Vol 6. Ultimo periodo scioano
Il viaggio dell’esilio
1878 - 1880

/7/

1.
Guerra e pace umiliante per lo Scioa.
Joannes incorona re Menelik.

dichiarazione di guerra
[nov.-dic. 1877]
Le cose erano in questo stato, quando alla fine fu dichiarata la guerra tra [Menilik e] l’imperatore Joannes, il quale pose il suo campo sull’alto piano al Nord dei Wollo Galla sulle vicinanze di Magdala. In quel tempo i Wollo Galla musulmani si trovavano divisi in due fazioni governate da due cugini, le quali erano in guerra fra [di] loro. Il paese detto Orro Haïmanò appartenente prima ad Aly-Babola, seguiva un suo figlio naturale per nome Mahumed Aly: questo si mise alla sequela dell’imperatore Giovanni. Tutti gli altri Wollo Galla, in molto maggior numero, [p. 865] appartenenti al figlio di Amedy Bescïr, più al sud, questi si dichiararono per Menilik, ed all’avvicinarsi del [del] campo di Giovanni, essi se ne fuggivano e gli facevano la guerra. [gen. 1878] Il Re Menilik si trovava in Liccèe, mentre stava radunandosi la sua armata e mi chiamò: parole di Menilik a me Si dice da tutti, diceva egli, che l’imperatore Giovanni viene direttamente contro di voi; ora, dove credete meglio [di] rifugiarvi? non sarebbe meglio ritirarvi, o in Finfinnì, oppure in altro luogo da quella parte? A questo suo discorso, mia risposta ecco la mia risposta tutta schietta: quando sono venuto in Scioha, voi sapete che non sono venuto per restarvi, e che io non domandava che il passagio; voi sapete, come dai paesi galla son venuti a prendermi, e voi non mi avete lasciato partire. In quanto all’imperatore Giovanni, non ci conosciamo; io [1863] nel 1864, quando l’imperatore Teodoro si trovava a Derek Wanz, voi eravate là, ed era là pure Giovanni, chiamato allora Besbes Kassà; mandato da Teodoro sono disceso nell’Enderta, sono rimasto tre giorni in casa sua, e non ho che [da] lodarmi di sua madre Ozzoro Salassie, e di suo fratello maggiore Goxà. Che questo imperatore oggi cerchi me, io non lo credo; anzi credo che sia questa una caricatura dei vostri e dei miei nemici. Io non ho nemici, epperciò [non] ho niente con lui; se egli mi cerca, non è necessario che egli venga con un’armata; non ha che [da] chiamarmi, [p. 866] ed io tutto solo col mio bastone anderò da lui. Oggi io /8/ mi trovo in Fekeriè Ghemb colla mia numerosissima famiglia che non posso abbandonare in tempo di guerra, epperciò penso essere mio dovere rimanere dove mi trovo. Il fugire in questa circostanza sarebbe lo stesso che dichiararmi nemico, e nemico vinto. Io vi darò in scritto questa mia risposta, e voi potrete anche mandarla all’imperatore Giovanni, se crederete conveniente, e potrete farla vedere a tutti coloro che vi dicono, che l’imperatore Giovanni mi cerca. =

altre difficoltà da sciogliere Quando il re Menilik ebbe ascoltata questa mia risposta colla massima attenzione, voi avete ragione, mi disse, voi la credete una caricatura, ed io pure la penso come voi. Comunque sia, voi restate dove siete, e ad ogni evento voi non morrete, se io non morirò prima di voi. Ora ditemi un poco il vostro parere: i miei preti mi consigliano la pace coll’imperatore Giovanni; invece tutti i grandi e più intimi miei consiglieri non vogliono questa pace; anzi tutti sarebbero disposti a battersi sino all’ultimo sangue prima di lasciare entrare l’imperatore Giovanni nel nostro paese. Ora voi ditemi, quale sarebbe il vostro sentimento? Sappiate però una cosa, continuò egli, mi dicono che l’imperatore Giovanni sia una persona religiosa, e che venga, non per fare la guerra, ma unicamente per visitare il sepolcro [p. 867] di Abuna Tekla Haïmanot a Devra Libanos, e che non intende mischiarsi delle cose nostre.

altre mie risposte Come questo suo discorso era meno netto, io non poteva dare una risposta netta ed assoluta, come l’altra, la quale riguardava la mia persona in particolare, e dipendeva solo da me = Sentite, risposi io, in quanto alla prima questione, se convenga o no fare la pace, io vi rispondo schietto come sacerdote di Dio, che non vuole rendersi risponsa[bi]le del sangue che immancabilmente si verserebbe, e vi dico schietto che la pace è voluta da Dio, e non la guerra. Come però la pace non si potrà ottenere senza condizioni, chi può consigliarvi meglio di me sono i vostri consiglieri: io non sono militare e non sono in caso di conoscere le vostre forze, e le forze del vostro nemico: voi consigliatevi con loro, e poi fate quello che Iddio vi ispirerà. Per tutto il resto che vi dicono sul pellegrinagio a Devra Libanos voi non dovete credere a tutti coloro che vi [ri]portano delle parole, voi mandate all’imperatore Giovanni una lettera, e ditegli che si spieghi con [altra] sua lettera sul modo che egli intende [di] fare la sua visita a Devra Libanos. Venuta che sarà questa lettera, allora, se volete io vi darò per scritto il modulo di risposta. Una sol cosa posso dirvi fin da questo momento, ed è quella, o di non fare la pace, oppure se la fate fatela sincera: so che non mancano di quelli che vi consigliano una finta pace con sinistre intenzioni contro l’armata nemica. Di simili tradimenti già se ne sono dette /9/ molte sul vostro conto; io fin da questo momento [io] protesto contro [p. 868] simili passi che vi [at]tirano la maledizione di Dio, e finirebbero per rovinare la vostra riputazione. Io so [di] certo che chi lavora per la pace, lavora contro di me; ma nulla importa, io non lascio perciò di darvi il vero consiglio.=

mio ritorno a Fekeriè ghemb Appena terminata la nostra conferenza, io ho lasciato subito Liccèe, e sono partito per Fekerie ghemb, sia per non dare motivo a chiacchiare, sia ancora per non sentirne di tutti i colori, perché in simili circostanze le città sono per lo più il gran mercato delle notizie, ed il luogo dove si conoscono le diverse opinioni. rifugio degli europei, e di Bafana
[fine gen.-inizio feb. 1878]
Il re aveva ordinato che tutti gli europei si ritirassero in Fekerie ghemb, se pure essi volevano che egli rispondesse della loro sicurezza. Si ritirarono [per] i primi i missionarii protestanti colle loro mogli, e famiglie; al loro arrivo io, secondo l’uso del paese, gli ho ricevuti in casa dando loro qualche ristoro; la sera ho mandato loro ancora la cena. Il nostro Antinori mi spedì parecchie casse, che ho ritirato in casa mia. Egli andava e veniva, ma non prese stanza in Fekerie ghemb, riservandosi [di ripararvisi] ad ogni caso estremo. Si ritirarono alcuni altri, ma molti hanno creduto meglio [di] prendere il largo verso le frontiere. La regina Bafana si ritirò a Fekerie Ghemb con molte donne e schiave del tesoro delle vestali regie state raccomandate a Bafana. Fu allora che io ho potuto conoscere in detaglio questa donna misteriosa, perché ho avuto l’occasione di praticare quella casa, per causa di alcuni ammalati che non mancavano mai di chiamarmi. cura di una figlia del re Fra le altre si trovava nelle mani di Bafana una piccola figlia del Re, avuta da qualche schiava, e che era [p. 869] stata dichiarata come figlia del Re col privilegio di altezza, benché ancora piccola. [Per] Questa piccola figlietta dell’età al più di cinque anni, essendo gravemente ammalata, io ho dovuto andarvi molte volte, pregato dal Re per curarla, e doveva sottoscrivere il bollettino sanitario che si spediva al Re (1a). Quando io doveva recarmi a quel luogo di clausura civile, benché io avessi tutte le facoltà, pure io era sempre chiamato dal governatore della fortezza, il quale entrava e sortiva con me, ed in caso di bisogno rimaneva anche qualche ora. Il Governatore della fortezza era Ato Mannajè, mio grande amico. Da lui io poteva avere le più esatte relazioni sulle corrispondenze colla corte dell’imperatore Giovanni, e con quella del Re Menilik.

/10/ Le due corti coi loro campi si guardavano da lontano: Il re Giovanni si teneva fra i Wollo, e non osava avanzarsi, Menilik armato si teneva fra Liccèe ed Ancober. I messaggieri si succedevano ogni giorno, per lo più tutti ecclesiastici del partito eutichiano amico della pace; tuttavia le relazioni erano molto tese, e non si credevano a vicenda. Menilik aveva ordinato lo sgombro della popolazione, e di tutti i capitali da tutti i contorni di Ankober e di Liccèe. Il nostro Menilik non faceva altro che raccomandare moderazione nel popolo, ma questo era furioso ed avrebbe voluto battersi. L’imperatore Giovanni fra i Wollo si trovava nelle strettezze, perché le popolazioni tutte essendo fuggite coi loro capitali, là non si trovava più di che vivere, epperciò si vedeva costretto o ad indietreggiare, oppure ad avvanzarsi. A misura che il campo progrediva un tantino, [a]i soldati ed [a]i servi che si allontanavano dal campo in cerca di viveri succedevano dei gran massacri, e l’imperatore perdeva gente ogni giorno. I sciowani [p. 870] poi erano furiosi, e non sapevano capire come i due campi stassero così stazionarli, e parlavano male dello stesso loro re Menilik trattandolo come pauroso. incendio di Seladenghia
[18.2.1878]
In quello stato d’incertezza, e di marziale paralizia [l’imperatore Joannes] ha creduto arrivato il momento di vendicarsi contro il Re Menilik, il quale in Gogiam aveva incendiato Manquorer sua città residenziale, e, radunata tutta la sua armata, volò sopra Seladenghià, piccola città, dove soleva risiedere la Madre dei Re di Scioha pro tempore, dopo uno spietato pigliagio di quella Provincia, dove di quell’anno stesso era morta la madre del Re Menilik, mise il fuoco e distrusse ogni cosa. [mobilitazione scioana: 2.2.1878;
partenza da Liccè: 3.2.1878]
Allora si misero in movimento tutte le popolazioni dei contorni, e fecero grandi massacri dei gogiamesi. Poco mancò allora che le due armate [non] si mettessero in collisione decisiva, e si lasciassero tutte le trattative di pace. Sarebbe stata quella la salute di Scioha.

si publica una tregua
[condizioni accettatte: 9.3.1878;
Siluramento di Menelik: 10.3.1878;
pubblicazione della pace: 11.3.1878;
doni a Joannes: 11-19.3.1878]
Ma le trattative erano già troppo inoltrate, epperciò si scossero le due armate e presero serie misure per impedire altre ulteriori collisioni. Si dichiarò una tregua nei due campi nemici, la quale fu la foriera di pace. I due campi si diedero ostaggi a vicenda; il Re Menilik si ritirò verso Angololà colla sua armata, e lasciò Liccèe all’imperatore Giovanni. Si ordinò che fosse attivato il mercato di Liccèe, affinché l’armata straniera potesse comprare dei viveri, e non fosse costretta a marrodare [= depredare] per vivere. Il Re Menilik aveva già fatto comprare una gran quantità [p. 871] di cartucce dalla vicinanza dell’armata nemica; con quella tregua e mercato egli pensava ad indebolire l’armata [nemica] con quel commercio secreto, mentre la tirava più verso il centro per gettargli sopra una scarica di cavalleria galla, e così distruggerla. Il suo /11/ calcolo era astuto, ma non poté riuscire, perché la cavalleria galla già ferma da tre settimane, si disgustò per la promulgazione di quella tregua, ed incomminciò a dileguarsi in cerca di pascoli, e di viveri. incontro dei due principi
[e sottomissione di Menelik: 20.3.1878]
Così le trattative di pace, che Menilik aveva calcolate come illusorie, divennero reali, come per forza. Venne fissato il luogo di convegno tra i due campi, ed i due principi si trovarono [d]a soli e vi passarono insieme circa due ore; convennero sopra gli articoli fondamentali della pace.

articoli di pace publicati
[11.3.1878]
Articoli di pace conosciuti dal publico: 1. Il Re Menilik rinunziò al titolo d’imperatore. 2. Fu assicurata la sua indipendenza per tutto l’antico regno di Scioha, mediante un modico tributo di qualche milliajo di talleri annuo. 3. L’imperatore si obligava ad incoronare il Re Menilik, come semplice Re di Scioha e Wollo. 4. L’imperatore riconosceva il diritto di successione nella sua dinastia in caso di morte. 5. Giuramento di reciproco ajuto in caso di bisogno. 6. Che la strada di Zeïla e di Tagiurra fosse chiusa agli europei nel termine di due anni. 7. Dopo la visita del Santuario di Devra Libanos, l’imperatore Giovanni si obligava a sortire dal regno di Scioha, accompagnato dal Re Menilik sino alle frontiere, 8. Nel sortire l’imperatore Giovanni [p. 872] si riservava il razia di alcune provincie sulle frontiere, ed anche di altre in caso di bisogno.

articoli tenuti secreti
[lettera di Menelik: 21.3.1878]
Gli articoli concernenti le questioni religiose rimasero secreti; solamente il re Menilik mi spedì subito un corriere con lettera, nella quale mi diceva, che l’imperatore Giovanni sarebbe stato disposto a ricevere una mia visita, e mi faceva premura di andarvi subito, perché l’imperatore doveva partire dopo la visita di Devra Libanos. Appena arrivò a Fekeriè ghemb la notizia della pace conchiusa, la Regina Bafana partì subito per fare una visita all’imperatore Giovanni, sperando di essere aspettata e sospirata; nella giornata stessa della sua partenza ricevette una lettera che l’avvertiva di non presentarsi al campo dell’imperatore, se non voleva esporsi ad un rifiuto. Si vidde quindi costretta a ritirarsi in sua casa. Partirono pure tutti gli europei che si erano rifugiati a Fekerie Ghemb. mia partenza per il campo
[arrivo a Gilogov: 24.3.1878;
a Grar, campo di Menelik: 26.3.1878, ore 16,30]
Io, appena ricevuta la lettera, ho disposto le mie cose di casa ad ogni evento incerto, e l’indomani mattina sono partito per Gilogov, ove, passata la notte, sono partito col Padre Luigi Gonzaga per il campo. Un’altra lettera ricevuta in strada da Menilik, mi diceva, che mi aspettava al suo campo vicino a Devra Libanos. Questa mia andata precipitosa, e tutte quelle lettere ripetute diedero luogo a molte dicerie in senso opposto; alcuni predicevano grandi favori [dell’imperatore], mentre altri all’opposto arguivano una gran collera contro di me unusquisque in suo sensu [p. 873] e noi dovevamo essere preparati a tutto. Io non mi /12/ trovava molto bene in salute, motivo per cui ho dovuto mettervi qualche giorno di più per arrivare a Devra Libanos, dove erano accampati i due principi; e vi arrivammo la sera al cadere del sole, mentre al campo dell’imperatore, ancora da lontano sentivamo un gran sparo di cannoni e di moschetteria.

incoronazione di Menilik
[26.3.1878]
Il Signor Piquignol francese avendo sentito il nostro prossimo arrivo ci venne all’incontro con alcuni suoi amici; benvenuti, disse, il nostro [nostro] Re son due giorni che domanda di Lei, ma oggi sarà difficile che possa trovarlo: è arrivato poco fa dal campo dell’imperatore in gran treno, accompagnato da tutta la corte imperiale; oggi è stata celebrata la gran cerimonia dell’incoronazione del Re Menilik, ed in questo momento si trova in trono colla sua corona in capo, vestito di manto reale, e con [lo] scettro in mano, e non la finirà prima di mezza notte. Ella perciò non potrà trovarlo questa sera, sarà fortunato se potrà trovare una tenda da ricoverarsi, e qualche cosa da mangiare, essendo tutto il suo mondo in gran facende per il pranzo, che in questo momento si sta facendo da tutti i grandi dell’imperatore Giovanni. nostro arrivo al campo: gran confusione Difatti, appena arrivammo al campo del Re Menilik, [vedemmo] una confusione indescrivibile: tutto il campo dell’imperatore Giovanni si era [ri]versato nel campo del Re Menilik, [at]tirati tutti dalla speranza di mangiare e di bere. Prima di arrivare al recinto del Re due cordoni di soldati, a distanza di cento metrri l’uno dall’altro, appena potevano impedire la confusione e la calca del mondo. difficoltà nel nostro ingresso Ci volle[ro] tutti gli sforzi per poter passare i due cordoni, ed arrivare vicino al recinto [p. 874] del Re, dove si trovava la piccola tenda del Signor Piquignol, nella quale pensavamo [di] rifugiarsi provisoriamente. Entrati in quella tenda, io, non ne potendo più dalla stanchezza, mi sono corricato sul piccolo letticiuolo di Piquignol, lasciando agli altri tutta la sollecitudine di provedere all’alloggio, ed alla cena. Come però io era aspettato, e l’amministrazione del Re non mancava di essere al corrente di tutti i miei passi, una tenda qualunque non mancava di essere stata riservata per me, e così una miserabile cena, secondo l’uso di quei paesi, e di quella corte. Solamente, che l’amministrazione in quel momento era come una machina ingombrata nei suoi movimenti materiali. Per me il tutto si trovava, ma mancava solo lo spazio materiale per agire. Sia il Signor Piquignol, sia il mio Ajelo, persona destinata dal Re a tale officio, non mancarono di fare tutto, e di tutto trovare a suo tempo. Ma nella corte stessa si trovava un baccano tale, che due persone vicine, appena, parlando, potevano farsi intendere.

Di quella sera perciò bisognava avere pazienza e cavarcela come poteva- /13/ mo. Si mangiò e si dormì alla meglio. dopo la mezza notte Poco più, e poco meno, passata la mezza notte, al calcolo delle stelle, secondo, l’uso di quei paesi, incomminciò [a] sgombra[re] il mondo, e quelli del campo dell’imperatore se ne ritornarono a casa loro; anche io aveva potuto riposare un tantino dallo stramazzo del viaggio. Piquignol mi racconta la cerimonia Come l’incoronazione di un Re, non imperatore, era [p. 875] una funzione tutta nuova in Etiopia, stata creata allora dall’imperatore Giovanni, la quale, secondo me, doveva fare l’officio della canzone che suole cantarsi al bimbo nel moversi la culla per farlo dormire, io era molto curioso di sapere come fu eseguita, ed il Signor Piquignol europeo, già sufficientemente al corrente nel paese, il quale aveva tutto veduto, me ne fece una sufficiente descrizione i preparativi di essa = Incomminciando dalla mattina, [disse, si spararono] cannonate e moschetteria senza numero e senza misura, per mettere il popolacio in aspettazione di una gran festa mai veduta. La ce[re]rimonia doveva eseguirsi sotto un tendone che poteva capire qualche centinajo di persone, riservato ai soli grandi dell’impero di Giovanni, e del regno di Menilik, stato preparato nell’interiore stesso del recinto imperiale. Nell’estremità del tendone in mezzo [si ergeva] un gran trono per l’imperatore, ed a canto del medesimo un’altro piccolo trono per il coronando, dall’altro canto, una corona imperiale, un manto reale rosso, un[o] scettro, e schierati i regali che dovevano servire come di dote al coronando, cioè quattro cannoni, e qualche centinajo di fucili ramenton con una quantità di munizioni; era questo tutto il preparativo.

suo principio Quando tutto fù in ordine, dopo le dieci del mattino, e dopo fatta una piccola colazione, venne l’ordine dell’imperatore al campo del Re nostro coronando, a fare alzare la comitiva: [ore 12] Siamo partiti dal nostro campo, passando in mezzo alle file [p. 876] dei nostri fucilieri schierati, e sortiti così dal nostro campo, [a Gigiga: ore 15] siamo entrati nel campo imperiale, ricevuti anche dai soldati schierati, mentre i cannoni annunziavano il nostro ingresso, e lo sparo dei fucili dopo quello dei cannoni. Siamo entrati nel gran tendone della cerimonia, dove l’imperatore in gran te[nu]ta già ci aspettava: il coronando si presentò al bacio della mano, mentre il seguito si contentò di baciare la terra. parlata dell’imperatole Ognuno presa che ebbe la sua posizione, l’imperatore fece una parlata di complimenti al coronando ed alla sua corte; ringraziò Iddio di aver data la pace a tutta l’Etiopia. Dopo l’imperatore entrò in detagli più interessanti: anticamente, disse, gli imperatori dell’Etiopia nostri precedessori, non mantenevano in Scioha, antica sede imperiale, che un vicario imperiale, il quale [non] ha mai portato, ne il nome, ne i distintivi di Re, ma solo si chiamava Mered cioè vicario. Oggi io, come imperatore e re dei re, volendo dare /14/ un segnale di riconoscenza alla fedeltà e docilità di Menilik gli do il grado ed i distintivi di Re, ciò a condizione che presti giuramento di fedeltà, e di sudditanza.

giuramento Dopo che l’imperatore ebbe parlato si levò dal suo luogo l’Ecciecchè, capo dei monaci, e fatta riverenza all’imperatore, ed al Re Menilik gli presentò la croce, sopra la quale mettendo la mano destra pronunziava la formola del giuramento dettata dall’Ecciecchè, quale [p. 877] terminata, l’Ecciecchè, fatta riverenza all’imperatore ed a Menilik, se ne ritornò al posto suo.

cerimonia dell’incoronazione Dopo il giuramento si levò in piedi l’imperatore, prese il manto reale di colore rosso, lo pose sopra le spalle del re Menilik. Dopo prese la corona (1b) e glie la pose in capo; dopo la corona gli consegnò il scettro (2a) dicendo poco presso queste parole = tu sei dunque Re e padrone del paese già conquistato e posseduto dai tuoi padri, secondo gli articoli e condizioni convenute tra noi: chi tocca il tuo regno toccherà me, e chi ti farà la guerra la farà a me; tu sei dunque mio figlio primogenito. Ciò detto lo intronizzò, facendolo sedere sul piccolo trono per lui preparato. In quel momento si spararono tutti i cannoni, e succedette uno sparo dei fucili. Dopo di che l’imperatore baciò il Re Menilik, ed ordinò che tutti per ordine baciassero la sua mano. Così terminò la funzione.

ritorno di Menilik al suo campo
[ore 16,30]
Terminata che fù la cerimonia dell’incoronazione si ordinò di nuovo la processione dal cortile imperiale sino a quello del Re Menilik poco presso come prima, colla diferenza, che il nuovo coronato procedeva con tutte le sue insegne reali ricevute sopra un mulo magnificamente adobbato statogli regalato dall’imperatore, e camminava circondato dalla gran corte imperiale, dopo la quale veniva il cortegio di Menilik. Dopo il convoglio del re seguivano i quattro cannoni, ed i duecento fucili ramenton ricevuti come dote, il tutto portato sopra le spalle della bassa corte imperiale; venivano tutti per passarvi il resto del giorno [p. 878] ed una parte della notte nel reale banchetto, al quale erano invitati. Quando noi siamo arrivati [la festa] si trovava nei forte del banchetto, ed il Re Menilik, dicevano, superbo colla sua marmitta (1c) in capo /15/ dietro la tendina faceva la figura di una statua coronata. alcune voci popolari In generale i Sciowani non avendo amato la pace coll’imperatore Giovanni, mi sono accorto che parlavano con un linguagio di disprezzo dell’incoronazione del loro Re Menilik, trattandolo come da sciocco, per essersi lasciato imbrogliare dai preti eretici, i quali agivano per spirito di partito, e lo fecero suddito e tributario, mentre, lasciando fare [al]l’armata, sarebbe stato certamente vittorioso, ed avrebbe toccato a lui pagare il tributo. Oggi ha studiato di mettere una marmitta in testa al nostro Re per farlo servo, e diventar padrone del nostro paese; così vanno le cose; oh Menilik quanto sei sciocco! Io ho sentito da parecchi del popolo una simile pantomina.

un criterio publico Bisognava confessare la verità: simili espressioni nel popolo non sono lodevoli, perché eccitano alla rivolta; ma ben soventi si verifica quel principio che dice: vox populi vox Dei. Il Re Menilik non era uno sciocco, come il popolo diceva; bisognava anzi confessare, che in molte cose era furbissimo ed il popolo lo sapeva, e lo amava. Ma il Re Menilik aveva una gran debolezza, di lasciarsi dominare da qualche passione, come suol arrivare a molti, ed allora faceva delle sciocchezze; come gli accadde nell’affare della regina Bafana; così accadde nell’affare [p. 879] di quella benedetta corona, affare anche [anche] quello stato organizzato da Bafana. io giustifico il popolo Il popolo non parlava per la voglia che avesse di rivoltarsi; tutto all’opposto era [per] schietta affezione al loro Re, vero idolo del popolo. Il popolo di Scioha, accostumato sotto una dinastia tutta popolare e patriarcale, come quella dei Padri del Re Menilik, i quali avevano saputo conservare il loro paese dalla febbre della guerra e del razia dei soldati; Poco prima avevano provato il giogo durissimo di Teodoro; essi temevano i Re di Gondar. Benché il loro Re Menilik, educato alla corte di Teodoro, non fosse più come i suoi padri, pure aveva ancora delle buone qualità, motivo per cui lo amavano, e si sarebbero battuti sino all’ultimo sangue per lui. Ciò detto a giustificazione del popolo di Scioha, ritorno alla storia.


(1a) Oggi avendo inteso che [che] il figlio dell’imperatore Giovanni ha sposato la figlia di Menilik credo che non possa essere altra che quella, perché, per quanto io sappia Menilik non aveva altre figlie. [Torna al testo ]

(1b) L’unica forma di corone in Abissinia è la corona imperiale antica conservatasi sempre in Waldubba nel famoso monastero; presa quindi da Teodoro. Questa non è in lamine distinte come le nostre, ma sibbene come un triregno papale, colla differenza che questo va restringendosi in cima, l’addove l’altro si allarga. In mezzo al circolo superiore, quest’ultimo ha un piccolo globo con una croce. [Torna al testo ]

(2a) Il scettro in Abissinia è appena in uso; il citato sopra è una verga di due palmi con un globo. [Torna al testo ]

(1a) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]