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2.
La fortezza di Fekeriè-Ghemb. A Liccè:
prima udienza di Menelik re dello Scioa.

Camminammo più di due ore fra quella machia foltissima per una strada orrida, e salita quasi impraticabile. Io, debole e spossato dal viaggio, stava quasi per cadere dal mulo [p. 260] e sostenuto solamente dagli uomini di Ato Walde Ghiorghi [10.3.1868] con gran pena ho potuto arrivare alla prima porta della fortezza di Fekerie Ghemb, dove abbiamo fatto il pranzo. porta estere con fortificazioni Se con noi si fosse trovato un’ingegnere del genio militare nostro avrebbe certamente riso nel vedere il sistema di fortificazione della porta di una fortezza, come fortezza: come però riparo di un’accampamento provisorio nostro potrebbe avere anche qualche cosa d’interessante; Una gola fra due creste di montagna tagliata da una macerie di uno spessore e di una altezza sufficiente, costruita di pietre e di legni trasversali, i quali all’interno servono di legature per la solidità del lavoro, e nell’esterno con certe punte taglienti da impedire l’assalto, con in mezzo la porta d’ingresso sostenuta da grossi travi. Ecco un’idea della fortificazione in questione. La porta dove noi siamo entrati era la porta della fortezza detta di Ankober. Nel versante a ponente della gola medesima si trovava una seconda fortificazione simile con un altra porta detta di Liccee.

Frammezzo [al]le due porte esterne sudette esisteva un piccolo spaccato con un ripiano, luogo dei soldati custodi delle due porte, là è il luogo, dove noi abbiamo fatto il nostro piccolo pranzo dentro una capanna, e ci siamo riposati circa due ore. In questo tempo Ato Walde Giorchis [p. 261] particolarmente incaricato dei lavori di quella fortezza antica, ma come stata abbandonata, mi fece vedere tutti i lavori già fatti, e gli altri ancora da eseguirsi, come le fuciliere da scavarsi in circuito nella viva rocca dirette contro un’assalto: un mio criterio circa quelle fortificazioni cosa ne dice? mi interrogò [il Madabiet:] pare a Lei che sarà abbastanza forte per assicurare il nostro giovane Re in caso venisse Teodoro? Io mi son fatto mona- /16/ co a 15. anni, epperciò non me ne intendo, risposi io, tuttavia mi pare che per un’armata del paese possa essere sufficiente; la sola machia foltissima esistente in circuito a gran distanza impedirà sempre un’armata ad avvicinarsi, senza prima aprirsi una strada, cosa non tanto facile, perché la forza interna contrasterebbe [il passo]. Chi avrebbe detto, che [feb. 1878] dodeci anni dopo Menilik facendo la guerra con Giovanni, io doveva trovarmi in quella fortezza rifugiato con tutti gli europei, anche [con] gli stessi missionarii protestanti?

interno dellafortezza Dopo ciò partimmo, e passati [per] la porta interna, anche questa meglio ancora fortificata delle esterne, allora solamente abbiamo potuto dire, siamo nella fortezza di Fekerie ghemb, la quale è un vero paese equivalente ad una mezza provincia, la quale conta qualche centinaia di famiglie colle loro proprietà, e direi quasi con delle leggi particolari [p. 262] delle quali dovrò parlar[ne] quando avrò fondata in essa la missione in due luoghi. Dalla porta interna alla città reale, che si stava costruendo, io camminando adagio vi ho messo circa un’ora. arrivano gli ordini e i muli del re. Arrivati a Fekerie ghemb speravamo [di] potervi passare qualche giorno per rifarci un tantino dal viaggio, ma fu un’inganno, perché la sera stessa arrivò da Licceè una comitiva di giovani e di servi della corte cogli stessi muli del Re a prenderci con ordine di accompagnarci e custodirci, dicendo che il Re ci aspettava per l’indomani. partenza da Fekerè ghemb
[11.3.1868]
Ho avuto bel dire, ma non ci fu rimedio, passata la notte, nella quale avevamo sofferto un poco del freddo, l’indomani mattina, appena sortito il sole, tutto quel mondo era già in movimento, e si dovette partire.

ammirabili i muli ed i conduttori Il mulo del Re era un mulo ardito che non sapeva andare adagio, i giovani che mi sostenevano [erano] ancor più arditi del mulo; io temeva, non solo per me, ma per i giovani stessi, i quali per sostenermi erano obligati a camminare aggruppati intorno al mulo; mi pareva ogni momento di dover cadere, o che dovessero cadere i giovani, ma sia da attribuirsi alla qualità del mulo particolarmente ammaestrato, ossia anche ai giovani accostumati a simili accompagnamenti, fatto sta [p. 263] che si camminava molto bene, e molto velocemente: [nel]la discesa della fortezza sino al basso nel fondo della valle che la separa dal monte Emavrat e di Condy, che sono le più grandi altezze del regno di Scioha; orride strade, orridi precipizii come pure [sul]la salita di questa esistono dei passi tremendi, nei quali pareva impossibile che il mulo potesse tenersi in piedi; per sopra più in certi luoghi a lato del sentiero [osservavo] dei precipizii spaventevoli che mi facevano girare il capo al solo vederli; in simili luoghi io gridava pietà, affinché mi lasciassero discendere, ma i miei giovani se ne ridevano; essi a lato del mulo, all’orlo dei precipizii se ne /17/ correvano, come se nulla fosse, senza punto lasciare o ralentare un sol momento dal sostenermi. Ciò che più mi umiliava, e mi obligava a star quieto, era il vedere come essi, quasi senza compagnia, ora avanti, ora dopo di me se ne andavano a mulo tutti [e] due allegri, come fosse stata una strada piana. Bisogna convenire che il mulo abissino bene ammaestrato sono un portento, com[e] lo sono anche i palafrenieri.

il monte Emavrat, le perpetuelle, e le ampole
Helicrisum M.P.
In meno di due ore siamo discesi dalla fortezza, passammo sotto [ad] Emmavrat, e siamo montati a Condy. Girando il nord-ovest intorno alla montagna di Emmavrat, nei boschi che lo circondano [p. 264] si trova la perpetuella bianca, fiore cognito anche nei nostri paesi, il quale sboccia [poi] secca, e si conserva in quello stato anche degli anni; in detto luogo e come una pianta ordinaria fra quei boschi, all’altezza di circa tre mille mettri sopra il mare. Nello stesso luogo si trovano le ampole (dette in francese framboise) molto migliori e più grosse di quelle dei nostri giardini; anche queste [sono] una produzione spontanea di quel suolo. La montagna Emavrat nella sua base si unisce colla catena che termina a levante colla [colla] fortezza di Fekerie ghemb; a ponente termina colla gran catena di Condy; nel punto che io soleva chiamare delle perpetuelle, Emavrat si separa da Condy e prende una personalità a parte, si alza per diventare l’altezza dominante di tutti i contorni, e dominare sull’orizzonte dell’alto piano etiopico a levante.

Condy, sua altezza e sua storia Lasciato Emavrat noi siamo montati a Condy, luogo parimente dominante dopo il sudetto Emavrat. Condy è niente altro che un punto elevato della gran catena che manda a ponente le aque al Nilo, ed a levante le dirigge verso il golfo arabico. Questa stessa catena dal nord al sud è la linea più alta dell’alto piano etiopico. Condy è un punto elevato di questa catena, la quale nella storia di quel paese ha dato origine al regno di Scioha; prima di Ankober era la città degli antenati del Re Menilik, [p. 265] alcuni dei quali hanno il loro sepolcro a Condy, dove attualmente non vi resta che una Chiesa rispettabile sotto questo [questo] riguardo. origine del regno, suo progresso All’Sud-ovest a qualche kilometro di distanza esiste un muro colossale, che dal Nord al Sud difendeva questa città dall’assalto dei Galla indipendenti che dominavano al di là di questo muro o macerie. [1813-1847]
[giu. 1883]
orizzonte di Condy
L’avo di Menilik Selasalassie aveva già esteso il suo regno sino a Finfinny o Antotto. Oggi l’armata di Menilik è già arrivata sino a Kafa quasi un grado e mezzo più al Sud. Condy a levante presenta un’orizzonte limitato solo dalla debolezza dell’occhio, e che arriva sino al mare; a ponente si estende sino al Gogiam, sino ai Galla di Ennerea, e più al Sud sino a Kafa. Noi da Condy vedevamo la città di Liccèe in un piano undeggiato di colline molto più basso di Condy, /18/ dove avevamo fatto un’alto di circa un’ora per gustarvi qualche cosa, di dove poi, partiti, siamo arrivati a Liccèe verso mezzo giorno.

nostro arrivo a Liccèe
[11.3.1868]
Arrivati a qualche kilometro dalla città di Menilik, ed in vista della medesima abbiamo trovato tutti i Gabbar portatori del nostro bagaglio, accompagnati dal procuratore del Re risponsabile di esso, che ci aspettavano. Là si fece alto, ed un cavaliere dei nostri andò subito dal Re ad annunziare il nostro arrivo, ed in un quarto d’ora venne l’ordine di progredire. Prima di noi camminavano i portatori del bagaglio [p. 266] in gran fila, e dopo di essi eravamo noi, accompagnati da Ato Walde Ghiorghis da una parte, e dal Procuratore del Re dall’altra; dietro di noi seguivano molti giovani a cavallo. panoramma della città reale Dopo alcuni minuti di cammino si presentò in tutta la sua estensione il panoramma della città reale imponente nel suo genere; sopra un monticello circondato da muro un’immenso recinto con forze un centinajo di case di ogni dimensione, ma tutte di costruzione consueta nel paese, ma divise per lo più da muro in diversi quartieri presentava la città del Re Menilik. Intorno a quella poi [c’era] un raggio di un kilometro almeno di case di tutte le categorie, alcune di gran lusso indigeno con grandi cortili, e poi altre di tutte le grandezze, con fremmez[zo] una nuvola di piccole capanne, ed anche una quantità di tende per lo più dimora dei forestieri distinti di recente venuti.

entrata nel recinto reale
[ore 15,15]
Appena entrati nella città [vedemmo] una calca di mondo, accorso alla novità, sempre crescente a misura che ci innoltravamo, la quale appena ci lasciava lo spazio per passare. Entrati nel recinto reale della vera città, si presentò ai nostri occhi un’immenso cortile anche pieno di gente, ma senza case, luogo dove rimangono gli uomini di servizio cogli animali da sella, o da carico, quando il loro padrone è introdotto più nell’interno. si passano diverse porte Passato questo, si entra per una porta custodita, [p. 267] la quale ci introdusse in un’altro cortile, anche molto vasto detto dei Wamber, ossia giudici, dove sono discusse le questioni di appello venute dalle estremità del regno; anche questo era pieno di mondo curioso. Dopo questo siamo entrati [per] una terza porta custodita, la quale introduce in un vastissimo cortile, nel quale esiste una immensa casa con tavole, dove il Re suole dare [d]a mangiare in certi giorni alla sua corte, ed alle persone che vi sono introdotte. Intorno a questa gran casa esistono altre case grandi, tutti depositi di pane e di diversi altri generi comestibili coi loro rispettivi costodi. arriva la parola del re Appena entrati in questo cortile, invece di essere introdotti nel quarto cortile, dove risiede il Re, viene a noi il Signor Mekev, ci da il benvenuti per parte del Re, voi siete molto stanchi, ci dice, andate nella vostra casa, mettete in ordine il vostro /19/ bagaglio, e gustato che avrete qualche cosa, ci vedremo più liberamente quando tutto il mondo sarà ritornato ciascheduno in casa sua.

si va per la via secreta Ciò detto, abbiamo lasciato a diritta la porta che ci avrebbe condotti al Re, il Signor Mekev con Ato Valde Giorghis ci condussero per una via secreta, e passati in mezzo ai granai, dopo nel cortile delle macine e della farina, dopo in quello della birra, dopo [in] quello dei forni (ben inteso forni del paese non europei), dopo nel cortile delle pietanze, ossia cucine, [p. 268] dopo il quale attraversammo ancora il cortile dei cavalli e dei muli di lusso, passato il quale siamo entrati nel cortile nostro attiguo a quello di Ato Walde Ghiorghis. entrata in nostra casa Entrati nel cortile nostro, trovammo là il procuratore risponsabile con tutti i gabbar portatori in ordine per darci conto del bagaglio loro consegnato; ciò finito, e segnata la ricevuta per discarico del Procuratore, noi siamo entrati nella nostra casa, dove ci aspettava il pranzo venuto dalla corte. Vedendo che vi era una buona provista di birra e di idromele, ho mandato un piccolo pranzo con birra ed idromele ai portatori del bagaglio, col mezzo dello stesso Procuratore nel cortile, e poi ci siamo posti a pranzo.

abbiamo assestata la casa Passato il pranzo, la prima cosa che ci stava a cuore era di ritirare tutte le casse dal cortile esterno in cui erano ancora. I portatori erano ancora là, di buon umore, per avere trovato il loro pranzo, e ci avrebbero ajutati. La casa era grande, ma in proporzione non era abbastanza grande. Per il momento [i bagagli] furono trasportati in casa, e se ne fece un mucchio. nuovi lavori, si aggiungono tende. Ma poi Ato Walde Ghiorghis vidde egli stesso il bisogno di fare una dispensa in un’angolo per togliergli dalla vista di tutto il mondo. Sul momento fece venire gli operai, e con dei legni e delle canne della stessa [sera l’operazione] era già finita. Come con ciò [rimaneva] la casa [p. 269] rimaneva ancor più ristretta, sul momento fece venire due tende, una fu collocata nel recinto esterno, la quale avrebbe servito per qualche forestiero; la seconda fu posta nel piccolo recinto interno, che potesse per il momento servire come [di] sfogo per noi, fino a tanto che si fosse pensato ad ulteriori lavori. Il Re ci lasciò liberi per quella giornata, onde lasciarci il tempo per sistemare la nostra casa. Ato Walde Ghiorghis, essendo come Padrone ebbe ordine di assisterci con tutte le facoltà di dare e far fare ciò che occorreva per noi; egli non ci abbandonò più fino a tanto che [non] fummo ben sistemati. Anzi debbo confessare che questo uomo fu sempre un grande nostro amico e patrono per 12. anni, fino all’ultimo giorno della nostra partenza, sempre costante nella sua amicizia sino all’ultimo giorno.

[12.3.1868] L’indomani mattina, se non erro, 6. Marzo fu il giorno del nostro primo incontro col Re Menilik. Levatosi egli prima dell’ora consueta, egli /20/ stesso in persona fece ornare la sala così detta del Belvedere, perché unica in secondo piano, dalla quale si può vedere tutto l’interno del suo gran recinto; siamo chiamati dal re
[ore 9,30]
alle otto [di] mattina già il Signor Mekev era da noi a chiamarci, noi eravamo ancora impreparati, attesa la difficoltà di poter trovare le nostre vesti ed alcuni oggetti [p. 270] da presentargli, non convenendo, secondo l’uso di quei paesi presentarsi la prima volta ad un principe qualunque colle mani vuote. Il Signor Mekev ci faceva premura, adducendo che il Re già ci aspettava; epperciò si fece come si poté: vi andammo vestiti alla bella meglio e lasciando certi regali più importanti, perché troppo lontani in certe casse che non eravamo commodi di aprire. nostra visita [di un’ora] al re; sue parole Vi andammo dunque passando per la medesima strada secreta fatta il giorno avanti, e [e] difatti trovammo il Re che già ci stava aspettando nella sala del belvedere tutto solo. Io, disse ho voluto ricevervi qui, per essere tutto solo con voi; resterà con noi il solo Mekev, il quale conosce tutte le cose nostre e vostre. Bene per vostra Maestà, risposi io, e bene anche per noi; presso di noi un proverbio dice, che la casa dove non vi è segreto è destinata a perire.

il re parla della guerra Ciò posto, egli incomminciò a domandarci notizie del nostro viaggio, e noi abbiamo risposto coi complimenti di uso. Finiti che furono tutti i complimenti che ognuno può imaginarsi senza che io gli scriva, tanto più che egli aveva già sentito ogni cosa dal Signor Mekev, egli stesso passò subito a parlare dell’affare degli inglesi, affare che più di tutti gli altri gli interessava in quel momento. si leggono le lettere inglesi [2 lettere: ott. 1867; 6.12.1867] Mekev mi ha rimesso le lettere che voi sapete, [p. 271] disse il Re, e voi dovete leggermele; ciò detto mi consegnò le lettere, le quali furono poi lette dal P. Prefetto, ma Mekev mi dice che voi avete qualche cosa da dirmi in particolare per parte del Residente di Aden [ripigliò il re]: noi venendo nel vostro paese non veniamo per conquistarlo e dominarlo, ma veniamo unicamente per prendere i nostri fratelli, dicevano le lettere, noi non domandiamo il vostro ajuto, ma vi avertiamo di non battervi con noi in favore di Teodoro, altrimenti il caso sarebbe diverso. Noi non cerchiamo il paese, ma cerchiamo Teodoro; se questi fuggirà verso di voi non ricevetelo, e se lo ricevete dovete consegnarcelo. Questo era poco presso il contenuto delle lettere, e direi ancora delle raccomandazioni verbali del Residente di Aden. Questi poi raccomandava a Menilik di custodire le sue frontiere, onde impedire che Teodoro non entrasse nel suo regno, perché altrimenti essi avrebbero dovuto seguirlo.

interrogazioni del re.
una mia risposta ad una domanda del re
Lette che furono le lettere, e riferite che furono le raccomandazioni verbali, allora Menilik, cosa ne dite voi, mi disse, credete voi che gli inglesi saranno vittoriosi? Se l’Abissinia non prende le armi contro gli /21/ inglesi la questione sarà presto finita, risposi io, ma se l’Abissinia [p. 272] prenderà le armi contro gli inglesi, allora la questione sarà più lunga, ma gli inglesi finiranno per vincere certamente. Oggi, rispose Menilik, Teodoro in tutta l’Abissinia non ha più amici, chi prenderà le armi per ajutarlo? Io stesso, riprese il Re, sono in guerra con lui, perché mi cerca a morte come fugitivo, e certamente [che] non lascierò di custodire le mie frontiere. Quando è così, risposi io, voi vedrete che la questione sarà presto finita. Ciò detto si cangiò discorso e si passò agli affari nostri. Voi sapete, ripresi io, che io vi ho scritto pregandovi di lasciarmi passare per il vostro paese per recarmi alla mia missione dei Galla fuori del vostro regno, e voi mi avete risposto di sì; io non sono venuto per rimanere in Scioha, come sapete; dunque mi raccomando di presto mettermi in libertà. una risposta ambigua del re Presentemente pensate a riposarvi, lasciate passare la Pasqua e la guerra, rispose egli, e poi ci penseremo. Io era ancora mezzo ammalato; il re ebbe compassione nel vedermi colla bocca piagata e smunto, [e] con mille proteste di affezione ci congedò.

la spedizione militare
[18-19.3.1868]
Appena sortiti noi, entrarono i suoi vecchi consiglieri, coi quali il Re passò quasi tutta la mattina, e come credo, deliberarono la spedizione verso Magdala; a mezzo giorno già si batteva il nagarit, [p. 273] ossia il gran tamburro che precede l’annunzio di qualche publicazione, e non tardammo a sentire publicata la spedizione suddetta. Era allora la seconda settimana di quaresima, e la spedizione a metà Quaresima abissina era già arrivata al suo destino coll’istruzione di unirsi alle truppe di Workitu, la principessa che [30.6-1.7.1865] aveva favorito Menilik nella sua fuga da Magdala. La spedizione del Re Menilik rimase fra i Wollo sino alla Settimana Santa abissina, e [non] sentendo nessun segnale dell’arrivo dell’armata inglese, se ne ritornò [Pasqua abissina: 12.4.1868] per la Pasqua; perché, come si diceva, i soldati cristiani non vollero passare la Pasqua in un paese musulmano. Noto questo, perché in seguito il governo inglese si lagnò del Re Menilik, per non essersi trovato alla loro venuta. Ciò sia detto per ora, perché il resto sarà narrato a suo tempo.