/210/

21.
Frontiera di Uaini. Caccia al predone.
Uva prodigiosa e richiamo biblico.

conferenza col governatore Fratanto, fattosi notte, quando la nostra famiglia aveva appena terminata la sua refezione, il Governatore, dopo [aver] terminato i piani di guerra coi suoi capi per l’indomani, passò da me: fatevi coraggio, dissemi, ancora una giornata simile a quella di oggi, ed arriveremo a Waini, ultimo paese di mercato abissino sotto il mio comando. Io, risposi, sono molto stanco dalla giornata di oggi, e farò ogni mio possibile anche domani per ubbidirvi, ma ditemi un poco, con tutta questa armata che avete con voi, io non so capire tutte queste manovre, temete voi ancora il rivoltoso? No, non lo temo, rispose egli, anzi egli teme noi: io colla mia strategica [p. 213] fingo un timore che non ho di lui per allettarlo a venire, perché ho istruzione, non solo di accompagnare voi, ma anche di prendere prigioniero il rivoltoso stesso. Se è così, risposi io, molto bene, e faremo ogni nostro possibile per non attraversare le vostre operazioni. Cosi vicinanza di Waini
[territorio di Ciage: 18.10.1879]
l’indomani di buon mattino, dopo una breve ed economica refezione, fu levato il campo prima ancora del giorno, sempre soli e lontani dall’armata, per vie sempre di traverso, peggiori ancora del giorno precedente, con una camminata di molte ore, verso mezzo giorno siamo arrivati a pochissima distanza da Waini. Dopo tre giorni di quasi continua discesa dall’alto piano etiopico è facile comprendere la poca altezza che ci rimaneva ancora sopra il piano del Sennar, cioè a qualche centinaja [di metri] sopra il livello del mare. Quindi, parte per il sole ardente dei paesi bassi, e parte [per] la fatica materiale del viaggio ci facevano bramare ardentemente un poco di umbra e di riposo, che abbiamo trovato tutto vicino ad una fonte in una gola, dove un piano di erba ed un boschetto ci aspettava[no] per la stazione del giorno.

etimologia del nome In quella stazione i miei giovani mi portarono dell’uva selvagia che ho creduto [fosse] la vera lambrusca primitiva che si trova in grande abbondanza nei contorni di Waini. La foglia, il legno, ed il frutto è quasi il medesimo della vite domestica. Il gusto del frutto, che in quella sta- /211/ gione si trova ben maturo, ha un gusto dolcissimo coi grani dell’acino perfettamente i medesimi; essa è là un prodotto dei boschi, cercato solo dai ragazzi. I miei giovani, mi assicuravano che il [p. 214] paese in discorso si chiamava Waini dalla vite e dall’uva che in Abissinia portava questo nome. la vite selvatica Tra quella vite selvatica e la vite domestica passava la differenza che passa tra qualunque altra pianta in stato domestico o selvatico. Come già ho notato altrove, io ho veduto il caffè dei boschi e quello trapiantato vicino alle case[:] avvi una piccola differenza sia nel legno, sia nella foglia, e sia anche nel frutto. Il caffè selvatico è quello che noi chiamiamo caffè di Moca più piccolo ma più aromatico: così l’uva selvatica dei boschi è un tantino più piccola, ma molto più squisita nel gusto. In quei contorni io ne ho mangiato molta, e l[’h]o trovata migliore: Sono certo, io diceva, che facendone del vino sarebbe molto migliore: una sol cosa è da notarsi[:] che la vite dei boschi, non essendo puotata essa fa poco frutto, e più piccolo. Se fra noi vi fosse l’uso di seminare la vite invece di piantarla son certo che sortirebbe la vite selvatica, quale puotata produrrebbe frutto più abondante senza cangiare natura se non è innestata: io l’ho piantata e l’ho seminata, ma non ho avuto tempo di vederne l’esito in tutte [e] due le supposizioni. Il sistema di seminare la vite sarebbe forze una cosa da tentare nelle circostanze attuali di malattia [della pianta].

un’osservazione sopra di essa Prima di passare al corso della storia del mio viaggio non voglio lasciar passare l’occasione che mi porge la storia sopra indicata della vite selvatica, che in nessun luogo ho trovato tanto comune come nel paese di Waini, dove essa da il nome al paese stesso, come sopra ho detto, per esternare un mio sentimento di grande bisogno di esaminare [p. 215] la gran questione sopra indicata sopra lo stato selvatico e domestico di questa e di alcune altre piante nostre da me trovate in stato selvatico. miei inutili tentativi Non ho lasciato, riguardo alla vite, di fare alcuni tentativi, sia in Lagamara, dove son rimasto qualche anno di più, e sia in Kafa, dove ho creduto un momento di dover restare molti anni, ma ho dovuto convincermi che il missionario cattolico per molte ragioni è il meno atto per simili tentativi che domandano un tempo lungo. una gran ragione Il missionario cattolico col suo ministero, vivificato dalla grazia, ferisce il cuore del uomo in ciò che ha di più sacro, e solleva delle crisi, e dei bisogni che lo agitano, e qualche volta rendono meno stabile la sua dimora in un luogo. È senza dubbio questa la ragione per cui io [non] ho mai potuto continuare simili operazioni puramente temporali e scientifiche. Ora ritornando alle piante, certamente che la coltura le perfeziona in molte cose, e sotto il riguardo dei suoi prodotti, ma tutto ciò è a spese della sua vita vege- /212/ tale, la quale deve naturalmente farsi più delicata e suscettibile di malattie. Arriva alle piante ciò che in certo modo arriva alla vita materiale del uomo, sia nella sua persona, e sia ancor più nella società a cui è legata da Dio. La sovverchia coltura lo rendono più delicato e sollevano in lui delle passioni e dei bisogni che accelerano ben soventi la sua rovina. Ciò basti per ora, riservandomi di esporre più a lungo simili miei calcoli. (1a)

il paese Waïni ed il rivoltoso Ciò detto come di passaggio facio ritorno al filo del mio viaggio. Noi dovevamo partire di quella sera medesima per il villagio di gran mercato chiamato Waini, luogo non molto lontano dal nostro piccolo campo, dove ci eravamo riposati nel mezzo giorno; stavamo solo aspettando che si radunasse tutta la scorta dei soldati. [p. 216] Il paese di Waini era l’ultima stazione dove potevano arrivare i cameli di Matamma e del Sennar; luogo perciò dove le carovane dei mercanti dovevano pensare a riorganizzare le loro carovane in materia di trasporto, non potendo i cameli arrivare più [in] alto. [Per di] Più molti mercanti dell’alto piano abissino che temevano le febbri di Matamma solevano fare il loro negozio in Waini per rimontare all’interno dell’Abissinia. Per queste ed altre ragioni il paese di Waïni aveva una certa importanza, e vi si faceva là un mercato che tratteneva abitualmente una quantità di mondo. Il rivoltoso soleva fare là delle apparizioni sufficientemente armate, per riscuotervi una specie di contro dogana, e non mancava di avere a tale effetto i suoi fidi, ed una certa forza da imporre al uopo agli stessi doganieri del governo imperiale. Il governatore perciò aveva lasciato ordine di aspettarlo, per fare la sua entrata in Waïni, facendo mostra di tutta la sua armata da imporre.

entrata in Waïni
[18.10.1879: ore 12]
Così, quando il Governatore fù all’ordine con tutta la sua piccola armata abbiamo levato il campo dalla stazione di mezzo giorno, e dopo qualche ora di viaggio siamo arrivati al villaggio di Waini non senza qualche timore di sorpresa, quale però cessò, affatto, quando tutte le autorità del paese si presentarono al nostro campo in tutto buon ordine e colla massima subordinazione. La stessa casta mercante, molto numerosa, fu molto generosa con noi, e con tutta la nostra piccola armata nel prodigarci la sera una cena più che [p. 217] sufficiente secondo l’uso del paese. vane speranze di riposo Noi speravamo di poter rimanere in Waïni almeno un giorno di riposo, ma non fu possibile; io, disse il governatore, di questa notte debbo spedire un corriere a Matamma per avvertire il governatore turco del nostro arrivo, affinché egli spedisca qualcheduno a ricevervi sulle frontiere; in questi casi, soggiunse egli, non bisogna dare tempo al nemico per organizzare una sorpresa. Le mie istruzioni non mi accor- /213/ dano di discendere sino al fiume coi miei soldati per accompagnarvi, perché essi temono le febbri; io debbo consegnarvi al paese di Waïni, il quale dovrà accompagnarvi sino alla frontiera e consegnarvi ai turchi. Però io, con tutta la mia armata, dovrò rimanere qui sino al loro ritorno, e non potrò rimontare a Celga se non avrò sentito che voi siete in sicuro. Tali sono le istruzioni avute da Ras Arià. Restando voi quì qualche giorno tutta la mia armata dovrà rimanere in Waïni a spese del paese.

dolorosa partenza
[20.10.1879: verso le 8]
Dopo tutte quelle intimate si dovette rinunziare ad ogni speranza di riposo, ed io benché stanco a morte ho dovuto rassegnarmi a partire subito l’indomani di buon mattino. La stanchezza tuttavia non era ancor tutto il gran male. Bisogna partire, non vi è rimedio, dicevamo noi, pazienza ancora ciò, ma per andare dove? forze per arrivare ad un luogo di riposo, e fuori di ogni pericolo? gravi timori Tutto all’opposto, per arrivare l’indomani ad un luogo, diceva il Governatore, dove i soldati non volevano arrivare per non esporsi alle febbri micidiali del Sennaar [p. 218] per non arrivare cioè al luogo da noi tanto temuto, considerato da noi equivalente ad una sentenza di morte. Per arrivare l’indomani al fiume, dove, invece di riposo, dovevamo trovare una necessità maggiore di partire subito, ancorché mezzi morti, per non vederci abbandonati al grave pericolo di cadere nelle mani del rivoltoso, [con] pericolo di essere spogliati di tutto, e forze ricondotti in qualche misteriosa grotta a mangiare un poco di zucca cruda, come arrivò al mercante già riferito sopra. Io, stanco e sfinito, sortito appena da una malattia, conosceva tutti questi pericoli, in parte ignoti alla mia carovana, ne[mm]anco poteva tutto dire alla medesima, obligato a fargli coraggio. Così l’indomani fummo irremissibilmente consegnati alla nuova scorta di Waïni, la quale sul fare del giorno ci obligò a partire da quel paese ultimo della mia cara Abissinia, dove aveva passato più della metà della mia vita.

sola speranza in Dio Obligato a partire in questa condizione di cose, io non viddi più altro rimedio che alzare gli occhi al Cielo, e confidare in quel Dio che tutto dispone per il meglio, rassegnarmi al volere di Lui, e pregarlo dei suoi ajuti. Umanamente parlando io aveva lasciato Waini colla persuasione di non poter continuare il viaggio, e di cadere vittima della stanchezza e dell’abbattimento tanto fisico, che morale. un suo visibile soccorso Ma non ho tardato a convincermi del contrario: a misura che cessavano tutte le mie speranze nei mezzi umani mi venivano in soccorso i [mezzi] spirituali; a misura che il mondo mi caciava da se e mi perseguitava, il Cielo diventava tutto mio, e le consolazioni spirituali si facevano [p. 219] più sensibili da rallegrare il mio cuore, da farsi sentire nel mio corpo cadente. Il viaggio /214/ fu lungo e penoso; le tribolazioni ed i disagii di ogni genere crescevano; io non poteva più fare altra preghiera che recitare la corona dei tribolati, ed ogni fiat voluntas tua, mi era un cordiale, che mi sosteneva e mi ravvivava, e fù allora che si verificò in me quella gran sentenza [dell’apostolo Paolo:] cum infirmor, tunc potens sum, da diventare ancora sufficiente per consolare gli altri della mia casa, i quali vedendo me allegro, divenivano essi pure forti. Mai si camminò tanto come quel giorno: gli stessi animali da sella e da soma pareva che sentissero il bisogno di correre per fuggire il temuto nemico. La nostra nuova scorta di Waïni, impaziente di ritornarsene al loro paese, senza misericordia e compassione per noi, lasciata la strada maestra battuta dai cameli, presero la strada più diretta e ci fecero attraversare un piano immenso, stato pascolo degli elefanti nell’inverno passato; un sole ardente, un calore d’inferno; in mezzo a boscaglie di alberi rotti e fracassati da[gl]i elefanti, in un terreno pieno di grandi buchi lasciati dalle loro pedate nel fango in tempo delle pioggie. Chi conosce il piede dell’elefante, ed il peso di questo grande quadrupedo, potrà farsi un criterio sulla grandezza del buco [scavato] e sua profondità; quindi quanto [il terreno risultasse] pericoloso per il cavalliere.

arrivo alla frontiera abissina Ora il lettore di queste mie memorie, fattosi un giusto criterio di tutto il sin quì narrato, potrà di leggieri imaginarsi, quale non dovette essere il mio stupore la sera di quel giorno verso notte, quando io mi sono veduto arrivato sano e salvo al fiume della frontiera. [p. 220] La strada percorsa in quel giorno dal fiume sino a Waïni era una strada che le carovane solevano farla in due giorni. alcuni detagli curiosi In tutto non si trovò una goccia d’aqua per smorzare la sete ardente del sole, e del calore. La nostra scorta neanche ci accordò [in] tutto il giorno un poco di riposo per prendere un poco di refezione e di riposo. Solamente alcuni dei miei giovani i più affezionati viaggiando trovavano in quei boschi di quando in quando qualche grappolo di uva selvatica, ed io andava spicolando qualche acino che mi nodriva sufficientemente e manteneva la bocca sempre fresca. il nostro campo al fiume
[Guendu]
Appena arrivati al fiume abbiamo passato una specie di stagno, nel quale l’aqua arrivava al ginocchio dei giovani che mi accompagnavano, ed abbiamo fissato il campo in una specie di isola, dove, aggiustate le tende ed i letti per la notte, e fatte alcune preghiere della sera, ho voluto dire due parole ai giovani, affinché si guardassero dall’umidità della notte, precauzione troppo essenziale in quei luoghi. Dopo ho voluto ringraziare i giovani dell’attenzione che ebbero per me in viaggio, e dell’uva abbondante che mi avevano procurato. Perdoni, Padre, tutti d’accordo mi risposero, noi non ne abbiamo trovato, un gio- /215/ vane della scorta di Waïni, il quale conosce i luoghi, egli solo trovandone ne diede anche a noi; volevamo portarlo a Lei, ma egli, volendo farsi un merito ci proibì di farlo.

Sentendo questa risposta dai miei giovani, dapprima ho creduto che essi volessero semplicemente declinare i miei ringraziamenti per un senr timento di umiltà, non potendo fare violenza alla mia persuasione in contrario; [p. 221] ma poi vedendo che gli stessi miei giovani erano intimamente persuasi della sincera loro datami risposta, ho dovuto convincermi del fatto reale. un giovane incognito Chiamatemi subito il giovane, dissi loro, perché voglio conoscerlo, e ringraziarlo io stesso. Andarono essi alla scorta di Waïni, i quali stavano facendo la loro cena, [e] domandarono conto del giovane in questione. Noi stessi l’abbiamo veduto, risposero, e l’abbiamo creduto una persona vostra, epperciò non ci siamo curato di lui; noi non lo conosciamo affatto, aggiunsero essi, e non l’abbiamo più veduto, forze che vi ha rubato qualche cosa? No, tutto all’opposto, risposero i miei, il nostro Padre lo cerca per ringraziarlo della molta cortesia sua, perché a lui ed anche a noi regalò molta uva. una creduta facezia Fun uno stupore generale di tutti, ed io stesso non seppi più cosa dirmi. Io soleva parlare soventi ai miei giovani del fatto di Azzaria supposto figlio del grande Anania dal buon Tobia, ed uno dei miei giovani si mise ad esclamare, tutto stupito del fatto, ecco un’altro Azzaria!

Vedendo che questo fatto prendeva l’aspetto di miracolo, ho preso il partito di lasciar cadere la questione, dicendo fra me stesso, dopo si conoscerà meglio il supposto Azzaria. Io aveva ordinato un buon caffè a tutta la carovana, come un’antidoto del temuto miasma: presero tutti un caffè molto carico; dopo i giovani di casa, mangiarono un poco di pane che ancora esisteva dal giorno precedente. Indi i giovani presentarono a me ed ai miei compagni alcuni ovi tosti con un poco di pane per la nostra [p. 222] miserabile cena, alla quale io presi pochissima parte per mancanza di appetito. Mentre gustavamo quel poco di cibo, i nostri giovani non potevano dimenticare nei loro discorsi il fatto dell’uva, del giovane, ed anche di Azzaria. chi è questo Azzaria? Ma, alla fine, disse uno dei nostri non ancora iniziato nella storia, quale è la storia di questo Azzaria? È niente altro, risposi io, come un’incredulo, poiché in simili questioni il superiore, ancorché convinto, deve sempre essere l’ultimo a credere, è niente più che una facezia che mi fecero questi miei giovani: pensate che io conosco personalmente questo Azzaria[?]; lasciamo andare questa facezia, e si parli d’altro. una questione difficile La questione era per se gravissima, perché era niente meno questione di tre criterii fra loro contradditorii, cioè il mio, quello dei giovani, e quello della nostra scorta. Io conosceva per- /216/ sonalmente i giovani che mi avevano presentato l’uva fra i nostri stessi giovani. Questi all’opposto negavano il fatto da loro, attribuendolo ad un’altro giovane incognito. La scorta vidde il giovane che mi portò l’uva, e lo credeva uno di nostra casa. Come è chiaro la questione era gravissima, ma per dilucidarla bisognava negarla, ed io chiamai questa una facezia fattami, ed ho proibito di più parlarne.

facio portare l’uva Dopo ciò, come se nulla fosse occorso, io dissi al giovane, che, secondo la mia persuasione era quello che mi aveva portata l’uva, portami il mio [mio] involtino, ho ancora un poco di quell’uva, e ne mangierò un grappolo, e conserverò l’altro per domani, tu devi sapere quanto se ne trova, perché io non l’ho ancora sciolto. misterioso involto Egli andò a prenderlo e me lo consegnò ridendo della mia troppa buona fede: [p. 223] il mio involtino era ancora tal quale io l’aveva lasciato: dentro questi esisteva un’altro involtino di foglie legato con una cordicella di foglie, che io ancora non aveva aperto. Sciolto il primo nodo se ne trovò un grappolo, e preso questo ho lasciato il resto intatto. questione di una foglia Io rimasi stupito di vedere una foglia straniera al paese dove eravamo, ancor tutta fresca, senza lasciar trasparire il mio stupore. Il giovane senza nulla dirmi portò quella foglia alla scorta di Waïni, i quali la conobbero subito come una foglia di un paese alto che non si trova nei paesi bassi, ma egli nulla mi disse, e cosi passò quella sera. fine della storia dell’uva. Per terminare questa storia e non ritornarvi più, dirò in breve che di quell’uva ne ho mangiato l’indomani due o tre volte con gran gusto, e fù quasi per me l’unico cibo di quella giornata, e ne ho mangiato ancora nel posdomani, sempre fresca e fresca la foglia in cui era involta con ammirabile delicatezza. Ho mantenuto sempre la più grande segretezza di questo fatto, anche coi miei stessi compagni. Solamente ho voluto conservare sempre le foglie, che mantennero sempre il loro essere quasi fresco. Le ho fatto vedere solo agli uomini del governatore che vennero con noi sino a Matamma, i quali subito la conobbero come foglia dei paesi alti. Il giovane poi conservò la foglia presa da lui come un talismano sino alla sua morte avvenuta in Gadaref più di un mese dopo, ucciso dalla febbre passata in tifo.

ritorno al viaggio Facendo ora ritorno al mio viaggio, appena la nostra carovana ebbe gustato un poco di cibo, e stava per mettersi a dormire, un corriere venuto dal Governatore, rimasto in Waïni colla sua piccola armata, arrivò: presto, disse, bisogna partire, perché il rivoltoso [p. 224] un’alarme del rivoltoso si trova in viaggio e sta per venire a sorprendervi; egli avrebbe voluto farci partire subito, ma poi fatto consiglio colle guide, acconsentì che ci fermassimo una parte della notte e che si partisse verso mattina. Era forze quello un semplice alarme per assicurarsi che si partisse presto per maggior /217/ sicurezza; il Governatore colla sua armata aveva passato la giornata in osservazione sopra le altezze vicine, e premevagli di vederci fuori di ogni pericolo. Comunque fosse per essere la questione, le guide non ci lasciarono più tranquilli, e ad una cert’ora convenne levare il campo e partire. Cosa strana, e mai veduta per l’addietro! mentre si piegavano le tende, si trovarono queste bagnate, come se avesse piovuto dirottamente: la sola roggiada della sera bastò a [produrre] tutto quello: fratelli miei, dissi ai miei compagni, ecco la prima prova di essere noi entrati in Sennar, dove ci aspetta un’altra guerra micidiale da combattere.

partenza dal fiume
[21.10.1879]
Ancora di notte abbiamo lasciato il fiume di frontiera abissina, e siamo entrati nelle frontiere dell’Egitto. Come il minaciato rivoltoso poteva ancora arrivarci per farci ritornare indietro, al chiarore della luna, si marciava per quei deserti di un passo incredibile. La strada era piana sopra un terreno d’alluvione fra un’erba altissima che seppelliva i nostri muli con noi a cavallo. Tutti i giovani di casa correvano avanti di noi guardati a vista dalle guide, affinché nessuno rimanesse indietro. Arrivò intanto il giorno, e cadevano i crepuscoli in tanta coppia, che non tardammo ad essere tutti bagnati, tanta era la roggiada, ma non tardò il sole a prendere forza per seccarci. [p. 225] un’alto fuori pericolo Verso le nove del mattino le nostre guide, stanche anche esse dal[l] camminare del giorno precedente, ci dichiararono fuori d’ogni pericolo e sentirono anche essi il bisogno di riposo. Si fece alto, si scaricarono le povere bestie, e si fece un caffè sufficiente per tutti, dopo il quale, e preso un poco di riposo, congedatasi la scorta venuta da Waini, restammo noi colle nostre sole guide di Celga, le quali erano incaricate di consegnarci al governo di Matamma. Dopo un sufficiente riposo, dopo mezzo giorno ci siamo rimessi in cammino, ma, non solo noi, ma le nostre bestie medesime incomminciarono a sentire la stanchezza, e con grande pena di quella sera abbiamo potuto raggiungere alcuni villaggi del basso Suddan. Ci siamo accampati non molto lontano da alcune case, dove si poteva sperare di trovare, se non altro un poco di latte ed un poco di pane da quelle popolazioni musulmane solite [a] ricevere i mercanti di Waïni, a mezza giornata circa da Matamma. una gran rogiata Il luogo sielto da noi per il nostro piccolo campo pareva molto asciutto e netto, eppure le nostre tende, rimaste umide dalla notte precedente, prima ancora che la notte fosse oscura, già incomminciavano a gocciolare, come se fosse stata una gran pioggia, tanta era la roggiada di quel luogo.


(1a) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]