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23.
Notre-Dame de la Garde di Marsiglia.
Visite ad Asti, Piovà e Torino.

invito dei vescovi di Marsilia Non era ancora un mese dacché il Padre Domenico era arrivato a Roma, che la Città di Marsilia essendosi raccomandata al S. Padre Pio IX, per avere quanti [più] vescovi poteva, per la gran festa che si stava preparando in quella città per la consacrazione della nuova chiesa di nostra Signora della Guardia, e per la gran processione che doveva avere luogo nel trasporto della Statua miracolosa dalla cattedrale provisoria di S. Martino sino alla nuova Chiesa del Santuario sopracitata. Il S. Padre aveva lasciato intendere la sua adesione [con invito di partecipare] a tutti i vescovi liberi, massime forestieri, e ad alcuni cardinali. Nel programma mandato dalla Città si diceva che i Vescovi intenzionati di recarvisi avessero dato il loro nome al Comitato incaricato di detta festa, [il] quale ricevuto, sarebbe stata spedita [p. 899] personalmente una lettera d’invito, accompagnata da un’istruzione, sia per il giorno della partenza, e sia ancora della casa patrizia, dove sarebbe stato ricevuto. Il P. Domenico, il quale conosceva molto la città di Marsilia, s’incaricò di tutta questa parte.

Come io aveva lasciato in Marsilia i miei due giovani consegnati ai Fratelli delle Scuole cristiane, i quali non avrebbero potuto rimanere molto tempo senza di me per mancanza di lingua; l’invito di quella città mi fù anzi molto favorevole. Per questa ragione abbiamo terminato al più presto i nostri affari in Roma per trovarci pronti per il giorno fisso. visita al Papa La prima cosa fù [di] congedarci dal S. Padre. Dopo avere parlato dei nostri affari prìncipali con lui, egli sortì sulle feste di Marsilia; dopo queste, disse a me, farete una comparsa a Torino ed in Patria vostra, perché vi sono là persone che vi desiderano. In vista di ciò scrissi [a costoro] a Torino di trovarsi in Marsilia per le circostanze della festa, e che dopo la medesima sarei immediatamente partito per Torino.

partenza da Roma
[28.5.1864]
ed arrivo a Marsilia
Fratanto, arrivato che fù il giorno fissato per la partenza dei Vescovi per Marsilia, qualche giorno prima, [p. 900] in compagnia del P. Do- /197/ menico, ho lasciato l’eterna città, e sono partito per Civitavecchia, dove era aspettato un vapore per trasportarci a Marsilia. Furono circa 20. i vescovi, e vi fù anche il cardinale Pitra, ed una quantità di prelati romani, senza contare un’immensa quantità di signori secolari. Il vapore fù talmente carico di forestieri distinti, che molti anche di gran riguardo non trovarono più una cabina a parte. Era nella buona stagione, e la traversata diretta per Marsilia fù molto bella e tranquilla. Una popolazione immensa sul littorale ci aspettava; i patrizii marsiliesi, ai quali era toccata la sorte di dare allogio ad un Vescovo o Prelato erano già là che ci aspettavano colla vettura. Il mio ospite era madamigella Buissié, una nubile matrona religiosissima, la quale già si conosceva col P. Domenico[:] era là con due vetture, una per me, ed un’altra per madama Filippone sua sorella venuta ad incontrarci colla sua famiglia.

la città in feste La città di Marsilia in quei giorni faceva la figura che suol fare una gran casa all’avvicinarsi delle nozze. Mancavano ancora tre giorni alle nozze della buona madre (così era chiamata la madonna della guardia) [p. 901] e tutto il mondo era già in movimento; la città [era] già piena di forestieri; gli artisti da tutte le parti erano occupati, chi a fare archi trionfanti, chi a costrurre palchi, chi a fabricare baracche o case posticie; la montagna del Santuario sopra il mare era divenuta come una nuova città per sfogo del popolo. festa «de la bonne Mère» In Marsilia gran città di commercio, dove esistono protestanti in quantità, ed eretici anche levantini, non appariva più altra religione che la cattolica, la festa de la bonne Mère aveva tutti entusiasmato e tutti come ubriacato; i protestati onorano la madonna un Protestante molto ricco e distinto da me conosciuto molti anni prima nei miei viaggi in Oriente: bisogna confessare, mi disse, che il solo cattolicismo può presentare questi spettacoli da impadronirsi del cuore di tutti; noi protestanti contiamo per nemici della Madonna, eppure in Marsilia siamo obligati ad amare la bonne Mère, e non possiamo sentire parlarne male; poveri noi, in paradiso non abbiamo ne parenti, ne amici...!

Voi avete detto una gran verità, gli dissi io, ma non avete detto tutto, e sarebbe stato meglio lasciare da una parte il nome di Paradiso, al quale avete rinunziato, separandovi dalla Chiesa cattolica; per dire una verità compita voi dovevate dire, che i protestanti [p. 902] mancano di parenti santi in questo e nell’altro mondo, oppure in vita ed in morte, perché essi non sanno che farsene della Madonna, degli angeli, dei Santi, ed, in certo modo, dello stesso Dio e uomo Redentore, imaginandosi piuttosto un Cristo [piuttosto] storico e filosofico, tal quale può essere conosciuto dalla sola ragione, ultimo tribunale per loro, o meglio quasi unico oracolo in fine di tutti i conti, e non il Cristo rivelato, essendo per i /198/ Protestanti la rivelazione un non so che di problematico fintantoché non è sanzionato dall’oracolo del loro senso, o criterio privato.

una ragione molto semplice Ma lasciando il protestantismo ai veri protestanti, e facendo ritorno alla vostra questione del popolo così detto Protestante, il quale non sa odiare e bestemiare la bonne Mère, la questione vostra è molto più semplice di quello che credete voi: il popolo è protestante di semplice nascita, e dopo alcune generazioni passate framezzo ad un partito o frazione chiamata protestante dai loro capi. Lo spirito d’ipocrisia, di menzogna, e d’inganno può fare dei seguaci frà le categorie più corrotte, dove suol regnare la mala fede e la passione: ma non è sempre così delle masse popolari, per lo più amiche della buona fede, e della verità; [p. 903] queste obligate a credere che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo figlio della Madonna, la nostra bonne Mère, esse stentano a persuadersi, come non debbasi onorare questa bonne Mère, quando si onorano le madri dei principi, dei re, e degli imperatori con tutti gli onori reali; forze che la bonne Mère è inferiore? Io non aveva fatto altro che ripetere all’amico protestante ciò che aveva sentito poco prima sopra il vapore.

le quattro parti del mondo lodano la madonna Arrivati alla casa statami assegnata, nella conversazione era troppo naturale a noi forestieri di parlare delle cose ammirabili da noi vedute in Marsilia, e sopratutto dell’entusiasmo popolare, oggetto per noi di gran meraviglie. Io ho sortito il fatto dei protestanti sopra narrato; caro Monsignore, mi disse la padrona di casa, Ella non ha tempo, e l’epoca presente non è troppo favorevole, del resto la porterei un giorno a visitare gli ex voto, e potrei farle leggere gli annali del Santuario, e vedrebbe qualche cosa di portentoso: grazie ottenute dagli eretici una gran parte degli ex voto è di persone protestanti, non solo della città di Marsilia, ma una gran parte di marinai venuti dalle quattro parti del mondo, e di tutte le sette eterodosse venute a ringraziare la Bonne Mère per grazie ricevute, e potrei anche farle fare conoscenza di persone ancor viventi, le quali [p. 904] benché protestanti hanno fatto fare un’ex voto, ed immancabilmente ogni settimana usano [di] visitare la bonne Mère per ringraziarla delle grazie ricevute; una in particolare, trovandosi alle strette per un cattivissimo parto, per consiglio della levatrice, avendo recitato colla medesima nove volte l’Ave Maria, finite queste, la creatura, che si presentava in un’ateggiamento minaciante, cangiò posizione, e [la madre] partorì felicemente; essa presentemente è cattolica, benché secretamente, per una circostanza di famiglia, ed aspetta il momento [opportuno] per publicarsi tale.

/199/ simpatia dei protestanti Ho voluto riferire questi brevi racconti per far conoscere, che il movimento religioso, esteso persino agli eterodossi, in quella festa della Madonna della guardia, non è una mia esaggerazione, ne poteva essere effetto semplicemente di un calcolo materiale, per il guadagno di più che avrebbe potuto produrre in Città quel gran movimento di stranieri; ma che invece, almeno nella maggior parte, era un vero attaccamento, o simpatia religiosa verso quel Santuario. spiegazione della medesima Ora dovendo noi supporre che la Madonna Santissima, madre di misericordia, nell’usare di queste liberalità cogli eterodossi, [ci autorizza a supporre che] ciò facia indotta da un principio di misericordia per la salute, dell’anima loro, [dietro alcune] [p. 905] dietro alcuni buoni precedenti, di necessità dobbiamo conchiudere che una gran parte delle masse popolari frà i protestanti non essendo soddisfatte dall’orribile vuoto che lascia nel cuore del uomo il protestantismo, di quì deve ripetersi lo sfogo dei medesimi verso i nostri Santuarii cattolici; non è questo che accade in molti luoghi, dove i protestanti sono misti coi cattolici? non è forze una cosa molto frequente di vedere la donna protestante farsi benedire dal Prete cattolico?

Non mi trattengo intanto a descrivere la storia delle feste in discorso, perché altrimenti sarei troppo prolisso; d’altronde sono tutte cose conosciutissime dal publico e state a suo tempo publicate da tutti i giornali, non solo di Francia, ma anche della nostra Italia. i tre giorni di festa La festa durò tre giorni: nel primo giorno vi fù la consacrazione della nuova chiesa, alla quale assistevano 50. Vescovi in vesti pontificali. la processione, e bella veduta
[5.6.1864]
Nel secondo giorno si fece la gran processione per il trasporto della Statua dalla cattedrale di San Martino sino alla nuova Chiesa; un libro non basterebbe [descrivere] quella gran processione, la quale durò pressoché tutta la giornata; il convoglio della Madonna arrivato che fù alla porta della [p. 906] Chiesa, allora fece alto, ed i 50. Vescovi tutti all’intorno del piazzale intonarono la solenne benedizione a tutta la città; che spettacolo! che colpo d’occhio. Il pendio della montagna, il piano sottostante sino alla, città, e tutto l’intorno fin dove, può arrivare l’occhio tutto era gremito di gente in ginochio; gli stessi palazzi della città erano carichi come un prunajo di fiori; tutta quella gente era in ginochio. si ingannarono gli empi Una circostanza merita di essere notata: quando la processione partiva, da S. Martino il cielo minaciava Pioggia, e tutto quel gran popolo temeva, perché sarebbe stato un vero disastro con tutti quegli ornati di ogni genere in momento; una loggia di frammassoni non molto discosta aspettava un simile disastro per ridersi di noi e della bonne Mère; invece fù una vera providenza, tutto quel grand’apparato di nubi erano fatte come un pa- /200/ rasole a [riparare] tutta quella moltitudine; quando fu finita la funzione, la sera finiti i fuochi d’artifizio, e quando incomminciava il momento degli eccessi immorali, allora una pioggia dirotta obligò tutti a ritirarsi.

Il terzo giorno fu il giorno delle grandi funzioni in Chiesa, dopo le quali, un grande invito [fu] fatto dal corpo municipale della città a tutti [p. 907] i vescovi invitati. partenza per Genova
[6.6.1864]
Io dovetti partire quasi subito dopo la funzione: una deputazione di parenti e di religiosi venuti dal Piemonte a prendermi [mi] obligò, quasi subito dopo la funzione a prendere il treno sino a Nizza, di dove la diligenza nella notte mi portò a Genova. Qui abbiamo trovato il Segretario di Monsignore Modesto Contratto, il quale era venuto ad incontrarci, col fine di portarci in Aqui. Io però era troppo incalzato dalla premura per appagare il desiderio di Monsignor d’Aqui; anzi ho dovuto lasciare anche alcune visite in Genova stessa, perché aveva dato parola di trovarmi in Asti, dove sarebbero venuti a prendermi alcuni dal mio paese nativo, appartenente a quella diocesi. Scrissi dunque una lettera a Monsignor d’Aqui di avermi per iscusato, perché mi era impossibile potervi venire.

mio arrivo in Asti Come era aspettato nella notte in Asti ho preso la ferovia nella sera, e vi sono arrivato nella notte; mi aspettavano colà il Canonico Polledro, con molti del clero della cattedrale, a tempo per la cena. mie impressioni L’indomani mattina recatomi alla Cattedrale per celebrare la Santa Messa, la mia imaginazione mi presentava al vivo ancora il catafalco del mio fratello maggiore, [Guglielmo Massaia, già curato della cattedrale,] esposto nel [3.5.1833] 3. di Maggio 1832. in quella gran mole di Chiesa nella sua sepoltura, [p. 908] alla quale io aveva assistito. Come io non aveva più veduto [dal 12.3.1846] da quel giorno di lutto, ne quella Chiesa, ne quella Città, ne tutti quegli amici, l’idea era in me tutta viva, eppure passarono [34 anni] 33. anni, e frà 25. amici di allora, appena tre esistevano ancora, divenuti tutti vecchi; era per me un vero sogno, di quelli che si riproducono nel uomo tutti i giorni, quando si mette davvero a contemplare il passato, benché in modo meno sensibile, quando non vi è stata una parentesi di assenza così lunga. Passata la Messa stata celebrata con una certa solennità di assistenza e di musica, e passato il pranzo, il quale fu abbastanza solenne, accompagnato da tutto quel clero sino fuori [del]le porte della Città, sono partito in vettura verso mezzo giorno alla volta della mia Patria con una comitiva di alcuni ecclesiastici venuti ad incontrarmi. arrivo in patria Dopo le tre pomeridiane siamo arrivati al mio paese nativo, detto Piovà, piccolo villagio di circa mille abitanti.

/201/ mie impressioni Non parlo della [s]campanate, musiche, ed altre publiche dimostrazioni, colle quali i miei compaesani vollero onorare il mio arrivo, e voglio riferire solamente le mie impressioni. Dopo [dal 12.3.1846] quasi mezzo secolo dacché io non aveva più veduto il mio paese nativo, io confesso di essermi trovato come un vero straniero in paese mio; e nella stessa mia casa dove sono nato e cresciuto. [p. 909] Io mi sono trovato là in facia ad una generazione tutta nuova; quei pochi stessi, poco più di uno sopra cento, i quali nella mia fanciulezza si divertivano con me, erano divenuti vecchj, e non gli conobbi più. Col passare degli anni la facoltà imaginativa può cangiare come semplice concetto ideale, ma l’impressione materiale rimasta nella fantasia nostra, quella conserva sempre la sua forma contratta dall’antica abitudine; per questa ragione la nostra imaginazione prova una certa nuova impressione al vederla cangiata d’aspetto dopo molti anni. Ciò accade non solo nelle persone, oppure [negli] oggetti esterni trasformati dopo lungo tempo, ma in noi stessi, e sopra la propria nostra persona. Io [non] ho mai avuto l’uso di portare lo specchio con me, e sono rimasto senza vedermi nello specchio dal 1850. sino al [1863] 1865. Quando nel mio arrivo in Massawah mi sono veduto [per] la prima volta in un gran specchio della Procura in Umkullu, tal quale sono venuto dall’interno, al vedere la mia barba rossa divenuta tutta bianca, e la mia figura tutta solcata da rughe senili, avrei rinnegata la mia identità contro le proteste del mio senso intimo parlante.

un’illusione o inganno frequente Se io riferisco queste mie impressioni non è già per convincere di una verità che ognuno può con tutta facilità sperimentar[la] in se medesimo senza bisogno di tanta filosofia, colla sola riflessione e meditazione sopra la storia passata. Sarebbe piutosto il caso d’avvertire semplicemente di un’ [p. 910] illusione o inganno al quale andiamo tutti soggetti per una specie d’incanto del senso, o attaccamento alla vita presente, per cui quasi naturalmente cerca [di] nascondersi la nostra defettibilità. È questa una debolezza nostra comune, la quale cresce al crescere [al crescere] della nostra età invece di raffreddarsi. Ciò che si dice delle diverse fasi della nostra vita transitoria e passeggiera, si può dire in proporzione dell’idea del mondo presente, il quale passa come un umbra, e ci nasconde il veloce suo corso sino a tanto che ci scappa dalle mani, e manca sotto i piedi; motivo per cui cresce il nostro attacco al medesimo, e si mostra sempre più tenace, anche nello stesso momento di tradirci. Io ho assistito molte anime nel loro passaggio [all’eternità], e posso assicurare d’aver trovato sempre maggior difficoltà di rassegnazione nel vecchio che nel giovane; che Iddio mi liberi da un simile inganno!

/202/ arrivo al paese mio Ritornando ora al mio ingresso nel paese di mia nascita; in mezzo ad una folla di mondo tutto nuovo io fui condotto alla Chiesa; mi parve questa una bellissima Chiesa, degna di una città, quando ho potuto paragonarla a molte altre vedute nei miei viaggi; maestoso il suo campanile, ma ancora più bello il suo concerto di campane. In essa, ringraziato Iddio di [8.6.1808] avervi ricevuto il S. battesimo, e di esservi ritornato dopo molti anni e pericoli, sono salito in Pulpito per ringraziare i miei compaesani delle loro onorificenze; ma, [Giovanni Massaja, padre: † 29.3.1853;
Domenica Maria Bertorello, madre: † 2.4.1837]
dove [p. 911] sono i miei genitori, i miei parenti, i miei amici, i miei compagni, ai quali io professava debiti di ogni genere da soddisfare? Nel senso sovra esposto, ho fatto un discorso sopra la vanità del mondo; ho conchiuso con un’invito per l’indomani ad una gran Messa per i morti miei compaesani. Ho passato tre giorni di ministero, sia al pulpito, sia al confessionale, pendente il quale ho avuto molte consolazioni. Lascio tutte le altre solennità e cerimonie estranee al mercato di un Prete missionario; in riconoscenza ho impertito la benedizione Papale a tutto quel popolo concorso, e dopo tre giorni sono partito per Torino.

mio arrivo a Torino
[20.6.1864]
Nel 1846., prima di partire per le missioni, io mi trovava in quella capitale di un regno pacifico, e modello fra tutti i principati d’Italia; io era Lettore e Definitore della Provincia nostra cappuccina; epperciò aveva colà molti amici che mi aspettavano. Prima di essere in Torino sono stato otto anni e più Lettore in Moncalieri nel nostro Convento di Testona: colà aveva praticato molto la corte dei due Principi Vittorio Emmanuele duca di Savoia, e Ferdinando suo fratello Duca di Genova, i quali facevano colà la loro educazione; anche in quella corte aveva molte conoscenze, e molti amici. progetto di visita al Re Vittorio Al mio arrivo in Torino [p. 912] il Principe Vittorio Emmanuele era Re di tutta l’Italia e si trovava in quel momento alla Veneria reale. I miei amici avevano tutto aggiustato ed organizzato, affinché io mi trovassi col Re, e questi aveva già dato la sua parola di ricevermi con piacere; tutto era in pronto, e molti mi aspettavano per accompagnarmi. Ma anche là tutto il mondo era cangiato, cangiato il Re, cangiato il regno, cangiata la politica; ciò che nei miei tempi sarebbe stato un’orrore il solo pensarvi era divenuto un vero sogno di un mondo ubbriacco che correva verso un’incognito orribile, ed io non ebbi coragio di gettarmi in mezzo a tutti quei movimenti. Come i miei affari mi aspettavano in Lione, ho deciso di passar sopra a tutta questa nuova marea, e senza nulla dire, [partenza da Torino: 28.6.1864] dopo tre soli giorni di dimora in quella capitale, all’improvviso sono partito per Susa, e tre giorni dopo aveva già passato il [Monte] Cenisio, e me ne sono volato a Lione.