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15.
A Saìnt. Islamismo di Ras Aly.
Guado del fiume Bascilò.

nostra partenza
[11.7.1879]
L’indomani il nostro amico avrebbe voluto farci riposare un giorno, ma la nostra guida non lo permise per il timore che il ritardo ci avrebbe messo in pericolo di non poter passare poi il fiume Bascillò per causa della piena. Fu quindi forza partire. L’amico volle accompagnarci in tutto il paese dei galla Legambo. Abbiamo salito la montagna avvolti dalla nebbia che ci impediva di vedere tutto l’orizzonte [p. 118] e non è che verso mezzo giorno, [che] il sole ci rallegrò coi suoi raggi per finire di seccare tutta l’umidità della mattina, e quella del giorno precedente. un bell’orizzonte Allora fu che il nostro occhio da quell’alto piano poté scoprire tutto l’orizzonte dei paesi Wollo di tutto il contorno. Benché la montagna, sopra la quale eravamo, non fosse molto alta, ma piuttosto una semplice elevazione, oppure sollevamento dell’alto piano dei Wollo, pure al nord ci lasciava vedere il nostro Saïnt da me visitato in Settembre 1849. e più all’Est tutta la linea da me percorsa in quell’anno sino ai confini di Scioa, mentre dalla parte opposta verso l’ovest ci lasciava vedere il letto del Nilo azzurro che girava intorno al Goggiam, ed al nord quello del suo confluente il Bascillò, che noi dovevamo passare per entrare nel Beghemeder. Ci rimanevano ancora due buone giornate di viaggio per sortire dal paese Legambo, ed arrivare ai confini di Saïnt; quindi un’altra piccola giornata per arrivare al campo del Degiasmace figlio dell’antico nostro amico Tokò-Brillè, vicino a Tedba Mariam; quindi di là una buona giornata per arrivare al fiume Bascillò.

i tre giorni di viaggio
[a Ciamiè: 13.7.1879;
a Arbaït-Ensessa: 14.7.1879;
a Atronore-Mariam: 15.7.1879]
Gettate queste linee direi topografiche, del terreno, o paese da me calcato, lascio il diario materiale, e la descrizione dei luoghi, e costumi, per liberarmi da una monotonia inevitabile, essendo sempre poco presso i medesimi terreni, prodotti, ed usi già riferiti, tanto più, che scrivendo io senza memorie scritte, manco anche [p. 119] di nomi dei luoghi e delle persone secondarie; arriva alla mia memoria ciò che arriva all’occhio nelle vedute di lontananza, nelle quali si perdono molte specialità /151/ arrivo a Saïnt
[a Farat-Batir: 16.7.1879]
secondarie. Lascio perciò di descrivere i due giorni [trascorsi nella cerchia] dei paesi musulmani di Legambo, ed uno dei confini di Saïnt, e facio un salto diretto al campo di Tokò Brillè che già conosceva nel mio viaggio a Tedba Mariam già da me descritto nell’anno sopra citato 1849. Io sperava di trovarmi là frà gli amici dei Padri Giusto e Cesare, in paese tutto cristiano; ma non ho tardato ad accorgermi di essermi sbagliato di molto. Il paese di Saïnt una volta così ricco, dove [io] aveva comprato 18. pecore per un tallero di Maria Teresa, era caduto nell’estrema povertà distrutto dalle guerre. Sono troppo interessanti, ed anche istruttive le crisi sofferte da quel povero paese, da non doverle lasciare nelle tenebre dell’oblivione in queste mie memorie storiche.

crisi di quel paese Tokò Brillè, in tempo che governava Ras Aly, e che spirava favorevole il vento per i musulmani, fece la guerra al suo Padre Brillè, ed assistito dai musulmani di Legambo e dei Wollo, l’aveva vinto, e lo teneva legato sino alla sua morte. Così regnò il principe Tokò in Saïnt circa 20. anni in tutto il tempo che regnò Ras Aly. Questo principe di dinastia cristiana, divenuto amico dei musulmani, si imparentò con essi e riempì la sua casa [p. 120] di donne musulmane, dalle quali ebbe figli di nome cristiani, ma in realtà musulmani, perché, benché le donne musulmane maritate, oppure passate semplicemente come concubine in una casa cristiana, si facessero cristiane, pure nel cuore loro non mancavano di rimanere sempre come erano, epperciò non mancavano d’insinuare ai figli loro la propria religione. rovina di Saïnt Iddio, che voleva punire Tokò per la rivolta contro il suo Padre Brillè, permise che i suoi figli, come musulmani di cuore, si rivoltassero contro di lui. Il povero Tokò dovette sostenere lungo tempo la guerra coi suoi figli. Così il povero suo paese fù come distrutto dalla guerra civile. Fratanto arrivò l’epoca dei trionfi di Teodoro sopra tutti i principi musulmani dei Wollo, dei quali [set. 1855] [ne] fece una vera strage; finiti i Wollo, passò anche a dare l’ultimo colpo al povero Saïnt. Dopo Teodoro, [nov. 1868] alcuni anni dopo, arrivò anche il Re Menilik a mangiare anche il poco resto. In questo modo il povero paese di Saïnt fu trovato nell’estrema miseria da me nel 1879.

progresso dell’islamismo Ho voluto riferire in detaglio questa piccola storia per far conoscere, come in quei paesi l’islamismo progredisce, ed è ormai arrivato al momento di lasciare temere una crisi politica da minaciare tutto quell’impero di puro nome cristiano, quando trovasse un genio da mettersi alla testa, caso eguale a quello di tre secoli [or] sono, stata superata dai portoghesi coll’uccisione [† 21.2.1543] dell’arabo Gragne. Dopo quell’epoca, era rimasto un piccolo [p. 121] deposito di musulmani arabi stati tollerati come mercanti; erano appena alcuni mille, rimasti frà i Wollo. In meno /152/ di due secoli, oggi tutto l’alto piano dei Wollo da Cristiani sono divenuti musulmani, e sono circa un mezzo millione fra i Wollo solamente. Non basta, in tutta l’Abissinia oggi hanno il monopolio di tutto il commercio, ed hanno delle grandi città e centri dovunque sparsi, e passano già il millione, equivalente ad un terzo della popolazione abissina cristiana. storia di Ras Aly e sua madre
[giu. 1831-29.6.1853)
La madre di Ras Aly, donna musulmana, fattasi cristiana per sposare il Ras, sotto il regno del suo figlio cristiano di nome, ma musulmano di fatti, fece regnare i quattro suoi fratelli nell’alto Beghemeder, e si fece musulmano la metà del centro abissinese. A ricordo mio, quasi tutte le Chiese degli Eggiu di Daund, e di Horro haj̈manò furono distrutte. Come già si disse altrove, fu questa la ragione per cui [quel regno] si rivoltò al Ras Kassà divenuto imperatore Teodoro.

Per far conoscere il processo con cui si diffonde l’islamismo in Abissinia ed in altri paesi simili, debbo far conoscere la differenza che esiste tra i musulmani della costa, e possiamo dire anche dell’Arabia nel modo di propagare la loro religione, e nell’osservanza esteriore della medesima, da quello che si osserva in Abissinia. purificazione musulmana Alla costa, come paese tutto musulmano è lasciata da una parte la disputa, [p. 122] come paese caldo, poi il musulmano vesta una sola camicia leggiera senza braghe ed osserva la purificazione prescritta dal korano con un’esaggerazione ributtante, e si può dire anche scandalosa. Dico ributtante e scandalosa, poiché il korano stesso ordina solo di purificare i sensi esteriori, come gli occhj, le orecchie, il naso, la bocca, le mani e [i] piedi, e neanche nomina le parti sensuali e sessuali; ma il musulmano della costa e dell’Arabia, fatta leggermente la purificazione dei sensi sopra indicati, passa come publicamente e senza riserva le parti riservate dalla modestia e si trattiene molto, come a luoghi che hanno un’attrattiva, e ciò si vede ben soventi nel padre di famiglia [che esercita tale funzione] in vista dei suoi figli e figlie, con un’indifferenza affatto opposta alla riserva del Patriarca Noè. il musulmano abissino All’opposto il musulmano dell’Abissinia, egli è un musulmano di opposizione alla fede del paese, e si sente [a] proferire delle bestiemmie, massime contro la Madonna, che si direbbe averle imparate dai nostri Protestanti. In materia poi di Purificazione i musulmani dell’Abissinia sono molto blandi; ossia per il freddo che non manca, ossia per il costume di vesti chiuse in modo cristiano che gli imbarazzano, io [non] ho quasi mai veduto la purificazione fra questi musulmani.

Ciò sia detto per far conoscere l’islamismo dei paesi etiopici, i quali oggi sono divenuti molto forti e potenti. Io intanto riprendo la descrizione del mio viaggio di esilio. nostro arrivo al campo di saïnt Arrivato al campo del principe di Saïnt, io credeva di trovare il figlio [p. 123] di Tokò Brillè, al quale noi /153/ eravamo raccomandati dal Re Menilik, ma egli da alcuni giorni era partito alla volta dell’amba o fortezza che teneva nei paesi più bassi verso il Nilo azzurro a passarvi la stagione delle pioggie suoi confini ovest del suo principato, come luogo più caldo e più asciutto. Nel partire però aveva lasciato ordini al campo molto generosi per il nostro ricevimento. Fummo perciò ricevuti molto cortesemente dal suo luogo tenente. notizie storiche di Saïnt Abbiamo passato là appena un giorno di necessario riposo, nel quale sono stato visitato da alcune persone di antica conoscenza, le quali mi raccontarono tutte le vicende di quel povero paese; mi raccontarono in particolare i detagli dell’esilio dei miei due missionarii PP. Giusto e Cesare, avvenuto nell’anno 1850. Io aveva sempre creduto che quell’esilio, già da me raccontato a suo tempo, fosse stato per [le] brighe di Abba Salama vescovo eretico, e del partito eutichiano, mi assicurarono allora, essere stato per le influenze di musulmani, per motivo della tratta dei neri, alla quale essi erano contrarli. Ebbi notizie anche di Tokò Brillè ancor vivo, ma custodito nell’amba come prigioniero: egli pagava il fio per ciò che aveva fatto a suo Padre.

Fra tanto il luogo tenente del Principe aveva dato tutti gli ordini necessarii per la nostra partenza dal campo verso il fiume dopo un giorno di riposo. Avrebbe voluto farci fermare di più, ma il Bascillò cresceva a dismisura e minaciava di impedirci il passaggio, [p. 124] per altra parte l’imperatore Giovanni aveva fatto domandare di noi, e pareva inquieto per il nostro ritardo; innoltre i messaggieri dell’imperatore e del Re Menilik partiti prima da Warra Ilù, ci aspettavano all’altra riva del fiume coi cavalli e muli, come si disse sopra. Fu dunque forza partire in un giorno di pioggia torrenziale. conversazioni strada facendo Strada facendo, nei piccoli intervalli che la pioggia ci lasciava respirare, io meditava [su] quel paese e quelle campagne una volta così popolate di villaggi e di seminati, divenute come un deserto di abitanti e di seminagioni, non poteva a meno di sfogarmi colle persone dell’accompagnamento venuto dal campo; caro Padre, mi dicevano essi, questo è un paradiso in confronto di quello che voi vedrete di là dal fiume, entrati che sarete nel Beghemeder; sappiate che i contadini di là fuggono quì sotto il nostro governo paterno, perché di là i soldati dell’imperatore sono come la locuste, che mangiano tutto, e [non] lasciano nulla al coltivatore; voi proverete la fame del campo imperiale: Deo gratias, diceva fra me stesso, sì che andiamo bene; poveri noi!

Mentre si stavano facendo tutte queste desolanti conferenze noi discendevamo verso il fiume. Come siano partiti dal campo un poco tardi, sia per causa della pioggia, e sia ancora per dar tempo alla carovana di /154/ prendere qualche ristoro, e sia ancora [per] disporre ogni cosa siamo arrivati all’ultimo piccolo villagio sopra un’altura, da cui si vedeva il Bascillò, molto gonfio [p. 125] notte a riva del Bascillò
[a Ucha-Mieda]
da inspirarci anche qualche timore; l’ora era già un poco tarda, ed il mondo che doveva assistere al nostro passaggio, non essendo radunato, abbiamo dovuto passare la notte alla meglio in alcune casupole la più parte di emigrati dal Beghemeder, i quali si contentavano di coltivare un poco di terra in quel basso clima di febbri per mangiare un poco di pane tranquillamente. Da essi abbiamo sentito il restante delle miserie che ci aspettavano al di là del fiume. Nelle vicinanze dei fiumi per non assorbire il miasma delle febbri in Abissinia bisogna avere attenzione di ritirarsi in casa per tempo prima dei crepuscoli, e la mattina non sortire prima che il sole gli abbia dissipati. Così abbiamo dovuto fare noi, passata la notte, la mattina seguente, circa le otto, abbiamo fatto il restante di discesa, e arrivo al fiume
[luogo detto Tecetekel: 17.7.1879]
siamo arrivati al fiume Bascillò, quasi nello stesso luogo dove io l’aveva passato nel 1849.

Nelle piene il viaggiatore cerca di passare il fiume nel luogo dove il suo letto e molto largo e meno profondo; così pure altro punto di vista, si suole cercare il luogo più piano, e dove la corrente ha meno forza. I nostri conduttori ci condussero in un luogo molto largo, e piano, dove l’occhio poteva spaziare. alcuni miei pensieri Mentre alcuni nuotatori facevano le loro manovre, sia per esaminare il fondo, e sia ancora [p. 126] per allontanare il cocodrilli, i quali non sono pochi colà, io intanto era stupito di vedere tanta aqua in un fiume dell’Abissinia centrale, il quale dalla sua sorgente che io aveva veduto nel 1849. sino al Nilo che ho veduto nel 1863., al più contava da 50. a 60. kilometri. Esso riceve dalla parte sud tutte le aque dei Worro-kallo, di Horro hajmanò, e dalla parte nord riceve le aque di Devra Tabor, degli Eggiu, e di Magdala, dove le sue aque nel 1868. hanno lavato il sangue versato nella guerra di Teodoro coll’armata inglese, e dei cento prigionieri gettati nel precipizio dal vinto tiranno [† 13.4.1868] prima di suicidarsi. Io pensava a quei grandi avvenimenti, quando le nostre guide decisero che il fiume poteva passarsi a cavallo di muli, condotti da due guide.

calcoli per il passaggio del fiume. Per farci coraggio incomminciarono a passarlo due guide, andando e ritornando. Dopo lo passò prima di tutti il giovane inviato del Re Menilik; poscia Monsignore Coadjutore, ed il Padre Luigi Gonzaga. Dopo tutti mio passaggio l’ho passato io. Il letto del fiume era largo poco meno di cento mettri: sino a 10. mettri l’aqua era come ferma ed il mulo entrava [a] poco a poco nel profondo sino al ginocchio, ma poi non tardò l’aqua a toccare la pancia del mulo, e nel mezzo del fiume le mie gambe erano /155/ tutte nell’aqua, e [dopo] qualche minuto tutto il mulo fu nell’aqua, e colla sola testa fuori; ma non tardò a ricomparire, e l’aqua ad abbassarsi gradatamente, per arrivare alla riva opposta. L’altezza dell’aqua e la forza della corrente non mi spaventò, ciò che mi spaventò di più furono [p. 127] le vertigini, o capo giro che si voglia dire, cosa ordinaria in chi non è assuefatto a passare le grosse aque a cavallo. passano i giovani ed il bagaglio Dopo di me lo passarono [il fiume] i giovani, dei quali i più grandi lo passarono a piedi in parte, ed in parte a nuoto; i più giovani lo passarono a mulo. Passati che furono tutti, dovettero [far] passare il bagaglio, il quale non poteva passare sopra i muli senza pericolo di bagnarsi, i nuotatori si servirono di uno dei mezzi soliti in quei paesi, facendolo galeggiare sopra l’aqua dentro involti di pelli piene di paglia, oppure sopra fasci di legna da essi guidati. congedo dei nuotatori Ciò fatto, furono ringraziati e congedati i nuotatori stati spediti dal governo di Saïnt, restando con noi un solo, il quale doveva consegnarci al primo villaggio del Beghemeder sani e salvi.

Passati che fummo all’altra riva, noi ci siamo trovati sotto il governo diretto dell’imperatore Giovanni, ma in quali condizioni? Noi eravamo tutti bagnati, ed anche un poco bagnato il bagaglio. I muli erano stanchi dal viaggio precedente in un luogo arido e secco, dove non vi era neanche un poco di pascolo. si assiugano le vesti Col benefizio di un poco di sole che il Signore ci mandò, abbiamo fatto seccare alla meglio i nostri bagagli, ed abbiamo preso un poco di ristoro sopra la riva stessa del fiume colle provviste che avevamo, e si diede anche un poco di orzo ai muli. Ciò ottenuto, l’ora si fece [p. 128] tarda, e si ebbe appena il tempo di poter [attraversare] di quel giorno le prime rive scossesi del fiume. prima stazione vicina al fiume
[a Mudia]
Caricati i muli, e partiti, in meno di un’ora siamo arrivati sopra un piano, dove vi era un poco di erba, e là abbiamo fatto alto, si stesero le tende, e ci preparammo a passarvi la notte. I muli ebbero ancora qualche ora di tempo per mangiare un poco di erba fresca, ed i giovani raccolsero legna per il fuoco, prepararono un poco di cena, e continuarono l’asciugamento delle vesti ed oggetti ancora bagnati nel passaggio del fiume. Prima della notte alcuni dei nostri discesero al fiume per prendere un poco di aqua e ritornarono spaventati per la veduta di un grosso ipopotamo, e di qualche cocodrillo sulla riva in certa lontananza. La notte fu quasi senza pioggia, e sarebbe stata molto tranquilla, se una quantità di mosche notturne, muscerini, ed altri insetti non ci avesse impedito di dormire.

l’indomani si parte
[18.7.1879]
La mattina seguente, appena il sole ebbe dissipato un tantino i vapori notturni ci siamo posti in viaggio sperando nella giornata di arrivare a /156/ qualche villagio. Abbiamo camminato da due o tre ore frà i boschi e [i] cespugli, per una strada poco calpestata da[i] viandanti, tenendoci in una valle fra due basse colline, dove la salita era appena sensibile. nuova pioggia e fermata
[a Gibe-Gudguad]
L’orizzonte non tardò ad oscurarsi e lasciar cadere una pioggia minuta bensì, ma compatta. Nei paesi bassi detti kuolla in lingua amarica, e gamògi in lingua galla, i muli dei paesi alti diventano più deboli, [p. 129] epperciò si stancano molto facilmente, e la pioggia umidisce i carichi, ed accresce il peso, e la stessa strada diventa anche più faticosa. Tutto ciò calcolato si provò un vero bisogno di far alto, benché non si sapesse l’ora che era, per la ragione che, non essendovi il sole di giorno manc[h]a anche l’orologio naturale dell’umbra (1a) in quei paesi. Trovato quindi un luogo piano, dove si trovava un poco di pascolo, i giovani scaricarono i muli, piantarono le tende, e prepararono un poco di ristoro per la carovana. La pioggia cessò un momento, si squarciarono le nubi, ed il sole fece una breve apparizione tanta che bastò, per poter calcolare l’ora: alzata quindi la mano, e calcolata l’umbra del dito in perpendicolo vicino a terra, il sole era appena un’ora, o poco più dal suo zenit: molto bene, abbiamo detto, un’ora di riposo, e riprenderemo il viaggio, per vedere di arrivare ad un villagio.

Ma non tardammo ad accorgerci, che il nostro calcolo era falso. Lo squarciarsi delle nubi, l’apparizione del sole in tempo delle pioggie abituali non fa altro, che dare una scossa all’ambiente elettrico, per sollevare maggiormente i vapori e mettergli in moto per determinare una pioggia più torrenziale. un temporale minacia Difatti non tardò a manifestarsi al nord un’apparato di nubi rumoreggiante, come un’armata furibonda, [p. 130] Presto, o giovani, radunate le bestie, e rinforzate le tende, dissi; appena questi ebbero tempo a legare le bestie vicino, e prendere alcune misure più urgenti, che ci arriva una gran pioggia, per ripararci dalla quale neanche le tende bastarono. brutta notte Ciò che più ci fù doloroso, la pioggia non cessò più tutto il giorno, e mezza la notte, di modo che, bagnati in gran parte, e bagnato in gran parte il bagaglio, si passò una notte la più infelice, senza poter riposare un sol momento, e senza neanche poter prendere un poco di cibo. Per fortuna che il paese kuolla non è un paese freddo, del resto sarebbe stato un caso da morire.

/157/ un bel sole Iddio, che manda le tribolazioni in misura, dopo la pioggia ci mandò il bel tempo, e l’indomani mattina si rasserenò l’atmosfera e succedette un bel sole ad asciugarci. Ma, come ognun sa, il sole è quello che fa bollire la marmitta, e suol sollevare nuovi vapori per nuove crisi, massime in quei paesi di raggi verticali, e nella stagione che il sole passa sopra il zenit, in cui i vapori non possono sollevarsi nell’alta atmosfera, ne dilatarsi e disperdersi, ma subito si trovano respinti, e condensati dai venti delle circostanti montagne. Quindi neanche potevamo sperare un bel tempo nel resto del giorno; fu perciò naturale calcolo partire subito col [p. 131] bel tempo, ancorché [ancora] bagnati; così alla meglio abbiamo risolto di partire, almeno per fare un passo di più verso un qualche villagio; gli stessi animali, benché, stanchi e mal nutriti, sentissero il bisogno di riposo, pare convenissero con noi e si rassegnassero al carico. Lasciato quel luogo di tribolazione, il sole ci continuò per alcune ore i suoi benefici raggi cocenti, i quali, asciugando le nostre vesti, ed il terreno, ci alleggeriva il peso e facilitava la via. in cerca di un villaggio Noi giravamo gli occhi per vedere se appariva qualche villaggio, ma pareva che questi si allontanasse[ro] da noi. Quei luoghi che nel mio viaggio del 1849. aveva veduto tutti popolati di villaggi, erano divenuti deserti, ed erano scomparse le popolazioni distrutte dalla spada di Teodoro, e dei suoi successori imperatori.

un villaggio musulmano
[Hastahor]
[a Bieta-Negus: 19-21.7.1879]
Solamente la mattina del terzo giorno ci riuscì di poter arrivare in un piccolo villaggio di musulmani fuori strada. Appena arrivati volevano rifiutarci l’ospitalità, dicendo che essi non coltivavano i terreni, e che compravano grano al mercato di Saïnt. Essendo il villagio situato in una certa altezza, abbiamo creduto di essere sortiti dal luogo basso dove regna il miasmo delle febbri, e ci siamo fermati due giorni per riposarci. Ma, come vedremo, ci siamo forze sbagliati, perché il paese era ancora basso, e nel luogo dominato dal medesimo miasmo. Nei due giorni che siamo rimasti abbiamo fatto amicizia con quella gente, ed abbiamo poi conosciuto che quei [p. 132] popolani erano negozianti di schiavi, e che quando il fiume era basso usavano passare il fiume per coltivare un poco di terreno sui confini di Saïnt, dove erano meno molestati dai soldati. alcune osservazioni Così suole arrivare, quando un governo, dominato da un falso calcolo, suole aggravare troppo i contadini, che sono la prima richezza del paese, esso emigrando si impoverisce il paese, e ne perde anche lo stesso governo. A che serve un gran paese, dove il popolo emigra, oppure si concentra nelle grandi città per fuggire il lavoro[?]. Il mangiare il pane dall’estero è una schiavitù: le stesse arti sono una richezza relativa e meno sicura; il contadino è la vera richez- /158/ za. Come già è stato detto, in Abissinia l’imperatore Teodoro si è perduto per mancanza di pane: gli stessi inglesi più difficilmente l’avrebbero battuto, se prima non fosse stato battuto dalla fame, che gli fece fuggire i soldati.


(1a) Il viaggiatore in quei paesi, ancorché munito di orologio, ben presto, guastati questi, si trova in bisogno d’imparare il modo primitivo e patriarcale di calcolare l’ora. Nei villaggi il gallo serve a questo bisogno, massime di notte, oltre il calcolo delle stelle nella notte, e l’umbra di giorno. Nei deserti non esiste più il gallo, poiché la gallina è uno di quegli animali che non si trova in stato selvagio. Di giorno la risorsa del sole, e di notte le stelle, servono di orologio. [Torna al testo ]