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20.
Confidenze di Ras Arià: reclamo.
Un predone. La razza Camànt.

arrivo [a Findìa] al campo di Ras Arià
[9.10.1879]
Noi intanto, preso appena un poco di fiato nel mezzo giorno, abbiamo camminato tutta quella giornata per attraversare quel campo di eroiche battaglie, dove con tutta ragione si può dire che ebbe origine quel grande impero di fama mondiale che mutò d’aspetto tutta l’Etiopia. Verso sera siamo arrivati a fissare il nostro campo, quasi in vista della città o campo di Ras Arià, dove eravamo diretti, e dove siamo arrivati poi l’indomani circa il mezzo giorno. Io dovrei quì prima di tutto riferire il nome del paese dove si trovava questo campo e presentare una qualche descrizione topografica del medesimo al mio lettore, ma sono costretto a confessare la mia debolezza, [p. 199] trattandosi massime di luoghi di semplice mio passaggio in epoca in cui il mio fisico ed il mio morale si trovavano in uno stato della massima passività. (1a) Mi limiterò perciò a dire ciò che non mi sfuggì. nostro ricevimento Ras Arià, sentito appena il nostro arrivo dalla guida che ci precedette, fummo quasi subito ricevuti colla massima cortesia dal vecchio generale amico della missione cattolica. Fatti i complimenti di prima convenienza, andate, disse, a riposarvi dal vostro viaggio nella casa assegnatavi, ed io intanto, lette che avrò le lettere dell’imperatore vi chiamerò a parte per parlarvi di ciò che si dovrà fare. Entrati nella casa assegnataci, ebbimo appena tempo a sistemare le cose nostre, che ci seguì quasi subito un bel pranzo sufficiente per riparare le nostre forze.

impazienza nostra A fronte della fame e della fatica, poco ci importava [a noi] il vitto ed il riposo, troppo premendoci [di] sentire le ultime risoluzioni circa il nostro viaggio, e circa la strada del nostro esilio. Noi speravamo ancora che il vecchio Ras zio dell’imperatore avrebbe avuto qualche latitudine /202/ nelle ultime determinazioni, per le quali si sarebbe un tantino mitigata la pena dell’esilio, epperciò noi eravamo impazienti di essere chiamati dal Ras. Questi però vecchio e calmo nelle sue operazioni, massime odiose, come era la nostra, aveva deciso di lasciare che si calmassero le passioni dei nemici che non mancavano, ed anche [per] prepararci alla rassegnazione. ultima sentenza inapellabile
[10.10.1879]
Verso sera quindi solamente, quando tutto il mondo erasi ritirato, egli ci chiamò da soli, e fattaci sentire la lettera dell’imperatore, con grande suo dispiacere ci disse, che ogni nostra speranza di potere [p. 200] partire per la via di Gondar, del Tigrè, e di Massawah era affatto troncata per ordine imperiale, e che bisognava rassegnarsi di partire al più presto per Matamma. Al sentire una simile intimazione e sentenza, noi tutti [e] tre d’accordo abbiamo creduto bene [di] fare le nostre proteste, dicendo che la sentenza imperiale, longi dall’essere giusta, poteva considerarsi come equivalente ad una sentenza di morte: il nostro arrivo sulle frontiere del Sudan sul principio di Ottobre, dissi io, [farà si che] incontreremo le febbri micidiali per europei, arrivati recentemente dai paesi alti etiopici: io conosco quel paese, e mi credo come condannato a morte, unitamente a tutta la carovana che veniva con me. Prego V.[ostra] S.[Signoria] quindi di far sentire [all’imperatore] questa nostra protesta, prima di obligarci a partire.

nostra protesta, e sua risposta Io vi compiango, rispose il Ras, e conosco la verità del fatto e tutta la giustizia del vostro riclamo o protesta, ma sappiate che tutto sarebbe inutile. Io non lascierò di mandare la vostra protesta al campo imperiale, ma vi avverto che a fronte di tutta la mia ripugnanza, e dispiacere che ne provo come sincero vostro amico, ciò non mi dispenserebbe dall’obligarvi a partire subito ed al più presto prima della risposta, essendo l’ordine imperiale assoluto, e senza replica; la difficoltà da voi opposta è stata già da lui preveduta e sciolta. Io ritardando a farvi partire non farei che espormi al furore imperiale, e privare voi di certe cautele per assicurare, e rendere meno penoso il vostro viaggio con certe cautele e raccomandazioni. Voi non sapete che di quì alla frontiera [p. 201] di Matamma esiste un rivoltoso che non mancherebbe di arrestarvi, spogliarvi di tutto, e quindi, o farvi partire nudo oppure farvi morire di fame in qualche grotta. L’imperatore conosce tutto questo e non si è degnato di darmi istruzioni a questo riguardo, poco importandogli, anche della vostra morte. A questo riguardo io prenderò tutte le misure occorrenti, onde assicurare il vostro passaggio.

due gran fatti in prova Dopo aver detto tutto ciò il Ras per persuaderci della sua sincera amicizia ci aggiunse un fatto meritevole di essere quì riferito. Vedete, disse, son pochi giorni che il sacerdote indigeno della Missione cattolica di /203/ Massawah chiamato P. Giuseppe fu arrestato in Gondar, dove si era recato per il suo ministero, fu legato e portato a me; andata la questione all’imperatore, questi mi ordinò di farlo perdere verso il Sud consegnandolo a qualche famiglia che lo mantenesse legato, io l’ho consegnato a famiglie amiche della missione con istruzioni molto benigne, per le quali col tempo avrebbe potuto fuggire o verso la missione galla, oppure ritornarsene segretamente in Tigrè. Volete che vi dica di più? La vostra sentenza di esilio, che voi forze credete cosa nuova, essa è cosa antichissima, perché data dal giorno [11.3.1878] della pace tra l’imperatore Giovanni ed il Re Menilik, epoca delle nostra venuta in Scioa. Bisogna confessare che il Re Menilik vi ama molto, e che perciò ha fatto di tutto per scongiurare ed allontanare l’esecuzione di questa sentenza, ma più egli si impegnava per allontanarla, più l’imperatore lavorava di sotto per eseguirla. [p. 202] molte altre ragioni Finalmente quest’ultimo, dopo molti raggiri, è arrivato ad ottenere il suo intento: potete imaginarvi quindi se egli lascierà la sua preda dopo averla avuta nelle sue mani? Se voi restavate in Scioa, si sarebbe forze rotta la pace, ed a questa sola condizione voi potevate salvare la vostra posizione, ma oggi è troppo tardi. Se volete, aggiungerò ancora un’altra circostanza che varrà per tutte per persuadervi: l’imperatore sarebbe stato indifferente [a] farvi partire per la via del Tigrè, ed aspettare [anche] ancora dei mesi l’esecuzione della sentenza, ma, stando a quanto si dice, una forte deputazione è in strada da quella parte, e l’imperatore Giovanni vuole che partiate subito prima che essa arrivi. Dopo tutto ciò lascio a voi pensare cosa posso far io, sia sopra la questione della strada da prendere, e sia ancora per farvi ritardare la partenza, anche solo per qualche giorno. il ras conchiude Tutto ciò che posso io fare è di concedervi un giorno di riposo, dopo il quale voi dovrete immancabilmente partire per Matamma; farò quindi ogni mio possibile per facilitare ed assicurare la vostra strada e le vostre persone, affinché non siate presi dal rivoltoso.

Dopo tutti questi fatti e ragioni di Ras Arià il mio lettore sarà più che persuaso nel leggere, come noi abbiamo veduto più che prudente il partito di rispondere con un atto di calma rassegnazione all’autorità che parlava in questo modo; fosse pur duro il boccone presentato dall’amico esecutore degli ordini imperiali bisognava inghiottirlo con gusto per non vedersi costretti dalla violenza. ordini di partenza Ras Aria senza neanche aspettare una nostra risposta, in nostra presenza, [p. 203] fatte venire le persone incaricate dell’esecuzione della sentenza, sentite, disse loro, questi Signori devono partire immancabilmente, dopo domani mattina. Nella notte si spediscano tutti gli ordini occorrenti al Governatore di Celga, affinché l’accompagnamento già ordinato si trovi nel giorno del gran /204/ [Uali-Daba di Celga] mercato di N. con tutte le proviste di viaggio occorrenti sino alla frontiera di Matamma. Rivolto quindi alla guida venuta con noi da Devra Tabor: questa notte, gli disse, si scriveranno le lettere all’imperatore, e domani mattina tu partirai alla volta del campo imperiale, portatore delle medesime a S.[ua] M.[aestà] nostro padrone.

una riflessione politica del giorno Chi legge queste mie memorie sarà certamente scandalizzato dello stile draconiano, e di politica secreta, usato dall’imperatore Giovanni, e dallo stesso suo zio Ras Arià nell’esecuzione della sentenza del nostro esilio, sia dal paese di Scioa, e sia ancora da tutta l’Abissinia. il secreto nelle operazioni ministeriali [Siamo] Sul fine del secolo XIX., nel quale tutte le questioni, anche le più gravi dei Governi dominati dall’attuale [dall’attuale] progresso, quando tutto è deciso da parecchie centinaia di deputati in mezzo a grandi agitazioni, e quando le questioni diplomatiche internazionali medesime devono passare al setacio dei giornali di piazza. Certamente che un simile sistema draconiano deve avere un’aspetto molto barbaro da scandalizzare i nostri liberali assuefatti a pretenzioni nel loro [p. 204] paese. Io stesso europeo, poco più o poco meno travagliato dalla stessa orgia nazionale, e toccato nel più vivo del mio amor proprio, e dirò di più, in ciò che aveva di più sacro dovere apostolico, mi sentiva non solo scandalizzato con loro, ma anche irritato con loro. Ma la passione è sempre passione, cioè sbilancio nel senso, od anche nella ragione, anche quando porta il bel nome di civiltà e progresso. Ma ritornando poi suoi miei passi, e riflettendo meglio, volendo dare anche io l’ultima sentenza sull’operato dall’imperatore Giovanni, e volendo rispettare una supposta sua pratica convinzione religiosa, ho dovuto convenire con lui, e lodare il sistema draconiano usato con me. Una casa senza secreti non è più casa; così una nazione o regno, che è lo stesso dal piccolo al grande. I barbari non lasciano [di] avere la loro civiltà, la quale in certi particolari può esserci [di] modello: l’imperatore Giovanni senza mistero non avrebbe potuto ottenere pacificamente il fine del suo operato; fù per me e per la missione una vera rovina, ma non per questo io devo condannare il suo sistema. Per questa ragione i nostri governi plateali non possono più fare i grandi affari dei nostri Padri, sia all’estero, e sia al loro interno. (1b)

/205/ Ora, pagato questo tributo al falso sistema di governo, così detto liberale e rivoluzionario dei nostri giorni, ed alla china verso il decadimento e la rovina dei nostri paesi nella quale siamo, riprendo il filo della mia storia, e dico che Ras Arià fu inesorabile con noi, e nostra partenza dal campo
[11.10.1879: verso le 8]
fedele al suo padrone dovette pretendere la nostra partenza per Matamma: voi siete uomini di Dio e spero che egli vi salverà, soggiunse egli, e dopo un giorno di riposo concedutoci, abbiamo dovuto lasciare il suo campo e partire verso N. paese di gran mercato, [p. 205] [Uali-Daba di Celga] e come Capitale dell’alta Dembea, dove già ci stava aspettando il governatore di Celga con un’accompagnamento. congedo del ras Ras Arià, nel congedarci, vi consegno, disse tutto afflitto, vi consegno a questo mio fido, ed a questo giovane ed al mio figlio unico, i quali partono con voi e sono incaricati di sorvegliare, affinché siano osservati i miei ordini. Le due nostre guide erano entrambi persone del Tigrè, come Ras Arià, e conoscevano molto bene la storia della missione cattolica di Monsignore Dejacobis, nella quale erano anche un poco iniziati. alcune conversazioni colle guide Strada facendo ho potuto fare coi medesimi discorsi religiosi per il bene dell’anima loro, avendo trovato in essi ottime disposizioni. Da essi poi ho potuto avere qualche schiarimento di più circa la deputazione che si trovava in viaggio verso Devra Tabor.

Stando a quanto mi scrisse pochi giorni prima il Signor Bianchi doveva essere una deputazione italiana; all’opposto essi inclinavano a farmi credere invece essere [set.-nov. 1879] una deputazione inglese, oppure egiziana. Come poi si seppe più tardi, la deputazione poteva dirsi l’uno e l’altro, essendo stato Gordon in allora Governatore del Sudan, e di tutta la Costa dell’Africa orientale da Soakim a Gardafui.

A mezza mattinata di cammino, sortiti dalle collinette deliziose del paese dove si trovava il campo di Ras Arià, si presentò al nostro occhio un bel piano vastissimo in mezzo al quale da lontano scorgevamo la Capitale dell’alto Dembea suddetto come un centro, intorno al quale si vedeva come un raggio di mondo che veniva al gran mercato. Il paese piano inganna, come ognun sa, e pensando noi di arrivarvi [p. 206] fra qualche ora, ci siamo arrivati invece quando il mercato dei paesi vicini, già era in diminuzione. ritardo e notizie del «sceftà» [Guessesso] Però non era ancora arrivato il Governatore di Celga coll’ordinato accompagnamento, il quale non arrivò che verso sera. Per questa ragione l’indomani si dovette ritardare la partenza per le ordinate provviste, e per l’organizzazione della Carovana, e non fummo pronti che dopo il pranzo. Questo ritardo diede campo a noi ed alla nostra carovana di raccogliere notizie sopra il nostro viaggio, e specialmente sopra il rivoltoso, divenuto uno dei punti di strategica per noi e per il nostro accompagnamento sino alle frontiere di Matamma.

/206/ I mercanti del circondario nel giorno precedente avevano portato molte notizie sopra i movimenti del rivoltoso [chiamato Guessesso] (1c) sulla nostra strada per Matamma, divenuta inevitabile; lasciato da una parte ogni altra nostra sollecitudine, sopra il rivoltoso si concentrarono tutte le nostre riflessioni nei nostri discorsi familiari: come scapperemo noi dalle sue mani? In caso di essere presi da lui, cosa sarà di noi? ecco la gran materia, anzi l’unica delle nostre conferenze. La stessa andata a Matamma da noi prima tanto temuta per la stagione delle febbri, e per il pericolo di esserne vittima non vi pensavamo più, e Matamma divenne anzi per noi il sospirato porto di salute. ci spaventa un mercante Un negoziante venuto di recente da Matamma, caduto nelle mani del rivoltoso, da lui spogliato di tutto, rimasto legato in una grotta per due settimane, e rimandato quasi morto di fame, servì non poco a spaventarci: [p. 207] poche fave crude, ed alcune zucche verdi e crude, esso diceva, furono il mio vitto durante la prigione. nostri timori ed agitazioni Questa notizia fù per la nostra carovana come un colpo di fulmine; ma con tutto ciò bisognava rassegnarci a partire di quella giornata. In quella dura situazione, dopo Dio, l’unica nostra speranza era l’accompagnamento ordinato da Ras Arià. Questo bravo uomo ci ha promesso molto, dicevamo noi per consolarci a vicenda; ma avrà poi agito sinceramente secondo le sue promesse? Giova sperare, ma anche nel caso affermativo, il governatore di Celga e gli altri subalterni incaricati saranno poi fedeli all’atto pratico? Chi conosce la debolezza e venalità dell’impiegato abissino non lascia di temere. Questa gente sono come altrettante machine materiali; niente di più sicuro della mecanica: essa ha un risultato matematicamente certo, diceva io ai miei compagni, ma anche questa ha bisogno di essere unta. L’Abissino è fedele a misura che spera, ed in lui più del comando vale la speranza.

partenza dall’alto dembea
[12.10.1879]
Abbiamo lasciato la città capitale dell’alto Dembea dopo mezzo giorno in mezzo a tutte queste nostre agitazioni, timori, e calcoli. Strada facendo non ho lasciato di parlare al governatore ed ai capi della scorta. Non ho risparmiato promesse agli uni ed agli altri; sono arrivato persino a promettere il mio mulo di lusso regalo del Re Menilik con tutti i suoi fornimenti di valore al governatore, appena sarebbe la carovana arrivata sana e salva a Matamma. Posso dire di non essermi sbagliato; /207/ difatti dopo un’ora circa [p. 208] di viaggio sull’alto piano incomminciò la discesa, e siamo entrati nel basso dembea, provincia detta di Celga soggetta al Governatore nostra guida incaricato di accompagnarci alla frontiera, e consegnarci al Governatore turco di Matamma. stazione fra i Camant, ed ordini dati
[13.10.1879]
Di quella sera non si camminò molto, e dopo qualche ora di discesa ci siamo fermati al primo villagio un poco notabile, dove ci accampammo, e fummo ben ricevuti e meglio notriti. Il Governatore passò la sera in conversazione, o meglio in conferenze secrete, coi suoi capi dicastero nel governo della Provincia, e della stessa sera si fecero partire corrieri a cavallo a tutti i capi luoghi, coi quali veniva ordinata una levata generale di tutta la soldatesca della Provincia per tre di consecutivi. Più ancora nella notte stessa furono mandati alla montagna o fortezza di Celga due dei più stretti parenti del rivoltoso come ostaggi. Dopo queste ed altre simili cautele strategiche, statemi confidate dallo stesso governatore, riposò il mio cuore, e potei tranquillizzare i compagni e tutta la famiglia.

nostre conversazioni Così, levataci dal cuore la spina del timore di cadere nelle mani del sceftà, abbiamo potuto mangiare un pezzo di pane in pace e conversare un poco con razza Camant. quei buoni contadini, i quali ci furono molto cortesi; erano essi semi pagani Camant, dei quali già si parlò nella storia della mia entrata in Abissinia nell’anno 1852. Ho detto che erano semi pagani, per dire che non erano Cristiani, ma essi credevano in Dio, ed avevano molte tradizioni bibliche, dimodoché io ho sempre giudicato quella razza come depositi [p. 209] delle antiche popolazioni etiopiche che non aderirono al mosaismo, ne al cristianesimo, ma avevano preso molto dal pacifico contatto con loro. rivelazioni dei contadini
[inizio 1852]
Parlavano essi molto favorevolmente dell’imperatore Teodoro, del quale erano entusiasmati. Si erano essi battuti valorosamente nei principii del suo progresso contro Ras Aly, come principe favorevole ai musulmani. Essi però erano irritati contro l’imperatore Giovanni, il quale recentemente gli aveva fatto battezzare per forza. Ma, dal loro modo di parlare, parevano favorevoli al sceftà o rivoltoso da noi molto temuto, come loro parente: voi però non dovete temerlo, essi dicevano, perché voi appartenete alla fede di Abuna Jacob (Monsignore Dejacobis,) [dic. 1854-gen. 1855] che noi abbiamo accompagnato sino a Matamma nel suo esilio, e l’abbiamo segretamente fatto ritornare al Tigre (1d). /208/ Il rivoltoso a quest’ora già conosce ogni cosa, essi proseguirono, e di questa stessa notte i suoi amici non mancheranno d’informarlo di tutto, e di raccomandarvi.

Simili rivelazioni secrete, avute da quei contadini, da un canto erano per noi consolanti, ma dall’altro canto non mancavano di presentarci una certa nuova complicazione contro le operazioni ordinate dal governatore per la nostra sicurezza. Ad ogni evento sinistro ci consolava il sapere che il rivoltoso era secretamente un’amico della missione cattolica: ad ogni caso contrario, dicevamo fra [di] noi, potremo sempre sperare da lui qualche riguardo. Così passammo quella notte frà il timore e la speranza. [p. 210] cautele e misure Tuttavia, siano gli ordini sinceri e forti che il Governatore di Celga ricevette da Ras Arià, siano le promesse da noi fatte al Governatore medesimo, il certo si è che questi prese delle misure tali da tranquillizzarci. [15.10.1879] L’indomani ad una cert’ora stata fissata per la nostra partenza, da tutte le parti venivano armati fucilieri e lancieri, ed a misura che noi camminavamo ci vedevamo crescere talmente la nostra piccola armata, che la sera, in certa lontananza, la nostra stazione poteva contare poco meno che cento fucili[eri], ed altrettanti lancieri. Dal momento che abbiamo lasciato l’alto piano per entrare nella provincia di Celga la nostra direzione fu sempre più o meno verso l’Ovest, lasciando dietro le [spalle] a levante la veduta di Gondar. La nostra strada fu una continua discesa, più o meno rapida, ma interpolata da ripiani popolati di piccoli villaggi con sufficiente coltivazione. Il nostro viaggio fu abbastanza felice e senza timori, perché [svoltosi] nella parte centrale della Provincia; il rivoltoso quì non arriva, come dicevano le guide.

incomminciano i pericoli Arrivati che fummo alla seconda stazione le cose incomminciarono a cangiare; si presentò avanti di noi un paese con discesa più rapida, più deserto, e meno coltivato. In quella sera, appena fummo accampati vicino ad [Dozza: 16.10.1879] un villaggio, il governatore radunò i suoi soldati in un campo separato, e poco lontano dal nostro, egli passò la sera in conferenze coi suoi capi, e fecero i loro piani di guerra. parla il Governatore Dopo chiamatomi in disparte, sentite, disse, fin qui abbiamo camminato in paese [p. 211] tutto nostro, dove nulla vi era [d]a temere; più basso, benché il paese sia anche nostro e paghi a noi tutti i tributi, pure di qui sino ai confini vi gira anche il rivoltoso, al quale secretamente anche la gente paga un certo tributo; qui incomminciano i timori; il rivoltoso è lontano, ma in mezza giornata potrebbe arrivarci. Io ho dato tutte le mie istruzioni, ed ho distribuito la mia truppa, affinché custodisca[no] da lontano tutte le strade pendente la giornata. Voi ed i vostri, accompagnati da poche /209/ guide fedeli e da pochi fucilieri vi condurranno per strade che essi soli devono sapere; voi non avete che [da] seguirli ciecamente: questa sera ci troveremo tutti nel luogo da me indicato, per passarvi la notte. Là si farà consiglio per il viaggio di domani.

cattivo cammino Così fù difatti la terza giornata del nostro viaggio: accompagnati dalle nostre guide e da pochi fucilieri camminammo quasi tutto il giorno per vie piene di precipizii e quasi deserte, schivando le nostre guide anche alcuni pochi villaggi, che non mancavano, come sospetti di connivenza col rivoltoso; siamo passati in [Ciago: 17.10.1879] un luogo non molto lontano da una grotta dove esso rivoltoso teneva dei depositi; essa però era custodita da poche persone e non si ebbero gran timori, attesocché la nostra scorta lontana era troppo numerosa, e forze anche conosciuta dai nemici. In quella giornata si fece molto cammino, e siamo arrivati la sera molto stanchi al luogo fissato dal Governatore. Era quello un piano, [p. 212] dove si trovava sufficiente erba per le nostre [bestie] ed aqua per [dare da] bere a tutti. terza stazione Come il Governatore aveva detto, là si fece la stazione, e là prima della notte si trovò radunata quasi tutta la sua piccola armata, che si accampò in circolo da noi poco lontana. Noi eravamo ai due terzi circa della discesa dall’alto piano; a ponente nel basso si vedeva il basso piano del Sennar e di Matamma, come un mare coperto di nebbie; poveri noi! dicevamo frà noi, là ci aspetta un’altro genere di battaglie, non più cogli uomini, ma appunto con quei vapori e con quelle nebbie. Sull’alto e più vicino a noi le nostre guide ci facevano vedere il luogo del gran mercato di Waïni [a] due piccole giornate da Matamma, ultimo villagio abissino del basso Dembea. Una giornata circa più basso di Waini ci fecero vedere il fiume che ai piedi della montagna segnava i confini dell’Abissinia dal Sennaar.


(1a) Il governo di Ras Arià contava quattro Provincie: 1. Quella di Gondar. 2. Quella di Iffaghe. 3. Quella di Quara. [4] Quella dell’alto Dembea al nord del lago, e quella del basso Dembea, detta anche di Celga. Il Ras aveva il suo campo nel centro di queste quattro o cinque Provincie, paese leggermente ondeggiato di colline. La Provincia del basso Dembea arrivava sino ai confini verso Matamma. [Torna al testo ]

(1b) [ott. 1884-giu. 1885] Mentre scrivo si tratta la questione della Spedizione africana in Italia ed in Inghilterra. Lasciando da una parte il merito della questione, che sarà giudicato dall’avvenire, che, anche nel supposto che la questione fosse giusta e di dovere, la critica di piazza non sarebbe di natura per favorirla, e [che] potrebbe anche perderla. In quanto al governo inglese, la troppa publicità ha potuto ritardare il soccorso al caro Gordon, a cui io professo tante obligazioni; ed ha potuto esser causa della sua rovina, e ciò che più importa, causa della questione perduta. Un potere legato da tante catene, è un potere paralizzato. [Torna al testo ]

(1c) Mentre scrivo non mi ricordo più del nome [Guessesso] di quel rivoltoso, detto sceftà in Abissinia. Era questi un potente capo banda che infestava quelle frontiere da alcuni anni. Molte spedizioni erano state ordinate prima dal governo per prenderlo, ma sempre inutilmente, favorito sempre [com’era] dai luoghi montuosi e deserti, [ed] assistito sempre dalla stessa popolazione quasi tutta parente sua. La stessa amicizia dei Turchi lo favoriva, e soleva anche essere ricevuto da essi nelle strettezze quando era cercato. [Torna al testo ]

(1d) Si parlò di questo fatto a suo tempo, parlando di Monsignore Dejacobis, [26.11.1854] stato esiliato da Gondar dall’imperatore Teodoro nel principio del suo regno. Quel principe nel suo cuore venerava Dejacobis e dovette esiliarlo per ubbidire al Vescovo eretico Salama. Temendo che questi in viaggio non lo facesse uccidere lo consegnò alla razza Camant di Celga, razza da Lui amata e fedele, che lo scortò sino alla frontiera, e poi lo fece ritornare per altra via. [Torna al testo ]