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34.
Ordinazione sacerdotale di Saheli.
Preti sposati e celibato monastico.

i due sacerdoti Tekla-tsion ed Assettu
[ordinati: 25.7.1869]
Ciò detto facio ritorno alla mia storia. Finita la questione del rito, ho dovuto pensare all’ordinazione. Io aveva già da principio ordinato due sacerdoti, Tekla Tsion, alaca del Santuario [p. 794] di Fekerie Ghemb, gran maestro nel paese, il quale aveva sempre alla sua scuola almeno 50, o 60. giovani alumni, ed era il primo oracolo nei paesi cristiani del sud, nel ristrettissimo capitale delle scienze bibliche del paese. Dopo di lui veniva Ascetù, alaca anche egli del Santuario di Emmanuele, non lontano da Ankober, luogo di gran concorso, dove esisteva una specie di monastero, di cui era come l’Abbate. Questi due sacerdoti erano stati ordinati secretamente, ed avevano una missione più alta sopra l’aristocrazia del paese. Essi dovendo mantenere la loro posizione, non potevano gran cosa ajutarmi nell’apostolato in detaglio. Deftera Sahelie [Io] Aveva in terzo luogo Deftera Sahelie, da molti anni Maestro delle Scuole in Ankober, persona, non solo dotta, secondo il paese, ma di un zelo e di un’eloquenza unica, e sopratutto, era fra gli indigeni di una gran capacità; era già cattolico da due anni, e da un’anno e più aveva lasciata la sua posizione di maestro per mettersi alla testa della colonia di Rasa; era egli che aveva già convertito i due sacerdoti di Ankober, dei quali si è già parlato, e stati ordinati [ordinati] minoristi in Rasa.

la sua ordinazione, e la sua prima messa
[sett.-nov. 1877]
Deftera Sahelie adunque era il primo che io aveva in vista per essere ordinato sacerdote al più presto, come il solo che io avessi per le mani, capace di prendere la cura spirituale della nuova Chiesa di Rasa. Egli era maritato con famiglia ancor piccola; sua moglie già cattolica istruitissima faceva con zelo in catechismo alle figlie, ed alle donne. Tanto il marito, che la moglie [p. 795] sarebbero stati tutti [e] due disposti, anzi desiderosi di farsi monaci, ma io non ho acconsentito, perché da principio ciò avrebbe fatto credere come essenziale il divorzio per essere sacerdote, ed avrebbe fatto una cattiva impressione nel clero indige- /328/ no, per la maggior parte coniugato. In meno dunque di un mese il mio Deftera Sahelie ha imparato la messa latina tradotta in Gheez quasi a memoria, ed ha [ap]preso le rubriche con un’esatezza tale da servire di modello agli stessi nostri sacerdoti latini. Nello stesso mese in tre domeniche di seguito in Escia è stato ordinato suddiacono, diacono, e poi sacerdote. Ha celebrato la sua messa nuova, ed ha fatto la spiegazione del Vangelo con una disinvoltura da fare stupire tutti.

la sua predicazione Finita l’ottava dalla sua celebrazione celebrando ogni giorno colla mia assistenza, e facendo ogni giorno il suo breve prono, come soleva farlo io, siamo discesi insieme alla nostra colonia di Rasa, dove io stesso l’ho messo al possesso della missione con una decina di giorni di esercizii spirituali, pendenti i quali egli predicava ogni giorno una volta in modo da parere un sacerdote anziano. Questo sacerdote aveva maggior facilità, e maggior naturalezza nel suo dire, come uomo già esercitato nel spiegare e nell’istruire; aveva poi ancora una grande esperienza dei misteri più secreti delle case, ed anche dei cuori, e ciò rendeva il suo dire molto più pratico del mio; ma sopra tutto egli aveva ricevuto da Dio un’unzione tale, che il suo dire era davvero il favus distillans labia ejus, e la dolce goccia andava davvero al cuore di tutti; la mia predicazione in facia alla sua era diventata la predicazione di un bimbo [p. 796] mancante di lingua e di esperienza, dimodoché correvano tutti alla sua predica, perché più compresa. la predicazione dell’europeo, e dell’indigeno Il missionario europeo, anche dopo molti anni in quei paesi, saprà la lingua grammaticalmente più dell’indigeno, ma la sua pronunzia, le espressioni al caso pratico mancheranno sempre di naturalezza; quindi un’altro gran difetto ha sempre l’europeo, quello cioè di andare sovverchiamente [in] alto, servendosi di idee fuori dell’uso popolare; ciò lascia sempre nel suo dire un deposito di espressioni straniere troppo alte dai concetti popolari, epperciò non comprese. Io predicando con tutta facilità m’investo della massima, sono subito commosso, gemo, esclamo, ed anche minacio guai; ma poi mi accorgo alla fine [mi accorgo] che il mio uditorio non entra nella questione, e non prende parte alla medesima; egli capisce qualche proposizione isolata, ma non ha compreso la forza del mio discorso, perché una parte del medesimo non è un vestito fatto per il suo dorso, ed in misura della sua capacità, e della sua sfera. È questo un gran male, non solo nelle missioni, ma nei nostri paesi medesimi. Il mio novello pretino all’opposto entrava nel suo discorso, come una persona che ha qualche notizia interessante da raccontare: era o un proverbio, oppure un fatto interessante che lo introduceva, e poi entrava subito in conferenza, come se l’uditorio fosse stato una sola persona da ragionare, e da persuadere sopra un punto interessante: poche parole bastavano per lui, come /329/ un suonatore del piano forte, il quale sa dove battere per risvegliare il sentimento che dorme, e farsi interessante

[p. 797] Il mio novello sacerdote predicava dunque come un’angelo, ed io mi deliziava nel sentirlo; io cercava d’imparare da lui, ma mi accorgeva alla fine di non essere del paese, e non conosceva ancora il segreto. la confessione Egli faceva del gran bene, egli preparava a me un gran lavoro, quello cioè di sentire le confessioni. Come egli sapeva così bene acapparrarsi i cuori, io avrei bramato che andassero da lui per confessarsi, ma poi vedeva che stavano lontani, e quasi nessuno vi si accostava. Ho cercato in tutti i modi di esortargli a mettersi nelle sue mani, perché troppo mi premeva, non potendolo soddisfare al bisogno di tutti: ma in questo, il nostro sacerdote novello non fu felice.

il prete ammogliato Ho esternato un bel giorno la mia pena; caro mio, gli dissi, predicando si semina e confessando si raccoglie e si legano i manipoli. Padre mio, egli mi rispose, già ho esternato più volte il mio desiderio di separarmi dalla moglie e farmi monaco; la mia stessa moglie desidera molto di dedicarsi intieramente a Dio: noi già siamo intesi e preparati a questo passo; abbiamo pensato anche all’educazione dei figli. Ma si persuada, che fino a tanto che non si farà questo, io [non] avrò mai la confidenza dei cuori per sentire le confessioni; tanto io che mia moglie, nella sostanza siamo già separati, ma ciò non basta, la sola coabitazione colla moglie è bastante per tenermi lontano i penitenti. Sarò sempre un confessore, a modo degli eretici, [p. 798] per sentire dei formolarii di confessioni, e per dare l’assoluzione, ma mai per scoprire le piaghe del cuore, e poterle medicare; sarà molto, se io potrò ottenere questo in punto di morte, quando il mondo è chiuso alle speranze del uomo. il prete monaco. Io stesso e mia moglie, con tutte le istruzioni cattoliche che abbiamo; e con tutte le risoluzioni che già abbiamo prese, eppure in ciò non siamo ancora padroni di noi stessi per confessarci ad un prete ammogliato senza qualche ripugnanza. Per noi è questa un’educazione, e direi quasi una seconda natura. Per noi il prete cattolico non è più un uomo di questo mondo, ma è già entrato fra il coro degli angeli, dei quali il Signore ha detto[:] neque nubent neque nubentur. Quando voi non vi sarete, o non vi saranno altri vostri compagni, io mi confesserò ad Alaka Tekla Tsion, oppure ad Alaca Ascietu, perché sono monaci veri, ma troverò sempre ancora una ripugnanza per confessarmi ad un prete ammogliato. Al sentire questo io sono rimasto mutolo, ebbene, gli dissi, vedremo quid agendum.

monachismo abissino La questione di permettere di monacarsi al novello sacerdote non era una gran questione; io, sicuro come [ero] della parola dei due conjuga- /330/ ti, poteva sanzionare con un’atto publico la loro separazione, e monaci de[i] due sessi dichiarargli tutti [e] due monaci, permettendo loro di portare il distintivo, secondo l’uso del paese, il quale usa [di] venerare come monaci quelli, ai quali è stato benedetto il berettino, ancorché non abbiano voto di castità, ne semplice, ne publico, [p. 799] essendo in Abissinia la gestazione del berettino, quasi equivalente alla professione monacale, nell’opinione popolare, in quanto alla sola castità; io avrei anche [potuto] permettere loro il voto semplice con tutta sicurezza che l’avrebbero osservata. Piuttosto, come già ho notato, era obligato a lasciar questo per una semplice prudenza economica, affinché tutti gli altri sacerdoti eretici amogliati non lasciassero di convertirsi, e non facessero una propaganda contro il cattolicismo per timore di essere poi obligati a farsi monaco colla loro conversione. Già anzi io aveva deciso di permetterlo loro dopo qualche tempo, nel mio cuore, quando la massima contraria fosse ben conosciuta. Dal primo giorno del mio ingresso in Abissinia, il fu Monsignor Dejacobis, mi consigliò di ordinare il berettino monacale a tutti i miei compagni, unicamente per metterli al sicuro da qualunque attacco immorale: in questo paese, egli diceva, un uomo oppure una donna, con questo distintivo, è tutto sicuro di essere rispettato, come lo sarebbe un frate, oppure una monaca nei nostri paesi. Dopo ciò io stesso, ed i miei compagni sono stati sempre usi a portarlo, unicamente come un preservativo esterno.

molti monaci, e nessun convento Ho detto sopra che il berettino equivale alla professione monacale in quanto alla sola castità, perché in Abissinia gli altri voti di povertà e di obedienza sono quasi come sconosciuti. Il paese è pieno di monaci dei due sessi, benché siano poi rarissimi i monasteri, e quasi affatto non se ne trovino [p. 800] in paese; una gran parte di simili monaci sono girovaghi, ma molti anche si trovano nelle proprie loro case, una gran parti [di] vecchj coniugati, i quali di comune accordo hanno preso il berettino monacale in segno che hanno abbandonato il mondo, come altrettanti nostri terziarii francescani o dominicani. Sono questi forze i migliori di tutti. Come in Abissinia il matrimonio evangelico è conosciuto abbastanza da tutti, ma praticato da nessuno, un secolare qualunque, che non sia monaco, non suole presentarsi a ricevere la comunione, e non sarebbe comunicato; molti si fanno monaci per potere ricevere la comunione. alcuni monasteri classici Ho detto sopra[:] che non vi sono monasteri, per dire che non vi sono monasteri che vivino in comunità con una regola e voti sotto la disciplina di superiori, come nei nostri paesi. Del resto qualche monastero non manca, e ve ne sono anche alcuni classici, come Devra Libanos, e Waldubbà, nei quali esiste anche un poco di vita comune. /331/ Quello che manca affatto in Abissinia è lo sviluppo dello spirito evangelico; massime in materia di umiltà, e di mortificazione; la grande osservanza per gli abissini è il digiuno, più sacramentale ex opere operato, che non mortificativo, unito a qualche recita esteriore del Salterio, secondo gli usi dell’antica legge mosaica.

alcuni errori dei viaggiatori Postoché ho parlato del monachismo, prima di ritornare alla mia storia dirò ancora due parole sopra le distinzioni esteriori del vestiario, perché ho veduto che alcuni viaggiatori prendono grandi sbagli sopra questo particolare. Qualche viaggiatore che ha visitato l’Abissinia in questi ultimi tempi ha scritto [di] certe pantomine dei preti che poteva risparmiare, perché [p. 801] sono vere falsità; così parimenti [di] certe parole dette dall’imperatore Giovanni. Il viaggiatore suddetto vedendo nell’accampamento dell’imperatore Giovanni una quantità di turbanti, ha creduto che fossero tutti preti, mentre forze neanche uno era prete. il turbante abissini divisa dei semidotti Il turbante in Abissinia non è il distintivo dei preti o dei monaci, ma bensì dei dottorelli, come sarebbero molti dei nostri giornalisti oppure scrivani dei diversi dicasteri; quei dottorelli detti deftari, benché abbiano qualche titolo nelle Chiese, perché godono alcune prebende ecclesiastiche date dal governo, come gli impiegati del nostro economato, pure non sono essi che puri secolari, e non dei migliori certamente, perché sono certi esseri mancanti di coraggio per essere guerrieri, e mancanti anche di attività per esporsi al sole a condurre l’aratro, doppiamente faticoso in Abissinia, perché meno esatto nel suo mecanismo, piuttosto orientale che europeo; essi sono l’ultima feccia del popolo abissino, che non vuole lavorare, oppure esporsi di pericoli della guerra, ma vogliono mangiare meglio degli altri a spese dei poveri contadini. Di essi il viaggiatore in discorso ha tutte le ragioni di supporli circondati da perpetuelle, non i preti, i quali sono tutti maritati e capi di famiglia; tanto meno i monaci, i quali in ciò godono perfetta riputazione; tutti questi non portano il turbante se non eccezionalmente per causa di carica particolare.

le parole dell’imperatore Giovanni ai missionari
[1876]
In quanto poi alle parole dette dall’imperatore Giovanni ai missionarii che non volle ricevere e che obligò a ritornarsene alla costa, dicendo che egli ne aveva abbastanza dei suoi preti, ed anche troppo; il viaggiatore suddetto si esprimeva in modo da far credere che l’imperatore Giovanni fosse una persona irreligiosa del carattere dei nostri odierni governatori atei, i quali guardano il prete come un’animale di cattivo [p. 802] augurio, e pericoloso per il governo. è da compatire l’imperatore Giovanni Anche questo è un grande errore del nostro viaggiatore: l’imperatore Giovanni era una persona di tutt’altro carattere; esso lontano dall’essere un’ateo, o p[r]etrofobo, /332/ era anzi eccessivo pretrofilo, era un settario che voleva imporre la sua religione a tutti, agli stessi dotti più di lui, colla forza; egli però faceva questo forze in buona fede credendo di farsi un merito, consigliato da [con funzione di metropolita: 1876-1881] Abba Teofilo detto l’Ecciecchè, ossia capo di tutti i monaci dell’Abissinia, il quale è la prima autorità ecclesiastica del paese dopo il Vescovo eretico venuto dall’Egitto. Io debbo far giustizia in favore di questo principe, [egli] fra 25. e più principi da me conosciuti nei diversi paesi dell’alta Etiopia, l’imperatore Giovanni è ancora il più morale di tutti, benché pieno di pregiudizii, frutti tutti dell’ignoranza. Sarebbe stato un’eccellente principe, se avesse avuto un direttore migliore; ma il povero Ecciecchè, anche egli del suo paese, epperciò ignorante, era il caso di un c[i]eco che conduce un’altro c[i]eco. Io vittima della loro persecuzione, non mi lagno di essi, ma ho ricevuto il mio esilio da Dio in pace, perché i poveretti meritano la mia compassione, più di quello che la meritino i nostri governi nell’attuale persecuzione della Chiesa di Dio, i quali perseguitano sapendo di perseguitare contro la verità, e la giustizia.

un monito [ai] ad un viaggiatore Una sol cosa mi rimane ancora [d]a notare al viaggiatore in discorso; quel certo sistema di viaggiare in un paese che non conosce, e spiegare un certo diritto di criticare, e di riprovare, e di condannare senza prima esaminare, non è una cosa, ne da sapiente, e neanche nell’interesse proprio, e della sua missione. Calma, fratei mio, perché altrimenti, voi vi mettete [p. 803] al pericolo di fare del male a voi stesso, al vostro stesso paese che vi ha spedito, e finirete per separare ed indisporre sempre più quelle povere popolazioni a riceverci, ed a civilizzarle. Tutto ciò che si scrive si sa poi anche là dai principi, i quali si faranno sempre più avversi a noi. Voi condannate tutto ciò che è stato fatto fin qui, e sollevate un grido di colonie e di commercio [da introdurre], come unici mezzi di colonizzare. Prima di sollevare un grido universale di colonizzare, e di commerciare, bisognerebbe insegnare il modo di farlo, e preparare i popoli a ricevere i coloni, ed i commercianti. parlano i molti fatti Io che scrivo, ho conosciuto come ha incomminciato e come ha finito la colonia italiana del [1866-1869] povero Zucchi e Stella ai Bogos. Ho conosciuto il principio ed il fine del [1874-1882] povero Arnus. Ho conosciuto come si sono perduti già più di 15. viaggiatori francesi ed italiani stati trucidati. Conosco qualche cosa sopra la [1862-1868] questione trà Teodoro e la nobile nazione inglese, e potrei svelare molti misteri. Ho anche qualche detaglio sul fine tragico del [† 25.5.1881]
[† 14.11.1875]
povero Giulietti. Sopratutto conosco un tantino la storia del come è andata la tragica fine di Bascià Mussingher; tutte vittime dell’imprudenza e dell’innesperienza. Epperciò raccomando calma prima di scrivere, anche per non compromettere i governi inutilmente.

/333/ Soddisfatto nella minima parte ad una specie di dovere, non dico come vescovo e missionario cattolico, qualità che oggi non è più una raccomandazione presso una società fatta per distruggere, e non per edificare, presso di una società che professa palesemente il sistema della bugia [p. 804] volteriana contro Dio e contro la sua Chiesa; bensì come il più vecchio viaggiatore dell’Alta Etiopia, il quale, nel decorso di questo mezzo secolo, ha veduto una vera processione di viaggiatori di tutti i colori dell’iride, i quali hanno voluto tutti, a suo tempo, salire sopra la platea del teatro, e sopra la cattedra dei dottori, publicando i loro viaggi, e sputando sentenze di ogni genere, ed oggi [sono] tutti sepolti nell’oblio. Una gran parte di detti viaggiatori sono stati anche miei amici, e pretendevano anche di darmi delle lezioni sul modo di fare la missione, ciascheduno in senso loro. Pagato dunque questo tributo alla buona fede del publico, ed in specie del lettore di queste mie memorie, facio ritorno all’argomento sopra la mia colonia di Rasa.