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9.
Confronto etico-politico
tra Joannes, Menelik e Bafana.

quello del re Giovanni Il mio lettore quindi troverà la ragione di tutte le stravaganze dell’ipocrita imperatore Giovanni, che anderemo notando in seguito, nella scaltra persecuzione contro la fede semi cattolica detta di Devra Libanos, e poscia contro la stessa missione cattolica del nord e del sud in Etiopia. sua buona fede Io do quì il nome d’ipocrita e scaltro all’imperatore Giovanni, perché il partito da cui è guidato è il partito eretico eutichiano anticattolico, epperciò partito satanico, benché fra lui ed il Re Menilik, egli sia ancora [p. 31] la persona più morale, e forze anche in buona fede e più logico. Egli, a preferenza del Re Menilik è di una morale quasi irreprensibile, per quanto lo può essere una persona semibarbara, e senza istruzione: egli opera per principio direttamente religioso, ed in certo modo si potrebbe dire di lui ciò che S. Paolo, confessando la sua colpa di essere stato persecutore della Chiesa di Dio diceva di se stesso; essere stato cioè fedele emulatore delle sue paterne tradizioni al dissopra di tutti i suoi coetanei. Con tutto ciò l’imperatore Giovanni, per un sovverchio attaccamento agli oracoli della sua setta tradizionale si rendava innaccessibile agli apostoli di Cristo, e senza un miracolo simile a quello di S. Paolo, egli, come imperatore, lavorava all’esterminio della povera nostra missione cattolica, e commetteva delle stravaganze ridicole putans obsequium prestare Deo, come era probabile.

diverso dal re Menilik Non così il Re Menilik, il quale, non solo era accessibile, ma forze per fini più bassi di Giovanni, assisteva sinceramente, ed anche ajutava, per quanto poteva, la missione nostra, come ajutava ed assisteva sinceramente la Società geografica italiana, mosso unicamente da una simpatia per tutto ciò che aveva dell’europeo. fede di questo te Egli aveva sentito con gran rispetto tutte le dottrine, e le massime che io aveva cercato d’insinuargli; aveva persino ricevuto con gran piacere il piccolo telemaco che io gli aveva scritto in lingua amarica, e posso dire che egli aveva sentito tanto che bastava, non solo per essere un buon cristiano ed un buon princi- /97/ pe, ma per essere anche [p. 32] un buon catechista: più volte seppi come certo, che egli aveva lodato alcuni dei suoi, i quali risolsero efficacemente di pensare all’anima loro. Lo stesso Re Menilik disse più volte al Madebiet Waldeghiorghis, all’Azzage Walde Tsadek, a Degiace Walde Gabriel, e ad altri = io non sono ancora convertito, ma dal giorno che risolverò di pensare all’anima mia, io non veggo altro che abuna Messias, ed abba Jacob per farmi santo (1a); tutti i nostri Preti, e gli abuna stessi copti, ne sanno, e ne valgono poco più di noi; o cattolici, oppure marciare alla moda antica verso l’inferno.

Erano indubitatamente queste le convinzioni del Re Menilik, se pure la sua testa ed il suo cuore erano capaci di tanto; al certo ne parlava soventi coi suoi intimi amici. un paragone Ma quel povero Re, dotato di eccellenti qualità naturali, in materia di convinzione religiosa non fù più fortunato di molti nostri Cristiani cattolici [nostri] di questi ultimi tempi, i quali vinti da una paura anticristiana e vile della dominante massoneria, abbraciarono il sistema di conciliare Cristo e la sua Chiesa colla rivoluzione, ingrossando così le falangi degli stessi loro nemici, ebbero ed hanno tanta fede che basta per rendersi inescusabili al tribunale di Dio. Il nostro Re Menilik fu certamente meno colpevole dei nostri semi cattolici e semi liberali massonici, i quali si dichiararono vinti prima di battersi, perché egli fornito di minor scienza, minore esperienza, ed armato di fede più [p. 33] debole, frà un cerchio di sintesi molto ristretta, non poteva supporsi capace di alzarsi ad una risoluzione magnanima, stata sempre madre degli eroi di tutti i tempi. sua educazione
[1856-1865]
Il poveretto, incomminciando dalla sua educazione alla corte dell’imperatore Teodoro, sempre circondato da un mondo, anche europeo, dominato da passioni materiali e basse, e diremo anche animalesche, sempre fra un’atmosfera volteriana per tutto ciò che aveva del sopranaturale, mistico, o spirituale, il suo cuore per mancanza di principii superiori che lo chiamassero a vita, perdette tutto il suo bello, e tutta la sua vivacità, diventò una vera pietra, unta di sapore, epperciò insensibile a tutti i principii di dottrinale religioso.

egli non mancava di capacità Alcuni hanno voluto opinare che il Re Menilik mancasse d’intelligenza nel comprendere, non solo in materia religiosa, ma anche nel resto del /98/ materiale scientifico. All’opposto io ho veduto sempre in lui una grande attitudine e facilità di comprendere (1b), egli tutto capiva, tutto amava e lodava, ma poi il suo cuore in pratica mancava di vita, o dirò meglio di leva per una risoluzione. La passione del senso così viva, e così portentosa in un cuore cristiano educato e moderato frà il mistero sacramentale religioso da presentare ben soventi un’argomento tutto poetico e romanzesco; lasciata troppo libera frammezzo a continue occasioni di brutale sfogo, perde essa tutta la sua vita, e lascia il cuore in una specie di paralisi [p. 34] o insensibilità nell’uso o pratica del senso medesimo, come il bello di un fiore isolato alla visuale dell’occhio, frammezzo ad un vasto campo, dove esistono più fiori, che foglie, causa invece noja e stanchezza. il freno del pudore Iddio infinito della sua providenza, e nella sua misericordia nel tempo stesso verso del uomo, nella creazione di questo essere sublime dotato di senso eguale a tutti gli animali, e di un’intelligenza tutta vicina delle gerarchie celesti, colla legge naturale del pudore, che lo segna di un carattere tutto suo proprio, da tutti gli altri animali, ha posto in lui un dolce freno alla potenza del suo intelletto quasi creatrice di fantasmi ideali, che alimentano le passioni del uomo, e lo spingono alla sua rovina. Ora, perduto questo freno per un’abuso sregolato della passione stessa, perde l’uomo la parte più bella della sua vita.

schoglio che rovinò Menilik. Quì fù che scapitò il povero Re Menilik. Chi conobbe quel Re in detaglio, e molto da vicini ha potuto convincersi di questa verità. Nessuno più di lui conosceva, amava, ed anche lodava il bello, il buono, ed anche l’utile e vantaggioso, ma poi mancava di quello che dicesi anche amor proprio pratico per reagire, e diveniva come stupido ed insensibile. alcune prove Egli sentiva il bisogno di riformare l’ordine interno della sua famiglia, ma in pratica ne era incapace e lasciava correre, ed anche lasciava fare a chi ne conosceva meno di lui. Così in politica e nella diplomazia del paese, egli conosceva molto bene che avrebbe potuto dominare tutta l’Etiopia per esserne [p. 35] imperatore, e che non mancava in pratica di forza superiore a chi gli contendeva il passo, ma in pratica poi si lasciava guidare da persone incapaci per mancanza di energia. Così nella morale, nessuno più di lui stimava il pudore, la morigeratezza di una persona, nessuno più di lui odiava la prepotenza e la crudeltà, ma pure /99/ lasciava fare a tutti e non sapeva reprimere i modi brutali dei suoi stessi impiegati. Per dire qualche cosa della nostra missione e della fede Cattolica per fare conoscere quanto l’amasse bastino questi piccoli saggi.

due fatti Veniva egli qualche volta a passare un giorno a Escia in Fekeriè ghemb, il Re Menilik allora era fuori di se rapito dall’ammirazione dei miei giovani, incantato della loro fede, del loro fervore, della loro fedeltà ed ubbidienza, egli venerava l’ultimo dei miei giovani come un santo, e non finiva più dal parlarne con entusiasmo. Andava qualche volta in Antotto, e passava una giornata nella missione di Finfinnì col mio Coadjutore Monsignore Taurin. In tale circostanza egli soleva passare la sua giornata a contemplare i galla di quella tribù a frequentare il catechismo e la preghiera; egli ammirava il zelo dei nostri giovani catechisti nell’istruire in lingua galla, e voleva sentire egli stesso le risposte che davano i neofiti galla e le le preghiere in lingua loro. Sopratutto poi ammirava il rispetto e la docilità per il loro abuna Jacob di tutta quella tribù che lo amava e venerava come padre: oh! diceva egli stupito, con una quantità di simili missionarii, io potrei conquistare tutti i galla senza costo di sangue. Quella giornata passata [p. 36] [passata] dal Re Menilik alla missione di Finfinnì gli soleva somministrare materia da parlarne con entusiasmo ai suoi amici per molti giorni. Un nostro europeo che lo aveva sentito (1c) credette arrivato il giorno della rigenerazione di tutta l’alta Etiopia, come egli stesso più volte mi disse, e Menilik, diceva, [sa] sarà il grande eroe, del quale molto si parlerà in avvenire. In parte [ne] aveva ragione, ma io, che conosceva le sue debolezze, non soleva approvare i suoi prognostici, perché quel povero Re, dopo tutto quello, per mancanza di energia, soleva ritornare alle sue bassezze e puerilità: il suo cuore era un seno fatto, per concepire sempre, e [non] partorire mai, per mancanza di forza vitale, per portare il frutto a maturità. Oppure ancor meglio direbbero altri, era un campo, o terreno stracco, privo di humus vegetale, il quale vegeta sempre per lasciar morire subito al primo sole [il germoglio].

[ricerca di armi] Chi ha conosciuto e praticato il Re Menilik, leggendo queste mie memorie, forze sarà tentato di smentirmi: quel Re invece aveva delle passioni vivissime, egli mi direbbe, perché andava sempre in cerca di cose nuove, come nuovi fucili o nuove machine della nostra Europa, e soleva anche, come un piccolo ragazzino, molestare i viaggiatori con domande /100/ importune. In ciò io non stento a darmi per vinto; dirò anzi di più: se frà gli europei venuti in Scioa esiste uno che abbia motivo di lagnarsi del re Menilik sopra questo particolare, sono certamente io il primo; nessuno più di me è stato molestato da quel principe con simili domande: [p. 37] sopra questo particolare, a giustificazione di quel Re, io debbo avvertire il mio lettore di due cose: La prima cosa è che il Re Menilik [non] ha mai domandato a me, ed alla missione cattolica fucili o altri materiali di guerra, perché egli sapeva benissimo che fra noi non se ne trovavano. Come altresì egli non soleva importunare certi viaggiatori poveri, conosciuti come tali, i quali non ne avevano neanche a proprio uso; anzi tutto l’opposto[:] confesso di aver veduto io stesso il Re Menilik [a] dare fucili ad alcuni viaggiatori poveri, affinché potessero divertirsi a fare la cacia. In secondo luogo io debbo avvertire il mio lettore, che il Re Menilik, quando riceveva regali da viaggiatori europei di oggetti curiosi e nuovi, egli non era avaro coi medesimi, ma anzi molto generoso nel compensare ciò che riceveva.

Ciò una volta detto a giustificazione di quel principe contro l’accusa di alcuni viaggiatori che molto lo disonorarono nelle relazioni dei loro viaggi (1d), io facio ritorno alla difficoltà che il mio lettore mi potrebbe opporre, e confesso che realmente il Re Menilik soleva essere anche molesto ai viaggiatori colle sue importune domande di fucili, o di altre cose nuove venute dalla nostra Europa, e confesso che egli di tutto ciò ne era avidissimo, e non mancava di passioni passeggiere che noi chiamiamo col nome di velleità, o passioni giovanili, delle quali certamente non mancava quel principe, come non mancano tutti gli [p. 38] [mancano tutti gli] altri abissini; ma ciò non prova contro la mia supposta tesi in proposito del Re Menilik. le piccole passioni del uomo Io non ho detto che il cuore di questo principe non avesse più passioni, perché un cuore fino a tanto che non è morto non manca di passioni proporzionate alle sue forze, come un terreno anche stracco e privo di humus vegetale non manca di produrre un poco di verzura destinata a morire l’indomani della sua rigogliosa apparizione dopo le pioggie; un bimbo, la cui persona è immatura, non lascia [non lascia] di avere passioni proporzionate al senzo ed alle idee della sua età. La mia tesi non riguarda simili passioni piccole, le quali [non] mancano mai in una persona fintanto che non è morta. La mia /101/ le grandi passioni tesi riguarda principalmente le grandi tendenze o passioni, se tali vogliamo chiamarle, le quali guidano l’uomo nei grandi affari della sua vita sia materiale che eterna, negli affari della vita sociale di famiglia, di negozio, o di regno in questo mondo, e di salute eterna nell’altro. La mia tesi, in una parola, riguarda prima di tutto la società matrimoniale del toro maritale, negozio di prima importanza al uomo in famiglia, sia per la generazione, che per l’educazione della sua prole. Riguarda quindi le sue tendenze nei grandi affari del mondo sociale, come gli affari economici di negozio, e di regno in politica; quindi, come corona, di eterna salute nell’altro mondo.

la questione sopra il re Menilik Qui sta il gran punto della tesi da me proposta, il quale doveva essere, come la bussola in mare, nel Re Menilik, se egli voleva camminare franco nella navigazione nel mare della vita presente, per raggiungere [p. 39] la gran meta, alla quale Iddio l’aveva destinato, sia come uomo cristiano, sia come eroe figlio di una gran stirpe, destinato alla rigenerazione del suo paese. Questo perciò è altresì il gran punto di vista, che deve guidare uno scrittore per formarsi un giusto criterio, scrivendo di un principe, come il Re Menilik, volendo sentenziare sopra la condotta del medesimo, non solo come uomo cristiano della plebe, ma come principe tal quale Iddio l’aveva creato nella gran scena del mondo etiopico. Sotto questo aspetto, le piccole passioni o tendenze del uomo volgare e plebeo, comuni a tutti gli uomini anche deboli, devono lasciarsi da una parte per chi vuole formarsi un giusto criterio nel giudicare di un principe e di un Re, per poter dire con franchezza di lui, se era o non era il grande uomo del suo stato, e del posto in cui fu collocato da Dio.

si distingue la passione dalla virtù Le grandi tendenze o passioni, delle quali è questione nel caso nostro, non sono le piccole passioni, delle quali si è parlato sopra, e che sono prodotte dal movimento d’ossilazione quotidiana del senso materiale, comuni anche ai ragazzi, le quali nascono la mattina col sole e si ecclissano la sera col medesimo. Nel caso nostro è questione delle grandi passioni e tendenze naturali al uomo, e necessarie ed essenziali, affinché una persona possa chiamarsi in certo modo eroe di vita cristiana da servire di modello nella sua vita privata, e per essere guida di un gran paese nella sua vita publica. [p. 40] Queste non si debbono chiamare col basso nome di passioni, il quale suona debolezza e corruzione, ma col nome opposto di forza e di virtù, perché esse debbono contenere ed esprimere in se tutta la perfezione del senso umano medesimo, affinché esso possa arrivare a conseguire la meta, o fine ultimo, per il quale è stato creato. Si chiama passione la troppa suscettibilità del cuore /102/ umano, o meglio la sua passività, quando esso si lascia dominare dal buono e dal bello apparente del[la] specie delle cose create che cangiano ad ogni istante, e tengono il cuore del uomo preoccupato da un’ossillazione continua e contradditoria. All’opposto si chiama forza o virtù del cuore medesimo la sua costanza, e fermezza sopra il buono o il bello percepito in specie sino all’ultimo compimento dell’operazione, che, per modo di spiegarmi, chiamo fisiologica, che il buono oppure il bello ha incomminciato sul cuore del uomo. Ben inteso che io quì do il nome di cuore, non all’organo materiale, dove si lavora il sangue, ma al centro misterioso e direi metafisico, dove senso e sentimento sogliono unirsi ed accordarsi.

una parità Il mio lettore non potrà tanto facilmente entrare nelle mie idee, per capire l’ultimo gerghio del mio linguaggio nella questione presente, senza che io mi serva di una qualche parità. i due pranzi Lascio tante altre parità per sciogliere quella di due tavole imbandite per un pranzo: quella cioè di un ricco signore in giorno di festa di famiglia, e di invito diplomatico, che direbbesi ultima formola di civiltà in questo ramo di progresso, e che io, nel mio linguaggio, soglio chiamare [p. 41] col nome di teatro del gusto e della gola. Quindi il confronto di una seconda tavola di un pranzo di famiglia di contadini imbandita del puro necessario, anzi più che sufficiente alla vita sia nel cibo che nella bevanda. Ora in facia a queste due tavole o pranzi, lasciando ai medici o professori la questione del bene o male che questi due pranzi far possono al uomo in ordine alla digestione ed alla salute, scopo principale, anzi unico dei pranzi medesimi, e ragionando solo della turba di sensazioni che i medesimi sollevano nel uomo nel momento di mettersi a tavola in ordine all’appetito. Qual differenza tra il pranzo diplomatico ed il pranzo semplicemente economico? Il primo solleva e divide il senso o passione dell’appetito a cento oggetti diversi fra loro, e ben soventi anche contrarii; il secondo all’opposto concentra la passione del gusto sopra pochi oggetti utili e più che sufficienti al bisogno. perdita dell’appetito Ora non potendo l’uomo a tutto arrivare, e soddisfare a tutte le passioni che si sollevano contemporaneamente, finisce ben soventi per perdere l’appetito; non è raro il caso di vedere persone abitualmente svogliate e senza appetito, soffocati dalla troppa abbondanza.

applicazione Sorto ora dalla mia parità per non faticare inutilmente il mio lettore in cose abbastanza conosciute, altrimenti non la finirei più. Passo all’applicazione, anche essa molto naturale e facile a comprendersi: basta perciò richiamare alla sua mente che l’uomo, appena arriva egli ad un certo [p. 42] punto dell’età propria, prima ancora di arrivare alla gioventù, /103/ può dirsi che è arrivato per lui il momento di sedersi alla tavola del gran mondo, sopra la quale una quantità infinita di oggetti particolari, tutti belli, e tutti buoni in apparenza si presentano alla passione dell’appetito e del gusto del uomo entrato nel gran mondo, e supposto seduto alla gran tavola, per disputarsi il dominio [di esso]. una transizione Come io quì non sono in caso di fare un trattato metafisico, perché l’ordine storico di queste mie memorie mi obliga [a] condurre il mio lettore per le vie di semplice fatto e mi vieta di trattanerlo in racconti di pastoje ontologiche, nelle quali sotto pretesto di ideologia, oppure [di] lezioni filosofiche sopra la natura del tempo, la scuola dei nostri paesi suole corrompere il cuore dei giovani cristiani gettando sul medesimo l’idea panteistica, come un vero veleno che gli rende insensibili al realismo della dottrina evangelica. Per non rendermi ridicolo parlando di filosofia in Etiopia, dove neanche suole insegnarsi la grammatica. Io dunque facio ritorno al mio Re Menilik, di cui mi sono proposto [di] far conoscere l’educazione, per saperlo giudicare nella sua condotta

Menilik e la scuola cattolica Parlando dunque direttamente di questo giovane Re, il mio lettore, per farsi un vero criterio sopra l’educazione del medesimo, e non rimanere scandalizzato di lui, vedendo che egli, nell’esilio della missione cattolica, e nella [da Uarra-Ilù: 8.7.1879] mia partenza sul fine dell’anno 1879. dopo tante lezioni che ebbe, e dopo tanti bei fatti veduti, egli rimase inflessibile custode delle sue tradizioni [p. 43] senza dare gran segni di conversione; il mio lettore non deve dimenticare alcuni punti, già da me toccati altrove, e sempre da me supposti. il panteismo asiatico, e volterianismo europeo Il primo punto è un certo deposito di tradizioni panteistiche che non mancano in Etiopia frà quelle razze di emigrazione asiatica, come non han mancato in quasi tutto l’oriente, le quali hanno molto contribuito allo stabilimento del scisma, e poscia dell’islamismo, il qual nel fondo è la deificazione del senso, sotto l’aspetto di un purismo teocratico misterioso e mal inteso per servire di semplice coperta. Menilik
[n. 19.8.1844;
Teodoro conquista lo Scioa: 19.11.1855]
Il secondo punto [d]a non dimenticarsi è che il povero Re Menilik, nato nel 1848., nell’anno 1861., epoca in cui, poco presso, il regno di Scioa cadde nelle mani dell’imperatore Teodoro, ed il povero principino dodicenne, epoca in cui le sue passioni incomminciavano a sbociare, ed egli incomminciava [ad] aprire gli occhi al gran mondo, quella corte si trovava sotto un’influenza tutta massonica di prigionieri europei, di artisti protestanti, e di missionarii della stessa farina. Quindi [del]lo stesso Vescovo Salama, capo della gerarchia religiosa eutichiana, ed anche egli di educazione protestante, il quale non mancò di esercitare una certa influenza sopra l’educazione del giovane principe.

Tutto ciò calcolato, il mio lettore potrà facilmente formarsi un criterio /104/ sopra l’educazione avuta dal Re Menilik, proprio nel momento in cui il povero giovane principe incomminciava [ad] aprire gli occhi, [p. 44] e sedersi alla tavola del gran mondo, imbandita tutta di fiori. e Tessamà
[altri figli di Teodoro: Alemaieu († Londra 1879) e Masciascià]
Fino a tanto che il giovane principe rimase alla corte di Teodoro, egli fece la sua educazione col primogenito dell’imperatore Tessamà, poco presso della stessa età, la tavola era ben fornita di tutto ciò che poteva interessare le passioni materiali di un giovane principe; non mancavano anche gli scandali di europei in fatti ed in parole per renderlo affatto indipendente da ogni rimorso di coscienza, pretesi dallo stesso pudore; di una sol cosa mancava, cioè dell’istruzione religiosa e morale. Un solo freno esisteva in quella corte, ed era il carattere dell’imperatore stesso, uomo che spaventava, come un’altro Bruto, al solo vederlo. Un simile freno senza il condimento della religione e della morale cristiana, non serviva ad altro, che a rendere più cauta e più seducente la voglia dei due principi.

foga di Menilik da Magdala
[30.6-1.7.1865]
Il povero principe Menilik, fuggito da Magdala ne[l] 1866. all’età di circa venti anni, e salito sul trono dei suoi padri non era più, ne un fiore, ne un frutto da poter promettere una riuscita. Nel 1868. quando arrivò la missione cattolica, egli era già sazio di tutto, anche di dottrine le più perverse. Il suo cuore era come quello di un uomo arrivato al fine di una gran tavola, quando [d]alla veduta sola delle richezze luculliane si trova nauseato, e per surescitarlo ha bisogno di Champagne e di altri liquori; egli non possedeva più un cuore, ne di ardito militare, [p. 45] ne di principe calcolista per l’avvenire della sua dinastia, ne tanto meno di sposo cristiano da promettere un’avvenire alla sua famiglia futura. Egli aveva ancora da Dio un sufficiente talento per vedere tutto questo, ed anche per sentirne qualche stuzzico, ma il suo morale abbassatosi non era più capace di dare seguito alle sue idee: egli vedeva tutto, approvava e lodava tutto, ma il bello di un momento era sempre quello che lo dominava, e le passioni anche più basse lo tenevano nella corrente di un mondo puerile.

fatto della regina Bafana
[21 anni]
Il fatto della regina Bafana basterà per convincere il mio lettore sulla verità del fatto fin quì detto, e già più volte da me toccato. Egli principe di 20. anni quando salì al trono, acclamato dalla sua popolazione, contro la corrente di tutti i consigli del suo paese, si invaghì di una vecchia, che poteva essere sua madre, la quale già contava otto figli, quasi tutti senza un padre conosciuto. Ciò che già dissi di questa Pompador degli ultimi Luigi di Francia, o se vogliamo chiamarla, di questa Madama reale di Savoja, mi dispensa dallo scrivere altri aneddoti quasi infiniti che qui potrei riferire, arrivata persino alla rivolta e congiura /105/ contro di lui. Il rispetto dovuto a questa donna ancora vivente, ma fuori di casa, come persona da lui rispettata ed amata, mi obliga a confessare anche [p. 46] alcune sue buone qualità; Essa, come donna di molto talento e capacità, appena entrata nella casa di quel giovane principe, la sistemò, e vi pose un certo quale ordine, che forze diversamente non avrebbe trovato per mancanza di fermezza del suo padrone. ferreo potere di Bafana Essa esercitò un potere di ferro sopra tutta quella corte e casa reale da renderla rispettabile, non solo nell’interno del regno di Scioa, ma anche alla stessa diplomazia estera. Nella casa del Re Menilik Bafana ottenne questo ferreo potere a costo di mezzi immorali ed anche infami di una prostituzione utriusque generis, dal momento che la sua persona non era più sufficiente per soddisfare tutte le voglie di un cuore corrotto, onde mantenersi nel possesso del medesimo.

conseguenze di questo potere Questo ferreo potere sopra il cuore del giovane principe ebbe delle gravi conseguenze sui destini di quel principe e di quel regno. Conseguenze che il mio lettore deve sapere per rendersi conto di tutto ciò che in parte già e stato riferito, e di ciò che in seguito si dirà sino all’ultimo mio esilio, che ha avuto luogo [da Devra-Tabor: 3.10.1879] sul fine dell’anno 1879. La prima di tutte le conseguenze è stato l’isolamento di tutti i veri amici e consiglieri, e possiamo aggiungere ancora dei veri genii guerrieri, che avrebbero fatto il Re Menilik come omnipotente sopra tutti i suoi nemici [p. 47] e pretendenti in quasi tutta l’alta Etiopia. Seconda, e gravissima conseguenza: La regina Bafana si servì del ferreo potere sopra il cuore del Re per fargli moltiplicare le confische, e tirare a se la maggior parte di tutte [di tutte] le proprietà e richezze di tutto quel regno; cosa che impoverì lo stesso Re e quasi tutto il paese, rendendolo in certo modo odioso a tutti. La terza conseguenza anche gravissima: La regina Bafana, vedendosi odiata dal paese, abbassò il prestigio del partito religioso di Devra Libanos che era come il baloardo della dinastia reale, e sollevò il partito Karra eutichiano, preparando così la famosa pace coll’imperatore Giovanni, già da me narrata a suo tempo. La quarta conseguenza fù la pace medesima, che fece di Menilik un servo dell’imperatore Giovanni, e del regno di Scioa una sua provincia, come si disse altrove. La quinta conseguenza fu quella, che il Re Giovanni nel congresso religioso già riferito poté promulgare la famosa legge dell’unità di fede già stata riferita, la quale fù fatale al regno di Scioa, ed anche alla missione cattolica.

caduta della regina Bafana Dopo avere riferito il ferreo potere della regina Bafana sopra il cuore del Re Menilik, e le fatali conseguenze di questo potere sopra il Re ed il regno di Scioa, prima di riprendere l’ordine cronologico della mia /106/ [p. 48] storia; per non ritornare a questa donna, la quale ebbe una gran parte sul destino di quel principe, e di tutto quel regno, debbo riferire il fine suo, o meglio il fine del suo regno ed impero del Re e del suo regno. L’imperatore Giovanni molto più furbo del Re Menilik si servì di questa donna per guadagnare il Re Menilik al suo partito, ed unire così il regno di Scioa al suo impero. Ottenuto che ebbe il suo scopo, esso, dopo la mia partenza da quel paese, la disprezzò, come donna di partito molto pericolosa; incomminciò a lavorare per allontanarla da quel principe facendogli sposare una sua figlia adottiva. (1e) [Menelik sposa Taitù: mar. 1883] Menilik Prima di sposarsi col[la] nuova regina, diede a Bafana il principato di Seladenghià, dove solevano ritirarsi le madri dei re, resosi vacante per la morte [1882] della madre di Menilik. Così Bafana si ritirò in quel principato, facendo la vita privata, e godendosi le sue immense richezze. Si vedrà sul fine di queste mie memorie, come riprendesse nuova vita il regno di Scioa dopo la sortita di Bafana da quella Corte. Io intanto facio ritorno all’ordine cronologico della mia storia.


(1a) Non era un’esaggerazione ciò che soleva dire ai suoi confidenti; doveva dirsi piuttosto un’esalazione del suo cuore coi suoi più stretti confidenti. Egli ne soleva dar segni parlando con me, e col mio Coadjutore Monsignore Taurin detto in paese Abba Jacob, oggi mi[o] Successore. Sopratutto poi soleva darlo a conoscere quando gli occorreva di raccontare qualche fatto della missione cattolica; il suo entusiasmo allora lo dava a vedere. [Torna al testo ]

(1b) Sia questa una prova della sua capacità fra gli altri fatti. Egli desiderava vedere una macchina [d]a cucire: ne ho fatto venire una d’Europa: quando arrivò, ne io, ne altro europeo fummo in caso di metterla insieme, ed insegnargli la manovra, come cosa nova anche per noi: egli in una notte finì la questione, e la mattina [la macchina] già era in esercizio. Così dei fucili di nuova invenzione, e di certe altre macchine. [Torna al testo ]

(1c) Il Signor Arnus, di cui molto si è parlato in queste mie memorie, persona di molto merito, ma che non mancava di utopie, fu l’europeo in questione. Egli vedeva nel Re Menilik un’eroe di cui è questione in questo luogo. [Torna al testo ]

(1d) lo scrivente fa allusione al Signor Gustavo Bianchi, il quale degradò troppo il nostro Re Menilik in molte cose, specialmente in materia di schiavitù, cosa normale in Abissinia. L’unico principe che in Etiopia abbia fatto qualche passo sincero contro la tratta dei neri fu l’imperatore Teodoro, ma anche questi non fù costante, e si lasciò andare dietro [al]la corrente del paese. [Torna al testo ]

(1e) È uso stabilito in Abissinia, anzi in quasi tutta l’Etiopia [che] un principe suole adottare figlie di parenti cadetti, oppure anche di qualche suo grande favorito, tenerle in corte, come sue proprie figlie, e come altrettanti principesse, e maritarle poi a principi, onde stabilire con essi amicizia. L’imperatore Giovanni non avendo figlie proprie, ha dato al Re Menilik una figlia di un suo favorito adottata. [Torna al testo ]