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16.
Il «curate infirmos» evangelico.
La medicina in terra di missione.

mi occupo del ministero Sbrigato intanto io dalle sollecitudini temporali, io poteva attendere con maggiore libertà alle cose del mio ministero. Così ho potuto organizzare la mia scuola dei giovani, cosa importantissima per l’avvenire della missione, ed ho potuto anche occuparmi degli ammalati che venivano da lontano, [p. 493] segnatamente per l’inoculazione del vaivolo, occupazione che io aveva quasi totalmente abbandonato in Liccèe, come luogo che non si prestava, trovandomi io là nell’interno della casa reale, dove il publico non poteva intervenire per la moltiplicità delle porte che mi separavano dal popolo. il curate infirmos del vangelo La parola del nostro Signore agli apostoli[:] curate infirmos doveva intendersi principalmente delle infermità spirituali, come la risurrezione dei morti operata da Cristo stesso, al dire dei Santi Padri, doveva intendersi dei morti di morte spirituale operata in molto maggior numero. Tuttavia la storia stessa evangelica non esclude la cura degli ammalati di malattia corporale, come la risurrezione dalla morte corporale anche operata dal divin maestro in minor numero. Il missionario pertanto, a misura che può, non deve dimenticare anche questa parte di ministero secondo le circostanze più o meno favorevoli.

cura delle infermità corporali Questa parte di ministero apostolico che riguarda le infermità corporali ha un’importanza che merita di essere considerata sotto varii aspetti. La prima importanza che riguarda la cura degli infermi dalle infermità corporali, è quella di essere una gran lezione pratica e vivente della carità evangelica verso il prossimo. Altro è predicare la carità colla sola parola, altro è predicarla coll’esempio, cioè praticarla. Il primo soggetto della carità evangelica è soccorrere il nostro fratello nei bisogni [p. 494] personali della vita. il medico primitivo Il popolo nelle sue infermità corporali ha cercato sempre in prima linea il sacerdote, motivo per cui il sacerdozio è stato considerato sempre la culla della medicina. Io stesso fra i galla ho veduto questa gran verità: i loro medici sono i maghi, che tengono luogo di sacerdoti. L’uomo che per un principio di legge naturale riconosce la /144/ sua esistenza da Dio creatore quando è sano, molto più la deve riconoscere quando è ammalato, e ricorre a lui, non tanto come sapiente, quanto come uomo tenente le veci di Dio padrone [della vita]. Difatti i miei galla cercavano da me la medicina come un talismano. Ora nostro Signor Gesù Cristo, il quale in tutte le cose cerca il perfetto secondo la natura del uomo, nel gettare i primi lineamenti del suo sacerdozio non ha voluto dimenticare anche questo punto. Egli come Dio per puro amore ci ha creati, guariva gli ammalati per miracolo per un principio di carità. Onde il curate infirmos, se mal non mi appiglio, sia che si facia per virtù divina comunicata ai suoi apostoli, sia ancora che si facia con [con] medicine naturali, deve essere sempre una manifestazione di questa carità divina.

il missionario medico L’apostolo di Cristo perciò non lavora fuori del suo campo quando esercita la medicina, egli lavora nel campo della sua missione come una manifestazione della carità divina, quella stessa carità che ha mosso Iddio a crearci, lo move anche a guarirci infermi, sia che operi [p. 495] per virtù diretta per miracolo, e sia ancora che operi col mezzo di un’agente naturale che noi chiamiamo medicina. Quando questa manifestazione della carità divina come atto morale è più perfetta è il caso del miracolo anche a nostri giorni. il medico diventato ateo La medicina divenuta arte separata dal sacerdozio, per un’eccesso di orgoglio, divenuta positivista ed atea a segno di non voler neanche più credere possibile il miracolo, e rifiutarsi di riconoscerlo legalmente contro l’evidenza quando Iddio l’ha operato, oh allora possiamo dire con tutta franchezza che essa è sortita dal campo della sua missione, Iddio lascierà di benedirla, ed arriverà al punto di perdere la publica fiducia; i popoli ritorneranno al loro stato primitivo staccandosi affatto dai medici, perché divenuti veri ciarlatani. Questo nome di ciarlatano dato ai medici nei giorni nostri in proporzioni sempre crescenti, secondo il mio parere, è perché la medicina dei nostri giorni, vestitasi di mille formalità, è sortita dal campo della sua missione divina, che vale a dire, è divenuta ladra, ed apostata.

Io sono entrato in questa questione per giustificarmi, se mai venisse il ticchio a qualcheduno di rimproverarmi di essere entrato nel campo altrui, col[:] Es. 2:14 M.P. quis te constituit medicum[?], avendo esercitato la medicina senza la formalità della laurea e della patente. Posto che sono entrato in questa questione, debbo finirla: [p. 496] progetto di far venire un medico d’Europa Io trovandomi stracarico del ministero materiale per l’esercizio della medicina, arrivata al punto da impedirmi in parte il sacro ministero apostolico, ho de[si]derato sempre la venuta di un medico europeo; lo stesso Re Menilik l’avrebbe desiderato, ma dopo alcuni forti dispiaceri avuti da qualche europeo /145/ avrebbe voluto che io lo facessi venire, e che io ne rispondessi di lui. Se io avessi fatto un solo passo per farlo venire, i giornali avrebbero parlato, e forze si sarebbe sollevata una vera voglia di venire in molti; certamente che un buon medico con una riputazione ed una condotta fatta, non avrebbe pensato a venire, ma chi sarebbe venuto? qualche medico spostato, forze senza morale e senza fede con speranze imaginarie di far fortuna. Ma io che conosceva il paese mi sono spaventato per timore di tirarmi sulle spalle altri Verdier, che già tanto mi fastidiava, colla differenza che quello era stato chiamato dal Re, mentre questi sarebbe stato chiamato da me, ed avrebbe avuto delle pretenzioni sopra di me; epperciò ho abbandonato l’impresa.

Ma supponiamo ancora che questi miei timori fossero esaggerati, sarebbe stata ella una fortuna la venuta anche di un buon medico? La questione [essa] è troppo interessante per gli stessi europei, epperciò merita di essere esaminata a fondo. Un medico anche mediocremente [p. 497] buono avrebbe egli fatto fortuna? Sarei stato io fortunato d’averlo fatto venire? il medico in Europa In Europa una volta laureato e riconosciuto, egli riposa tranquillo all’umbra della legge ancorché commettesse dei sbagli madornali nella cura degli ammalati da seguirne anche la morte, come suole accadere ben soventi; la sua paga non mancherebbe, il medico perderebbe qualche avventore spontaneo, ma la nostra società è talmente educata, che ha bisogno della visita di un medico anche nel caso di dover morire; al medico poi [non] mancherebbe mai una posizione o nella truppa, o presso i municipii, dove l’opinione è meno calcolata, e dove è calcolata la sua presenza officiale, più per legittimare la morte, che per salvare la vita dell’ammalato.

il medico in Etiopia Ora nei paesi barbari la laurea e la patente [non] serve più a nulla, la scienza stessa non è una risorsa: là un gran medico può essere soppiantato da un mago; una cura mal riuscita basterebbe per gettare nel fango un grand’uomo non ancora entrato in possesso dei cuori e della publica opinione. alcuni fatti in prova
[† fine 1860]
Un certo Bogo Sau stato domestico del Signor Bel inglese, dopo la morte del suo padrone, ha voluto fare alcune cure di [mal] venereo colle poche cognizioni avute dal suo Padrone; si era già fatto una certa clientela nei contorni di Gondar, e volle venire in Scioha sperando di far di più, ma disgraziato nella prima cura che fece, dovette ritornarsene subito al suo paese. Lo stesso arrivò ad un missionario protestante [p. 498] in Ankober; trovandosi egli con moglie e numerosa famiglia, non bastandogli la pensione come missionario ha voluto tentare di fare alcune cure per migliorare la sua posizione: fu disgraziato nella cura che fece di un’alaca di Devra Bran, il quale gli morì. Tanto /146/ bastò per dover cessare di fare il medico, e senza la sua pensione avrebbe dovuto ritornarsene al suo paese. La ragione è chiara, l’indigeno etiopico cercando la medicina nelle sue infermità è guidato piutosto da un principio sopranaturale, e la sua confidenza è ataccata più al prestigio della persona del medico, che non alla sua scienza, o alla virtù fisica e naturale della medicina che gli dà. A questo proposito giova sapere alcuni usi che provano ad evidenza una tale verità. Per esempio, è frequente l’uso, fra i musulmani principalmente, di scrivere un testo qualunque, o del corano, o del Vangelo, oppure anche arbitrario, sopra un pezzo di pergamena, e poi lo da come un talismano, oppure, lavato il pezzo scritto con un poco di aqua, lo da a bere. Io stesso avendo dato una dose di emetico ad un’ammalato, mi sono preso la pena disegnargli il modo di prenderlo; sortito da me gettò via l’emetico, e si legò il pezzo di carta al collo.

speranze di un medico.
quali?
Dopo queste ed altre storie quasi infinite che potrei addurre, cosa di certo potrà sperare un medico, anche di gran merito, venuto di Europa con grandi speranze di far fortuna? non aveva ragione io di spaventarmi di prendere sopra di me l’affare [p. 499] della sua venuta dall’Europa? Io povero missionario cattolico con dieci e più case da mantenere, con gente sempre in viaggio dalla parte dell’Europa, dalla parte del Gudrù e di Kafa, obligato a far lavorare la terra per vivere, poteva io rispondere per le spese di viaggio? le liberalità di un principe abissino Supponendo anche che il Re Menilik avesse contribuito, come difatti non avrebbe mancato, il Re Menilik non è come un Re, o governo d’Europa, con dei gran millioni. Esso è ricco di bestiami e di prodotti indigeni in natura, può largheggiare nel dar da mangiare, ma in materia di denari ciò che può dare sono piccole somme in proporzione delle grandi speranze concepite da un’europeo venuto dal suo paese per far fortuna. Il Re Menilik in materia di denaro, tutto compreso, non può arrivare ad un millione di scudi il suo prodotto. Con ciò egli è obligato a dare tutti i giorni piccole somme; è obligato a fare spese notabili per procurarsi delle armi, ed altri oggetti venuti d’Europa. Quando egli ha dato una somma di cento scudi, o poco più crede di aver dato molto.

Se un medico, una volta arrivato in Etiopia, avesse potuto sperare di far fortuna colla sua professione, allora io stesso mi sarei adoperato, anche con qualche sacrificio, per farlo venire, ma la sua riuscita era troppo incerta. il medico etiopico In Etiopia la società toto cœlo distat dalla nostra società europea; essa ha altri usi, altri bisogni, [p. 500] in essa l’uomo nasce, vive, e muore senza ricorrere a medici, pago di alcune medicine alle quali è accostumato, come è accostumato al pane; tale è il quassò per il tenia; /147/ esso non ricorre al medico, che nei casi estremi, e vi ricorre non per avere una medicina materiale, ma sopranaturale, come noi quando ricorriamo ai Santi, per ottenere una grazia, oppure un miracolo. Il medico etiopico non è una persona di studio, ma una persona che si spacia per posseduto da qualche spirito, e fornito di un potere al di là delle forze naturali, ed è questo, e non altro che cerca l’abissino. Ora mi si dica[:] quale risorsa rimane alle speranze di un medico che cerca fortuna fra gente simile?

una mia risposta definitiva Per giustificarmi pienamente dalla taccia che mi gravita sopra le spalle, d’aver io impedito l’esecuzione del progetto di chiamar medici europei al regno del Re Menilik (1a) mi rimane ancora una risposta per finirla in questa questione. Alcuni avventurieri, di quelli che forze avevano fatto naufragio nel mare borrascoso della nostra povera Europa, oggi seminata di scogli, e di volcani sotto marini, di passioni che mettono il terrore nel mare del gran mondo. Questi vagheggiando nel chiaro oscuro della notte la nostra Etiopia, come porto di salute per loro: il Vescovo Massaja, dicevano lagnandosi, ha fatto fortuna facendo il medico; perché non possiamo tentare anche noi? La risposta è molto netta e breve: voi non potete tentare prudentemente una simile impresa, perché non siete un missionario cattolico, ed appunto per questa ragione voi siete lontano da me più di quanto distano i due poli fra loro. [p. 501] certamente questa proposizione sembrerà un paradosso a chi mi legge, eppure è chiarissima ne per persuadersene ha bisogno di seguirmi nell’Abissinia troppo lontana; nella stessa nostra patria, ed in questi stessi giorni di progresso rifletta alla condizione del povero Prete, perseguitato, spogliato, calunniato e disprezzato alla peggio. una supposizione Supponga ancor per un momento questo stesso prete, dopo essere stato maltrattato alla peggio nella giornata da un scapestrato di piazza, egli nel ritirarsi la sera tutto tranquillo si imbatte nel suo nemico, il quale pentito e convertito gli domanda di confessarsi. Ora questo nostro bravo prete cosa farà egli? penserà forze a domandargli una ritrattazione o riparazione? egli invece gli cade al collo, lo abbracia, ed il momento di averlo amministrato [del sacramento] e rimesso al bacio di pace col suo Dio, è per il povero Prete un momento di vere nozze. Oggi il caso è frequentissimo e non è più supposizione.

la mia fortuna quale? Ora ritorniamo di un passo verso il caso nostro, ed il mio lettore domandi a questo stesso eroe di pazienza cristiana, se non si sente chiamato allo stato di missionario dell’Africa? ah vorrei bene, egli vi risponderà, ma è quella una vita di sacrifizio tale, per la quale ancora non mi sento il coraggio. Dopo una simile risposta sarà più facile a me di rispondere dicendo: Sì io ho fatto fortuna, e non vi dico ancora per quale via, ed a quale prezzo, solamente vi dirò che il tesoro trovato da me [p. 502] forze non corre nella vostra banca; nel senso vostro, voi giocate per guadagnare, ed io giuoco per perdere; io corro per guadagnare delle anime a Cristo per la via del calvario, mentre forze voi ancora non pensate alla vostra. Eccovi spiegata la distanza dei due poli, tra il missionario cattolico e l’avventuriere calcolista, che vi sembrava un paradosso. Mi resterebbe ancora a dire con quali mezzi, e per quale via sono potuto arrivare alla colossale fortuna immaginata dall’amico in discorso, con quale prezzo l’ho ottenuta, ma la storia sarebbe lunga; d’altronde il lettore o già la [ha] letta precedentemente in questa stessa storia, oppure la leggerà nella storia avvenire; in modo speciale in quella dell’ultimo mio esilio, quando si faranno i conti col mio Padrone.


(1a) Alcuni credendomi arrivato all’apogeo di una fortuna colossale nel regno di Scioha, arrivarono a scrivermi lettere poco rispettose, supponendomi dominato da uno spirito di monopolio, come se io non volessi vedermi accanto un rivale nella divisione dei tesori e delle immense fortune che avrebbero fatto, non solo medici, ma ancora artisti, e commercianti. [Torna al testo ]