/251/

25.
Empirismo efficace e medicina legale.
Mandre di cammelli e valore dei beduini.

un triangolo Da un calcolo approssimativo che io facio, Matamma, Gadaref, e Kassala, è poco presso un triangolo, di cui Gadaref sarebbe l’angolo sud-ovest. Lo spazio di quel triangolo forma come un bacino che riceve tutte le aque dell’alto piano settentrionale etiopico abissino all’ovest del medesimo, come più al sud il fiume azzurro riceve tutte le aque dell’istesso alto piano etiopico meridionale. La nostra strada quindi da Gadaref a Kassala doveva passare per questo bacino sopradetto, paese il più bagnato dalle aque, epperciò il più ricco di vegetazione e di salvagiume di ogni [p. 276] [di ogni] specie. bona mixta malis La grande quantità di terreno vegetale da secoli incolto sopra lo strato dell’antica crosta primitiva rende quello spazio più delizioso a vederlo che amabile a possederlo per la gran quantità di miasmi e di insetti perniciosi. Se in tutto quello spazio sono una vera delizia le innumerabili famiglie di pernici, di galline faraone, e di ogni genere di quadrupedi che trovano là erbe e grani spontanei di esse da mangiare, ed aque da [da] bere, i serpenti di ogni genere, i scorpioni ed altri insetti pericolosi rendono incerto anche il passo dei viaggiatori; se là famiglie di ucelli vi divertono coi loro canti gran quantità di sparvieri non mancano che ne fanno la cacia. divorano e sono divorati Nulla dico poi delle formiche di ogni genere, che si fanno la guerra, e si distruggono fra loro; nulla dico poi delle mosche anche fatali che vi rendono nojoso il passo, ed inquietano anche le vostre bestie di cavalcature e da soma. Là, come nel mare, il mondo dei pesci, insetti ed animali si danno la cacia, e sentite anche la storia di caciatori dell’oriente e dell’Europa venuti per divertirsi e che vi hanno lasciato la vita.

Ciò basti per dispensarmi quì da minute descrizioni che non mancherebbero di stancare la mia memoria per rammentarli, la mia penna per scriverli, ed il mio lettore per leggere. viaggio di 20 giorni
[7 giorni]
Da Gadaref a Kassala ci vollero a noi venti giorni, mentre un corriere ordinario del paese sopra le ali di /252/ un buon dromedario poteva farlo in quattro giorni, ed una carovana di mercanti [p. 277] sani e liberi soleva arrivarvi in dieci. I nostri venti giorni furono tutti giorni di una tribulazione indescrivibile passati nel combattere un miasma ostinato, ed una febbre divenuta continua, a forza di specifici e di medicine che tenevano in piedi una vita che si poteva quasi dire una continua morte. rimedio più cattivo del male La stessa medicina e lo stesso specifico ci manteneva in uno stato di violenza tale che poteva chiamarsi una vera malattia. Alcuni di noi erano travagliati, ora da vomiti, ed ora da diarree che ci obligavano a fermate quasi continue. alcune malinconie Un giorno, non potendo più reggermi, si stava facendo consiglio di allestire la portantina, e pensando alla fatica che avrebbero fatto alcuni per portarmi, aveva passato un momento in tanta malinconia da consigliare la carrovana a continuare il viaggio, lasciandomi indietro solo nel deserto, abbandonato alla providenza, disposto a morirvi, ed ho rifiutato potentemente la portantina, pensando alla fatica degli altri egualmente bisognosi.

Non eravamo ancora ai due terzi del nostro viaggio, il capo della carovana statoci dato dal nostro armeno cattolico, ed approvato dal governatore di Gadaref, divenuto quindi risponsabile delle nostre persone, in presenza di quella crisi, [20.12.1879] ordinò la fermata prima del tempo in un luogo abbastanza commodo. Scaricati i cameli, aggiustate le nostre piccole tende ed i nostri letti, fece bollire un buon caffè una marmitta di forte caffè, al quale aggiunse una sufficiente dose di una medicina ricevuta dal suo padrone, con una quantità di un elexir che noi non sapevamo: [p. 278] ne diede a me ed a tutti gli ammalati. mirabile effetto del caffè Questo fece in tutti una contro crisi che rilevò un momento le forze fisico-morali, e dopo poco tempo [ci colse] un sonno profondo che durò tutta la sera e la notte. Io non ebbi più conscienza di ciò che avenne in me e fuori di me; mi sono scosso mentre uno dei nostri cristiani stava in me esercitando un certo atto di carità di uso in certi paesi sopra un morto prima di essere sepolto. Scuotendomi dal mio letargo, caro mio, dissi alla persona che esercitava l’atto di carità, io non sono ancor morto: spero che non morrà, rispose egli. Mi accorsi però che il poveretto aveva dovuto lavare colle mie vesti, la pelle stessa che mi serviva di tappeto, tanta era stata la crisi del mio stommaco e del mio ventre. Dopo ciò ho sentito ancora il bisogno di dormire, e dopo qualche altra ora di sonno, svegliatomi, ho sentito [per] la prima volta il bisogno di nutrimento, ed ho mangiato un buon piatto di riso bollito col solo sale. Riavutomi dal passato sopore ho sentito con piacere che tutti gli altri ammalati, chi più chi meno, avevano provato il medesimo effetto del misterioso caffè bevuto, /253/ senza sapere cosa contenesse, e si trovavano tutti un tantino meglio da poter proseguire il nostro viaggio verso Kassala.

sua composizione Ora pensando e ripensando al famoso caffè il quale ci fece tanto bene stento [a] indovinarlo, perché certamente non era una composizione europea, e con segnali da crederla tale, ma piuttosto un’empirismo arabo preparato, o in Caïro, oppure in Sana, dove si trovano dei medici arabi, oppure un preparato indico con lettere arabe che io non ho potuto capire bene. Dal gusto ho potuto giudicare che conteneva dell’oppio molto in uso fra gli arabi e frà gli indiani. Ma l’oppio solo non poteva produrre quell’effetto rivulsivo e purgante così forte, come è stato in me. [p. 279] Noi in quel giorno eravamo a passare la notte sulle rive del fiume Atbara, luogo, o campo dove sogliono accampare i mercanti, ed anche i caciatori. Il caffè è stato fatto nell’accampamento di un mercante vicino conosciuto dalla nostra carovana. Non so quanto ne avessero preso gli altri ammalati del nostro seguito, ma io che mi trovava sbilanciato nel fisico e nel morale, so di averne preso molto, e mi produsse una crisi straordinaria. mio criterio in proposito Riavutomi mi occupava il pensiere della medicina presa, ed argomentando da certi discorsi sentiti mi era fatto un criterio d’aver preso una gran tazza del solito caffè arabo torbido con dell’oppio, e con una dose notabile del Louis Le Roy (1766-1842) diffuse in Europa un “rimedio” inventato da Jean Pelgas (1732-1804), con violento effetto purgante ed emetico. M.P. nostro antico elexir del Signore Le Roi, specifico, che ebbe in Europa un’epoca classica, ma poi passato in disuso. Il fatto sta che io dopo quel giorno mi sono trovato molto meglio da poter come prima continuare il mio viaggio sopra il camelo senza bisogno di un’appoggio.

Strada facendo, sotto l’impressione del fatto narrato, stava meditando i fasti della medicina. Il dottore Clot-Bey già da me più volte citato, il quale sotto il governo di Mahumed Aly in Egitto [1827] aveva fondato una scuola di medicina ecclettica, in verità di poco valore come scienza, ma con vantaggio notabile dell’Egitto, il quale incomminciava allora a rinascere in facia alla civiltà europea, mi disse una sentenza: un consiglio del dottore Clot-bey. Senta, Monsignor mio, Ella vuole andare fra i selvaggi dell’Africa. Ella troverà dovunque dei medici e della medicine: troverà dovunque delle stravaganze, ed anche degli usi ridicoli. Ella dovrà [dovrà] rispettare tutti e tutto, perché da tutti [p. 280] e da tutto troverà di che imparare. seguito degli avvisi di Clot Bey La medicina nata da grandi uomini empirici, come scienza speculativa è innegabile che essa ha fatto delle grandi scoperte, ma nella sua parte essenzialmente pratica, essa non ha ancora potuto sortire dal primitivo empirismo: tot capita tot sententiæ, e ci troviamo ben soventi vinti e disprezzati in facia ad un criterio pratico anche il più codino e privo di ogni /254/ studio speculativo (1a). Arriva a noi medici ciò che arriva a voi teologi; alle volte, anche dopo la laurea ed il dottorato, vi arriva di trovarvi in facia ad un criterio ispirato da Dio, il quale pronunzia certe sentenze che dovete rispettare e venerare, contro le quali la prepotenza officiale deve dichiararsi vinta. Io, giovane medico, e mezzo ateo di moda, chiamato da un Vescovo per esaminare un miracolo supposto, ho fatto di tutto per negarlo contro ogni mia convinzione, perché mi vergognava di dichiararmi tale, ma poi vinto da rimorso, ho dovuto confessare che Iddio nelle sue manifestazioni al uomo, sia in facia alle leggi fisiche, che anche in materia di verità pura e tras[c]endentale, tiene certi serbatoi a noi inviolabili coi mezzi ordinarii della scienza aquisita. La Chiesa di Dio illuminata dallo Spirito Santo ne tiene le chiavi infallibili nei casi di bisogno, sia in materia di fede e di costumi, ossia pure in materia di disciplina generale nella medesima. Molti ancor viventi han conosciuto il Dottore Clot convertito, e divenuto un vero apostolo in Egitto ed in Oriente, invitto campione della sua fede nel rigettare le tentazioni del mondo musulmano, lasciando da una parte tutti gli onori, e preferendo un’onorato esilio a Marsilia, dove morì [† 20.8.1868] nel 1870., lasciando [colà] una famiglia Cristiana modello in quella città.

apprezzamenti degli avvisi Ora ritornando noi al fatto storico da me narrato, ed in me verificatosi, e ripetendo le sentenze del Dottore Clot, dobbiamo confessare che medici e medicine se ne trovano in tutti i paesi, [p. 281] e che tutto e tutti non si devono condannare, perché da tutti e da tutto si trova da imparare. Stia da una parte il caso del Dottor Clot Bey sul punto del miracolo, caso anche troppo frequente che suole occorrere a molti altri dottori, i quali avrebbero ancor fede, ma che temono [di] dichiararla per non compromettere la civile loro posizione, come mi diceva un’amico (1b). Nel solo terreno della medicina pratica, io debbo confessare che il detto del dottor Clot è una grande verità che merita di essere meditata /255/ da tutti i viaggiatori, massime missionarii cattolici fra le popolazioni barbare. Il mio lettore nella storia presente avrà trovato fatti sufficienti di questa verità, ed il fatto narrato sopra ne sarebbe l’ultima prova. Un caffè saturo di oppio, e di elexir Le roi, già condannato da molti dottori pratici, dato a me, infermo e quasi moribondo, sarebbe stato un caso sufficiente per condannare un povero dottore nella nostra Europa. Eppure un’empirico pieno di criterio pratico, con esso posso dire che mi salvò dalla morte in viaggio.

il medico o chirurgo Secondo il monito del dottor Clot, dei medici e delle medicine se ne trovano in tutti i paesi anche i più barbari, perché dovunque l’uomo muore o di malattia, oppure vittima di guerra, o generale di tutto il paese, oppure particolare di famiglia o tribù. In simili casi è troppo naturale al uomo di cercare medicine da persone che la società, per un’abitudine di quel paese, sono riconosciuti come capaci di darle. La base del criterio che suole guidare un popolo nel riconoscere una persona come medico o come chirurgo è sempre diverso secondo la diversità dei paesi, guidati [p. 282] o da scienze positive, oppure da tradizioni per lo più religiose. In materia chirurgica in tutti i paesi, non esclusi i nostri, la chirurgia la vera aureola del chirurgo è stabilita quasi sempre da una serie di fatti o operazioni ben riuscite. Io in Etiopia, più ancora frà i galla pagani del sud, ho veduto certi cosi detti oghessa (1c) eseguire certe operazioni, anche amputazioni, senza tanto lusso di stromenti, e con semplici coltellacci ben affilati, da farmi stupire, e da essermi di maestro in certe operazioni, senza di che [io] non mi sarei azzardato, come già ho narrato altrove.

la medicina fra i galla pagani Diverso è il caso della medicina in Etiopia del Nord dal Sud. Fra i galla pagani del Sud la malattia naturale di una persona qualunque, essendo per lo più sempre considerata come per intervento del genio malefico del morbo stesso, creduto da quella povera gente come un’essere o genio personificato sopranaturale di diverso genere secondo la diversa malattia, ne segue naturalmente che essa venga guarita coll’intervento di una persona supposta investita di virtù sopranaturale, o potere magico sopra il genio del morbo in questione. Il medico quindi è sempre un cosi detto mago impostore che si fa credere tale. La medicina perciò /256/ deve essere una ceremonia o altro quid sopra naturale, come un sacrifizio, una preghiera, oppure un comando che agisca sopra il genio supposto; benché poi il mago non lasci ben soventi di somministrare qualche medicina empirica del paese, o reale, oppure supposta come tale per coonestare il suo operato, facendola sempre supporre come cosa voluta oppure odiata dal genio malefico. Così quando io innestava a vaïvuolo, molti, non istruiti ancora, credevano che io introducessi nella persona inoculata la mia saliva, colla quale il genio malefico sotto l’azione di essa si calmava lasciando di essere micidiale.

[p. 283] la medicina fra i cristiani etiopi. All’opposto la medicina frà i paesi dell’nord, dove regna il principio cristiano oppure musulmano dell’arabia e dell’oriente, essa è naturalmente collegata col dogma religioso o teocratico secondo [secondo] i diversi paesi o cristiani oppure musulmani, fatalisti [fra] questi ultimi, o providenziali [fra] i primi. Come però questi popoli abissinesi del nord sono stati sempre dominati [dominati] da secoli dalle tradizioni straniere dell’Arabia, dell’Egitto, e dell’oriente, l’empirismo medico straniero, anche europeo, fra di essi è più rispettato, e gode anche [di] un certo prestigio ed autorità. Come poi frà questi popoli abissini del nord ha regnato sempre, e ci regna ancora, una larva di monarchia assoluta e barbara, uno straniero protetto dall’autorità vigente nel paese, potrà sempre eserci[ta]re un poco di mestiere medico senza pericolo, anche nel caso di essere stato poco fortunato nell’esercizio della sua professione. Ciò sia detto per norma del viaggiatore, sia pure egli scienziato, o missionario, oppure mercante, o speculista di qualunque genere o paese.

la schiavitù delle opinioni scientifiche Nella nostra stessa Europa all’umbra della legge, della toga o laurea, e di pompose università che costano un’occhio al governo si son vedute e si vedono ancora certe opinioni o così dette scuole in medicina, oggi condannate dall’uso, le quali si può dire anche che fecero una strage. Io stesso ho assistito nell’ospedale Mauriziano di Torino a cliniche diverse di dottori classici (1d) di scuole opposte nelle quali il dottore non vedeva altro che sangue come principio morboso e si ordinavano anche sino a 15. emissioni di sangue dalla vena, da lasciare il povero infermo privo di ogni principio vitale, tanto necessario [p. 284] per arrivare alla desiderata crisi di guarigione. All’opposto, passato il trimestre dell’dottore sanguinario, sottentrava il suo collega di scuola opposta, e trovava negli /257/ ammalati delle cure precedenti un campo di rovine e lasciava molti come incurabili, prendendo impegno per i soli nuovi venuti, con ammirazione e direi anzi scandalo dei giovani [studenti] della sua clinica. Sono conosciute queste e simili divergenze di opinioni, e di scuole mediche, tali da compromettere non solo il prestigio della facoltà medica, e diminuirne quasi tutta la confidenza del publico, ma renderla anche in certo modo ridicola, se l’oracolo della legge non fosse là per sostenerla, ed anche imporla prepotentemente al popolo. la medicina eccletica e libera In Abissinia, e possiamo dire in tutta l’Etiopia, all’opposto tutto questo non esiste, ed il popolo è perfettamente libero di ricorrere ai suoi empirici o maghi, siano questi indigeni, oppure stranieri, più o meno istruiti e sicuri, o curarsi da se, se loro piace.

l’utile della medesima Con tutto ciò il mio lettore non deve pensare che io pretenda asserire che l’arte medica sia in stato di maggior perfezione in Etiopia. Io con ciò intendo solo [di] rilevare la verità delle sentenze del dottore Clot Bey fondatore della scuola medica ecclettica in Egitto = medici e medicine, come esso diceva, se ne trovano dapertutto; tutto si deve rispettare, perché da tutti e da tutto si trova di che imparare = Certamente in Etiopia, se l’arte medica fosse un poco più studiata e meditata, e che arrivasse a tutti, salverebbe tante vittime della morte, che non si salvano. Ciò però non mi dispensa dal confessare una gran verità di fatto, che io stesso cioè ho ammirato, nelle molte guarigioni ottenute da quegli empirici; i quali, fuori di ogni riparo della legge e dell’autorità, per sostenere la loro posizione si trovano [p. 285] come forzati a camminare con piede di piombo nell’esercizio dell’arte loro, somministrando medicine già provate da lunga esperienza, e nelle malattie già conosciute; essi quindi agiscono con grande impegno, con maggior buon senso, e certa conscienza, di ottenerne la sperata guarigione. A me, obligato a fare un poco di medicina per aprirmi la via guadagnando confidenza presso quei popoli, molto mi ajutarono le poche letture di alcuni autori, e l’assiduità delle cliniche, alle quali io mi trovava obligato [a intervenire] come direttore spirituale dell’ospedale mauriziano di Torino, per rendermi conto sulla natura del morbo; ciò è innegabile: debbo confessare però che in un paese, dove un povero viaggiatore, e più [ancora] un missionario che vive col basso popolo e per esso, si trova ben presto sprovisto degli stessi specifici più essenziali ad un’europeo, anche solo per se e per la sua famiglia, come era io, fù per me una gran risorsa il sistema di cura indigeno. Nel mio viaggio dell’alto Egitto, del Sennar, e del Fasuglu, negli [spostamenti dei] viaggi [intrapresi nel] [1851-1852] 1850. e 51. ho veduto che i medici egiziani di Clot seguivano con gran vantaggio /258/ questo sistema, anche perché sistema più simpatico per quei popoli non ancora accostumati al sistema nostro.

continua il viagio Ciò detto, per norma anche di altri viaggiatori, massime missionarii, pongo fine alla digressione già abbastanza lunga, e facio ritorno all’[amico] medico empirico che mi salvò la vita sulle rive dell’Atbara, dopo il quale [fatto] ho potuto continuare il mio viaggio sopra il dorso del camelo sino a Kassala. la febbre rimane Il famoso caffè non mi aveva radicalmente guarito dalla febbre, la quale mi visitava giornalmente, nel restante del viaggio, come seguitava a visitare an- [p. 286] che la maggior parte dei nostri, perché la febbre del Sennar non cede tanto facilmente coll’uso anche dei specifici nostri, massime nelle persone straniere provenienti dai paesi montagnosi, di una temperatura molto più fresca, come eravamo noi; servì egli però a purgarci, e togliere di mezzo il gran deposito di materie biliose, il quale avrebbe potuto arrivare anche ad essermi micidiale. Il rimanente del viaggio sino a Kassala, fù bensì alleggerito di molto, ma la febbre che sempre ancora continuava, non lasciava di tormentarci [sempre], a segno che tutto quel viaggio fù per me, e per molti anche della carovana molto penoso da impedire ogni nostra attenzione a tutte le circostanze interessanti, le quali non avrebbero mancato, per arrichire questa mia storia di ulteriori documenti, in tutto quel tratto di viaggio.

[21.12.1879]
si descrive il terreno
Passato il fiume Atbara (1e), il terreno incommincìò a cangiare natura a misura che ci allontanavamo dal fiume. Il suolo andava perdendo della sua vegetazione, e la sua superficie diveniva più ondeggiata e disuguale, lasciando vedere scoperti di [h]umus vegetale certi dorsi cretosi oppure certi scogli di pietra nuda. La nostra strada sempre in direzione nord-est costeggiava in lontananza l’alto piano etiopico alla sua destra, il quale andava anche abbassandosi nell’orizzonte. Le mandre di cameli andavano sempre crescendo, e presentavano una vera richezza di quei deserti, popolati a lunghe distanze da piccoli [p. 287] villaggi di bedovini. una mandra di camele
[22.12.1879]
Mi ricordo che un giorno avendo fatto alto alcune ore del giorno per lasciar passare il sole dal nostro zenit, ed attendere il fresco della sera, ai piedi di un’grande albero sulla riva di un piccolo ruscello, noi ci /259/ siamo trovati a passare il giorno in mezzo ad una gran mandra di camele femine riservate per la razza, colà venute coi loro piccoli camelini a bere l’aqua del ruscello. gran numero; Il numero di quegli animali, tra madri e figli, passava certamente il mille, come ci assicurarono i bedovini custodi; erano tanti, che l’aqua del ruscello fù tutta esaurita, ed i poveri animali dovettero aspettare ore per attendere l’aqua che venisse dalla sua sorgente. Noi stanchi ed ammalati eravamo sollevati nel contemplare quei piccoli camelini trastullare fra loro come i cagnolini, ed i gattini. Quanto è brutto il camelo ordinario di lavoro, altrettanto è bellino il camelo piccolo ancora lanuto col suo pelo ancor fino e delicato. I guardiani della mandra ci assicurarono che alcuni kilometri lontano esisteva un’altra mandra maggiore di cameli maschi, parte allevati per il lavoro, e parte come dromedarii da sella per la cavalcatura. loro prezzo È incredibile, aggiungevano i suddetti, il tributo che pagano al governo i padroni di quelle mandre; bisogna però confessare che è per essi una gran rendita: il solo latte venduto ai bedovini del contorno giornalmente rende molti talleri; il camelo grosso venduto qui vale da otto a dieci talleri; il piccolo non ancora accostumato al lavoro passa i quattro.

richezza dei bedovini Ho voluto descrivere minutamente questi detagli per far conoscere al mio lettore, come quei deserti che si presentano all’occhio del viaggiatore come paesi spopolati ed incolti, non mancano poi di una certa popolazione con prodotti ed anche richezze. Io non ho descritto che una sola mandra di cameli, ma [ne] esistono centinaja simili, e non mancano [p. 288] altri armenti, come vacche, bovi, capre in gran quantità, asini, e simili animali secondarii. società e forza dei bedovini La popolazione poi di quei deserti, [essa] è poco visibile, perche popolazione ambulante senza case stabili e senza villaggi vistosi, ma non perciò essa lascia di essere numerosa in tutta quella immensità di terreni. Ciò che più monta essa è ardita e compatta, assuefatta a grandi corse, con poca spesa e con grandi mezzi di trasporto e di cavalcatura, sia per fugire da una sorpresa di un’armata nemica, e sia per assalire il nemico in gran distanza. Il soldato beduino ben nutrito di latte e di carne, esso e di una agilità senza pari nell’assalire senza poter essere raggiunto, per sorprendere senza poter essere sorpreso. Esso è un’essere di necessità guerriero, perché vive di guerra e [sta] sempre sulla diffesa; esso con un piccolo otre pieno di carne secca e trita, vitto sano, e nutritivo, che da vita senza aggravarla, ne per il porto, ne per la digestione, sopra il suo dromedario, può essere considerato presente in ogni luogo a distanza minore di due leghe. L’armata di dromedarii [non] manca mai di carne, di latte, e di aqua, perché conosce i luoghi, e ne ha il diritto di soccorso. I suoi /260/ corrieri poi per le informazioni e per le ordinanze valgono quasi il nostro telegrafo.

tradizioni sopra i medesimi
[viceré dal 9.7.1805]
Stando alle notizie tradizionali che io ho potuto raccogliere in tutti i miei viaggi antichi e moderni, prima di Mahumed Aly tutte le vere razze bedovine dei contorni del Suddan, e di alcuni altri luoghi dell’Egitto, [esse] godevano di una quasi totale autonomia ed indipendenza dal governo, al quale non pagavano tributo di sorta, fuori di quanto occorreva loro pagare [p. 289] come dogane ogniqualvolta essi si recavano ai confini dell’Egitto per il cangio delle loro derrate e prodotti col medesimo. Il poco commercio di quei tempi doveva intendersela coi capi bedovini e pagare loro piccoli tributi per non essere molestato nei loro viaggi. I pochi Melek, o regoli, o baroni che vogliamo chiamarli, ultimo residuo dell’antica popolazione civile di quei paesi dell’interno, quei medesimi, che sarebbero stati i veri Signori, dovevano rispettare la potenza dei bedovini per godersi in pace le loro Signorie. (1f) Mahumed Aly loro conqu[i]statore Mahumed Aly adunque fu il grand’uomo, che in Egitto, dopo avere distrutto la potenza dei Kaliffi, senza pressione di guerre, col suo calcolo e belle maniere, [1.3.1811] seppe assoggettarsi ancora questa seconda potenza dei bedovini, la quale non poco gli servì per [1820]
[guerra della Siria: 2.11.1831-22.12.1832]
conquistare ancora il Sennar ed il Fasuglu. Prima della guerra della Siria, quando egli fece il suo viaggio trionfante del Sennar e del Fasuglu, quelli che lo scortarono furono i bedovini, io stesso, mi diceva il Melek Saha, e molti melek dell’antica aristocrazia del nostro paese, avendo veduto soggiogata la potenza dei bedovini, non pensammo più a combattere con Mahumed Aly, ma fatta la pace con lui, da piccoli Re che eravamo, siamo divenuti suoi piccoli uffiziali della sua armata; non toccatemi i bedovini, soleva dire Mahumed Aly, perché in un cattivo momento saranno per me una fortezza di rifugio.


(1a) Io aveva appena aperto gli occhj al mondo, a 12. anni di mia età fui condotto molte volte dai miei parenti ad un certo Cerruti famoso empirico di Marcorengo per alcuni miei malori creduti incurabili dai medici del mio paese. L’empirico in discorso riceveva quotidianamente centinaja di persone, e faceva prodigi.
Più tardi nel 1835. essendo io Cappellano nell’Ospedale Mauriziano di Torino, vi ho introdotto come infermiere un certo Malpassuto di Robella, il quale in poco tempo fu patentato flebotomo, e ritornato al suo paese in Cortiglione fece portenti come il Cerruti suddetto, contro la corrente della facoltà medica del contorno: anche questi sempre vincitore. [Torna al testo ]

(1b) Il medico Ferrero nell’occasione che in Moncalieri, se non erro, [26.7.1840] nell’anno 1839. fu chiamato dalla curia di Torino per una dichiarazione di un fatto miracoloso occorso nel monastero delle carmelite di detta città in favore della causa della venerabile Maria Clotilde di Savoja. [Torna al testo ]

(1c) Oghessa in lingua galla vorrebbe significare sapiente, derivato dal nome astratto oguma, cioè[:] sapienza, scienza, o perizia, perché fra quei popoli non essendo conosciute le scienze [s]peculative, questi nomi si confondono colle varie diramazioni di arti manuali. Così oghessa si dice anche un perito in qualche arte fuori dell’ordinario. [Torna al testo ]

(1d) Si allude ai due medici in capo[:] Bertini e Berlingeri, i quali [1834-1836] nell’anno 1833. erano medici in capo di detto ospedale. [Torna al testo ]

(1e) Questo fiume è quello stesso, che sull’alto piano abissino noi abbiamo chiamato Takazziè, ìl quale separa l’Abissinia centrale di Gondar dal Tigrè, regno situato all’estremo nord dell’Abissinia medesima. Esso fiume che io aveva passato nel [1863] 1864. verso la sua sorgente tra Nagalà e Lasta, raccoglie tutte le aque di quelle altezze orientali gira al Nord del Semien, e scende nei bassi dei Suddan prendendo il nome di Atbara verso i confini dell’alta Nubia e va a gettarsi nel Nilo azzurro quasi sempre senza aqua, assorbita dalle sabbie di lande deserte. [Torna al testo ]

(1f) Il Melek Saha, del quale ho parlato nel mio viaggio del Sennar e Fasuglu del [1852] 1851. uno di questi antichi Signori, fu quegli che mi racconto le tradizioni quì citate. [Torna al testo ]