mezza via Non era tanto la stanchezza che mi fece ritornare, quanto la paura che non accadesse qualche disordine: erano tante le stravaganze che si sentivano dai ciceroni arabi, che un’undata di risibile sul cuore di qualcheduno della comitiva, diceva fra me stesso, potrebbe rumpere tutte le dighe [p. 817] e portare qualche disordine. A misura che ci allontanavamo dal monumento, il P. Gabriele colla sua fiacca, mista di credula semplicità simulata, incomminciava a raccontare, aspettate, dissi io, quando saremo arrivati alla nostra locanda, allora vi do tutte le facoltà, e ne avrete per divertirci in tutto il viaggio. mie riflessioni sopra il monumento di Eva Una sola cosa occupava la mia riflessione in quel momento, ed era l’educazione di tutta quella turba di basso popolacio arabo divenuta così bassa, e di una semplicità così grossolana da credere tante stravaganze lontane dal senso comune universale di tutto il mondo; transeat il crederle essi, ma persuadersi ancora che noi potevamo crederle; era questa certamente l’unica cosa ammirabile in quel luogo, e molto più straordinario del monumento di Eva, stato creato nella proporzione delle loro idee. Un’altra idea ancor più straordinaria era quella dei pellegrini venuti da quasi tutta l’Asia e l’Africa, anche da paesi, dove ancora esiste una certa civilizzazione, ricevano poi tutte queste stravaganze con una credulità senza pari, e le portino come testo alla quattro parti del mondo senza contradizioni.

la mia lingua araba, e quella del p. Gabriele Appena arrivato alla locanda ho dovuto dare uno sfogo al nostro Padre Gabriele di raccontarci quello che in gran parte già io aveva inteso dai ciceroni del Santuario mussulmano, perché, benché io non fossi mae- /153/ stro di arabo, non avendolo [p. 818] studiato di proposito, pure nei miei viaggi, costretto dal bisogno, e guidato da alcuni manuali pratici dei diversi dialetti, mi era formato un’arabo tutto mio, tanto che bastava per capire, e per farmi capire. Tanto più che Gedda, vera capitale della lingua araba letterale, in uso solamente nelle conversazioni dei grandi, e dei scrivani, il basso popolo, che viveva sul pellegrinagio, era accostumato a tutti i dialetti arabi, incomminciando dalle indie, sino alle coste di barberia. All’opposto il P. Gabriele, rimasto molti anni in Massawah, con una casa tutta di giovini figli di mercanti di Gedda, e del Jemen, aveva [ap]preso un arabo quasi letterale, o dottorale, detto l’arabo dei Sierif ossia dei nobili mussulmani. Di più questo Padre, che in Massawah era sempre ammalato, appena sortito di là guadagnò molto in salute, e spiegò tutt’altro naturale, allegro, faceto da divertire.

Nella locanda, [si trovavano,] oltre i due consoli, coi due loro cancelieri, vi erano pure il capo machinista del bordo, e l’armeno allievo dei Fratelli delle Scuole cristiane; orsù, lascio parlare il padre Gabriele dissi al P. Gabriele, voi che avete bei visitato l’umbilico della nostra gran madre Eva, ora è tempo di descriverci tutto quel mistero. Caro Monsignore mio, [incominciò il padre,] per parlare con dignità di tutto quello che ho veduto, dovrei mettermi il piviale di prima classe. Non tanti preamboli, caro mio, dissi io, sono impaziente di sapere[:] che impressione ha fatto sopra di voi la veduta [p. 819] dell’umbillco di Eva? [p. Gabriele riprese:] descrizione dell’umbilico di Eva Affinché il mio esame avesse un’aspetto grave, e non di una caricatura ho finto di baciarlo, di toccarlo, e poi ribaciarlo, e posso assicurare di avere veduto tutto bene, e confesso che il così detto umbilico è una bella pietra nera coperta di polvere: ma che figura presenta? [domandai io. Il padre continuò:] dopo aver studiato a cosa equipararlo [posso affermare]: io nei miei viaggi sulle coste di Zanzibar mi ricordo di aver veduto la testa di un’elefante colle orecchie rase; ecco, a mio credere, la figura che presenta il centro di quella pietra nera, un’orecchia rasa, ma di una grossezza straordinaria. il colosso supposto dagli arabi Naturalmente, dissi io, dai piedi sino all’umbilico abbiamo contato circa cento passi di passeggio ordinario; nel senso degli arabi, doveva dunque la madre Eva essere un gran colosso poco presso come quello di Rodi, ed avete un’umbilico proporzionato; ma ditemi un poco[:] quegli arabi ciceroni credono davvero, che nostra madre Eva fosse realmente un colosso simile? [interruppi io.] Oh Monsignor mio! Se credono? altro che credere, rispose egli; nei nostri paesi chi non crede trova l’inferno nell’altro mondo, ma quì si trova anche in questo mondo, come l’hanno trovato le povere vittime di [cui si è trattato] jeri; quì non vi è strada di meglio[:] o fede, o passar a fil di /154/ spada. Bisogna sentire quello che dicono i ciceroni di Eva, un libro non mi basterebbe.

Non volendo intanto io troppo dissipare quel piccolo uditorio, e perdere il mio tempo, ho interrotto l’acadernia del P. Gabriele, ed ho annunziato che nella notte avrei celebrato la Santa Messa, e forze amministrato qualche battesimo; ho preso [p. 820] motivo da questo, per dire qualche parola di salute a tutta quella gente. la fede dei musulmani Abbiamo jeri parlato della fine tragica di molti dei nostri fratelli stati vittima del fanatismo religioso di questi poveri infedeli mussulmani, i quali credono di guadagnarsi il paradiso spargendo il nostro sangue. Benché questi poveri infedeli mussulmani siano, e debbano da noi considerarsi come barbari, pure noi, che pretendiamo di essere popoli civilizzati, abbiamo da essi ancora qualche cosa da imparare. È questo un gran paradosso, e tale, che, pronunziato nella nostra Europa in certe società nostre, forze [gli appartenenti] alzerebbero la voce contro di me come contro di uno scandaloso; eppure lo ripeto è una gran verità. Come sapete, non è quì il caso di fare una gran dissertazione, ma poche parole bastano per convincere una persona per poco di cuore egli abbia. Noi siamo cristiani, nei nostri paesi si trova una virtù maschia che stordisce, si trova una fede a miracoli. Quanti milliaja di giovani dei due sessi fuori del mondo che passano la loro vita nell’educazione della gioventu, oppure a canto il letto degli ammalati; non è questo un miracolo di fede?

l’ateismo dei cristiani Ma poi si volti il foglio, quanti non vediamo noi non solo senza fede, ma atei e nemici della fede? Quanti poi ancor più, i quali vogliono essere cristiani, ed anche cattolici, ma poi passano anni ed anni senza dare un solo segno esteriore della loro fede? Ora [p. 821] tutti questi, i quali si vergognerebbero di fare una preghiera, ed anche un solo segno di croce dovranno dirsi Cristiani, o cattolici? Tutti questi cristiani o cattolici che hanno caciato Iddio dalla loro civile società, e fanno una guerra di esterminio contro ogni atto religioso, divenuti essi barbari, qual diritto possono ancora pretendere ad una magistratura religiosa? Non ho ragione io di asserire, che avrebbero ancora bisogno d’imparare da questi poveri mussulmani medesimi, presso i quali tutto è religioso, e la stessa guerra d’esterminio è per loro una crociata contro il nemico di Dio? i costumi, le scienze, e le richezze sono frutti della fede Ma noi abbiamo costumi superiori dei costumi mussulmani, voi direte; ma noi abbiamo le scienze che non hanno i mussulmani; ma noi [non] abbiamo [forse] delle richezze superiori a quelle dei mussulmani? Tutto questo è vero. Ma questi costumi, ma queste scienze, ma queste nostre richezze, di grazia, di quale albero sono frutti, non è forze [frutto] della fede? ma queste scienze, ma queste nostre richezze di chi sono /155/ esse patrimonio? non sono forze patrimonio ereditato dal nostri padri che avevano fede? Finisca per andarsene da noi la fede, e non tarderemo a vedere dove anderanno a finire tutti questi gran tesori di costumi, di scienze, è di richezze.

una mia protesta, o spiegazione Ora dicendo io che abbiamo qualche cosa da imparare da questi poveri barbari infedeli che si chiamano mussulmani pretendo forze di esortarvi ad abbraciare la fede mussulmana? [p. 822] Dio mi salvi da una simile pazzia! forze ho dimenticato io che l’islamismo è stato il gran flagello sollevato da Dio per abbattere e distruggere l’orgoglio dell’impero bisantino, il quale con una finezza infernale ha trovata la maniera di laicizzare la Chiesa staccandola dal Papa e servirsene d’istromento per abbruttire i popoli? Se vi ho detto più sopra che nell’islamismo tutto è teocrazia, persino le persecuzioni, persino i massacri, non è già per invitarvi a seguirla [questa religione], ma bensì per non irritarla, per non scandalizzarla col vostro ateismo; ho forze io dimenticato che questa non è la teocrazia di Cristo, ma dell’impero contro cristo? La teocrazia musulmana, e la teocrazia pagana dei greci e dei romani, cangiato nome, è poco presso la stessa minestra, e lo stesso abuso del nome di Dio per servire l’orgoglio del uomo.

conseguenza pratica Veniamo ora alla conseguenza; in facia a questi governi teocratici, i quali sono apoggiati alla legge naturale, cioè alla stessa natura nostra creata da Dio e per Dio sarebbe un grande scandalo l’ateismo pratico; in facia a questi popoli un’uomo senza Dio è un vero mostro, che essi non sanno comprendere, epperciò dovete guardarvene gelosamente se non volete perderne della vostra stessa dignità, e se pure non volete fare un gran torto alla vostra nazione medesima che rappresentate; [p. 823] anzi vi dirò ancor di più, se non volete commettere una grande ingiustizia contro i vostri stessi fratelli e connazionali, facendoli credere quì come tutti atei. esortazione ai cristiani Per grazia di Dio la nostra europa è sinceramente cristiana e non atea. Se certi governi nostri sono guidati da leggi atee, ciò è piutosto un vero tradimento del governo, ma non è il popolo [a volerle], il quale è sempre cristiano e vuole ad ogni costo essere cristiano. Ancorche il popolo fosse protestante, con ciò non vuol dire che sia ateo. Anche nei paesi protestanti i poveri popoli sono sempre stati vittima di [di] pochi mestatori, ma essi han sempre amato ed amano una religione visibile con tutte le sue forme esterne, la sola che possa penetrare i cuori delle masse popolari. Le pene o censure della Chiesa medesime ben soventi non arrivano sino alle ultime masse popolari, di null’altro colpevoli, che di debolezza e di ignoranza. I bambini [ne] /156/ sono esenti, e le masse il più delle volte, anche vecchie sono bambine, e muojono bambine.

Così terminò la nostra conferenza. I due consoli francese ed inglese avevano ordinato un modico pranzo nella locanda stessa a tutta la comitiva, e passarono la loro giornata con noi. questioni di bordo Il Dottore La Garde parlò ai due consoli riguardo al trattamento ricevuto a bordo del bastimento: noi, disse il Dottore, abbiamo [p. 824] pagato i primi posti, e fece vedere la ricevuta del governatore, compresa la noritura, ma siamo stati obligati a rimanere sul ponte, perché le poche cabine che vi sono sono tutte in cattivissimo stato, ed occupate da schiavi e da schiave raccomandate, dove vi passano la notte gli uffiziali del bordo, un vero postribolo, dove una persona onorata non può neanche farsi vedere. Ci si da poi il pranzo e la cena dei militari, consistente in poco di riso bollito e condito all’indiana con una galletta. I due consoli hanno promesso di accompagnarci e raccomandarci, ecco tutto quello che possiamo fare, dissero essi, perché il bastimento essendo al servizio diretto del governo non vi sono regolamenti. Si parlò dei schiavi, siete partiti da Massawah con due cento, dissero, e quì se ne aggiungeranno almeno cento. Essendo un bastimento del governo in proprio paese nessuno se ne mischia, epperciò [è] meglio usar prudenza per non aver dispiaceri. Per fortuna che il capo dei machinisti, là presente, e divenuto tutto nostro amico; io penso a tutto disse; dopo che ho sentito la conferenza di Monsignore ho già rinunziata la mia schiava, e sono disposto a dare il mio allogio a Monsignore, ed ai suoi compagni.

messa e sacramenti in Gedda La sera ho passato qualche ora nell’ascoltare alcune confessioni, e nel preparare l’occorrente per la S. Messa. Si sono fatte alcune ostie con della farina venuta direttamente dall’Egitto. Per il vino il locandiere mi presento una bottiglia di vino venuto direttamente [p. 825] dai suoi parenti di Malta, della legittimità di cui non vi era dubbio. Quando si celebra la S. Messa nei porti di mare in quei paesi, bisogna badare bene prima di servirsi del vino venuto di fuori, con tutte le manipolazioni in uso oggidì. Il machinista passò la notte con me sopra una lunga poltrona che bastava per tutti [e] due. Egli era come deciso di fare il passo, ma io, per compiacerlo ho sentito la sua confessione, tuttavia ho creduto [di dover] aspettare. potrete meglio farlo in Suez, gli dissi, o io aspetterò per finire il vostro affare, oppure vi raccomanderò al sacerdote che si troverà colà: con questo benedetto comandante che abbiamo sempre ubbriacco, soggiunse egli, all’improvviso potrebbe arrivare un’accidente; prima che io mi incontrassi con Lei non usava pensare alla morte; ma oggi non vorrei che mi prendesse all’improvviso. Era /157/ questa la ragione per cui egli avrebbe voluto terminare il suo affare; ma l’ho esortato a confidare in Dio. Verso mattina si amministrò il S. Battesimo a qualcheduno, e si celebrò la S. Messa, nella quale [si] comunicarono i miei di casa, e tre della locanda. La Messa fù celebrata per le vittime, e seguirono alcune parole in proposito.

Dopo la Messa, i consoli se ne andarono alla casa loro per riposare, e per i loro affari. Quei del bordo anch’essi partirono per i loro lavori; il capo dei machinisti prima di partire mi disse[:] [p. 826] Ella non pensi alle proviste di viaggio, perché vi penso io; quindi aggiunse: Se la partenza sarà domani sera io verrò a prenderla a tempo, se si partirà dopo domani io verrò a passare la notte quì, e se Ella potrà aggiungeremo una Messa per pregare Iddio di assisterci. Ciò detto se ne andò, ed io ho potuto di quelli giornata occuparmi un poco più direttamente dei battezzati, e della famiglia del locandiere. fu aggiornata la partenza Dopo le tre della sera ritornò il capo machinista a dirci che si aspettava dalla Mecca una famiglia appartenente al gran Scierif diretta per Costantinopoli, e che perciò la partenza è stata fissata per l’indomani; venne tutto disposto a sentire ancora una Messa, cosa che consolò tutti i pochi nostri cristiani. Si passò quindi tutto il resto del giorno a catechizzare alcuni che ancora rimanevano. Lo stesso machinista mi diede l’ultimo attacco per ricevere anch’egli il battesimo sub conditione e la S. Comunione.

si decide il battesimo del machinista scozzese Vedendo che lo Spirito Santo stava prendendo ogni volta più possesso di quell’anima ho creduto quello un segnale della volontà di Dio e mi sono deciso di compiacerlo, atteso massime il pericolo che egli sempre presentava come motivo di risolver [p. 827] [ver]si. Quando sentì la mia affermativa non si può esprimere il piacere che ne provò. Così la finirò col diavolo, mi disse, e non vi sarà più pericola di perdere questa bella grazia. nuova messa, nuovi battesimi Come si trattava di un battesimo sotto condizione, ho dovuto passarvi la notte nell’ascoltare la sua confessione. Io non aveva con me un formolario della professione di fede [e] ho dovuto supplire con un giuramento dietro un mio dettato che fece con tutto il cuore. Fece da padrino l’armeno cattolico del bordo, come la persona che aveva molto contribuito alla sua conversione. Simili colpi della grazia sogliono produrre una crisi non solo nel soggetto preso di mira dalla grazia, ma producono un certo profumo nella circonferenza che tutti ne partecipano, e sono per lo più un cordiale anche al povero ministro del vangelo. Fu quella notte una notte di nozze, anche per me, e la scrissi nel numero delle notti felici del mio apostolato accanto di quelle passate in Nagalà d’Abissinia nel[la] conversione dei due sposi, di cui si parlò, e di alcune altre.

/158/ congedo ed imbarco Fatta questa funzione il machinista ordinò un nuovo pranzo a sue spese nella locanda, quale fatto, un poco prima del mezzo giorno, ci siamo imbarcati; ed il nuovo battezzato [p. 828] ha voluto stabilirci nel suo stesso appartamento; io, il Dottore, ed il machinista [stavamo] nella cabina di quest’ultimo; i miei due giovani galla andarono coll’armeno. Fu per noi una vera fortuna, perché altrimenti il ponte era pieno di arabi e di schiavi a segno che i marinari appena potevano con pena [potevano] trovare il passo libero per le loro evoluzioni e manovre. L’unico incommodo era l’odore ed il rumore delle machine; ma grazie di aver trovato quel luogo, altrimenti Dio sa come sarebbe andata la cosa con tutti quegli arabi fanatici ed anche immorali.