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5.
A Fekeriè-Ghemb. Presentimento di esilio.
S. Giuseppe. Difesa dell’indole abissina.

crisi del mio ritorno a Fek[er]iè ghemb. Il mio arrivo a Fekeriè ghemb fù una di quelle crisi molto difficile [a] descriversi. Se un morto potesse risorgere 15. giorni dopo essere stato sepolto, e ritornarvi incognito alla sua casa, quanti misteri non scoprirebbe che stavano sepolti nel profondo dei cuori! una sentenza del Senato forze non basterebbe per provare la sua identità, per rientrare nello stato civile, ed esser riconosciuto come padrone in casa sua. Fu un poco simile il caso della mia prima comparsa a Fekeriè ghemb. Prima ancora della mia partenza già si diceva da alcuni che l’imperatore Giovanni entrava in Scioa unicamente per impadronirsi della mia persona; tutte le misure prese dal re Menilik per la diffesa della fortezza di Fekeriè ghemb erano già state interpretate da molti in questo senso; [p. 930] il Signor Mekev, quell’istesso signore venuto in Aden, mandato dal Re per prendermi, egli ritiratosi e fattosi cattolico, ebbe l’incarico dal Re di custodire Escia, luogo del mio monastero in quella medesima occasione (1a); anche questa operazione fece parlar molto. Ora, appena fatta la pace, essendo io partito, chiamato dal Re, incomminciarono le chiacchiare e le falze notizie: la pace è stata fatta, condizione sine qua non, la consegna di abba Messias nelle mani del nemico, ed io doveva essere come il capro emissario della pace. brutte notizie di me in casa Quindi chi può numerare tutte le cattive notizie che arrivavano ogni giorno alla mia cara famiglia, ed ai seguaci della missione cattolica, notizie state inventate dai pochi nostri nemici che là non mancavano? (2a) Notizie di catene, di flagelli, dell’esilio. Il mio arrivo in Fekeriè ghemb perciò fù un vero spettacolo di consolazione, ma di una consolazione mista di lacrime. A tutta quella /49/ mia numerosa famiglia, anzi a quasi tutta quella popolazione non pareva vero di rivedermi dopo avermi pianto perduto. Poveri giovani! povere monachelle! Povero vecchio Abba Michele! la crisi di condoglianze, le visite [di persone] venute durarono più di otto giorni; il nostro Antinori medesimo volle venire a sfogarsi un giorno.

Benché il mio cuore non mancasse di temere, pure, per rilevare gli animi abbatuti, ho fatto due giorni d’invito ai miei poveri delle due numerose case di Fekeriè Ghemb e di Escia, dopo i quali si passarono otto giorni di spirituale ritiro, prima di rimetterci ai nostri lavori. Debbo quì confessare che mai la mia parola trovò tanto eco nel cuore di quella brava gente; fù allora che io provai nuove conversioni [p. 931] di persone che prima mi parevano ritrose, ed alcuni degli stessi nostri giovani di vocazione dubbia, fù allora che si rilevarono. la persecuzione nella chiesa Le contrarietà sogliono abbattere e prostrare le persone di mondo che si nutriscono di materia corruttibile, ma non così le opere di Dio, esse riprendono nuovo vigore dalle stesse persecuzioni; queste sono come il soffio sopra il fuoco che sta per estinguersi; il fuoco consuma l’ossigeno nell’ambiente che lo circonda, ed una nuova corrente di aria ossigenata naturalmente lo notrisce. Così l’uomo che vive di grazia celeste nella persecuzione aquista nuovi meriti che gli fruttano nuove grazie e nuovi doni che lo richiamano a nuova vita. La chiesa francese nell’altro secolo minaciava di scisma e di eresia, e possiamo asserire con franchezza che la persecuzione la purgò di tutta quella scoria di opinioni, di privileggi, e di pretese, e la richiamò a nuova vita da diventare il modello delle diverse nazioni cattoliche. Mentre scrivo sto meditando [sul]la nostra Italia; essa nella generalità ebbe sempre un buon clero, ed un’ottima popolazione, ma la sovverchia pace aveva come estinto il suo vigore nelle battaglie di Cristo; oggi veggo rinato il clero, ed anche ravvivato lo stesso popolo in ordine di battaglia contro il diavolo, e contro il nemico; oggi la Gerusalemme di Cristo, e la Babilonia della massoneria sono in ordine di battaglia, e non vi è dubbio la vittoria sarà [riservata] a noi.

un’argomento a majori Se così vanno le cose dei nostri paesi medesimi, dove è questione di cristianità già fatte a prova di bombe, per così dire, cristianità, che hanno resistito [per] intieri secoli di persecuzioni, e conservate, cresciute, e nodrite a forza di sangue di martiri, cristianità modelli, dove Iddio suol conservare il germe evangelico, e ricavarne gli apostoli per la coltura della gran vigna dell’intiero [p. 932] mondo, cristianità finalmente, riservata al padrone della vigna che vi ha edificata la torre, e ne ha fatto la dimora del suo gran colono, come l’Italia nostra e la Roma nostra; se questa stessa nostra Patria ha le sue persecuzioni, e le sue /50/ prove, cosa non dobbiamo dire poi noi della povera Etiopia di nome Cristina, ma pagana di fatti? Figli miei, soleva dire ai miei più cari, voi vi spaventate per poche notizie frutto di partito; miei cari, altro che parole, fatti dobbiamo noi aspettarsi se vogliamo sperare che si stabilisca la vera fede, e regni Cristo nel vostro paese, fatti di persecuzione, fatti di catene, fatti di esilio, e fatti di sangue. Pretendiamo noi forze di essere superiori a millioni di martiri che ci hanno preceduto? non è così che trionfarono gli apostoli? Cristo stesso non è forze colla sua morte in croce che vinse il diavolo ed il mondo, facendosi di tutti i suoi nemici uno scabello ai suoi piedi? Miei figli carissimi, voi avete pianto, perché avete sentito parlare di catene e di esilio avvenuti a me vostro Padre, e non sono state queste che parole, che esaggerazioni di pochi nemici, ma non potrebbe anche tutto questo essere un fatto?

cosa serve illuderci? Figli miei cari, cosa serve illuderci? oh stolti e tardi di cuore nel credere in ciò che è stato scritto dai profeti, rispose Cristo ai due discepoli che camminavano verso Emmaus, i quali ancor mettevano in dubio la risurrezione del crocifisso, come ci riferisce S. Luca nel suo Vangelo; forze che non doveva Cristo patire e soffrire tutto quello per rientrare nella sua gloria? oh stolti e tardi di cuore, io dirò ora a voi, nel comprendere la mia e vostra vocazione, forze che io ho lasciato il mio paese, e mi trovo qui fra voi [p. 933] per godere e sedermi al banchetto, oppure per far fortuna e guadagnarmi qualche Signoria? forze che io ho detto a voi, venite a me se volete star bene e farvi ricchi? non vi ho sempre io predicato la via del calvario come la via maestra che conduce al regno? non vi ho predicato sempre il nudo crocifisso? Voi sapete che io [non] ho mai approvato l’uso del vostro paese di tener sempre la croce coperta con un bel velo (1b) come un gingillo prezioso che teme la polvere, benché sotto una falsa apparenza di venerazione e di rispetto, una croce senza cristo, una croce che si direbbe piuttosto un fiore che non la vera croce col suo Cristo crocifisso; io vi ho fatto sempre vedere il vero mistero della croce, e di cristo et hunc crucifixum senza paura di scandalo e di stoltezza. Ebbene, figli miei dilettissimi, se le notizie venute che tanto vi afflissero, cessassero di essere un mero progetto nemico, esse divenissero una realtà, ed io vostro Padre fossi anche ucciso in /51/ odio della fede cattolica da me predicata; andiamo ancora un passo più avanti: se invece di me voi stessi [foste] assaliti dai vostri nemici, divenuti padroni, altolà, vi dicessero, o confessate che la fede cattolica, [predicata] da questo uomo straniero chiamato Abba Messias, è falsa, oppure ecco la spada pronta a darvi la morte: lascierà perciò la fede nostra di essere vera? lascierà Cristo di avere due nature, e di essere Dio e uomo?

si suppone venuta la morte o l’esilio Cosa serve illuderci, figli miei? ciò che avete sentito dire, potrebbe un giorno essere vero; non solo io, ma voi stessi potreste essere esposti alla tentazione di dover morire, oppure rinnegare la vostra fede cattolica; non solo io, in tal caso, dovrei rassegnarmi ad acettare l’esilio [p. 934] ed anche la morte, ma voi stessi dovreste essere a ciò sempre pronti e preparati. la rassegnazione Iddio ci risparmierà una simile catastrofe, e dobbiamo sperarlo tutti fermamente, ma non è men vero che dobbiamo essere pronti, ed il solo mantenerci sempre pronti e disposti al sacrificio avanti [a] Dio ciò equivale ad una realtà in quanto al merito, e noi colla sola disposizione giornaliera di morire per la nostra fede, guadagneremo avanti [a] Dio il merito del vero martirio. la morte peggiore dell’esilio? no Ma nel caso che nei calcoli della divina previdenza fosse scritto che i vostri e miei timori dovessero realizzarsi, figli carissimi, io non voglio nascondervi una gran pena che molto affligge il mio cuore al solo imaginarla possibile, quella cioè del mio esilio, invece della morte. Se io morirò quì per la [la] fede, dico frà me stesso, io avrò finito gloriosamente la mia missione versando quì il mio sangue in conferma della fede che vi ho predicato; io non potendo far di più, voi per parte vostra ne sarete sempre persuasi, e la mia morte sarà per sempre a voi ed ai vostri figli di esempio e di stimolo a mantenervi saldi e fermi nella fede che vi ho predicato. Quindi colla mia morte io avrei rassegnato a Dio l’impegno di custodire, non solo, ma promovere l’opera incomminciata per ordine suo: egli poi di necessità dovrebbe pensare a mandarvi un’altro più illuminato e più zelante per la continuazione dell’opera, mentre nel tempo stesso penserebbe egli a far risorgere nei vostri cuori medesimi uno spirito tutto nuovo per mantenervi saldi.

il martirio La morte dell’apostolo, e tanto più la morte dell’apostolo martire della fede, essa non si può dire, ne una separazione, ne un divorzio, [p. 935] ne tanto meno un’abbandono della Sua Chiesa; egli lasciando la sua spoglia mortale, per la quale solamente faceva parte della chiesa militante e visibile, di necessità ha dovuto spogliarsi della giurisdizione esterna, e della conseguente risponsabilità del governo esterno; ma la sua morte è un vero sposalizio mistico che lo lega eternamente alla Sua /52/ Chiesa con vincoli indissolubili, quanto indissolubili sono quelli che [che] lo legano ai suo Dio. La morte mia quindi, ne da me, ne da voi sarebbe stata da compiangersi, anzi da festeggiarsi, come ognun vede. l’esilio All’opposto non così l’esilio, oh brutto pensiere per me il solo pensarvi! È brutta cosa quella di un Padre carnale il doversi separare dal proprio figlio per non più vederlo, ma molto più doloroso è il caso mio: il Padre carnale ama naturalmente e materialmente il proprio figlio, ma l’amor materiale è naturalmente passeggiero, perché la materia ha un termine, e poi si corrompe e finisce, e l’esperienza ci fa vedere ogni giorno, che simili separazioni son presto dimenticate per l’abitudine nella privazione. Ma oh quanto è diverso il caso nostro! nella nascita vostra, o figli carissimi, non ha avuta parte, ne il sangue, ne la voce della carne, ne tanto meno quella del uomo: voi siete figli dell’eterno e misterioso connubio tra la carne e l’eterna carità di Dio. Il vincolo quindi di paternità e di figliazione tra noi, è un vincolo che cresce al perfezionarsi e dilatarsi del cuore per comprendere la carità del nostro Dio generatore; ma la conoscete voi?

un ragionamento mistico L’amore materiale o carnale, egli si pasce di beltà e di piacere, come ognun sa, non così la carità eterna del nostro Dio. Ora sapete voi qual genere di simpatia ha [at]tirato il Verbo eterno verso la nostra umanità per farsi figlio del uomo? è la nostra stessa infermità, come sapete; [p. 936] e voi lo ripetete sempre quando rispondete alla domanda del catechismo nostro, per qual fine il Verbo eterno si è fatto uomo? voi dite, per salvarci, non è egli vero? perchè odio l’esilio Ebbene, se è vero che l’eterna carità del nostro buon Gesù è stata quella che mi ha mandato, e che mi trattiene tra [di] voi, quella di portarvi la salutare medicina, e di salvarvi, eccovi scoperto il gran verme che rende e renderà sempre amaro il solo pensiero della nostra separazione possibile, e del possibile esilio. miei timori per le anime ancor da salvarsi Il solo pensiero che molti, anzi la maggior parte dei vostri fratelli, quelli medesimi che voi chiamate nostri nemici, perché voi stessi non avete ancora ben compresa la carità di Cristo, che lo faceva pregare in croce per gli stessi crocifissori, quella stessa urget me sino a rendermi amara la rimembranza della mia patria, e dei miei stessi congiunti, il solo pensare che non sono ancora arrivati a gustare il pane di vita che gli avrebbe salvati.

per non lasciare voi esposti Ma quì non sta ancor tutto, voi stessi che già siete miei figli, voi che avete non solo gustato, ma forze già siete sazii della parola di saluti, voi che avete ricevuto lo Spirito Santo nella confermazione, voi che tante volte [vi siete assisi] alla sacra mensa del redentore e che vi siete nutriti delle sue carni, ed avete bevuto il suo sangue; sì voi medesimi sarete /53/ esenti dalle sollecitudini del mio cuore? Voi che quì formate le mie delizie, che siete il tenero oggetto delle mie compiacenze, le perle della mia corona, che brutto strazio al mio cuore il solo immaginarmi possibile l’idea di un’esilio e di una separazione! io penso ai pericoli ai quali sarete esposti, io penso alle tentazioni colle quali vi assalirà il comune nemico, io mi presento tutti gli argomenti che l’astuto non mancherà di opporvi: [p. 937] il vostro Padre, egli vi dirà, ha acceso il fuoco, e se ne è andato lasciandovi in mezzo ai tormenti della persecuzione, mentre egli se la gode[i] coi suoi amici, ecco il brutto verme di un possibile esilio più amaro della stessa morte. penso al Getsemani Il nostro buon Gesù nell’orto di Getsemani pensando al tradimento di Giuda, ed alle infedeltà dei futuri Cristiani [sudò sangue], e sapete voi quando io arrivo a comprendere un tantino questo gran mistero del Getsemani, stato al nostro buon Gesù più doloroso della scena stessa del Calvario, sapete quando? quando io penso ad un possibile esilio, e che penso a voi da me abbandonati, oh sì, dico allora, che la passione del cuore è più terribile di quella del sangue, e della morte. Che il sangue si versi dalle vene è la passione di pochi momenti che spalanca le porte del Cielo per trovarvi l’eterno riposo in Dio; ma l’urto del cuore fa sudare sangue e non amazza per durare sino alla morte. Ma lasciamo questi pensieri dolorosi, perché noi siamo obligati a sperare e pregare; quindi vivere rassegnati nel ricevere dalla mano di Dio tutto ciò che egli vorrà o permetterà che avvenga, senza rallentare perciò menomamente i nostri quotidiani esercizii di ministero, di studio, e di lavori materiali, come se nulla fosse.

effetti dei ritiro spirituale Questo, ed altri simili discorsi fatti nel decorso di quegli otto giorni di ritiro stato fatto in quella circostanza per calmare gli spiriti di quella mia piccola cristianità, e principalmente del clero e dei giovani allievi, ottenne tutto il suo effetto desiderato. Non solo essi si calmarono, ma debbo confessare, che dopo questo spiegarono un nuovo zelo in tutto, mai si vidde in quella cristianità tanto zelo e tanta energia [p. 938] nella preghiera, nello studio, e nelle opere di mano. Oltre le preghiere consuete, di privata loro elezione nel mezzo giorno solevano radunarsi sotto la direzione del sacerdote indigeno Sciaheli, il quale soleva far loro una piccola allocuzione prima di incomminciare la preghiera. un’apostrofe a s. Giuseppe Un bel giorno, recatomi in chiesa dalla parte nord dietro l’altare, senza che se ne accorgessero per prendere parte alle loro preghiere, a sentire nel tempo stesso i sveglierini che soleva fare il sacerdote suddetto: ho capitato il momento in cui egli faceva una certa apostrofe al patriarca S. Giuseppe, come patrono della nostra chiesuola di Escia = Padre Santo, egli diceva, quando la casa di Dio ancor nascente sopra la terra, consta- /54/ va solo del bambino Gesù, e della sua madre Maria, il Cielo allora se la intendeva con voi, i messaggieri celesti andavano e venivano, voi e non altri pensavano a salvare Gesù e Maria dalle mani di Erode persecutore, e voi ne eravate l’unico custode nella fuga in Egitto.

Ora questa vostra qualità di custode, al crescere della Chiesa di Dio sopra la terra, non vi è stata tolta, per quanto io [mi] sappia, anzi al giorno d’oggi noi sappiamo che tutto il mondo cattolico, per oracolo del capo di tutta la Cristianità Pio IX., deve prostrarsi a voi nei gran bisogni del tempo (1c) Per questa ragione noi quì, in modo tutto speciale ci siamo rimessi nelle vostre mani, ed abbiamo riposto in voi tutta la nostra confidenza. due miracoli di s. Giuseppe Voi per ben due volte col fatto avete fatto vedere di avere gradito questa vostra qualità di protettore nostro, quando questa nostra casa trovandosi senza aqua voi l’avete mirabilmente proveduta (2b) dandoci una sorgente [p. 939] più che sufficiente per questa numerosa famiglia, da meritarne l’ammirazione di tutto il nostro paese. Più ancora voi avete fatto vedere la vostra protezione quando [quando] questo nostro Padre e maestro trovandosi affetto da una quasi totale cecità da non poter più leggere ne scrivere, voi gli avete mirabilmente restituito la vista da non aver più bisogno dei soliti occhiali, come questi medesimi depositati ai piedi della vostra imagine ne fanno testimonianza della grazia ricevuta (1d). Ora dopo tutti questi segni di predilezione per noi possiamo noi più dubitare della vostra protezione nelle attuali circostanze, che tanto ci affliggono? Orsù dunque, fratelli miei, [abbiamo] cieca confidenza nel patriarca S. Giuseppe Protettore della Chiesa universale di Cristo in tutto il mondo, e speciale protettore nostro, egli ci custodirà in vita, ed egli ci custodirà in punto della nostra morte.

/55/ ordinazioni di chierici Intanto in previsione di quanto avrebbe potuto accadere, benché dopo la partenza dell’imperatore Giovanni sembrass[e] eliminato il pericolo di una crisi vicina contro la missione cattolica, pure convenne prendere delle risoluzioni circa l’ordinazione di alcuni giovani [giovani] che esistevano, sia presso di me, che presso gli altri due miei [miei] compagni in Finfinnì, ed in Gilogov. [suddiaconato ad abba Elias e Joannes: 28.12.1875; a Ghebra Maskal: 26.12.1875] Questi erano tre, i quali avevano già studiato un poco di Teologia frà quelli venuti da Marsilia col P. Luigi Gonzaga, cioè Abba Elias, il quale si trovava con me in Escia, Abba Joannes in Gilogov col P. Luigi Gonzaga, ed Abba Ghebra maskal in Finfinnì. Fu conchiuso che si accelerasse, non solo l’ordinazione, ma ancora l’istruzione in compendio da averli pronti [p. 940] ad ogni evento che la persecuzione si dichiarasse. Questi tre erano tutti [e] tre suddiaconi, e furono promossi al diaconato. Non mancavano altri Chierici in quantità frà quelli che non erano stati in Europa, ma questi erano troppo lontani in materia d’istruzione, ed anche relativamente all’età canonica, da poter essere ordinati. Tuttavia fu deciso che entrassero tutti a [far] parte della medesima scuola. Si passavano mezze le notti in pratiche conferenze, perché di giorno poco era il tempo libero che rimaneva, essendo tutti occupati a catechizzare quelli che venivano da lontano per le inoculazioni del vaiuolo, le quali si moltiplicavano sempre più presso di me.

impresi di nuovi lavori Le misure intanto che si prendevano per preparare i nostri giovani alla temuta persecuzione non mancavano d’insinuare nei medesimi, e nel movimento di tutti gli altri del popolo un certo timore poco favorevole allo sviluppo del proselitismo; ed al ministero della parola; bisognava dunque studiare un compenso per eliminare questo timore con dei movimenti di diverso genere, che facessero conoscere tutt’altro che timore. Come non mancavano giovani direttamente destinati ai lavori materiali, facendo della scuola un’occupazione secondaria, come soggetti di più lontana speranza per il sacro ministero, bisognava spingere i lavori materiali in modo che facessero vedere tutto l’opposto. scavi di una grotta Oltre ai lavori di coltivazione molto notabili in Escia, ai quali erano addetti simili giovani, io aveva incomminciato un lavoro abbastanza grandioso di scavo in un precipizio dirimpetto alla chiesa ed alle case del monastero [p. 941] collo scopo di farne un cimittero per i missionarii europei e per i sacerdoti; come quello scavo era quasi inaccessibile, e ad un’altezza tale [e] quale sopra il livello delle case, poteva servire anche come luogo di rifugio, in caso che il monastero venisse assalito da una banda di ladri di notte, ed anche di diffesa del monastero medesimo con qualche fucile. Desidero che questo lavoro si facia presto, dissi io, perché al ritorno /56/ [30.11.1879 con lettera di Umberto I a Menelik: 9.4.1879;
trattato Italia-Scioa con M. plenip.: 1.3.1879;
M. Grand’Ufficiale 26.1.1879]
di Martini dall’Europa, siamo intesi con lui che mi porterà il cadavere del P. Alessio stato sepolto da lui e dal Capitano Cecchi sulle rive dell’Awasce. Bastarono queste poche parole, che si radunava ogni giorno tanto mondo per eseguirmi quel lavoro, che in meno di 15. giorni si fece là una grotta che poteva ritirare più di 30. persone, ed anche dormirvi; le pietre anche più dure pareva che si amolissero sotto i colpi di quelle bracia, direi quasi, infuocate dal zelo e dall’entusiasmo. [L’asserzione di] Alcuni nostri viaggiatori soliti a fare un carattere dell’abissino, come uomo pigro ed infingardo, secondo me è un’esaggerazione.

un’accusa vendicata A questo riguardo, avendo passato io la maggior parte della mia vita d’azione in quel paese, col diritto, che mi è proprio, mi credo in dovere di moderare certe esaggerazioni state publicate da alcuni viaggiatori, i quali fanno professione di girar sempre, senza mai fermarsi ad esaminare e studiare seriamente il paese per cui passano, e sogliono divertire i curiosi della nostra Europa descriven[do] certi tratti di persone particolari loro malvise per qualche fatto personale, come tipo o uso, oppure carattere di tutta la razza. Sarebbe appunto questa una delle esaggerazioni che io m’intendo di dover moderare, per rendere giustizia a quei popoli, i quali hanno senza dubbio le loro debolezze, ma non per questo lasciano di avere anche buone qualità, che meritano di essere annoverate e riferite dai viaggiatori, se vogliono essere giusti.

[p. 942] carattere della nazione abissina Ecco dunque, secondo me, la questione come è in verità. L’abissina in se è una bonissima razza; essa è semitica nel fondo, con un tipo un poco misto di negro, perché il paese è circondato da razza negra, colla quale è in relazione di commercio di schiavitù. Essa è estremamente conservatrice dei suoi usi, e della sua educazione, o civiltà che si voglia dire, e riceve difficilissimamente le idee, ed usi stranieri, dei quali è anzi nemica, come sono per lo più molte altre razze simili, le quali hanno avuto una certa quale civiltà precedente storica, loro propria, e non sono state in relazione coll’estero. L’abissino è superbo del suo paese, e dei suoi usi tradizionali, e direi quasi eroici e patriarcali, non perché manchi di facoltà intellettuali, ma per pura ignoranza, unicamente perché non conosce il mondo, e diffida di tutto ciò che non è suo; ha però moltissima intelligenza quando è ben coltivato, e presenta anche dei genii. Fin quì è il suo carattere di fondo.

l’abissino non è pigro Che poi l’abissino sia di un carattere pigro, infingardo, ladro, crudele, ed immorale, in ciò molti nostri viaggiatori di analisi superficiale, è dove si sbagliano di molto, e danno a noi un’idea falsa di quel paese e di quella razza. Che poi l’abissino non sia di un carattere pigro ed /57/ infingardo, basterebbe per provarlo il dire che l’Abissinia [non] ha mai cercato grani dall’estero, ed è stata in tutti i tempi sufficiente a se stessa, benché consumi grani più del doppio di noi, poiché mangia e beve sopra i grani dei suoi campi coltivati, e suole darne ancora ai suoi animali di lusso; darebbe anche grani all’estero se non fosse troppo isolata e mancante di strade. L’abissino poi portato all’estero in tutto l’oriente è un servo molto [p. 943] attivo ed industrioso; nel suo paese poi, per mancanza di veicoli e di strade, porta dei pesi enormi; il fieno, la paglia, le legna, tutto è portato sulle spalle del uomo. E la donna che levasi ogni giorno a mezza notte, per macinare il suo grano prima del giorno per il bisogno della sua famiglia colla sua macina primitiva, non è segnale di attività? Tanto basti per provare che l’abissino non è pigro, anzi nel cerchio stretto del mezzi che ha è molto attivo.

non è ladro Che l’abissino poi non sia ladro mi basterebbe il provare che in tutto l’oriente è cercato il servo abissino per la sua fedeltà. Che dovunque esistano ladri più o meno a misura che si abbassa la moralità cristiana è cosa che si sa da tutti. Prima, quando il diritto di proprietà era ancora un principio cristiano e sacro, noi avevamo il diritto di lagnarsi dell’Abissinia e di altri paesi semibarbari da noi chiamati. Oggi che la proprietà è intaccata per principio, e violata dai governi stessi con tributi enormi, e con titoli di confisca, di annessione, di conversione, e simili inventati dal progresso; oggi che i nostri tribunali rigurgitano di processi cogniti come quelli dello Strigelli; oggi che i nostri stabilimenti penitenziarii contano millioni di detenuti senza aver migliorato la publica sicurezza, noi abbiamo perduto il diritto di lagnarsi dell’Abissinia, la quale non ha prigioni publiche, eppure io rimastovi quasi 40. anni [non] sono mai stato [de]rubato, o almeno quasi mai. Se ciò non serve per giustificare affatto quel povero paese, serve almeno per imporci silenzio. Almeno si può dire che in Abissinia il ladro è publicamente odiato, è publicamente giudicato e punito, benché quel paese non spenda millioni per mantenere tribunali come spendiamo noi, senza migliorare gran cosa la condizione del nostro povero paese modello e tipo di civiltà.

[p. 944] non è crudele Neanche l’abissino si può dire crudele in paragone di altri paesi considerati come civilizzati. mutilazione degli etiopi La grande accusa di crudeltà che si suol dare dai viaggiatori contro tutte le diverse razze dell’alto piano etiopico è quella della mutilazione in guerra. Quelli che gridano più forte contro questo disordine, neanche hanno degnato di studiare la questione, la quale ha una minima importanza morale, perché suole avere luogo sopra una vittima già caduta nel combattimento, e già cre- /58/ duta estinta. Infinitamente più grave è la mutilazione fatta dai mercanti a sangue freddo di un giovane schiavo che suole farsi per puro scopo di lucro (1e), ma questa non è fatta, ne dagli abissini, ne dai galla, bensì da alcuni arabi che fanno questo mestiere. Certi viaggiatori che corrono e sputano sentenze non possono conoscere queste diaboliche officine, ma io col mio sistema di pazienza, ho potuto farne chiudere tre. In tutto il resto poi, diciamolo pure senza timore di sbagliarci, crudeli sono molti dei nostri, veri figli della disperazione, i quali neanche sentono più il sentimento naturale della propria conservazione, e non gli abissini, i quali non conoscono affatto il suicidio, parricidio, infanticidio, e simili misfatti frà noi frequentissimi. Non parlo poi del sistema di assalire all’improvviso milliaja d’innocenti colle bombe, colla dinamite e gliscerina, tutte cose orride, delle quali mi trema il cuore al solo pensare che simili scene diaboliche possano arrivare alle orecchie degli abissini. Si verifica oggi davvero frà noi il corruptio optimi pessima da farci odiare dagli stessi demonii.

chi più immorale? Dopo tutte queste scene, e dopo tutto quello che ci fanno sentire giornalmente gli stessi giornali divenuti l’eco dell’inferno medesimo [che ci fanno sentire] [di] certi tentativi di disordine universale nella nostra società divenuta frenetica contro lo stesso [p. 945] Dio, ultimo tribunale di appello, avremo noi ancora il coraggio di alzare la testa per accusare gli etiopici come barbari, crudeli, ed immorali? La nostra società sotto il nome di libertà, di scienza, di progresso, di civiltà e simili, arrivata a cangiare il polo artico nell’antartico col chiamare male il bene, e bene il male, qual voce avremo ancora noi in capitolo nel governo del mondo odierno? Caduti noi dal trono sfolgorante di luce e di virtù, che abbagliava l’intiero mondo, al quale ci aveva sollevato Cristo e la sua Chiesa, e caduti nel precipizio dell’estremo disordine, e dell’estrema confusione, divenuti l’obbrobrio e lo scandalo agli stessi popoli barbari, cosa dobbiamo più aspettarci: le nostre potenze europee tutte malate di male di pancia, divenute quasi incapaci a moversi, come altrettanti ammalati, i quali si sentono [a] barcollare la terra sotto i piedi, divenute insufficienti per richiamare la nostra società all’ordine. Ciò che è più /59/ ancora, divenute ormai incapaci di schiacciare un pigmeo sortito dall’interno dell’Africa, il quale ingigantisce e minacia di radunare tutto ciò che avvi di più barbaro contro di noi, io ripeto, cosa non dobbiamo aspettarci? Bisogna confessare, essere arrivato al segno l’orgoglio della famosa torre di Babele, oppure l’adempimento di un’altra profezia, la statua cioè coi piedi di creta.


(1a) Il povero Signor Mekev incomminciò appunto la sua malattia in quella circostaraa, malattia che più tardi gli costò la vita. [Torna al testo ]

(2a) Quando io partiva da Fekeriè Ghemb per il campo ancora si trovavano là le famiglie dei missionarii protestanti colà rifugiati in tempo della guerra. [Torna al testo ]

(1b) Già ho detto che molti d’oriente non amano il crocifisso sculto. Gli abissini poi hanno trasformata la croce in modo che essa non presenta più la sua forma elementare e semplice, voluta dal mistero. [Per di] più essa è sempre coperta ed inviluppata; così pure le santi imagini: sia ciò per rispetto, oppure un residuo d’eresia diabolica, lascio la questione, ma ciò che è certo si deve dire che il diavolo l’ha fatto per far dimenticare il dottrinale; il missionario in Abissinia trovasi esposto a dire con S. Paolo; judæis quidem scandalum, gentibus autem stultitiam. [Torna al testo ]

(1c) [8.12.1870) Era arrivata circa un’anno prima la bolla di Pio IX che dichiarava S. Giuseppe patrono della Chiesa universale. Ciò fece una grande impressione ai Cristiani d’Abissinia, perché colà prima di noi S. Giuseppe non era venerato. La mia Chiesa di Escia fu la prima dedicata a questo Santo. In tutto quel paese non vi è altra Chiesa che porti il suo nome [Torna al testo ]

(2b) Credo di aver già parlato altrove di quella sorgente prodigiosa sortita sul principio dello stabimento di Escia, perché essa sorte dalla crepatura di una gran masso di pietra isolato alla punta di un sollevamento conico, come un pane di zuccaro, in un terreno tutto volcanico composto di ciottoli, dove è impossibile supporre una vena condotta da strati sotterranei, ne un deposito superficiale di pioggie. [Torna al testo ]

(1d) Ecco il caso della mia cecità. Io, da molti anni presbite, nel 1867. prima di partire dall’Europa mi sono proveduto una quantità di occhiali di diversi gradi. Ne ho fatto uso per alcuni anni passando da grado in grado; finiti questi, mi sono trovato sproveduto in [un] paese dove non se ne trovano; ho fatto ricorso a S. Giuseppe, ed in un giorno i miei occhj sono ritornati al loro stato normale, il quale continova ancora oggi 1884. [Torna al testo ]

(1e) [Di] Un giovanetto di bellissima grazia, schiavo appartenerne ad un ricco mercante che ne teneva molti dei due sessi, stato inoculato del vaïvolo unitamente a molti suoi compagni qualche mese prima in Lagamara nell’anno 1855. mi fu riferito un bel giorno che doveva essere mutilato. La cosa era talmente certa, che il suo trofeo era già stato venduto per due scudi di Maria Teresa ad un ricco, il quale, [era] venuto dalla guerra senza aver trovato altro trofeo, e doveva essere consegnato subito secretamente. Ho mandato nella notte a comprarlo per salvarlo. Dopo fu battezzato, e morì sei anni dopo. [Torna al testo ]