/248/

29.
Battesimo e imbarco degli aspiranti.
Amarezze di mons. Bel: Stella ed Emnatu.

finisco la compra
[set. 1866]
Questo fatto mi facilitò la compra di altri schiavetti, quanti ne avrei desiderato; ma io era risolto di non mandarne a Marsilia più di dieci per tentare un’esperimento del collegio che stavamo per fare. Dopo 40. giorni i primi cinque giovani comprati erano arrivati al punto di ricevere il S. battesimo; [p. 39] il battesimo dei primi cinque fatto in Massawah
[4.10.1866]
si determinò un giorno per la funzione, e gli ho portati a Massawah vestiti alla levantina, dove si fece una bella festola, e furono battezzati da Monsignore Bel Vicario Apostolico nella Chiesa della missione lazzarista, e ritornammo la sera ad Umkullu a continuare il nostro apostolato. Fratanto [14.8.1866] ho potuto scrivere a Marsilia al M. R. Padre Vice Prefetto Taurino di accelerare i preparativi per ricevere i giovani, giusta le intelligenze avute, essendo essi presto in ordine di partenza. Scrissi pure ai Fratelli delle Scuole cristiane in Caïro, che al più fra un mese avrei potuto farne la spedizione per il primo bastimento europeo che sarebbe partito direttamente per Suez.

si conchiude il battesimo di altri cinque Dopo altri quindeci giorni dal primo battesimo celebrato in Massawah incomminciò il pensiero di una seconda piccola solennità di battesimo per i restanti, almeno per gli altri cinque, onde completare il numero di dieci che io aveva promesso di spedire a Marsilia. Ne scrissi a Monsignore Bel; ella sarà sempre libera, se crede di venire quì, rispose egli, ma io credo che potrebbe fare Ella la funzione in Umkullu nella nostra antica cappella mezza in rovina, e verremo alcuni di noi ad assistervi. [p. 40] altro battesimo di cinque Così si fece, e determinato il giorno di esso battesimo, ho preparato un piccolo pranzo di campagna, e chiamato il Console Mussingher con alcuni europei, ebbe luogo la bellissima funzione, facendo da Padrini alcuni europei: il giovane di Nonno, di cui si parlò sopra, il più avvanzato in età fu chiamato A[n]toine, e fù Padrino Antoine d’Abbadie, faciente le veci di procuratore il Console Mussingher medesimo, il quale fu glorioso di annunziargli per lettera l’esecuzione del suo mandato. Così fu compito il numero di dieci. Dal momento che l’istruzione /249/ progrediva in questi poveri giovani, non avevano altra questione da sollevare, che, quella del loro battesimo: noi, dicevano, non vogliamo partire di quì senza il battesimo, per ogni caso di naufragio; battezzati che furono, ora partiamo, dicevano, se moriremo sappiamo dove andiamo.

si parla del pranzo Dopo il battesimo ebbe luogo il pranzo, il quale merita di essere riferito, sia per la sua originalità, sia ancora per alcune belle sentenze, le quali spiegheranno tutta l’emozione sia dei giovani, che degli altri invitati. descrizione della tavola In casa non mancava una tavola sufficiente per cinque o sei persone invitate, ma gli stessi europei amarono un pranzo all’abissina, seduti per terra, ciascheduno dei padrini con accanto suo il proprio figliozzo. Calcolando [p. 41] i dieci battezzati, sia prima in Massawah, che nella giornata, i quattro o cinque europei Padrini, ed altri quattro o cinque della missione lazzarista, anche essi stati padrini prima, tutti compresi, eravamo circa venti persone sedute per terra sopra tappeti e stuoje del paese in circolo nella grande capanna di ricevimento. servizio a modo abissino Nei quattro angoli del circolo vi erano quattro mosseb, (vasi tessuti di paglia contenenti pane abissinese) con ciascheduno un piatto in mezzo, pieno di pietanza, il quale si cangiava per cangiar pietanza. Da una parte della sala [stavano] i due abissinesi, uno versava birra, e l’altro versava idromele, seguendo gli ordini ricevuti. Dalla parte opposta della sala si trovavano i due ammalati con un vaso a parte, perché essendo essi in cura non potevano mangiare quello che era fatto per i sani; tanto più che essendo noi cristiani, ed uno di quelli mussulmano, non poteva mangiare carne ammazzata dai cristiani. Le pietanze erano carne di agnello con intingolo abissinese, frittata, macarroni, pesci, ed una crema al latte; posate, quelle ricevute dalla madre, corni per bere.

Tutto ciò appartiene alla parte ma[nife]stata di uso abissino, per quanto fu possibile in Massawah, paese che aveva i suoi usi particolari, ed abitato la maggior parte da arabi, i quali [p. 42] pure hanno i loro usi particolari; non fù possibile perciò trovar tutto per un pranzo abissino, sia negli atrezzi di tavola, sia nelle vivande. gli eviva dei battezzati Ciò però che più di ogni altra cosa colpì il cuore degli invitati europei furono i complimenti fatti dai neofiti nuovamente battezzati. Io aveva ordinato loro che [dopo] finito di mangiare, ognuno facesse un complimento, breve bensì, ma che esprimesse semplicemente quello che Iddio [loro] ispirava al loro cuore. Dopo molti anni non mi ricordo delle precise parole; d’altronde sarebbe una storia troppo lunga, mi contento di citare il senso: il diavolo ci ha fatto schiavi per perderci, [dicevano,] ma si è ingannato; noi abbiamo invece trovato una patria migliore, noi abbiamo trovato parenti ed amici; abbiamo Iddio per Padre in Cielo, e la Madonna per ma- /250/ dre; in terra poi abbiamo l’abuna che passa il giorno e la notte ad istruirci; se siamo sani ci mantiene e ci veste; se siamo ammalati ci da medicine, e ci fa dormire vicino a se per custodirci. Tutti parlarono poco presso in questo senso, intercalando le loro parole con grandi evviva.

il figliozzo di d’Abbadie Fra tutti si distinse il figliozzo di Antoine d’Abbadie, chiamato Antonio nel S. battesimo: era uno dei due fuggiti, epperciò il più avvanzato in età. Ancora prima che io nascessi passò nel mio paese di Nonno il primo uomo bianco colà veduto; il mio Padre mi raccontava di lui, diceva egli, che quello non mangiava, non beveva, non lasciava avvicinare le donne; [p. 43] egli pregava sempre (in quei paesi leggere vuol dire pregare), ed insegnava ai ragazzi di pregare, ed insegnava le dieci parole di Dio; egli non era un’uomo come noi, ma venuto dal Cielo, parente di S. Michele; ora chi avrebbe detto che io doveva diventare suo figli[o]? Io non desidero altro prima di morire, che di vederlo. il diavolo mi fece schiavo per perdermi, e senza saperlo, come un’asino mi portava sul suo dorso sino all’Abuna, sino a Cristo, sino alla Madonna, sino a S. Michele; evviva, evviva Cristo e la Madonna.

parla il figlio del mercante Dopo di lui parlò il mussulmano figlio del mercante, l’ammalato guarito. Chi tresca col serpente finisce per essere morsicato, diceva egli; io passava il giorno e la notte col diavolo, sempre imaginando nuove tresche e nuovi piaceri, ma a diavolo finì per morsicarmi e portarmi via il pezzo, e se non fossi in questa casa di Santi potrei anche far vedere il residuo della piaga, che sarà la mia vergogna sino alla morte. L’Abuna, che io prima odiava come un demonio, diventò il mio angelo liberatore, egli mi guarì nel corpo e mi fece conoscere chi è il vero demonio; ma e l’anima mia? essa in questi giorni ha veduto il sole, eppure è condannata a restare nelle tenebre, e morirvi di freddo... perché... io sono un povero mussulmano che adoro la mia carne puzzolente; io sono il vero serpente che ho morzicato questo mio compagno [p. 44] che mi sta vicino, il quale è molto più felice di me, perché è mio schiavo... io quì prostrato ai piedi del console, una sua confessione Signor mio, gli dico, voi conoscete tutte le mie iniquità, voi avete sentito tutto, veduto tutto, e giudicato tutto, per carità, e vi supplico di vero cuore, non abbiate misericordia di me, sentenziate contro di me, perché mi merito tutto, dichiaratemi schiavo, perché allora solamente sarò libero; l’abuna con qualche tallero mi comprerà, ed allora solamente saranno rotte le mie catene, e potrò sedermi a canto di coloro che prima erano miei schiavi; altrimenti sarò perduto, e mai più ci vedremo.

/251/ parla il console per tutti Quella parlata del povero mussulmano commosse tutta la comitiva sino alle lacrime, e prese la parola il console Mussingher per tutti gli europei. Io comprendo, disse egli, tutta la tua posizione; è vero, ho, sentito, e posso anche dire in parte le tue crudeltà e brutalità commesse contro questo tuo compagno che ora ti siede vicino come fratello; per parte mia la sentenza era già data di legare non solo te, ma ancora tuo Padre medesimo; già tutto era conchiuso col capo della Polizia, venuto con me, come sai, ma conosci tu chi è colui che mi legò le mani, e m’impedì di farlo? egli è l’Abuna, colui che ti ha guarito; sai tu quali sono le parole, o meglio la gran ragione che portò, quando mi proibì di farlo[?]; cosa volete, mi disse, la colpa non è, ne di questo giovane, ne del suo Padre, perché, per trovare l’autore di tutti questi eccessi, bisognerebbe tornare [p. 45] indietro [di] dodeci secoli, questione troppo delicata in questi poveri paesi. il console esalta i missionarii La questione perciò è finita, perché l’ha finita l’abuna stesso; questo è una persona che noi stessi non la comprendiamo; ciò che diciamo di lui dobbiamo dirlo di tutti questi sacerdoti venuti [venuti] dai nostri paesi. Noi gli chiamiamo nostri fratelli, perché nella parte loro corporale sono fatti come noi, sono nati come noi, e forze da persone che sono nostri parenti, ma appena cresciuti Iddio se gli ha presi per se, e gli ha arrichiti nel loro cuore e nelle loro anime di doni tali, che a noi stessi sono incomprensibili; noi assuefatti a giudicare secondo la loro fisionomia esterna, qualche volta noi medesimi non sappiamo rispettarli come si meritano, ed ubbidirli come sarebbe nostro dovere. la sapienza del console Basti il dire, che essi non sono angeli, sono uomini come noi, che in certo modo sono più che angeli, perché hanno tutta la purezza loro, benché uomini; sono uomini fatti proprio per voi, onde convertirvi a Dio. Voi dite che dopo il battesimo non siete più Galla, ma francesi; no, non è così; vedete, l’Abuna venuto da grandi paesi, è venuto quì, e si è fatto galla vostro schiavo per istruirvi, così voi puranche andando in Francia, sarete sempre galla, e ritornerete per convertire i vostri fratelli.

meriti di Mussingher Il Console Mussingher era un filosofo di non mediodre merito, anche conosciuto nella nostra Europa, per alcuni suoi lavori, che fecero parlare le academie dei scienziati; ma egli era cristiano cattolico, il quale mantenne sempre incorrotta la sua fede, anche quando [6.4.1871; 1.4.1872] fu fatto Pascià [p. 46] di tutta la costa orientale e del Sennar dal Governo egiziano, fu appunto nell’apogeo della sua grandezza, quando [inaugurata: 14.2.1875] faceva costruire una Chiesa ed una casa frà i Bogos per la missione cattolica dei Padri Lazzaristi: Se facio questo, mi diceva alcuni anni più tardi in una sua lettera, mentre io mi trovava nel paese di Scioha, un debito di giustizia verso un’amico come Cristiano intendo di /252/ fare un’atto di pura giustizia, la quale mi presenta il missionario cattolico più grande di me, per la ragione che io lavoro unicamente per motivi di puro interesse e di gloria mondana, mentre essi lavorano gratis per Dio, e per la verità. Ora quando il Console Mussingher parlava ai miei giovani in Umkullu in [ott. 1866] Decembre 1866, essendo ancora [dall’8.8.1866] semplice console francese, era guidato da una sapienza, la quale avrebbe meritato di essere scritta a caratteri d’oro nel cuore degli stessi nostri impiegati europei. Oggi 4. Febbrajo 1883. scrivendo in Roma queste mie memorie, tutto vicino alla mia morte, non facio altro che pagare un debito di pura giustizia verso un’amico, che seppe essere grande, e come filosofo, e come cristiano, anche servendo i Turki; [† 14.11.1875] per i quali morì.

Col battesimo di quei dieci giovani [era terminato] il secondo dei miei grandi affari, per i quali io era venuto a Massawah, e non mi rimaneva più altro [d]a fare, che la spedizione dei medesimi al Caïro. Ma per questo io aspettava due cose, una era [la] lettera del Padre Vice Prefetto [p. 47] Taurino, la quale mi annunziasse il suo arrivo in Egitto per ricevergli; la seconda cosa era la partenza di un bastimento europeo direttamente per l’Egitto, altrimenti, non potendo esporre quei poveri giovani a tutte le vicende e pericoli sopra una barca araba, in un viaggio di mesi, con pericolo anche della stessa loro fede per gli scandali dei marinari arabi, avrei dovuto portare in Aden i medesimi, duplicando a loro il viaggio di mare, al quale non erano ancora accostumati, e moltiplicando anche la spesa alla missione. Iddio provvede per il trasporto dei giovani a Suez Iddio che provede ai suoi servi, fece [sì] che tutto mi arrivasse a suo tempo. Non tardai a ricevere una lettera del suddetto Padre Taurino, nella quale mi scriveva da Marsilia la prossima sua partenza per l’Egitto in compagnia del P. Ferdinando da Hieri nostro missionario. [partenza da Marsiglia: 29.11.1866;
arrivo ad Alessandria: 5.12.1866]
Qualche settimana dopo arrivò pure in Massawah il brigantino inglese La Vittoria, quello, sopra il quale io era venuto, e che soleva venire e andare tra Massawah, e Aden due volte ogni mese.

Ora questo brigantino doveva partire per Suez fra pochi giorni per portare colà alcuni oggetti, e per qualche piccola riparazione [fra pochi giorni]. Esso faceva tutto il mio affare. Ho parlato col Comandante, col quale già ci conoscevamo, e tutto fù conchiuso, pagando una piccola somma. proviste e preparativi d’imbarco Ho avuto tutto il tempo [p. 48] per scrivere tutte le mie lettere di accompagnamento, e preparare tutte le necessarie provviste per il viaggio. Il Governatore di Massawa, tutto amico mio, diede ordine ai forni dei soldati, affinché mi preparassero del biscotto bastante per tutto il mio mondo; anche il Console Mussingher pensò a molti altri articoli che volle regalare ai medesimi; non parlo di Monsignor Bel, il qua- /253/ le mise a mia disposizione tutto ciò che si trovava nella casa della missione sua; da questo lato perciò ogni cosa si stava preparando. Restava ancora [la scelta di] una persona d’esperienza che custodisse i giovani, e servisse ai medesimi d’interprete nei loro bisogni. Abba Micàel, antico servo della missione Lazzarista, il quale faceva il commercio in Massawah, e mi aveva aiutato anche nella compra, persona che già aveva passato qualche anno in Gerusalemme, egli si esibì, e con qualche retribuzione fu stabilito loro custode, ed interprete.

aviso di partenza, e crisi in casa Arrivato pertanto il giorno della partenza, arrivò la sera innanzi il biglietto del Comandante della Vittoria, il quale ci avvertiva di trovarci [al porto] la mattina prima delle dieci. Appena [giunse] quell’avviso fu una vera crisi nella casa, e non fù più possibile dormire nella notte; la separazione da una parte, dall’altra l’idea di viaggio per mare, cosa nuova per quei poveri giovani, era[no motivo di] un pianto universale; battezzati da poco tempo, tutti sentivano il bisogno di confessarsi, e dovetti sentirgli tutti per tranquillizzargli; della stessa sera arrivò Abba Ghebra Salassie, quello stesso che tra venuto [p. 49] con me da Suez, il quale si era recato in Abissinia per vedere i suoi genitori, e portare loro qualche soccorso colle limosine raccolte prima in Gerusalemme, e pensava [di] ritornarvi; così il numero dei custodi era completo. la messa di notte ed il prono [?] Dopo le tre di notte si celebrò la Santa Messa frammezzo una commossione universale, accompagnata da gemiti. Alla Messa vollero venire anche i due convalescenti, il mussulmano cioè ed il suo compagno galla. Finita la Messa, e letto l’ultimo Vangelo, mi sono voltato, secondo il solito, per fare un piccolo discorsetto di ringraziamento per i tre della famiglia che fecero la S. Communione; dopo di che ho parlato del viaggio sul mare; figli miei, dissi, voi temete il mare, ma fatevi coraggio e non temete, perché avrete il Signore con voi. Il mare è figura del mondo, e quando vedrete il mare in furia, non temete, e pregate il Signore, affinché vi dia forza di vincere la furia delle passioni molto più terribili delle unde del mare. Sappiate che pochi si perdono in mare, nell’aqua, ma più della metà del mondo si perde nella tempesta delle passioni, queste dovete temere, perché manegiate dal diavolo, e non quelle. In questo senso, finito il mio discorsetto, si recitò l’itinerario, e finì la funzione.

partenza da Umkullu Finita la fonzione, si fece un poco di pranzo, e prima che si alzasse il sole a riscaldarci troppo, abbiamo lasciato Umkullo, e siamo partiti per Massawah. Il giovane mussulmano col suo compagno volevano seguirci, per risolverli a rimanere in casa, vi vollero delle minacie. imbarco dei giovani sopra la Vittoria In meno di un’ora siamo arrivati al porto di Gherara, [p. 50] dove, presa una barca a parte, ho ordinato ai barcajvoli di cercarmi un poco lontano dal porto /254/ un piccolo golfo, dove il mare era tranquillo e con poca aqua, e trovatolo ho fatto discendere tutti i giovani a lavarsi, essendo io colla barca e barcajuoli a far la guardia. Finito questo, per viam breviorem abbiamo attraversato il canale del porto, e siamo entrati nell’isola di Massawah, dove già ci aspettava il Console cogli europei padrini dei giovani, e con loro ci siamo recati alla Chiesa della missione lazzarista. Fatta l’adorazione al SS. Sacramento, siamo entrati in casa, dove, appena abbiamo avuto tempo a fare una mezz’ora di ricreazione, che venne l’avviso che il canotto del bordo ci aspettava sulla riva vicina. Siamo ritornati in Chiesa, dove Monsignor Bel, vestitosi di cotta, stola, piviale, e mitra, recitò una seconda volta l’itinerario, benedì tutti, e svestitosi siamo andati tutti a bordo della Vittoria.

ultima separazione
[9.11.1866;
in Cairo dal 19 al 23]
Abbiamo passato quasi un’ora in conversazione per abituare i giovani al nuovo mondo del bordo; intanto si parlava di partenza, e stavano pronti i marinari del bordo per tirare l’ancora; si diede l’ultimo addio al Comandante ed agli impiegati, fatte le ultime raccomandazioni in favore della piccola famiglia, e tutti eravamo per discendere nel canotto, quando accortisi i giovani alzarono un gran grido, ma tutto fu sforzo inutile, un viaggio di tre soli minuti ci separò irremissibilmente; appena il canotto di ritorno fu attaccato alla catena, che [p. 51] la Vittoria già era in strada, essi ancora gridavano e noi mandavamo gli ultimi saluti agitando i nostri fazzoletti, e bastarono pochi minuti per perderci di vista. ritorno ad Umkullu Sia Monsignore che il console mi facevano istanze per pranzare seco loro, ma io aveva promesso di trovarmi a pranzo in Umkullu, perché aveva lasciato colà i due convalescenti desolati, ed era impaziente di arrivare colà per la paura che non arrivasse [loro] qualche inconveniente. Salutati gli amici, per la via più breve, senza nemanco che essi se ne accorgessero, [sono] sortito di Massawa, e presa la prima barca ho passato il mare, e tutto solo, quasi a galoppo in mezz’ora circa io era già alla mia casa.

cattive notizie di fuga Appena arrivato, ho trovato che alcuni incomminciavano a spargere [voci] che i due ammalati erano partiti coi dieci per la via del Caïro. Il mercante Padre aveva già mandato due volte [ispezioni] alla loro capanna, e non avendogli trovati incomminciava ad agitarsi. Appena partiti noi i due giovani si chiusero nella gran capanna di ricevimento; e non si lasciarono più vedere da alcuno; essi erano desolati, perché il loro piano di partirsene era andato a male. Arrivato io tutti si calmarono; io ho mangiato il pranzo sopra il terrazzo, ed essi ritornarono nella loro capanna. Dopo il pranzo gli ho chiamati, perché, dissi loro, siete stati nascosti? noi temevamo che venissero [p. 52] a prenderci per for- /255/ za, risposero, epperciò stavamo pregando Iddio per il suo ritorno. i due convalescenti neofiti Discorrendo a lungo con essi ho veduto che essi ad ogni costo pensavano a ricevere il battesimo. In quanto allo schiavo, era una cosa già come conchiusa, io l’avrei comprato; ma riguardo al figlio [del mercante], era un’affare molto grave, [poiché] sarebbe stato niente meno che esporlo alla morte. Ho preso il partito perciò di guadagnar tempo, facendo conoscere al Padre che la sua cura non era ancora terminata. Fratanto, quando il padre l’avesse lasciato partire per l’interno, allora prima di partire avrei potuto battezzarlo secretamente, oppure avrei potuto mandarlo [d]a Monsignore Cocino affinché lo battezzasse; tanto più che in Lagamara avrebbe trovato il Gabriele mussulmano di Ghera convertito, il quale l’avrebbe assistito.

Partiti che furono i giovani, per il Caïro non mi rimaneva più altro da fare in Massawah, se non che aspettare la prima occasione per andarmene in Aden, ove sarebbero arrivati il P. Prefetto Taurino col suo compagno P. Ferdinando, subito che la spedizione dei giovani a Marsilia sarebbe stata fatta. altre mie occupazioni Fratanto io mi occupava indefessamente per completare l’istruzione dei due giovani sifilitici convalescenti, benché non mancassero in Massawah altre questioni tutte gravi, le quali non lasciavano di molto affliggermi. Il nuovo Vicario Apostolico Monsignor Bel contava appena otto mesi dal suo arrivo, e già il suo cuore era amareggiato da fatti gravissimi, i quali non lo lasciavano più riposare [p. 53] ne [di] giorno ne [di] notte. Un uomo come Monsignor Bel di una fede vivissima, e di un zelo senza pari, vedersi subito da principio attraversato il suo ministero apostolico da due scandali gravissimi, era per lui una vera malatia che lo consummava; io non lasciava d’incoraggirlo, ma intanto ne soffriva io stesso. scandali di don Giovanni Stella
[missionario nei Bogos: 1851-1864; a Sciotel: apr. 1866-† 20.10.1869]
Il più grave di questi scandali era quello del P. Giovanni Stella, il quale, dopo avere gloriosamente incomminciata la missione dei Bogos, in Keren, ne divenne il vero Parricida colla sua solenne apostasia. Io che aveva praticato molto quel missionario nel 1849. per avere [egli] viaggiato con me, come già si è veduto a suo tempo, appena arrivato in Massawah, non lasciai di scrivergli parecchie lettere, onde farlo rientrare in se stesso; ma la piaga era divenuta immedicabile, e l’unico rimedio era il taglio, risolvendolo a partire. Lo stesso Console Mussingher corse in ajuto a Monsignore Bel in questo affare; dopo quasi tre mesi di fatiche, e secreti sacrifizii pecuniarii, fummo consolati [21.12.1864: scomunicato: 18.1.1868] vedendolo partire sopra un bastimento alla volta dell’Egitto, lasciando nelle mani di Monsignore una carta di ritrattazione, e nelle mani del Console altra carta per lo stato civile, in caso contrario, di un suo tentato ritorno.

/256/ scandali di abba Emnatu Il secondo scandalo fù quello di Abba Emnatu sacerdote indigeno stato da me ordinato nel 1847, ai tempi del grande Apostolo dell’Abissinia Monsignore Dejacobis. Questo miserabile sacerdote si trovava in Keren fra i Bogos col suddetto P. Stella, ed incomminciò anche egli a claudicare. differenza tra il prete europeo, ed il prete indigeno La sua caduta fu meno [p. 54] clamorosa, perché un’indigeno, anche divenuto sacerdote, non è mai un’astro di grande influenza per le sue qualità personali, meno il caso che divenisse un vero settario o capo partito. Se l’indigeno è scandaloso nella sua condotta privata, diventa piuttosto una persona morta, se prima non ha spiegato una grande influenza nel ministero, oppure all’opposto, non diventa un’altro eresiarca; la ragione è per se stessa chiara: gli stessi nostri proseliti indigeni, accostumati a vedere la corruttela del loro clero eretico, il nostro prete cattolico, anche cattivo, conserva sempre ancora qualche cosa che lo fa migliore dell’eretico. Ciononostante questo Abba Emnatu fu una gran spina nel cuore di Monsignore Bel, per la ragione, che essendo stato sospeso e richiamato, egli svaligiò la casa, e preso ciò che non era suo, si rifugiò nella casa dello stesso console Mussingher sotto la protezione di Madama Mussingher. Questo fatto ruppe un tantino la buona intelligenza che regnava trà il Console ed il Vicario Apostolico. Il Console Mussingher, per una deferenza che degenerava in debolezza verso la sua moglie, ebbe poi a pentirsene, perché alcuni anni dopo l’amore di Emnatu con Madama produsse dei sospetti, ed il reo Prete arrivò [27.9.1869; † 1870 a cercare di fare uccidere lo stesso Console, il quale ricevette un colpo di fucile che lo ferì solamente, ma Emnatu dovette morire in prigione.

un’altro dispiacere a monsignor Bel Il povero Monsignor Bel ebbe poi ancora un’altra gran questione collo stesso Governatore di Massawah per causa di una cisterna antica e guasta, la quale si trovava vicina ai muri della casa medesima della Missione, e che fu sempre creduta una proprietà [p. 55] della missione medesima stata ceduta dal governo col terreno. questione della cisterna Come l’aqua in Massawah è una questione molto grave, massime per una gran famiglia, dovendosi comprare giornalmente dalle barche che la portavano per mare da Arkeko. Monsignore Bel volle fare risarcire quella cisterna senza passare d’accordo col Governatore, e quando si erano già fatto delle spese a questo riguardo il Governatore proibì la continuazione dicendo che tutte le cisterne dell’isola sono una proprietà del Governo, la quale non si cede, come cosa dipendente dal Genio militare. Per questa questione si scrisse parecchie volte in Egitto al governo per la via del Console Generale Francese; vennero parecchie risposte affermative in apparenza, secondo lo stile arabo, ma trovate sempre insufficienti dal tribunale locale; questo affare finì per stancare il Console Generale, il Governo /257/ egiziano, e lo stesso Monsignore da dover abbandonare l’impresa. un’aviso importante Un piccolo regalo fatto al Governatore per tempo sarebbe stato più efficace che dieci consoli Generali, e dello stesso governo egiziano. I governi arabi dei paesi lontani vanno presi in questo senso altrimenti [non] se ne fa nulla.

conseguenza della questione Quella questione produsse delle freddure grandi trà la missione ed il governo di Massawah. In queste posizioni militari di terzo ordine, nei luoghi lontani, in quasi tutti i paesi dell’impero mussulmano dove il governo per lo più è sempre militare e quasi arbitrario, lo stesso commercio delle cose più essenziali, come pane, carne, butirro, [p. 56] animali di trasporto, e simili, sogliono andar soggetti ad un monopolio brutale, per il quale la persona che ha famiglia, oppure grandi affari, è come costretto [a] passarsela bene cogli agenti del governo, lasciando anche correre qualche regalo, altrimenti si esporrebbe al pericolo di mancare delle cose più necessarie, come occorreva alla missione qualche volta di non trovare ne carne ne butirro, perché tutto [era] sequestrato dal governo. Io trovandomi bene col governo, ho avuto sempre tutto ciò che mi occorreva, e più di ciò che mi occorreva. Vedendo che la missione mancava ben soventi di carne, soleva tenere in Umkullu una quantità di pecore con un guardiano, e la missione mandava a prendere [l’occorrente]; quando sono partito ne ho lasciato loro una grande quantità. Tutti i riferiti dispiaceri, ed altri, che mai [non] mancano ad un superiore di missione, morte di monsignor Bel
[1.3.1868]
abbassarono tanto il fisico ed il morale di quel uomo, che quando arrivò a conoscere bene le cose del paese, e la lingua di esso, da poter dire in qualcheduna delle sue lettere ultime da me ricevute in Scioha = oggi incommincio [a] conoscere la sublimità del sistema di Dejacobis = si trovava agli ultimi giorni della sua vita, e pochi mesi dopo il Console Mussingher fù quello che mi annunziò la sua morte avvenuta in Alessandria in viaggio.