/159/

16.
Epoche di Ras Aly e di Teodoro a confronto.
Ricordo degli Zellàn e di Melàk.

continua il miasma Partiti da quel villagio, ci vollero ancora due giorni, per sortire dai paesi kuolla, dove regnava ancora il miasma delle febbri. Nel mio viaggio del 1849., nei tempi di Ras Aly, non mancavano le febbri nelle vicinanze del fiume Bascillò, ma ad una piccola distanza da quel fiume, perché allora quasi tutti quei paesi bassi erano popolati e coltivati, laddove, dopo Teodoro, divenuti deserti tutti quei paesi, regnò il miasma quasi sino all’avvicinarsi dell’alto piano. arrivo all’alto piano Noi, dopo cinque giorni di penosissimo viaggio, siamo finalmente arrivati ai paesi più sani, do[ve] ci aspettavano gli inviati, partiti prima di Noi da Warra Ilu, coi bestiami di revalo [= regalo] [p. 133] per l’imperatore Giovanni. Appena arrivati nei paesi alti col respirare un’aria più viva e più salubre, non solo noi, ma le stesse bestie da sella e da soma, si sentirono come rigenerati; noi abbiamo trovato un paese migliore, più fresco e più salubre, ma un paese qualunque, fosse anche un paradiso terrestre senza popolazione a che serve? Io che l’aveva veduto e che vi era rimasto qualche tempo nel 1849. che malinconia per me vedendo quel bel paese tanto cangiato nel corso di 30. e più anni che passarono! nuovi deserti non più villaggi, non più mercati, la maggior parte delle Chiese abbandonate e deserte, divenuti perciò una vera solitudine; io non poteva darmi pace nel vedere tanta rovina. Gli stessi miei compagni, i quali credevano di trovare l’antico Beghemeder da me loro tante volte descritto nei miei discorsi e conversazioni famigliari, avevano l’aria di prendermi in contraddizione.

Là prima stazione da noi fatta sull’alto piano del Beghemeder fù alla casa di [Retta] un Messeleniè, ossia rappresentante Procuratore dell’imperatore Giovanni, uomo molto cortese e garbato, presso il quale ci aspettavano i messaggieri, già sopra citati, coi loro bestiami di regalo a Giovanni. La casa di quel Signore consisteva in un modesto recinto di semplice legname con poche capanne in mezzo ad un vasto piano di bellissima erba, in una vera solitudine, dove a vista d’occhio non si vedeva abitato di sorta; era quello un luogo eccellente per le nostre bestie bisognose di /160/ mangiare, ma in tutto il rimanente era un vero [p. 134] romitaggio: non è questa la provincia di Goradit, posseduta anticamente da Degiace Bescïr, dissi al Messeleniè, dove sono andate tutte quelle popolazioni? Il Messeleniè, già iniziato un tantino della mia storia, appunto come voi dite, mi rispose egli, questo povero paese appartiene alla provincia di Guradit posseduta dall’antico Degiace Bescïr zio di Ras Aly: è questa una delle provincie migliori di tutto il Beghemeder, ma bisogna confessare, essere stata sempre il teatro della guerra. guerra colla fame e col pane Anticamente [vi] fù la guerra tra i musulmani ed i cristiani, che si distrussero a vicenda, oggi che regnano i cristiani è la guerra degli uomini colla fame e col pane, ed ecco come è la storia.

guerra tra cristïani e musulmani Qui il Messeleniè ci fece la storia antica e moderna [del Guradit]. Voi che conoscete il paese da molto tempo, mi disse, dovete sapere, come Degiace Bescïr fanatico musulmano perseguitava indirettamente i cristiani, e favoriva molto i musulmani; sotto di lui si stabilirono quì molti musulmani venuti dai Wollo, perché godevano il favore del principe, ed erano i soli che trovavano impieghi; molti cristiani allora fuggirono, e molti si fecero anche musulmani; si viddero allora anche molti preti dei nostri abbraciare l’islamismo, e diventare fanatici musulmani (1a). Caduto Ras Aly, sotto il regno di Teodoro, venne il momento di rivincita dei cristiani contro i musulmani; questo paese diventò il teatro della guerra dei cristiani contro i musulmani, e poco lontano di quì è il luogo, dove [† ott. 1859] fu ucciso Degiace Bescïr; con lui morirono molti [p. 135] musulmani; gli altri, parte fuggirono verso i Wollo loro paese, e molti anche come mercanti si stabilirono nei bassi del fiume Bascillò. In quella crisi questo paese diventò mezzo deserto, ma rimaneva sempre ancora una sufficiente quantità di popolazione cristiana, tanto più che molti cristiani fugiti vi ritornarono a riprendere i loro antichi terreni. Fin quì bisogna confessare che Teodoro fece del gran bene, liberando questo paese dal giogo musulmano, ma Teodoro regnando fece nascere un’altra febbre peggiore che finì di distruggere le popolazioni, non solo di questa provincia, ma possiamo dire di tutta l’Abissinia.

epoca di Ras Aly
[1831-1853]
Nel tem[p]o di Ras Aly, uomo pacifico, le guerre erano pochissime; egli si contentava deie Provincie centrali dei contorni di Gondar, i regni del Tigrè, del Gogiam, e di Scioa, erano subalterni di nome, ma in fatti erano indipendenti, pagando solo un tributo nominale, ridotto a /161/ semplici regalie, per lo più reciproche. Occorrendo allora il caso di guerra, i soldati erano chiamati dall’aratro al campo di guerra, in quel tempo per lo più sempre provisorio. In quel tempo tutti lavoravano, ed i soldati solevano partire di casa loro provveduti del necessario; quindi il pigliaggio era raro, e più regolato da leggi particolari, riservato per lo più ai soli paesi nemici. Ancora un’altro vantaggio di quell’epoca, forze la più notabile: nessuno allora pensava a conquiste, ognuno era contento del suo paese ereditario. In questo senso l’epoca di Ras Aly si poteva chiamare vera epoca dell’oro in Etiopia. È vero che Ras Aly [p. 136] favoriva l’islamismo, ma era un favore indiretto per parte sua, perché favoriva i suoi parenti; ma lasciava piena libertà a tutti, e si può dire che favoriva anche i cattolici, a segno che è al suo tempo che il cattolicismo fece grandi progressi, poiché la vera religione non ha bisogno che di libertà, avendo essa sola elementi di vita nella grazia di Dio, e nella natura del cuore umano tendente al vero, e fatto da Dio per il bene. Se duravano i tempi di libertà conceduta da Ras Aly, forze il cattolicismo l’avrebbe importata sopra lo stesso islamismo favorito dal Ras.

epoca di Teodoro
[1854-1868]
All’opposto, venuto Teodoro, e facendo egli man bassa sopra tutti i diritti di successione, sia all’impero, sia ancora ai principati secondarli, e regnando egli col titolo, e col soffio della gerarchia eretica copta persecutrice, sollevò due grandi piaghe che rovinarono, non solo l’Abissinia cristiana, ma tutta l’Etiopia, e gli stessi paesi Galla pagani del Sud; vale a dire la passione di regno e di conquiste; poscia quella della persecuzione religiosa, non solo contro l’islamismo, ma contro lo stesso cattolicismo, l’unico atto a richiamare quel povero paese a sentimenti di civiltà e di progresso cristiano europeo. suo sistema La cosa è per se chiara: Teodoro per regnare e per conquistare ebbe bisogno di grandi armate permanenti, e senza paghe; armate che vivono di pigliaggio, perché il paese, mancante di capitali per mantenerle, il conquistatore per affezionarsele dovette concedere distruzione e fame piena libertà di prendere, di saccheggiare, e di distruggere; sistema di rovina universale che generò la fame. [p. 137] Il sistema poi di regnare colla sola forza di armate permanenti che favorì Teodoro, passò a tutti i pretendenti [a tutti i pretendenti] contro di lui. Lo stesso Re Menilik, che aveva un regno ereditario che sussisteva senza armate, sentì anche egli il bisogno di formarsela in propria diffesa, e spinto anche egli dalla febbre di regnare. Di qui naque, come è chiaro, la rovina universale di tutti quei paesi, la cessazione dell’agricoltura, il pauperismo, e la fame. Vediamo ora la seconda piaga, quella cioè della persecuzione.

/162/ persecuzione dei musulmani
[dal 22.9.1855]
Teodoro trovò per se favorevole, non solo la gerarchia ecclesiastica eretica eutichiana, ma tutta la popolazione cristiana d’Abissinia, la quale vedeva il bisogno di arrestare il progresso dell’islamismo che minaciava di impadronirsi di tutta l’Abissinia, ed incalzato in ciò dallo stesso spirito publico, volle prevalersi del prestigio tradizionale del vescovo eretico eutichiano, il quale lo spinse alla persecuzione dei musulmani al punto di sostenere una guerra ostinata contro tutti i principati dei Wollo, presso i quali si concentrarono tutte le forze dei musulmani, ed arrivò al punto di farne una strage orribile, ed entrare nel sciocco sistema di pretenderne colla forza la conversione al Cristianesimo. seguita [a] parlare i[l] mesleniè Benché Teodoro per se non fosse contrario al cattolicismo, [ma] dovette in ciò seguire le viste del Vescovo Salama, il quale ne vedeva [p. 138] i grandi progressi da minaciare tutto il prestigio secolare dei Copti eretici di Egitto sopra l’Abissinia. Dovette quindi Teodoro suo malgrado perseguitare anche la missione cattolica. Una volta inaugurata la persecuzione dell’islamismo, e del cattolicismo, morto Teodoro non morirono con lui le piaghe che incomminciarono da lui. Il sistema delle armate crebbe dopo la guerra degli egiziani, e quello della persecuzione religiosa ebbe il suo compimento sotto l’imperatore Giovanni, [1a metà di giu. 1878] il quale arrivò a promulgare la legge obligatoria in materia di fede, quindi [passò] al battesimo forzato dei musulmani, ed infine sino all’esilio della missione cattolica.

è compimento della storia Il mio lettore compatirà la mia digressione un poco lunga nel riferire tutte le conferenze col messeleniè o Procuratore dell’imperatore Giovanni, il quale ebbe la compiacenza di darmi una soddisfazione, vedendomi come stordito nel trovarmi in presenza di tanto guasto in quei paesi che io aveva conosciuto così floridi! La sua narrazione serve per me di compimento alla storia abissina di questa ultima epoca sino alla mia sortita. La narrazione di quello stesso Messeleniè, servì a lui stesso di scusa o giustificazione per il trattamento che ebbimo in casa sua tutto cortese in parole, ma scarzo di viveri nei due giorni che restammo presso di lui. sue osservazioni viaggiando Difatti, partendo di là accompagnati da lui, continuava la sua storia dolorosa facendoci vedere da tutte le parti la gran distanza per trovare un piccolo [p. 139] gruppo di quattro o cinque capanne con alcuni campi lavorati. Nei tempi di Ras Aly tutto questo alto piano era pieno di villaggi e si vedono ancora i boschetti dove esistevano le chiese oggi abbandonate (1b). Nei contorni della casa del Messeleniè di /163/ quei tempi si vedevano processioni continue di gente che portavano regali di pane e di birra, venendo per trattare i loro affari, e l’impiegato mio predecessore poteva mantenere una corte di 40. o 50. servi o soldati; oggi invece è una solitudine, ed io mi trovo impaciato a mantenerne dieci. I miei servi mandati in commissioni devono camminare delle ore per trovare alcune case per ristorarsi. I contadini antichi, parte sono stati massacrati, e parte fuggiti. Oggi l’imperatore ha proibito di emigrare in altri paesi, ed abbiamo l’ordine di legare e condurre al campo qualunque sia preso sui confini con famiglia e bestiami [mentre sta] emigrando.

principio delle nostre malinconie Quest’ultima conversazione col Messeleniè fù come una gran lezione per noi; la quale ci faceva conoscere il brutto paese dove eravamo entrati. Fu come il principio delle nostre malinconie, e tribolazioni. Il Messeleniè se ne ritornò a casa sua, lasciando a noi una guida che ci consegnasse ad un’altro Messeleniè, ma rimase nel nostro cuore il capitale di tutte le storie che ci raccontò, il quale ci diede di che pensare. alcune mie idee sull’emigrazione Gran che, io pensava frà me stesso, è proprio di tutti i governi in decadenza, [il] sentire il dolore vedendo il loro paese abbandonato e divenire un deserto, [p. 140] e simili governi, privi di buon senso, arrivano persino a pretendere di impedire colla forza l’emigrazione, senza pensare alle cause dell’emigrazione per correggerle. L’emigrazione è rarissimamente un bisogno naturale, riservato a pochi genii, per i quali il mondo della sua Patria non è abbastanza grande per i suoi calcoli, o scientifici oppure anche commerciali; un simile bisogno è sempre personale, ed arriva mai alle masse popolari per lo più schiave di un’abitudine e naturale simpatia ai proprii Lari ed alla Patria. Il dichiararsi un movimento di emigrazione popolare nelle masse, è una vera sentenza publica e senza appello contro la barbarie del proprio governo, che ha lasciato di essere paterno e giusto; il volerla impedire, sarebbe il caso di voler trattenere la piena di un fiume furibondo con delle dighe provisorie. Erano questi i pensieri che mi agitavano strada facendo, a misura che io rivedeva quel paese trasformato in un deserto, dopo la mia assenza di 33. anni cir[c]a, ed a misura che arrivava a scoprire il fondo del cuore nella poca popolazione rimasta in quei contorni.

nostro arrivo all’altro messeleniè
[22.7.1879]
Con una buona giornata di cammino Nord-Nord-Est dalla nostra guida fummo consegnati ad un altro piccolo messeleniè sui confini della Pro- /164/ vincia di Guradit. Appena arrivati io mi sono orizzontato, e riconobbi l’antico luogo, dove nel 1849. avevamo passato la stagione delle pioggie col fù P. Giovanni Stella, dove era stato battezzato il giovane Morka (1c). rovine di una chiesa
[Amfar-Gue-Ghiorghis: 22-23.7.1879]
A meno di un kilometro vicino avevamo le rovine di un’antica Chiesa fabricata dai Portoghesi già da me descritta [p. 141] nella storia dell’epoca suddetta [(1d)]; Voi, col P. Luigi Gonzaga andate a vederla, dissi io a Monsignore Coadjutore, e troverete di che soddisfare la vostra curiosità in quelle rovine antiche; fra le altre cose vedrete delle bellissime colonne in cotto, alcune delle quali sono ancora in piedi, ed altre in pezzi cadute a terra; si vede ancora là l’antico dissegno di essa Chiesa nei pezzi di muro ancora esistenti fabricati in pietre e durissima calce. Poco lontano dalla chiesa a ponente esisteva il famoso mercato puramente indigeno di bestiami, grani, butirro, miele, ed altri simili prodotti, il quale radunava parecchie milliaja di gente nel mercordì. Nella stessa direzione più in là un’altro kilometro era il luogo, dove noi abbiamo passato la stagione delle pioggie.

I miei due compagni suddetti, accompagnati da un uomo del Messeleniè, benché fosse già tardi, e fossero anche stanchi dal viaggio, pure vollero tutto vedere, e ritornarono a notte. Io sono rimasto a discorrere col Messeleniè, il quale era una persona del paese, abbastanza vecchio, che aveva attraversato la maggior parte delle crisi della guerra di Teodoro e dei due imperatori che gli hanno succeduto. Benché egli fosse un’impiegato dell’imperatore Giovanni, pure non lasciava di parlare liberamente. sono riconosciuto dal messeleniè Egli mi riconobbe: io sono quel ragazzo stesso fuggito da Degiace Bescïr per seguire il P. Stella (2a): io mi trovava con voi nel passaggio del Bascillò, mi diceva, e mi ricordo ancora delle vostre prediche. un bel romanzo
antiche notizie
Io, dopo la vostra partenza per Massawah [p. 142] sono rimasto più di un’anno col P. Stella, ma poi questi, essendo anche partito per Massawah, io sono ritornato al mio Padre. Dopo qualche tempo sono entrato nell’armata di Degiace Gosciò nella guerra contro Degiace Kassà. [† 27.11.1852] Ucciso Degiace Gosciò, io sono passato all’armata di Kassà, e mi sono trovato [e mi sono trovato] presente in tutte le vittorie riportate /165/ da quel principe [12.4.1853] contro Aligaz Berrù, Degiace Bellò, e contro il Ras in Gogiam. Ritornato dal Gogiam, ho assistito un’anno dopo [29.6.1853]
[11.2.1855]
[27.11.1854]
[26.4.1855]
all’incoronazione di Teodoro. Dopo quella incoronazione, il Vescovo Salama incomminciò a perseguitare i Cattolici, fece caciare da Gondar Abuna Jacob, e poscia da Betliem Abba Justos. Io che passava per Cattolico per timore della persecuzione, per motivo di salute mi sono ritirato dall’armata, e sono ritornato alla casa paterna dopo la morte di mio Padre, rimasto vittima nella [ott. 1859] guerra dei Cristiani contro Degiace Bescïr. Fin qui le storie citate solo di passaggio dal Messeleniè, mi avrebbero domandato almeno dieci giorni di tempo per averne detagli interessantissimi; eppure debbo confessare che incommincia solo quì il più interessante Romanzo. (1e)

notizie dei zellan, e del caro Melak Questo Messeleniè, trovandosi ancora nell’armata di Teodoro aveva comprato una schiava da un’altro soldato dell’armata medesima. Questa schiava era stata presa nel pigliaggio dei Zellan sui bordi del lago Dembea, e si diceva stata istruita da un certo Signor Bartorelli, e battezzata da un giovane Zellan chiamato Melak, morto nel conflitto coi soldati di Teodoro. una casa di cattolici secreti Essa mi fu venduta dal soldato; diceva il Messeleniè, perché essa [p. 143] non voleva ricevere il battesimo dai preti abissini; io che già aveva avuto notizie di voi e del vostro passaggio per Iffagh col nome di Bartorelli, ho ringraziato Iddio del bell’incontro, e compratala, ho preso affezione per essa e l’ho considerata sempre come mia moglie; io l’amava molto, ed essa mi considerava come il suo più caro idolo; siamo rimasti sei anni insieme vivendo da cattolici in secreto; essa mi morì di vaïvolo lasciandomi due bimbi, il primo dei quali fù chiamato da essa col nome di Melak: oh Melak, ho esclamato io allora, che dolce rimembranza! Quanti detagli avrei bramato allora [di] sentire dalla bocca del messeleniè, avuti dalla defunta sposa! Ma, vane confidenze e timori speranze! Il tempo mancava, era venuta la notte, i compagni erano ritornati dal loro giro, il messeleniè non voleva publicità. Per altra parte l’imperatore Giovanni aveva fatto sentire di spedirci subito, appena arrivati, e l’indomani mattina si doveva immancabilmente partire, e non era il caso di possibile fermata.

Appena arrivati i compagni si dovette cangiare discorso, perché, come diceva il messeleniè, il mio cattolicismo non può essere conosciuto, altrimenti io entro nei guai e nei sospetti. Altra circostanza dolorosa, dissi /166/ io, dunque non vi è più dubbio, noi siamo stati chiamati dall’imperatore Giovanni con fini sinistri, e noi ci troviamo in paese nemico. Silenzio dunque, e tre volte silenzio, [imposi] ai miei stessi compagni, per non fare scene. un brutto momento Ancora un’altra circostanza aggravante: sia il miasma del fiume Bascillò, che andasse sviluppandosi, [p. 144] ossia il complesso delle storie consolanti e dolorose sentite, fatto sta che io mi sentii in quel momento preso da un brivido, come annunzio di febbre. Per non malinconizzare i miei compagni, io voleva nascondere anche [anche] questo. Il mio Coadjutore, di ritorno dal suo giro, si mise a raccontare la storia delle rovine dell’antica chiesa fatta dai Portoghesi, e non finiva di narrare le sue belle osservazioni, ma vedendo che io era insensibile: come, disse, non si sente bene? Non so se sia la stanchezza, oppure altro, gli risposi, non mi sento tanto bene; si parlerà poi dopo di tutto; prese la mia mano, tastò il polzo, e fece silenzio. Tutti gustarono un poco di cena, ma io non ho potuto mangiare per quella sera; così passò la sera e la notte in silenzio.

partenza e pioggia
[24.7.1879]
Come era stato l’ordine dell’imperatore Giovanni, l’indomani di buon mattino il Messeleniè stesso fece conoscere l’ordine ricevuto di farci partire appena arrivati, come se S.[ua] M.[aestà] fosse impaziente di presto vederci. Dalle apparenze era un giorno di pioggia, e già incomminciava a piovere mediocremente bene. Dovevamo salire la catena di montagne che separa l’alto dal basso Beghemeder. Pareva che l’ordine secreto fosse di consegnarci ad una Chiesa situata sopra l’alta montagna, e per arrivarvi occorreva una buona giornatina di viaggio. Io mi trovava un poco meglio, ma molto abbattuto. il messeleniè si confessa Il Messeleniè volle venire egli stesso con noi [p. 145] come guida, perché volendo confessarsi senza essere conosciuto, calcolava sempre di trovarmi un momento da solo, cosa che non poté fare nella notte, sia per causa che io non stava bene, e sia ancora perché la pioggia non permise di allontanarmi un’istante da sentirlo in luogo separato. In viaggio la pioggia lasciandoci un poco di tregua: affrettate il viaggio, per approfittare del bel tempo, disse il Messeleniè alla carovana, ed io accompagnerò il Padre. La carrovana si allontanò, ed egli camminando fece la sua confessione, o meglio continuò la confessione già incomminciata la sera precedente, quale, terminata alla meglio che si è potuto, ora son contento, disse, venga ciò che vuole: al missionario accadono casi di ogni colore: non accade tanto di frequente che, a cavallo del mulo si amministri il Sacramento della Penitenza, fu quella per me l’unica volta.

precipita il mulo Ciò fatto, abbiamo affrettato il passo per raggiungere i nostri compagni: eravamo sopra un piccolo ripiano, la pioggia incomminciò [a] versare a /167/ torrenti, il nostro mulo camminava per un sentiero tutto vicino ad un precipizio alto poco più di due mettri, come sia andato il caso non ho potuto ben capire, fatto sta, che i piedi di dietro del mio mulo, forze per una così detta sguitta di terreno, mancando di base all’improvviso il povero mulo si trovò coi piedi di dietro nel precipizio, io mi credetti perduto, e condannato a precipitare con’esso al basso; ma il povero mulo fedele stette immobile tenendosi coi piedi d’avanti, come immobile: il messeleniè che camminava dietro ebbe tempo a discendere dal suo mulo, per correre in mio soccorsole presomi per le spalle [p. 146] e [riuscì a] tirarmi sul piano; dopo ciò il mulo, fatto un gran sforzo, poté salvarsi dal cadere nel basso. la fedeltà del mulo abissino In questo fatto non saprei, se sia più ammirabile la fedeltà del mulo, oppure quella dell’amico abissino. Un fatto simile, ma più spaventevole ancora mi acadde 33. anni prima sopra le altezze del Semien, vicino a Maïtalo Patria di Degiace Ubiè, e credo di averlo già narrato. [a Gasa: 24.7.1879;
a Hadada e Mendera-Kirkos: 25.7.1879]
Il mulo abissino in simili cimenti è di una fedeltà ammirabile, pare che egli sappia calcolare la debolezza del padrone che ha sopra del suo dorso. Anche l’uomo abissino affezionato in simili cimenti merita elogio, sia per la sua destrezza, e sia ancora per la sua fedeltà al suo amico.

arriviamo alla chiesa
[Dera-Maskal-Kristos: 26.7.1879]
Intanto dopo un viaggio di sei o sette ore molto penoso, colla pioggia sulle spalle, grondanti aqua, come chi è sortito dal nuoto, siamo arrivati più morti che vivi alla Chiesa in cima della montagna, dove ab alto pareva essere stata fissata la stazione di quel giorno. In simili altezze abissine la temperatura suole abbassarsi anche verso il zero, e cessato il fresco delizioso proprio di quei paesi, un certo brivido o freddo non lasciava di farsi sentirete si faceva in noi più sensibile, perché grondanti di aqua. La nostra carovana, arrivata prima, non aveva lasciato di fare qualche pratica per ottenere un luogo riparato ed un poco di fuoco.

una sepoltura Ma il poco mondo di quei paesi spopolati in quel momento era tutto occupato facendo una sepoltura, pianti, grida, ed urli, formavano come la funzione principale mortuaria, proprio quello che occorreva a noi per rallegrare [p. 147] i nostri cuori stretti ed intirizziti. ricevimento Noi eravamo impazienti di riscaldarci e reficiarci, perché in tutto il viaggio non abbiamo trovato neanche ne tempo, ne luogo per prendere un poco di cibo, ma quella brava gente tutta intenta a seppellire il morto, non pensava ai vivi estenuati e quasi moribondi. Ci convenne aspettare più di un’ora all’aperto, a fronte che il Messeleniè usasse di tutta la sua autorità e zelo per scuotergli. Ci riuscì finalmente di trovare un ricovero in alcune capanne di soldati. Ma in quelle altezze non si trovava un combustibile conveniente, perché la vegetazione propria di quei luoghi non produce /168/ alberi. Ci si portò un carico di così detto couwet (sterco di bue secco), il quale si accende e si infiamma come il carbone, ma non dava una fiamma desiderabile, come esiggeva il caso nostro. Nella necessità però tutto si acetta con riconoscenza.

chiesa e casa La vicina Chiesa, stata fabbricata, o meglio costruita, in tempi migliori, quando la popolazione era più numerosa, era abbastanza grande e spaziosa. Appena la funzione della sepoltura fu terminata, ed il poco mondo si ritirò, molti della nostra carovana trovarono più commodo adagiarsi nell’andito esteriore della Chiesa stessa, dove poterono più facilmente trovare un poco di fuoco con fiamma, aggiungendo al couwet un poco di vecchia paglia, o strame che in Chiesa serve come di tappeto, e così assciugare le nostre e le loro vesti. Ma io, pensando massime ad alcuni che avrebbero avuto [p. 148] il bisogno di confessarsi, ho scielto a preferenza di adagiarmi in una capanna di soldati abbastanza riparata dall’aqua della pioggia, e dal vento. Là i nostri giovani mi prepararono un letto di erba sulla nuda terra, e stevavi [stesavi] la pelle che mi serviva di tappeto, mi sono gettato [sopra] per morto dalla stanchezza, bisognoso più di riposo che non di cibo.

[a Belo: 29.7.1879]
febbre e complicazioni
[in Adara: 30-31.7.1879]
Fino a tanto che l’uomo, massime viaggiatore è in piedi, agitato da sollecitudini esteriori, suole attribuire tutto il suo male alla stanchezza cagionata dalla fatica, e sente solamente il bisogno di corricarsi e di riposare, ma corricatosi, appena ha preso un poco di riposo, calmatesi tutte le agitazioni esteriori, quando crederebbe di trovarsi meglio, e guarito, allora è che si sogliono spiegare certi malanni che covavano nell’interno. Un certo male di capo, e certe strette di stommaco e di cuore, accompagnate da brivido e tremolo, mi annuziarono chiaro la visita della febbre, che già mi aveva leggermente avvertito la sera precedente. Fu questo il primo annello di una catena che mi tenne in letto più di due mesi, cioè da circa la metà di Luglio sino alla metà di Settembre. Incomminciando da quel giorno sino a Devra Tabor, distanza al più di 40. kilometri, per i quali avrebbero bastato al più tre giorni di ordinaria stazione, io non potendo più reggermi, ne a cavallo, ne a piedi, quello spazio è stato diviso in molte tappe delle quali non mi ricordo il numero. Il mio lettore quindi dal giorno suddetto non deve aspettarsi più notabili detagli, non solo in tutto quel resto di viaggio, ma anche dopo il nostro arrivo in Devra Tabor, ed in quasi tutta la nostra dimora [p. 149] sotto gli ordini di quel governo nemico. azione del solfato Il mio Coadjutore, incomminciando dal primo giorno della malattia non lasciò di amministrarmi il solfato di kinino, anche in fortissime dosi, e per molti giorni. Debbo confessare che questo specifico non ha lasciato di /169/ produrre il suo effetto, poiché la malattia dopo il terzo giorno ha lasciato di presentare quei certi segnali nell’accesso verso sera. Sono anzi persuaso che senza di quel specifico, la malattia sarebbe certamente stata più forte da [far] pericolare anche la vita, o per lo meno da impedirmi il viaggio. Comunque sia per essere la questione, rapporto alla mia malattia bisognava convenire sopra due punti, il primo che la malattia principale erano le febbri periodiche delle basse regioni del fiume Bascillò; secondo punto, che alla febbre periodica si univano altre complicazioni morbose, perché, benché si provasse sempre l’effetto benefico del solfato di kinino, pure dopo [l’amministrazione] di esso una febbre subcontinova non mi lasciava mai, e crebbe sempre in modo, che dopo alcune settimane il morbo arrivò ad un grado tale da far temere della mia vita per molti giorni consecutivi e da dovermi amministrare i Sacramenti della Chiesa.

conseguenze della malatia In questo stato di cose è chiaro, che io non mi trovo oggi in stato di riferire tutti i detagli occorsi sino al campo dell’imperatore Giovanni, ed anche relativamente all’incontro col medesimo più di quello che posso ricordarmi [di] aver sentito dai miei compagni in seguito. [itinerario:
da Adara a Debana-Mikael: 1.8.1879;
a Uciba-Mariam: 2.8.1879;
a Sina-Mariam: 3.8.1879;
a Hazoor: 4.8.1879]
Io aveva un piccolo involtino contenente un piccolo portafoglio, nel quale giornalmente soleva notare le cose più notabili [p. 150] coll’amatite, ed alcune carte, col mio sigillo, ed altri piccoli arnesi, tutto è stato perduto in quel viaggio. Io era ammalato gravemente, ma non stavano poi tanto bene anche i miei compagni, e molti frà i servi. Trovandoci in viaggio, nelle stazioni di mezzo giorno e di sera le persone della nostra carovana erano imbarazzate per caricare e scaricare le bestie da soma e da sella, tagliare un poco di erba per le medesime, e condurle al pascolo, oppure a bere a suo tempo. In quelle strettezze i pochi giovani che avevano resistito alle vicende del viaggio, e che si trovavano in forze erano occupatissimi nei lavori già indicati, ed al servizio di alcuni loro colleghi, anche ammalati. I miei due compagni per lo più, benché anche essi stanchi, e non bene in salute, erano quasi i soli che pensavano a me, appena arrivati in qualche luogo, a prepararmi qualche tettuccio sopra un poco di erba, ed a somministrarmi qualche medicina o ristoro in qualche capanna, per lo più piena di gente.


(1a) La storia qui citata il mio lettore la trova da principio nella descrizione del mio viaggio verso lo Scioa nell’anno 1849. [Torna al testo ]

(1b) La Chiesa abissina è sempre caratterizzata da un contorno di boschi, e per lo più di grandi alberi, i quali rimangono dopo la loro distruzione come monumento che dura anche secoli, lascian- /163/ do l’idea di luogo sacro, come gli idoli nei contorni di Gerusalemme adultera. Il bosco intorno alla Chiesa è anche un segno della Cristianità inselvatichita. Sotto altro aspetto i grandi alberi sono come parafulmini, assorbendo l’eletricità. [Torna al testo ]

(1c) Il mio lettore troverà alcuni detagli di questa storia nel primo volume, dove ho narrato il viaggio al regno di Scioa ed il mio ritorno col [† 20.10.1869] P. Stella, morto poi alcuni anni dopo in Keren fra i Bogos. [Torna al testo ]

[(1d)] La Chiesa di cui è questione, dalle tradizioni popolari si diceva distrutta circa un secolo prima dall’armata dei musulmani che discesero dai Wollo Galla in tempo di Ras Walde Salassie, mentre egli colla sua armata si trovava in Tigrè. [Torna al testo ]

(2a) Una parte della storia di questo giovane si trova scritta nel primo volume, colla storia dell’incontro di Degiace Bescïr nell’anno 1849. [Torna al testo ]

(1e) Il lettore troverà il riscontro di tutte queste notizie più addietro sul fine del secondo volume nella storia di Iffagh, dei Zellan, e delle guerre da me riferite descrivendo il mio viaggio dell’anno 1852. [Torna al testo ]