/16/

2.
Joannes visita il monastero Devra-Libanos.
Saccheggi autorizzati: riflessioni.

mia premura di vedere il re Chiamato io al campo con tanta premura, era impaziente di vedere il re Menilik, ma il povero Re, avendo passata la notte colla sua corona in testa a sentirsi dei complimenti, l’indomani mattina si sentiva stanco e con un poco di male di capo; e solamente verso mezzo giorno mi fu dato di poter parlare con lui. nostra visita al re Menilik
[27.3.1878: mattino]
Andato da Lui col P. Luigi Gonzaga, appena abbiamo potuto parlare un poco del nostro viaggio, e del nostro arrivo in mezzo ai trambusti delle feste; egli bramava di procurarmi l’incontro coll’imperatore, non fosse altro, egli diceva, per correggere certi pregiudizii che potevano prendere una consistenza contro la missione; [p. 880] ma avete tardato troppo. Domani l’imperatore farà la sua visita al Santuario di Devra Libanos; forze dopo domani vi troverete coll’imperatore; vedrete, egli diceva, che le cose non sono tanto male; la pace ha prodotto un buon’effetto. Il buon Re Menilik aveva ancora la testa piena del suo incoronamento, e non pensava a tutte le conseguenze che sarebbero immancabilmente seguite. Ne quello era il momento di poter entrare in certi detagli. Il Re doveva recarsi dall’imperatore per il ringraziamento: io parlerò del suo arrivo, disse il Re, e poi ci parleremo. Così ci siamo separati col Re, ed io ho passata la giornata ricevendo visite degli amici. ati Joannes visita il santuario
[28-30.3.1878]
L’indomani l’imperatore col Re Menilik, e l’alta corte dei due principi passarono il giorno nella visita del Santuario famoso di Devra Libanos, dove arrivò un fatto, che fece tanto parlare il popolo del regno di Scioha, da far dimenticare affatto la gran festa dell’incoronazione di Menilik del giorno precedente.

Dopo che l’imperatore col Re Menilik avevano visitato tutti i luoghi tradizionali di quel Santuario di Abuna Tekla haj̈manot Santo fondatore di quel classico monastero, centro del partito detto Sost Ledet, il più forte partito religioso in tutta l’Abissinia, quello che nella fede è il più vicino al cattolicismo, e che si potrebbe dire anche cattolico, quando riconoscesse il Papa, come già altrove è stato detto. L’imperatore dun- /17/ que, finite tutte le visite, volle recarsi in un luogo destinato, dove lo aspettavano tutti i monaci con grande [p. 881] apparato di preparativi conveniente, dove i due principi col loro seguito dovevano prendere qualche refezione. accade un gran scandalo Entrati nell’appartamento, e preso ciascuno il loro posto, l’imperatore [rivolse] poche parole di saluto a quei monaci, e senza toccare la fede, come punto troppo geloso, parlò brevemente dell’Abuna Tekla Haïmanot apostolo del loro paese, dicendo che dalla sua gioventù aveva sempre bramato di venerare il suo sepolcro (1a), e che ringraziava Iddio di averlo esaudito, e di esservi arrivato. Quando l’imperatore ebbe parlato in termini sufficientemente pacifici, perché per allora non aveva idea di entrare nella questione della fede, essendo il torno di parlare dell’Abbate del monastero medesimo, quello che rappresentava il grande oracolo della fede Sost Ledet di Devra Libanos, fatto che ebbe il gran complimento di uso, sia stata una cosa combinata col partito Karra eutichiano, oppure sia stata una cosa tutta sua propria, prodotta forze dal timore dell’imperatore, non si poté sapere, il fatto si è che fece là in publico la professione della fede dei Karra eutichiani: io, disse, son nato Karra eutichiano, e da questo momento dichiaro di ritornarmene alla mia fede di Karra eutichiano.

gran crisi per lo scandalo Non è possibile esprimere l’impressione che fece questo fatto in tutta quella immensa comitiva. Lo stesso imperatore, benché Karra fanatico, e tutti gli altri del suo seguito che professano la stessa fede, ne ebbero orrore. è caciato l’abbate I monaci del monastero al sentire quella professione di fede fatta dal loro abbate, gettarono un grido [p. 882] orribile, come se fossero stati trafitti nel cuore con una lancia: o sorta [l’abate], gridarono tutti d’accordo, oppure sortiremo noi. L’imperatore, benché nel suo cuore non fosse contrario alla loro sortita, per introdurre altri della sua fede, pure vedendo che ciò faceva una sinistra impressione nel paese, credette conveniente [di] usare prudenza, e moderazione, egli consigliò il Re Menilik a prendere qualche misura, ma questi avendo voluto declinare l’odiosità, lasciò che agisse l’imperatore stesso, il quale rimise l’affare all’Ecciecché capo dei monaci di tutta l’Abissinia: quest’uomo, disse l’Ecciecchè oggi si fa Karra, e domani farà un’altra simile figura a /18/ noi, epperciò si mandi a qualche chiesa, e non ritorni più a turbare Devra Libanos; così si fece, alcuni soldati l’accompagnarono ad una Chiesa con ordine di restare là sino a nuovo avviso. Il povero uomo aveva fatto questo per assicurare il suo posto, ed invece fù abbandonato per sempre da tutti. I due principi intanto disgustato di questo htto, rinunziarono al ristoro che dovevano prendere, e partirono sul momento, dicendo che la questione si sarebbe veduta l’indomani. Così terminò la visita a Devra Libanos.

L’indomani sarebbe stato il giorno fissato dall’imperatore per la mia udienza. La mattina dopo le nove secondo l’avviso io doveva recarmi in certa lontananza ove aspettare di essere chiamato. questione fra i due partiti Ma la questione Karra e Sost Ledet di Devra Libanos aveva preso una piega di ostilità poco rassicurante; onde verso mezzo giorno il Re Menilik mi fece dire, che il giorno era poco favorevole al nostro incontro, e che perciò poteva ritirarmi. L’imperatore avendo dichiarato il monastero passato sotto il comando dell’Ecciecchè eutichiano, i monaci tutti erano in fuga, e lasciarono [p. 883] il monastero vuoto, cosa che cagionò un’irritazione non indifferente nel publico di Scioha da far temere l’imperatore medesimo. la questione ad altro tempo Per questa ragione questi dichiarò che la questione sarebbe stata trattata in altra epoca unitamente alla questione della fede; si raduneranno tutti i dotti del paese, diceva l’imperatore Giovanni, e si sarebbe trattata l’unione di tutte le sette e partiti in un solo; è questo un tranello dicevano i scioani, egli machina di obligarci tutti ad abbraciare la sua fede; e con queste e simili parole non mancavano agitatori da minaciare la tranquillità dell’armata imperiale. Per questa ragione incomminciavano a parlare di partenza, ed io avrei voluto finirla coll’imperatore, e ritornarmene.

un’oragano orribile
[30.3.1878: 4 pomeridiane e dura 2 ore]
Arrivammo al quarto giorno, ed era anche quello il giorno fissato per l’incontro coll’imperatore Giovanni: Stia pronto, [mi] diceva la sera avanti il Re Menilik, perché l’imperatore domani non mancherà di chiamarla, ma l’indomani fu un giorno di una grandine tale, che simile [non] l’ho mai veduta dopo tanti anni di dimora in quei paesi. Noi avevamo mangiato un poco di pranzo di campagna statoci spedito da Menilik, e da alcuni amici che pensavano a noi per partire alla volta dell’imperatore Giovanni, il quale ci aspettava, quando da tutte le parti dell’orizzonte si sollevò un temporale orribile che spaventava tutti, vento, fulmini, e una grandinata orribile certi grani di grandine [p. 884] grossa come una noce, cosa mai veduta dai vecchi in quei paesi. Noi eravamo sotto una tenda di drappo indigeno fortissima e pesantissima, ma fu spiantata di botto, come tutte le altre, anche quelle dello stesso Re. Noi ci trovammo im- /19/ mersi in una mare di aqua gelata e di grandine, inviluppati sotto la tenda per salvarci dai colpi micidiali della grandine, la quale arrivò a rompere i vasi della birra e dell’idromele. Gli animali di carico, ed altri da macello attaccati con corde a pichetti, spiantarono tutto, ed incerti e fugitivi minaciavano di passarci sopra. La crisi durò più di un’ora, e fece uno strazio degli uomini e degli animali. Quasi tutti, avevano ricevuto delle botte che lasciarono la piaga, ma ciò fù ancora poco, non si tardò nel campo a contarsi molti morti; ma initium dolorum...

grandi sofferenze Dopo una crisi simile sarebbe stato necessario un poco di fuoco, di vesti asciutte, e qualche altro ristoro, ma dove si trova tra Paqua, il fango, e la grandine ammontichiata? chi lavora[va] al riparo, mentre tutti erano soff[e]renti? dove [trovare] il legno in un piano senza un’albero alla distanza di un-kilometro? Venne la sera, e si dovette passare la notte in questo stato di vera desolazione. Dopo la grandine viene il freddo, anche nei paesi della zona, un povero uomo, piagato, bagnato, mal pasciuto e senza fuoco [lo] lascio considerare [al lettore...]. I poveri senza riparo, senza vesti, ed affamati giacevano in terra intirizziti e mezzi morti. Gli abitatori della zona, dove il vero freddo [p. 885] non è conosciuto, possono soffrire la fame, ed altre tribolazioni più di noi, ma non il freddo.

i miasmi dopo l’oragano Ma non stava ancora qui tutto il male: in quei paesi, quando un campo militare è rimasto in un luogo fermo dieci giorni, se viene una pioggia bisogna fugire subito, dicono gli stessi indigeni per fugire le esalazioni ed i miasmi che sogliono svilupparsi. causa dei miasmi Per comprendere questo bisogna calcolare due cose. La prima è quella degli animali che si scannano, le parti interiori dei quali con tutti i suoi escrementi son lasciati in abbandono colle ossa, e con molte altre parti che non usano mangiare. Quindi gli animali che muoiono non si seppeliscono. La seconda cosa sono gli escrementi degli uomini, i quali per i loro bisogni dovrebbero andare [lontano] un kilometro per sortire dal campo. Ciò si suol dire di un campo, militare un poco grosso, che conti uno o due mille persone; ma nel caso nostro il solo campo del re Menilik ne contava più di trenta mille, e quello dell’imperatore tutto vicino ne contava molti di più, come straniero, e la sua gente non poteva disperdersi per andare alle proprie case. Il mio lettore non stenterà quindi a farsi un’idea delle esalazioni [che] dovevano temersi dopo una pioggia simile. Tutti avrebbero voluto partire per salvarsi da un’epidemia; ma quante difficoltà. I morti da seppelire, gli ammalati da curare, le bestie perdute da cercare, gli arredi sciuppati da ristorare, e quanti altri simili motivi [non] impedivano [la partenza]?

/20/ sentimenti popolari Oltre tutto questo, quanti altri timori non consigliavano una pronta partenza? I popoli barbari e non educati da un cristianesimo attivo, [p. 886] e vivificato dalla grazia dell’apostolato divino, vivono di pregiudizii molto grossolani, essi sogliono attribuire i grandi eventi alla divinità, concepita a modo loro, anche più di quello che domanda una sana dottrina, e senza il corredo della rassegnazione comandata dal vangelo. Per questa ragione, dopo tutte le scene di Devra Libanos sopra riferite, essendo arrivato l’oragano anzi detto, il popolo irritato, non solo contro l’imperatore Giovanni, ma contro lo stesso Re Menilik sono incredibili le cose che si sentivano ogni momento dal popolacio: avete veduto abuna Tekla haïmanot cosa ha fatto, come ha trattato questi nostri Re? avete veduto, come dal cielo si è vendicato dei suoi nemici? Il nostro Santo ha terminato la questione, e noi suoi figli stiamo quieti? peggiori dei miasmi Queste e simili parole erano in giro fra gli indigeni, epperciò l’imperatore sentiva il bisogno di accelerare la partenza, prima che simili progetti prendessero consistenza. Il Re Menilik era là, e la popolazione di quei paesi venerava troppo la dinastia del Re; senza di questo l’imperatore Giovanni non l’avrebbe passata franca. Esso con un’armata imponente avrebbe sempre ancora potuto difendersi, ma, come ognun sà, è sempre un cattivo lottare contro le masse popolari.

Non si pensò più quindi, ne a visite, ne ad altro; ma aggiustate le cose, e riparate alla meglio il dissesto dell’oragano l’imperatore non pensò più a ritornare indietro per la via del centro per la quale era [p. 887] [era] venuto, ma pensò a guadagnare le frontiere per la via più diretta. partenza da Devra Libanos
[di Joannes: 1.4.1878;
di Menelik: 2.4.1878]
Io me ne sarei ritornato volontieri, anche senza trovarmi coll’imperatore Giovanni, ma il Re Menilik non volle, perché il suo onore sarebbe stato compromesso. Epperciò dovetti partire e seguitare l’armata. Abbiamo camminato tre giorni al nord-ovest, attraversando in buon’ordine alcune Provincie governate da Ras Derghè, senza molestare molto le popolazioni irritate, ma appena le armate ebbero passato le provincie più pericolose, allora si fece un’alto, e si piantò a campo per prendere un poco di riposo. Là l’imperatore incomminciò a respirare dai suoi timori, e volle pensare al nostro incontro. Eravamo in un vasto piano, dove si trovava un’erba bellissima per i bestiami. All’intorno un’anfiteatro di bellissime colline tutte popolate di villaggi. accorda il razia all’armata L’armata dell’imperatore Giovanni accostumata a vivere di pigliagio, al vedere quelle belle provincie ricche di bestiami e di cereali, non poteva più contenersi nei limiti stabiliti dalla pace, di contentarsi cioè di ciò che veniva lor dato dai popoli. L’imperatore fu costretto di cedere.

Io aveva veduto [altre volte] il pigliagio dei soldati molte altre volte, ma /21/ sempre nelle piccole armate, e fra popoli amici, epperciò sempre con una certa moderazione, ma il pigliagio dell’armata in discorso fu una cosa tanto nuova per me, che mi fece rabrividire: fu allora che ebbi una vera idea [p. 888] del razia abissino in tutta la sua estenzione. A dire il vero, il razia abissino delle grandi armate è una cosa orrida oltre ogni dire; in facia al razia abissino non vi è più casa, non vi è più famiglia, non vi è più umanità, e la roba medesima di qualsiasi genere perde sul momento il suo valore. principio del pigliagio Un piccolo fatto farà conoscere, quanto ho detto non essere punto una mia esaggerazione: io viaggiando sono rimasto un tantino indietro dalla stessa mia gente: trovandomi stanco mi sono riposato un momento sotto un’albero tutto vicino ad un piccolo villagio, nel quale esisteva fra le altre, una casa molto distinta, circondata da buona siepe, e da altre piccole case dentro la medesima; era quello [il] segnale che vi abitava là una persona molto distinta. Come il razia era stato incomminciato poco prima, quella povera gente, sicura del fatto loro, non era fugita, ma stava aspettando che tutta l’armata fosse passata; quando entrò tutto all’improvviso in quella casa una quantità di soldati, per il pigliagio. quì incommincia lo spettacolo.

dividonsi uomini e bestie Tutta quella gente fu legata sul momento: si trovavano là Padre, madre, figli, figlie, schiavi, e schiave, oppure servi o serve che fossero di ogni età, e di ogni sesso, tutti ben vestiti in proporzione del paese; esistevano là dentro bestiami di ogni qualità, anche dei cavalli e dei muli. Tutti quei soldati si divisero tutta quella gente, e quei bestiami. tutti spogliati Fatta che fu la divisione delle persone [p. 889] e delle bestie, fecero questione fra [di] loro delle vesti dei loro schiavi, furono tutti spogliati delle medesime, dando loro in compenso qualche piccolo stracio per coprire ciò che bisognava coprire di necessità, lasciando[li] nel rimanente quasi nudi affatto. Lo spettacolo non è ancora finito: come fu svaligiata la casa, caricarono sopra le spalle dei nuovi schiavi dei carichi enormi da portare di vesti, di attrazzi, di grani, come furono caricati i loro cavalli, i loro muli, ed i loro asini. Ma tutto questo non bastò ancora: il più forte dello spettacolo fù nella loro partenza, quando uno prese da una parte ed uno prese dall’altra per non vedersi mai più, marito e moglie, padri e figli, padroni e schiavi o servi. gridi nella separazione Resta ora al mio lettore a giudicare dei gridi, dei schiamazzi, ed anche delle battiture indispensabili per soggiogare tutta quella gente, e dividerli fra [di] loro. Quindi giudichi il mio lettore il duro passaggio di quella povera gente; essi andarono al campo dell’imperatore non molto lontano, ed io me ne andai al campo del Re Menilik, dove mi aspettavano i miei. Viddi poi, e seppi, che tutto quel villagio fù distrutto affatto, ed abbruciato il restante.

/22/ Un’altro fatto veduto poco dopo: camminando, una quantità di soldati, o di uomini di servizio, già tutti carichi di grani, avendo sentito, che non molto lontano esistevano dei grani di una specie migliore, di quella che portavano nei loro sacchi di pelle, gettarono sulla strada il grano che portavano [p. 890] vuotando i loro sacchi, per riempirli di altri migliori; ne ciò è un fatto solo, poiché sulla strada di quando in quando si trovavano grani così gettati. Un poco più avanti ho veduto una casa tutta vicina alla strada, dove una quantità di gente pigliava il grano; grandi gôte, così dette (1b) colla sciabola bucate in mezzo, ed il grano correva per terra, come se fosse una botte di vino, e ciò per maggiore commodità nel riempire i loro sacchi. Una volta caricati lasciano il grano là per terra, come se fosse polvere; oggi sciupa, domani piange così il popolacio rispetta il dono di Dio: oggi sciupa, e domani piange per la fame: era quella l’ultima analisi di un comunismo o socialismo, oggi tanto sognato anche dai nostri. L’imperatore Giovanni che benediva simili disordini, non era già che li approvasse nel suo cuore, ma unicamente, perché non era un vero capo di governo organizzato e regolare, ma nel fondo era un semplice capo banda, sostenuto dai suoi soldati, ed era obligato a benedire, anche quando nel suo cuore malediva, affinché i suoi soldati non lo abbandonassero, Così vanno le cose dal momento che un governo si scioglie nel suo organismo regolare. Ciò sia di norma ai nostri paesi; si pensi, che dopo l’anarchia crescono le spine dei deserti come nell’Abissinia del nord. Questi sono fatti che valgono più di dieci ragioni.

l’uomo e la società sono machine viventi La società, come la persona stessa del uomo, sono machine mecaniche nella loro parte visibile e materiale, le quali si sostengono con leggi di proporzione armonica e quasi incomprensibile; ma sono nel tempo stesso machine che hanno una vita a se, la quale dipende [p. 891] da certi principii, che umanamente la metafisica e l’etica, e sopranaturalmente la sola religione rivelata ci possono adeguatamente e salutarmente far conoscere. Come nella nostra stessa persona, molti vivono senza comprendere se stessi, e sogliono abusare di certe leggi che Iddio nella sua misericordia aveva ordinato per la nostra conservazione, e per la conservazione della famiglia umana, e ne abusano tanto, da rimanerne vittima, e ciò unicamente, perché l’uomo non comprende se medesimo; egli [an] ancor giovane e robusto crede di possedere un vaso di acciajo, mentre è di sottilissimo vettro; non diverso è il caso del uomo in socie- /23/ tà. Egli nato e cresciuto nei nostri paesi, si figura che la machina sociale che gli serve di scorta, e l’assicura da ogni attacco nella persona e nelle sostanze, sia come un’orologio di puro acciajo e di precisione. l’anima della società [è] Cristo Non è così che la pensano tutti gli uomini grandi che hanno meditata la storia passata e presente; gli uomini che hanno girato il mondo, e sono passati per tutti i gradi della società umana dei diversi paesi; se essi saranno sinceri e non figli di partito comprato da Satana essi dovranno confessare che la vera libertà, è da Cristo solo, e la gran machina sociale può toccare il suo apogeo di perfezione col solo vangelo.

satana autore della rivoluzione Iddio aveva concesso ai figli del uomo la vera libertà nel paradiso terrestre, e la terra sarebbe stata al uomo innocente e libero un vero paradiso anticipato. Satana, come sappiamo, col linguagio della menzogna, oggi conosciuto da tutti sotto il nome di libertà ha incomminciato la rivoluzione, madre del sangue, del dispotismo, della confusione, [p. 892] e della miseria. castighi divini contro la r[i]voluzione Troppo mi allontanerei dalla mia storia, quando volessi narrare tutti i progressi della rivoluzione, e tutti i castighi [scatenati] contro di essa. I libri sacri e profani sono là che parlano: il diluvio non bastò affogando nelle aque tutta la gran famiglia di Adamo per estirpare il germe della rivoluzione; Iddio misericordioso, placato da un solo giusto, giurò che non vi sarebbe più ritornato; la confusione di Babele neanche bastò per abbassare l’orgoglio umano, seminato da Satana nel cuore del uomo. propagazione del vangelo Arrivò finalmente la pienezza dei tempi; Cristo lavò il mondo col proprio sangue, e condannò il paganesimo ad una [totale] sconfitta, quando questi in Roma, fatto dell’intiero mondo conosciuto una mandra di schiavi, e stava fabricando il colosseo col sangue e col sudore del uomo imbarbarito, col sistema della Croce innaugurato sul calvario, e coi cannoni della parola apostolica inaugurata dalla Pentecoste, vinti i cesari barbari, fece di Roma il centro della gran famiglia di Cristo, governata dalle chiavi di Pietro.

Dopo secoli di lotta, affogato il paganesimo nel sangue dei martiri di Cristo, egli ammutolì, e la gran famiglia cristiana spiegate aveva già le sue tende pacifiche in tutto l’oriente, allora centro dei gran movimenti, e conquistate quasi tutte le razze occidentali. Ognuno avrebbe detto finita la lotta tra Cristo e Satana, e questi condannato a restarsene nei gran mari di fuoco sotto l’Etna, il Vesuvio, e [lo] Stromboli. Ma la Chiesa di Dio non deve restare in pace, come il mare non può sempre essere in calma, per mantenere la purezza delle sue aque, e per mantenere vivo il suo commercio colla gran massa delle aque, che in stato di vapore si tengono nell’alto dell’atmosfera per calmare [p. 893] gli ardori del sole ridotte in nubi, e rinfrescare la terra nelle svolgimento delle /24/ sue produzioni. le eresie in oriente Tutti conoscono la storia delle rivoluzioni, che Satana sollevò in Oriente ed in occidente. La Chiesa divenuta eretica in Oriente sotto diverse forme con Ario, con Nestorio, con Eutiche, ed altri oracoli satanici, ed incarnatasi coll’impero per sostenere il suo orgoglio contro il Verbo eterno ed incarnato, aprì le porte all’impero della mezza luna, il quale, sotto il nome di Dio uno, fece della propria carne il santuario di tutte le passioni le più immonde, e chiuse le porte della vera sapienza al suo intelletto, e della vera carità al suo cuore, facendo del uomo un bruto, e del più bel paese un vero deserto. eresie in occidente In Occidente una parte della Chiesa di Dio divenuta sposa adultera di Cristo dietro le tracie del sacrilego Lutero e suoi satelliti, fece della religione di Cristo una scuola di razionalismo infame, il quale preparò la via al paganesimo delle sette massoniche, le quali sotto nome di progresso e di civiltà hanno ormai innaugurato il panteismo nel tempio delle esposizioni provinciali, nazionali, e mondiali.

in Abissinia Ora ritornando alla nostra storia, il mio lettore non deve scandalizzarsi vedendo nell’Abissinia cristiana il razia o pigliagio governativo sopra narrato, non escluso lo schiavagio, e qualche volta anche il trofeo comandato dal Re Saulle al giovane Davidde in prezzo della figlia Micol; il mio lettore non deve dimenticare ciò che già dissi altrove, quando ho parlato dell’apostolato di S. Fromenzio e della conversione di quel paese al cristianesimo. L’Abissinia conobbe Mosè, e dopo conobbe Cristo per un ordine imperiale e non per una predicazione apostolica [p. 894] in detaglio; essa moltiplicò le Chiese, [e moltiplicò le chiese] e moltiplicò i preti; si fece dagli imperatori di quei tempi ciò che viddi io stesso farsi sotto l’imperatore Giovanni, e ciò che già prima mi si raccontò stato fatto da Teodoro, amministrare cioè il battesimo colla forza publica a popolazioni intiere, mentre ad alta voce esse protestavano contro, e ripetevano la formola di fede musulmana. paganesimo d’Abissinia Simili popolazioni, anche dopo il battesimo non si possono dire cristiane, anche di semplice nome, ma saranno sempre, o pagane, oppure musulmane come prima. Ad eccezione del Tigrè, dove la lingua volgare, o dialetto che si voglia dire, ha qualche affinità colla lingua sacra, in tutta l’Abissinia, nelle chiese si celebra la messa senza comprenderla, anche dai preti, i quali appena sanno leggere la lingua liturgica. Quindi colà non si sa cosa sia predicare, e non si conosce [il] catechismo. È chiaro perciò, che tutta quella gente, benché si dicano cristiani, essi sono veri pagani, e barbari come tutti gli altri. la forza brutale senza Cristo Ora in Abissinia è il diritto del più forte che regna; chi è più forte quello è signore, e tutti gli altri sono schiavi. Noi chiamiamo quei paesi barbari, ma diciamo la verità, qui dopo tutta quella gran /25/ libertà che si sta predicando, non è il diritto del più forte quello che regna? non è il diritto del più forte quello che ha spogliato i Re, che ha spogliato la Chiesa, che ha spogliato i conventi, e che sta spogliando persino gli ospedali? forze quello che han preso l’hanno dato ai poveri? sono i più forti che si sono arrichiti, ed i poveri cosa hanno guadagnato?

la mia storia in prova In tutti i paesi dove regna Cristo regna la libertà, perché regna la carità, regna la compassione per il povero, e per il debole, [p. 895] Dal momento che un paese qualunque è divenuto paese veramente cristiano di cuore, quello è un vero paese libero, dove il povero potrà sempre sperare ajuto, ed assistenza; levato Cristo, tutto è menzogna, è forza brutale, e quindi vera schiavitù. Tutta questa mia storia è una prova di questa gran verità. principio di una missione Quando io entrava in un paese accompagnato da alcuni catechisti, io era per lo più obligato a domandare qualche terreno libero da qualche gran proprietario, e naturalmente mi si concedeva un terreno libero ed abbandonato, per lo più sempre [di] pascolo. I primi che si avvicinavano erano i poveri, oppure alcuni [at]tirati dalla speranza di qualche medicina per qualche piaga o malattia. Obligato a farmi una capanna, [ed] i poveri erano quelli che mi aiutavano a farla, perché io divideva con loro la miserabile refezione che poteva avere, nella mia qualità di straniero. Quella capanna da principio mi serviva di ricovero, di scuola, di oratorio; dopo diventava per lo più cappella, e nasceva il bisogno [di] farne delle altre a misura che cresceva la famiglia. In meno di un’anno la mia cappella diventava un piccolo centro di villagio, dove in folla correvano, chi per curiosità, chi per essere inoculato dal vaïvuolo, chi per medicine, e chi per essere anche istruito; nessuno veniva colle mani vuote, chi [con] pane, chi [con] birra, chi [con] grano, chi [con] animali, od altro [che] non mancava di portare.

Il lettore che desidera detagli a questo riguardo mediti le storie di Gudrù, Gombò, Giarri, Lagamara, Ghera, e Kafa; quindi il mio [p. 896] ritorno da Kafa sino al Gudrù, e si convincerà che al nome di Cristo il diavolo stesso piega la testa, quando è tempo, e se Iddio gli accorda qualche vittoria, è stato sempre per maggiore sua confusione e per farlo servire all’opera sua. diverso sistema in Scioa Se poi nel regno di Scioha non ho tenuto sempre lo stesso sistema, ciò è per due ragioni. La prima perché io in quel paese non ho potuto tenere il sistema prettamente apostolico, come prima, ma ho dovuto prudentemente piegarmi alla diplomazia del paese. La seconda ragione fù perché il nostro apostolato doveva entrare nel suo periodo di prove, e la divina providenza voleva dare a noi certe /26/ altre lezioni forze ancor più sublimi, ed il momento della misericordia arriverà più tardi per la glorificazione di altri apostoli di maggior santità. Io intanto rientro nell’ordine della storia, per arrivare al campo del Re Menilik.


(1a) Il corpo di abuna Tekla haj̈manot è stato nascosto per salvarlo dal pericolo di essere rubato, come accadde al corpo di San Francesco [d’Assisi] fra noi. Si conosce l’epoca in cui [in cui] è stato nascosto, ma non si sa il luogo preciso dove sia. Si dice che il secreto del luogo [sia conservato] in una certa famiglia conosciuta, e che da padre in figlio si trasmetta con giuramento. Si sa da tutti questo fatto, e che il corpo deve essere nascosto in quei contorni, sino all’epoca in cui la fede insegnata sia universale, e che non vi siano più eretici. Abuna Tekla haj̈manot è venerato non solo dai suoi figli nella fede, ma anche dalle altre confessioni del paese, e tutti pretendono che sia suo. [Torna al testo ]

(1b) Gôte sono grandi vasi di terra, e di paglia pesta impastata e seccata, nei quali i contadini sogliono conservare i loro grani. [Torna al testo ]