/348/

37.
Sguardo alle missioni galla del Sud:
Lagàmara distrutta dalle armate scioane.

un mio ritorno alla storia precedente Prima di venire alla storia della guerra suddetta, la quale è destinata ad occupare una parte notabile di queste mie memorie, quella che somministrerà una gran parte dei fatti, i quali saranno gli ultimi, e come il sugello di tutto. Credo bene [di] riferire qui un breve quadro dello stato della missione Galla a me affidata. Ciò è tanto più necessario, perché in questi ultimi anni passati in Scioha, i quali somministrano circa un terzo dei materiali di queste mie memorie storiche, non ho più parlato dei grandi avvenimenti che ebbero luogo nei dodeci anni ultimi in tutta la missione antica del Sud-Ovest, per la quale il mio lettore ha dovuto concepire [p. 828] un certo interesse di sentirne la continuazione. missione di Finfinnì
[possesso della casa costruita da Menelik: 26.5.1869;
celebrazione nella cappella: 25.7.1869]
Come già ho lasciato travedere altrove, io in queste memorie ho tenuto conto dei fatti che ebbero luogo vicino a me, e neanche mi sono occupato dei fatti interessantissimi che ebbero luogo in Finfinnì, missione, o colonia cristiana, nello stesso regno del Re Menilik, stata appoggiata al mio Coadjutore Monsignore Taurino, ed oggi mio successore nel Vicariato, missione stata creata esclusivamente da lui, e che io neanche ho potuto visitare. Di questa medesima io [ne] ho parlato qualche volta di passaggio, perché io dovetti occuparmene da lontano, come lavori che si facevano sotto la mia direzione, ma [non] mi sono occupato mai di detagli, i quali a suo tempo saranno riferiti da lui medesimo. Se ciò acadde in Finfinnì nel regno stesso di Scioha, tanto più dovette ciò accadere di tutte le missioni antiche da me fatte al sud-ovest, rimaste lontanissime, e quasi abbandonate da me, costretto a restarmene in Scioha dal Re Menilik.

missioni antiche dell’Ovest La missione adunque al Sud dell’Abissinia cristiana, chiamata missione dei popoli Galla e Sidama, stata a me affidata prosperò dovunque sino all’anno 1873. Incomminciando dal Gudrù, dove ha incomminciato il mio ministero fra i popoli Galla nell’[anno] 1852. missione del Gudrù In quel paese fiorì la missione sino al 1872., e sotto il regno di Gosciò, figlio di Gama, vidde un’epoca di grande trionfo: l’armata particolare di quel principe nostro /349/ cattolico, la quale [p. 829] contava circa un centinaio di fucilieri, erano tutti cattolici, la maggior parte tutti maritati cristianamente, molti dei quali esercitavano una specie di apostolato nel paese. Il principe era già arrivato a promulgare alcune leggi, che riconoscevano le feste ed i digiuni cristiani, sopratutto riconoscevano il matrimonio cristiano. [mons. Cocino da Lagamara a Gudrù-Kao: 29.5.1868;
a Makannisa-Sibù: 1870-1873;
a Faïsa-Lamie: 1873-1874;
a Domquoro: 1874-1876]
Le lettere di Monsignore Cocino arrivatemi dopo il mio arrivo in Scioha erano così consolanti, che nel leggerle soleva bagnarle di lacrime di consolazione. Ma le consolazioni dell’apostolo non sono che pochi momenti passati sul Taborre, ad oggetto di incoraggirlo a proseguire la lunga e dolorosa strada del Calvario, dove l’aspetta Gesù crocifisso al compimento dei gran sacrifizio, eredità lasciata da lui ai suoi apostoli, e quasi inseparabile dal loro ministero, per entrare et ipsi in gloriam. Non tardò molto infatti: quel principe, da me educato, e battezzato ancor giovanetto, il quale, umanamente parlando, era la nostra speranza, per un male immaginato timore (1a), non essendo stato inoculato, morte di Gosciò
[set. 1870]
fu colto dal vaïvuolo nel 1871. e fu vittima del flagello, prima che fosse ancora in caso di lasciare un’erede.

Morto che fu il principe Gosciò, il suo principato si sostenne ancora circa un’anno in tutto il suo stato di progresso civile e religioso sotto il nome di un fratello suo naturale fino a tanto che visse Pascià Walde Ghiorghis antico tutore di Gosciò lasciato dal suo Padre Gama-Moras, il quale fu sempre come ministro alla testa del governo. [† 1870]
si rivoltano i galla di Gudrù
Ucciso in guerra Pascià Walde Ghiorghis [p. 830] allora alzò la testa un partito conservatore galla, il quale chiamò il Gogiam in soccorso, allora il povero Gudrù fu vittima delle rappresaglie, e la missione ebbe molto a soffrire; il paese finì per diventare una Provincia del Gogiam, e la povera missione fu vittima degli eretici. I nostri cattolici si sostennero ancora qualche anno, ma furono arrestati tutti [tutti] i progressi in grande.

morte di abba Haïlù in Kafa
[24.10.1874]
Mentre tutte queste crisi si operavano in Gudrù, in Kafa moriva, come di accidente l’apostolo indigeno Abba Haïlù Michele, il quale seppe tenere non solo viva, ma accrescere ancora quella missione dopo il mio esilio; seppe di più anzi guidare la politica religiosa di quel regno, e condurla ad una tregua di pace coi missionarii europei, a segno che il P. Leone da Ghera poté recarvisi, o mandarvi altro sacerdote in soccorso. La morte dell’Abba Haïlù Michele in Kafa obligò Monsignore Coci- /350/ [1876] no ad abbandonare le missioni di Gudrù e di Lagamara, lasciandole nelle mani di alcuni preti indigeni, per recarvisi a consolare la cristianità di Kafa, sempre ancora la più importante. Ma non si fermò qui il disastro: il mio Coadjutore Monsignor Coccino, arrivato in Kafa vi rimase appena due anni, e morte di monsignor Cocino
[26.2.1878]
morì egli stesso in seguito ad una caduta dal mulo che gli cagionò un dissesto allo stommaco, da soffocarlo in pochi giorni. Dopo la sua morte, tutte [p. 831] le famose missioni dell’ovest, frutto delle mie fatiche di 15. e più anni, rimasero nelle mani del P. Leone e di pochi preti indigeni, e senza che io abbia potuto inviarvi altri missionarii europei, i quali, a misura che venivano morivano in strada, come già fu narrato più indietro [† 23-24.5.1876]
[† 28-29.9.1877]
del P. Giovanni Damasceno, e del P. Alessio.

Ras Adala fra i galla
[inizio 1875]
Ma il genio satanico di distruzione non si arrestò qui: dopo che l’armata del Gogiam passò il Nilo in soccorso dei rivoltosi in Gudrù, al vedere quell’Eden di richezze, vi trovò gusto, e pensò alla conquista di quei popoli disarmati di fucili, benché arditi nella manovra dei loro cavalli e delle loro lancie. I movimenti di Ras Adal principe del Gogiam per la conquista dei paesi galla del Gudrù e contorni svegliò l’attenzione del Re Menilik in Scioha. movimenti misteriosi del re di Scioha
[mag.-giu. 1875; ott. 1876]
Sia [per] zelo di voler prendere la diffesa dell’antico principato del nostro Gosciò, col quale [Menelik] era legato in amicizia, oppure per difendere i nostri cattolici; ossia piutosto [spinto da] una passione d’invidia, o desiderio di conquista, [perché] il cuore dei principi è per lo più sempre un caos difficile a penetrarsi; a me egli parlava di zelo per i nostri cattolici maltrattati dalle truppe del Gogiam; ad altri parlava di farsi [un] largo da quella parte, per la futura Spedizione geografica italiana; cogli amici poi non mancava anche qualche volta di dire che la riva Sud del Nilo era tutta roba sua e non del Gogiam. l’armata tiene la via ovest
[mag.-ott. 1878]
Fatto sta, ed è che alla fine un bel giorno l’immensa armata del Re Menilik partì [p. 832] prese la via Ovest alla volta dei galla: come il Re amava molto i cattolici, multi multa dicebant, ma sempre in favore. passa a Finfinnì...
notizie fatali
L’armata passò in Antotto vicino alla missione di Finfinnì, e tutto spirava favore per noi. Passammo otto giorni senza saperne più notizie; dopo dieci e più giorni, un corriere di Finfinnì arriva, e mi porta la notizia, che una parte dell’armata del Re, tradita da una guida, catastrofe di Lagamara
[3.11.1878;
di Nunnu: 1.11.1878;
prigionieri a Finfinnì: 26.11.1878]
cadde sopra la nostra stessa missione di Lagamara, e fece [uno] strazio di tutto quel paese e missione. Al sentire una simile notizia io caddi svenuto; poche linee da Finfinnì scritte da Monsignor Coadiutore dicevamo] = L’armata non è ancora arrivata, ma alcuni venuti assicurano, che la nostra sola casa fu salva come per miracolo... Il nostro Re Menilik medesimo è desolato =

/351/ Arrivò intanto l’armata in Antotto: si fecero le perquisizioni, le persone tutte della nostra casa, e lo stesso abba Paolo nostro Prete indigeno furono trovati prigionieri e mezzi nudi; il Re Menilik diede degli ordini severissimi; si fece una perquisizione esattissima: le persone di casa nostra, gli oggetti di chiesa, tutto fu trovato; molte delle nostre persone, a misura che poterono farsi conoscere come persone nostre, furono subito radunati e rivestiti; altri al solo [p. 833] far vedere le medaglie nostre bastò per essere messi in libertà, ed anche rivestiti alla meglio. Persino la mia povera vecchia monaca, che mi aveva accompagnato in Kafa, e che mi accompagnò in tutto il mio esilio da quel paese, stata anche essa spogliata, e rimessa all’onore del mondo con alcune altre monachelle sue figlie, il tutto tu trovato. Fin qui il male alla meglio fu riparato, ma chi può numerare le vittima dei nostri cattolici? chi può numerare le perdite immense di effetti di ogni genere?

si espone una ragione Per avere un’idea approssimativa di tutta quella fatale catastrofe bisognerebbe avere un’idea di tutto ciò che si passò in Lagamara e contorni, appena si conobbe ravvicinarsi dell’armata immensa del Re Menilik che si avvicinava da quelle parti. Tutti sapevano in quei contorni che io mi trovava in Scioha, e che godeva tutta la confidenza del Re Menilik. È naturale perciò il supporre, come tutte quelle popolazioni dei contorni, amici e nemici, indigeni e forestieri, tutti fugissero all’umbra della Chiesa, sperando di essere salvi al solo nome mio e della Chiesa della missione, e vi fugissero con tutte le loro famiglie, sostanze, e bestiami. Lagamara perciò in quel momento diventò un’emporio di tutti i genere e non mancarono persino mercanti richissimi venuti dal Sud [p. 834] con delle gran quantità di avorio, e di muschio, e di altri venuti dalla costa con delle mercanzie portate per il cambio, poiché i contorni di Lagamara era[no] il luogo, dove facevano lunga stazione, sia per il riposo dei loro bestiami, e sia ancora per le loro proviste occorrenti per il viaggio, come luogo, dove tutto si trovava a buon mercato, ed i mercanti godevano di una gran libertà e sicurezza. Come le vicinanze della Chiesa era[no]il luogo, dove si sperava, maggior sicurezza, tutto quel mondo di fugitivi si era accampato proprio là.

si descrive la catastrofe Ora le spie dell’armata dalle maggiori altezze avendo veduto tutto quel mondo là ridotto, vi si gettarono sopra per morti, il gran bottino che là non mancava era un’esca da non abbandonare tanto facilmente. Il paese poi, benché sperasse di essere salvo all’umbra della chiesa, tuttavia non lasciava di essere preparato alla guerra, in caso di bisogno; la piccola armata di buoni cavallieri, che un poco lontano restava in aguato, girò dietro e si gettò sopra la fila dell’armata che arrivava, e vi fece un /352/ piccolo massacro, ma corsero di dietro al galoppo in soccorso, e ritornarono dal bottino i già arrivati; si armò tutta la popolazione, non escluse le donne ed i ragazzi, si gridò prima pace a nome del Re Menilik amico di Abba Messias; ma era troppo tardi, il sangue aveva già ubbriaccato tutti, perché i morti si erano già moltiplicati dalle due parti; l’armata finì per vincere, ed i poveri lagamaresi furono tutti trucidati. [p. 835] La missione nostra ebbe qualche centinajo di vittime, e di essa non si salvò altro che la casa nostra, la quale non prese parte nel conflitto, ma fu spogliata e fatta prigioniera. Di tutto il resto della popolazione, non si salvarono che pochissimi i quali poterono fugire.

chi fu la causa del disastro? Ma intanto chi fu la causa diretta di questo disastro? È questa una questione, che, dopo quasi due anni che io sono rimasto ancora in Scioha dopo il fatto, non era ancora decisa. Il Re non era colla parte dell’armata andata in Lagamara; di essa era capo Degiace Govana, il nostro più grande amico, colui ci fece costruire la casa di Gilogov, ma egli aveva stabilito il suo campo alcuni kilometri più all’est, di dove non poteva, ne vedere ne sentire. La parte della sua armata che prese la direzione di Lagamara fu la parte più lontana dal centro del regno di Scioha, dove la missione era conosciuta. Al concentrarsi di tutta l’armata, appena si seppe il fatto, sia dal Re Menilik, sia da Degiace Govana, furono desolati di questo fatto, e fecero di tutto per riparare il gran male fatto alla missione nostra, ma forze che i morti ritornano in vita? Prima di questo fatto il certo si è che nessuno, ne vidde, ne conobbe di persona il paese di Lagamara, lontano [p. 836] otto giorni e più di viaggio ordinario, ad eccezione di alcune guide mercanti, e tutte persone estranee alla missione; ecco tutto ciò che si può dire di positivo. Dopo ciò, bisogna dire poi, che nel regno di Scioha, benché la missione dalla generalità fosse molto amata, pure, come missione religiosa che entrava nel cuore di molti, ed andava facendosi un gran seguito, appunto per questo non mancava di avere grandi nemici dalla parte degli eretici, e questi tanto più nascosti per causa del favore che la missione godeva presso il Re, e presso i grandi. Chi può imaginarsi perciò tutto il lavorio secreto organizzato dal diavolo per distruggere l’opera di Dio? la causa è nelle mani di Dio In ciò il vero cattolico suole guardare in alto e dire: tu, o mio Dio, l’hai permesso per i tuoi fini a me incogniti; dunque è per me un sacro dovere, non solo di rassegnarmi, ma di lodarti ancora.

le due catastrofi: Rasa e Lagamara Per me, lo confesso sinceramente, che la catastrofe di Lagamara, mi fu più dolorosa ancora che la catastrofe della colonia di Rasa sopra descritta. Lagamara era un paese centrale, dove io sono rimasto più di quattro anni, e dove in tutti quei contorni io aveva gettato dei semi, /353/ che col tempo avrebbero molto prodotto; là a caro prezzo erano stati comprati vasti terreni per piantarvi una colonia di poveri. Il solo affare di Kafa nel 1859. interruppe colà le mie operazioni, ma il mio cuore fu sempre [p. 837] là fisso, il vedermi perciò rovinata quella missione, e rovinata dalla mano di uomini, anche a me carissimi, fu per me, non solo un colpo al cuore, ma una vera sorpresa, ed un vero mistero, col quale Iddio ha voluto mettermi alla prova. La Colonia di Rasa invece era un’opera ancora nuova, la quale andava soggetta a prove per la parte del clima in verità di sua natura infedele. Nel caso [specifico] poi la sua rovina fu un colpo che io poteva prevedere.

ritorno alla missione di Scioha Dopo tutte queste prove, alle quali andò soggetta la missione a me affidata, mi rimaneva sempre ancora la missione ultimamente stabilita nel regno di Scioha, la quale, benché presentasse le sue difficoltà, pure nella sostanza essa non mancava di fare grandi progressi, e di promettere molto per l’avvenire. Essa prometteva molto dalla parte dei paesi cristiani, i quali si avvicinavano ogni giorno più a me, benché, a misura che la parte forze maggiore entrava nella massima cattolica, non mancasse poi anche la parte nemica di organizzare anche essa e minaciarmi una guerra sorda, attaccandosi alla politica massime estera. Sopratutto poi la missione di Scioha mi prometteva molto dalla parte dei galla, la quale formava la maggior parte del Regno. Era questa affidata a Monsignore Coadiutore Taurino [p. 838] e presentava le più belle speranze all’avvenire. Ciò mitigava un tantino le mie afflizioni per tutte le perdite anzidette. principio dell’ultima crisi Ma anche in Scioha mi aspettava la più grande, e l’ultima catastrofe, la quale doveva mettere il sugello al mio martirio di 35. anni in Etiopia. Per arrivare alla detta catastrofe, la quale cangiò d’aspetto a tutta la missione a me affidata, il mio lettore avrà la santa pazienza di leggere un gruppo di fatti e di complicazioni, che ebbero luogo nel periodo di circa tre anni, i quali possono chiamarsi molto interessanti, perché cangiarono d’aspetto a tutta l’alta Etiopia, e furono gli ultimi della mia dimora in quei paesi, dove ho passato circa la metà della mia vita attiva.


(1a) I parenti del giovane principe Gosciò, nel 1854., quando egli faceva la sua educazione presso di noi, e che la casa nostra fu assalita dal vaïvuolo, per salvarlo dall’epidemia avendolo allontanato, egli non fu inoculato, mentre fu inoculato quasi tutto il paese. Così 18. anni dopo colto dai Vaïvu[o]lo, ne fu vittima. [Torna al testo ]