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30.
La colonia di Rasa: topografia e fauna.
Atti civili e religiosi di possesso.

riprendo la storia della colonia di Ràsa Posto che ho parlato dell’Awasch, fiume che, come già è stato detto, scorre all’est di Ankober nei paesi bassi, alla distanza di circa dieci miglia da detta città reale, e circa otto miglia dal gran mercato di Ellio amba, debbo riprendere la storia già incomminciata sopra, della colonia di Rasa. principio della colonia di Ràsa
[visita di Menelik: 30.5.1874]
Il mio lettore non dimenticherà la storia del mio viaggio a Dinki, e la compra stata fatta dall’Abegaz capo dei musulmani del terreno di Rasa, quando fummo d’accordo di ottenerne l’approvazione [p. 738] [di ottenerne l’approvazione] del Re Menilik. Ottenuta che fù questa con tutte le formalità, stato comprato già a mio nome il terreno di Rasa fù dichiarato come terreno di proprietà della missione cattolica, ed esente da tutti i tributi di uso. In Decembre 1875., prima ancora che il Re approvasse la compra, il comitato cattolico da me formato, col permesso dell’Abegaz, governatore locale, era già disceso, ed aveva già formato un gruppo di capanne sopra una fortezza naturale, ed aveva fortificato il luogo in modo da resistere ad un piccolo attacco. Il re però aveva ordinato che l’Abegaz, accompagnato da tutti i suoi primarii impiegati, discendesse egli stesso a farmene la consegna segnando i confini del nuovo terreno. Io perciò sul fine di Gennajo dell’anno seguente 1876. sono disceso con intenzione di sistemare la colonia, passandovi almeno un mese; discesero allora tutti i coloni colle loro famiglie, ed ebbi la consolazione di vedermi circondato di una quantità di famiglie, almeno una trentina. Tre volte al giorno si radunavano poco meno di cento persone, cioè mattina e sera, ed a mezzo giorno, quando il sole era troppo ardente per i lavori. Le preghiere, i catechismi, e le conferenze si facevano con gran fervore.

villagio della colonia era una fortezza naturale Il luogo non poteva essere migliore per una colonia. Il villagio era sopra un[a] fortezza naturale, alta circa otto o dieci mettri sopra il piano del terreno coltivabile all’intorno; era inacessibile, non solo al uomo, ma anche alle bestie feroci, perché tutto all’intorno [p. 739] contava /290/ almeno quattro mettri di rocca pura a picco perpendicolare affatto inacessibile, meno dalla parte sud, dove [c’era] uno spazio largo circa 15. mettri di piano inclinato, il quale terminava col fiume Dinki. Il piano superiore della fortezza era quasi perfettamente orizzontale di rocca pura senza terra vegetale, perché lavata dalla pioggia; era abbastanza grande da poter contenere un villaggio, anche di 150. case con un piccolo spazio per ciascheduna. La figura del piano superiore della fortezza era in forma di cuore colla punta che si gettava nel fiume, per dove solamente la fortezza era acessibile. Nella parte acessibile era stato costruito in muro a secco all’altezza di tre e più mettri con una gran porta, la quale si chiudeva di notte, appena erano entrate le bestie dal pascolo la sera, e tutta la popolazione si era radunata. Sul piano della fortezza non vi era affatto vegetazione, meno un poco di erba in certi luoghi dove l’aqua poteva fermarsi; esistevano però pietre in quantità di forma piatta, le quali si prestavano molto per fabricare muri secchi; dico secchi, perché difficilmente si poteva trovare della terra per il fango. L’abbundanza delle pietre faceva sì che si trovavano facilmente insetti cattivi, come scorpioni sotto le pietre, ed anche piccoli serpenti velenosi, di modo che, prima di levare una pietra un poco grande bisognava aver l’attenzione, bisognava guardarsene, per non essere morsicato, come acadde qualche volta.

insetti e serpi In materia di animali e di insetti la colonia non era tanto fortunata. Da principio, che i nostri coloni non conoscevano ancora il paese, parecchi furono morsicati, principalmente da scorpioni, e da piccoli aspidi (1a), ma poi dopo, a misura che la popolazione si moltiplicò nel villagio, e si moltiplicarono i lavori, cessò [p. 740] [cessò] quasi affatto questo flagello nel villagio, e nei campi coltivati, ossia perché distrutti, ossia perché si ritirarono nei luoghi incolti più vicini. Furono morsicati, non solo uomini, ma anche bestiami; questi sono stati sempre morsicati, o nella bocca, oppure nelle mamelie; secondo [che] dicevano alcuni indigeni, sembra che alcuni serpi inclinino molto a succhiare il latte del camelo, della vacca, e della capra. Anzi un dankali custode delle vacche contò molte storie, che io credo superstiziose, ad alcuni dei nostri, dicendo che egli vidde molte volte dei grossi serpi quasi ritti a succhiare il latte /291/ dei cameli, delle vacche, e delle capre; che la camela, la vacca, e la capra stata succhiata dal serpe, era in venerazione fra loro, forze, diceva fra me, come gli antichi romani veneravano la lupa, come nutrice del loro padre. Non è da stupirsi, perché tutti i nomadi, chi più, chi meno, hanno tutti una venerazione per il serpente; molti degli stessi galla da me conosciuti, al serpente stazionario in casa, la sera prima di mettersi a dormire gli danno latte; per loro era come un’angelo tutelare. Non parlo delle formiche di ogni genere, delle quali i paesi kuolla sono innondati, come già ho detto altrove.

altre specie di animali La nostra colonia di Rasa poi era popolatissima di animali, sì notturni che diurni e di ucelli, anche di rapina. Fra gli animali diurni si vedevano soventi famiglie di [a] gazzelle, di daini, di cervi, e di piccoli caprioli, quasi sempre di passaggio nel mezzo giorno, quando i pastori e le mandre sono in riposo, essi in piccole famiglie] andavano al fiume per bere. I nostri coloni [p. 741] raramente potevano prenderne, anche col fucile; un buon fuciliere dei nostri mi assicurava, che gli era più facile amazzare un ucello al volo, che non uno [animale] di queste razze per la gran velocità dei loro corsi o movimenti; riusciva loro di prenderne qualche volta, aspettandoli in aguato nelle boscaglie vicino al fiume mentre bevevano. Poche scimmie di specie grossa, perché non vi erano grotte da rifugiarsi, ma moltissime di specie piccola, di quelle che rimangono ordinariamente sopra gli alberi; nelle vicinanze del nostro villagio si trovavano alcuni grandi alberi di tamarindi, dei quali io molto aveva raccomandato di raccogliere i frutti, ma le scimmie gli finivano. In tempo che i grani erano maturi, nei luoghi più vicini al fiume dovevamo custodirli, altrimenti gli finivano. Vicino al fiume si vedevano soventi cinghiali, e moltissime grosse tartarughe, le quali anche ci distruggevano i grani. Il commercio di queste in paese non era conosciuto, del resto sarebbero state anche una sorte; là la scaglia della tartaruga serviva come vaso ordinario di casa. Si sono veduti alcune volte asini selvatici, per lo più maschi misti coi nostri domestici al pascolo, ma arrivato l’uomo se ne andavano come fulmini. Si vedevano anche gli struzzi venuti da lontano per bere, ma non vi rimanevano, perché questo animale ama i luoghi più deserti.

Non parlo di animali feroci, perché la storia sarebbe troppo lunga; d’altronde già se ne è parlato altrove. Generalmente parlando gli animali feroci sono più miti nei paesi caldi, che non nei paesi freschi ed alti. il leone ed il leopardo Non passava notte che non si sentisse molte volte la voce del leone, anche vicinissima, ma questo [p. 742] animale [non] ha mai tentato di salire nel villagio di notte; si è veduto a preferenza di giorno insidiare le /292/ mandre, ma la sola presenza o voce del custode bastava per tenerlo lontano. Dicevano alcuni, che una simile paura del uomo era solamente nei luoghi, dove il leone ha sentito il fucile, non in tutti i luoghi. Gli animali domestici però temono il leone più degli altri animali feroci. Il leopardo all’opposto parecchie volte di notte è entrato nel villagio, ed ha preso delle capre. Il leone, come dicevano, anche minaciato non si irrita subito, e suole allontanarsi; non così il leopardo, esso minaciato si fa peggiore e si avventa al uomo. Questo animale nei paesi bassi e caldi è più piccolo di quello dei paesi alti, e pare anche di specie un poco diversa nel suo colore, per lo più molto più [il colore suo è più] spiegato nei paesi bassi. la jena ed alcuni avoltoi La jena dei paesi bassi è [grande] poco più di un cane: essa teme molto l’uomo, ma se trova pecore, o capre, asini sopratutto, ed anche muli, non la perdona, se non vi sono i guardiani. Vi erano poi in Rasa degli avoltoi in quantità, dei quali già si è parlato altrove. Una specie di avoltoi si vedeva soventi; questo stava sempre fermo sopra qualche albero in agguato, e veduto un sorcio, topo, o anche leppre si gettava sopra come un fulmine; la sua passione erano i serpi, lo prendeva per la testa e poi volava in aria e lo inghiottiva, come un napolitano di piazza inghiottisce un macarrone.

il fiume Dinki sino a Ràsa Per terminare il mio piccolo abozzo di storia naturale del luogo della nostra colonia di Rasa debbo dire anche alcune parole del fiume Dinki, quello che somministrava l’aqua potabile al nostro villagio. Il fiume Dinki, come già ho [p. 743] detto più addietro, raccoglie le aque delle altezze di ankober, ed ai piedi di detta montagna, al nord del gran mercato di Elioamba, nel luogo dove esiste la villa famosa dell’Abegaz, di cui già si è parlato, presenta già un bel fiume con una riviera deliziosa, di limoni, di trongò o cettroni, di banani, di canne [d]a zuccaro, e sopratutto di caffè, da meritargli il nome di Dinki, che significa[:] maraviglioso; più basso riceve ancora un’altro fiumicello al nord che gli porta le aque di Gurabela, e di Fekeriè ghemb, ed un’altro che discende dalla parte sud dell’istessa catena della montagna di Ankober; ben inteso le aque del versante est, perché quelle del versante opposto della montagna medesima hanno il loro corso verso il Nilo azzurro, epperciò proprietà del mediterraneo, mentre quelle dell’est sarebbero proprietà naturali del mare arabico. Il fiume Dinki adunque, arrichito di tutte queste aque, e di alcune altre che si aggiungono dalle sue rive naturali, diventa un bellissimo fiume con due rive richissime d’impiantagioni che lo rendono veramente ammirabile, come è chiamato, per tutta la lunghezza di circa tre kilometri, per arrivare ai paesi deserti. Egli arriva a Rasa in tutta la sua grossezza; nella gran piena conta anche un mettro e /293/ mezzo di altezza sopra sette o otto di larghezza; nell’estrema sua bassezza conta sempre ancora un filone con mezzo mettro di altezza sopra cinque di larghezza, da farsi rispettare dai passeggieri, quando è tutto radunato non diviso nel suo vastissimo letto molto irregolare.

Dopo Rasa, questo fiume deve percorrere ancora almeno altri dieci kilometri, tenendo sempre la sua direzione est per arrivare all’Awasch, quando gli riesce di arrivare, perché, passata Rasa, egli incommincia a diminuire, ed anche nelle piene ordinarie, [p. 744] quando esse non sono nodrite da lunghe pioggie, ma si perde in strada, o esaurito dall’evaporazione, molto abbondante nei paesi caldi, oppure come pare più probabile, lasciando parte delle sue aque ad alcune maremme, che non manca d’incontrare nel suo corso. i fiumi come seccano nei deserti Ho voluto notare questa circostanza, perché non è cosa propria solamente del Dinki, ma di tutti gli altri fiumi che discendono dalla catena di montagne, che da Ankober può dirsi che arriva sino al Tigrè, la quale forma il frontone a levante dell’alto piano etiopico, tutti questi fiumi si perdono nelle sabbie, e quasi nessuno arriva al luogo. Dalle altezze di Fekerie ghemb se ne vedono tre o quattro di questi fiumi, alcuno dei quali più grosso di Dinki, e tutti restano, a mezzo corso, ancora molto lontani dall’Awasce, dove sono diretti. Nel viaggio dal mare allo Scioha, arrivati in Mullù abbiamo messo il campo presso un gran fiume che veniva dal Sud, dalle altezze degli Ittu, e non si vedeva una goccia d’aqua, alcuni pozzi di pochi mettri scavati in mezzo al fiume trovavano una corrente di aqua potabile eccellente, che scorreva sotto gli strati di alluvione. Lo stesso caso arrivava in Umkullu vicino a Massawah. Così parimenti ho veduto dalla parte del Sennar. Non sarà sempre così dei fiumi nei paesi caldi e deserti; ad ogni evento questa avvertenza potrebbe essere utile alle carovane, ed anche alle armate per trovare aqua potabile.

Ritorno ora al fiume Dinki per terminare ancora [ancora] altre osservazioni prima di passare ad altri fatti sopra la storia della colonia in discorso. abondano di pesci Prima di tutto dirò che questo fiume, e così parimenti gli altri di quel versante, sono tutti richissimi di pesci, anche di ottima qualità, i quali arrivano anche ad una grossezza superiore a due kilò. modo di pescare abissino Il modo di pescare degli abissini è molto semplice, consistendo nel gettare una compo- [p. 745] sizione preparata espressamente conserte foglie e frutti, di arbusti semi velenosi, i quali ubbriaccano il pesce in modo da rimanere immobile sopra l’aqua, ed anche sortirvi da essa e morire in secco. Questo modo non è, ne igienico, ne economico; il pesce così preso non ha più tutta la sua bontà, e quindi distrugge troppo. Io ne faceva pescare dai miei giovani coll’hamo, metodo un poco nojoso; ma /294/ intanto io poteva [cibarmene] anche tutti i giorni, ed era per me il migliore nutrimento, perché la carne in quei paesi caldi mi andava poco a genio, se non è carne secca[ta] al sole. Come l’Abissinia manca di olio io mangiava il pesce arrostito sui carboni, e lo trovava buonissimo. Come già ho detto altrove, l’Abissinia, ad eccezione di Gondar, per le vicinanze del lago di Tsana, generalmente manca di pesci, e potrebbe averne di più, se non gli distruggesse senza pietà avvelenandoli. Ma l’abissinese fa poco conto di questo articolo; gli eretici abissini, i quali fanno consistere il cristianesimo nel digiuno, sogliono considerare il pesce come carne proibita dalla legge del digiuno.

atto publico di possesso La nostra colonia di Rasa intanto incomminciava [a] prendere uno sviluppo consolante, ma mancava ancora una delle condizioni apposte dal Re Menilik, quella cioè, che discendesse l’Abegaz con tutto il suo seguito a metterci in possesso. Quel Signore, quando sentì che io era arrivato già da alcuni giorni, egli aveva fissato il giorno per la cerimonia da farsi, ed aveva fatto avvertire i capi denakil più vicini, i quali intervennero in buon numero nel giorno convenuto. festa civile per il possesso Quando tutto fù all’ordine, arrivò [p. 746] egli accompagnato da un gran mondo di gente e da un Segretario dello stesso Re, piantò il suo campo in mezzo del nostro villagio, e lette tutte le lettere del Re in facia a tutto il publico, dichiarò confermata la compra del terreno già fatta prima, e che Rasa, con tutto il suo circondario da segnarsi, era divenuta proprietà mia e della missione cattolica, esente da tutti i tributi di uso. Mandò quindi i principali suoi rappresentanti, unitamente ai capi denakil, che conoscevano il terreno, ed agli oracoli principali della nostra colonia da me scielti a fare il giro dei confini, con ordine di piantarvi alcuni legni che servissero di segnale per qualche tempo; Come il terreno era molto grande, la comitiva vi occupò circa due ore a compire il giro. Finito il giro, l’Abegaz fece un discorso ai suoi musulmani, ed ai denakil, raccomandando loro di riconoscere la nuova colonia e di aiutarla per quanto potevano. Si scannarono quindi due buoi, uno per i musulmani, ed un’altro per i cristiani, mandando a versare del sangue in molte estremità dei confini. Si [e]stese l’atto dai segretarii in tre coppie, una per il Re, l’altra per l’Abegaz, ed una terza per noi. Quindi si terminò la festa mangiando e bevendo quel poco che di poté avere.

solennità religiosa Passata la festa civile, l’indomani si fece una gran festa religiosa. La mattina si benedì la cappella; dopo ebbero luogo alcuni battesimi solenni colla spiega[zione] della liturgia secondo l’uso della missione. Dopo i battesimi si celebrò la Santa Messa, nella [p. 747] quale vi furono anche molte communioni. Dopo la Messa, io con mitra e pastorale, ac- /295/ compagnato dal clero vestito si fece una specie di processione intorno alla fortezza; la processione sortì fuori e dovette discendere per benedire il cimittero, il quale di necessità dovette farsi fuori, perché sopra la fortezza non poté aver luogo, essendo pura pietra. Terminata che fu la processione, ebbe luogo un poco di festa materiale, nella quale io ho regalato un’animale da mangiarsi in santa pace. Verso sera si lessero, e si spiegarono i regolamenti della colonia, e si publicarono gli impiegati che dovevano governarla. Come la colonia si trovava in un deserto, fra i musulmani, e denakil, detti Adal (1b) dagli abissini, nei regolamenti io ho dovuto insistere con un certo rigore sopra la proibizione di non sollevare questioni e sopratutto non spargere sangue coi nostri vicini; in quei regolamenti io era arrivato al punto di dichiarare espulso dalla colonia chiunque avesse sparso sangue.


(1a) molti furono morsicati, ma nessuno morì, ad eccezzione di un piccolo bimbo. Lo scorpione nero dei nostri paesi si trova nei paesi alti; quello dei paesi bassi è giallo-verde, molto più grosso e meno velenoso, è lo stesso che ho veduto in Aden ed in Massawah, quello dei paesi caldi. L’aspide da me chiamato è un serpente nero non molto grosso, ma colla coda monca, lo stesso che ho veduto in tutti i paesi caldi. Credo di averne già parlato altrove, esso pare appartenga alla famiglia delle vipere. [Torna al testo ]

(1b) I denakil nelle vicinanze del regno di Scioha si chiamano Adal, probabilmente dal nome di un capo di partito cristiano che non volle riconoscere il conquistatore Gragne, e che prese il largo fondendosi colle razze denakil. Per questa ragione gli Adal o Denakil di quelle vicinanze hanno qualche inclinazione tradizionale cristiana. [Torna al testo ]