/269/

27.
A Kassala: liberalità di un maronita.
Distacco da mons. Cahagne e dai giovani.

viaggio sino a K[a]ssala Nei due giorni che ci restavano di viaggio camminavamo a stento, guardando Kasselà come luogo di riposo. L’avvicinarsi di una città centrale, non mancava di procurarci un poco di risveglio nell’incontro di un certo movimento di mondo musulmano, il quale ci guardava con un’occhio di compassione da una parte, e di disprezzo dall’altra, come uomini infedeli. Anche l’esteriore poco riservato nelle parole, ed anche in certi atteggiamenti poco onesti, certamente che non era per noi confortante. Alla stanchezza del viaggio incomminciava ad occuparci il pensiero del dove avrebbe fatto capo la nostra carovana. La voce corsa di alcuni telegrammi venuti da Goldon Bascià in favor nostro al governo, era per noi di sostegno, a fronte che la corrente della popolazione musulmana non lasciasse di farsi sentire [con] certe maledizioni solite [a lanciarsi] contro il governo così detto dei frangi infedeli. vicinanza della città
[fiume Mareb]
In mezzo a simili argomenti scoraggianti, andavamo avvicinandosi alla città circondata di muri o bastioni con una porta grossolana, armata di pochi cannoni [p. 303 = 302] del Seicento pieni di ruggine. entrata nella città
[24.12.1879: ore 10]
Una porta araba, abbastanza larga e forte, dove io, seduto sopra il camelo, e coperto con una specie di tenda per ripararmi dal sole, nell’entrare poco vi mancò di essere urtato, e rovesciato, così si entrò in Kassala, città porte [= forte] e sede di governo di terzo ordine, stata costrutta anticamente dall’Egitto prima di tutto per diffendersi dalla potenza dei Bedovini, e quindi dalle bande abissinesi, che non mancavano di assalirla, discese dalle altezze.

nostre sollecitudini
[Josef-Tsadik governatore]
Appena entrati in città, alcuni dei nostri fecero domandare del Comandante o governatore della città, al quale pensavamo [di] diriggerci, sia per consegnarci, e sia ancora per domandare un’alloggio. Senza nulla dire, si presenta a noi un’arabo vestito all’egiziana, il quale ci fece segno di seguirlo. Egli andava avanti di noi come una specie di Kavaz del governo con una certa autorità, e da molti [veniva] salutato con certo rispetto, e noi per un lungo tratto di contrada o bazzarro lo seguivamo persuasi che ci conducesse al governatore. All’opposto, dopo un lungo /270/ tratto ci fa entrare [in] una casa civile, anzi signorile, dove ci venne all’incontro la sua signora in vesti di lusso levantino, circondata da alcuni bimbi, che, con nostro grande stupore ci baciarono riverenti le mani. Antonio Marron Conobbimo allora di essere entrati in una casa non solo Cristiana, ma cattolica. Oh quanto è consolante per un prete tribolato, e perseguitato tra gli infedeli, accoglimento trovarsi all’improviso in una famiglia di figli! Valse per noi tutti come medicina a tutti i nostri mali. Noi eravamo in casa di Antonio Marron, quasi l’unica famiglia cattolica marronita di Kassalà, di cui molto [p. 304 = 303] si parlerà, perché molto fece per noi, e possiamo dire che cangiò la nostra sorte. sua fortuna Fu questi un povero gio[va]ne Marronita passato in Africa per fare fortuna, e la trovò completa, perché buono e benedetto da Dio. Egli, prima di fissarsi a Kassalà, conobbe Kartum, Sennar, Matamma, e tutta la costa orientale di Massawa e di Zeila, e poté trattenere i miei due compagni e tutta la nostra carovana sopra la mia storia antica, e si trovava in relazione coi nostri missionarii di Keren, i quali venivano a visitarlo. Egli già aveva avuto notizie del nostro prossimo arrivo, e ci aspettava con un pranzo grazioso.

uno sguardo indietro Per farsi un criterio esatto del caso nostro di Kasselà il mio lettore non deve dimenticare, non solo tutto ciò che ha letto della nostra carovana dopo la nostra sortita dall’Abissinia, ma deve aver presente la condizione del missionario apostolico dell’Abissinia, tutte le privazioni, e vicende già da me narrate, e che qui sarebbe troppo lungo ripetere. Presupposto tutto questo quadro, prima di tutto io debbo confessare, che in parte si verificò la profezia fattaci dalla guida alcuni giorni prima per consolarci, che cioè in Kasselà noi ci saremo trovati in famiglia ed in casa nostra. un pranzo di vere nozze
[25.12.1879].
Difatti, venuto il pranzo, esso fu un vero pranzo di nozze per noi. Basti il dire, che ciò [che] noi non avevamo più ne gustato ne veduto dopo Parigi e Marsilia noi l’abbiamo trovato in Kassalà in casa del nostro Cattolico Marronita, a fronte che là tutto costasse un prezzo favoloso. Ne le nostre nozze furono di un sol giorno, ma durarono tre intiere settimane. due miei pensieri Quel primo pranzo mi apparve così straordinario in proporzione del paese dove eravamo, [p. 305 = 304] ed anche calcolando la debolezza nostra dopo tante malattie e tribolazioni, che due preoccupazioni incomminciarono ad affliggermi. Prima di tutto non conoscendo ancora tutta la vastità del cuore del nostro nuovo benefattore, e supponendo ancora sempre qualche calcolo o speculazione, mi spaventava il debito che noi incontravamo con lui. In secondo luogo, ben conoscendo la nostra debolezza di stommaco dopo tante perdite, e privazioni, nasceva naturalmente il timore di qualche indigestione. In quanto a quest’ultima ho potuto rimediarvi con una forte raccomanda- /271/ zione sopra il bisogno di astenersi, non solo da qualsiasi eccesso, nia anche da certe cose, per le quali il nostro stommaco era troppo straniero. In quanto poi alla prima mia preoccupazione, fu per me un verme che non mi abbandonò più, e che crebbe sempre a misura che andavano crescendo le liberalità del benefattore. grande liberalità di Marron (1a)
Nota ripetuta M.P.
Confesso che il mio cuore fu sempre in pena a questo riguardo e non si sarebbe tranquillizzato, se non avessi fatto molte proteste in tutti [i] sensi: Senta, mi disse un giorno [Marron (1a)], io ho ricevuto da Dio richezze al di là di quello che mi meritava, e sento il bisogno di pagare il debito della mia riconoscenza: è per me questa una bellissima circostanza di contribuire all’opera di Dio.

assegno di una casa Passato che fù il primo pranzo, il quale ebbe luogo in casa sua, e frammezzo alla sua stessa famiglia: qui, disse egli, voi non sarete tranquilli, frammezzo ai bimbi, servi, ed un mondo che va e viene per i suoi [p. 306 = 305] affari; in così dicendo ci condusse in un’altra sua casa alquanto distante, e molto più grande, dove egli teneva un’immenso deposito di gomme, di sesimo, di sale, e di molti altri articoli di commercio d’importazione e di asportazione per Soakim e per l’Egitto, e per altre città dei Suddan e Sennar. Era un’immenso cortile chiuso a muro di centinaia di mettri quadrati, con due case abbastanza grandi e commode, una a ponente e l’altra a levante: una un poco più grande e con diversi membri, questa, disse, sarà per voi altri tre missionarii europei, dove potrete anche avere una cappella a parte, per celebrare la Santa Messa, e fare tutte le altre funzioni religiose. L’altra casa poi potrà servirvi di cucina e per la dimora dei vostri giovani. La chiave del cortile e di tutte le case è nelle vostre mani, e, nessuno avrà diritto di entrarvi, salvo il caso di dover caricare o scaricare le merci. Era quello un vero conventino, il quale si prestava per gli ammalati e per i sani. Per l’aqua, legna, e cibo, vi penso io, disse. Fatta la consegna della casa, egli se ne andò a sbrigare i suoi affari, e lasciò tutta la nostra casa in libertà per riposare.

visita di un medico egiziano Dopo alcune ore di riposo, venne il Signore Marron portando con se il medico egiziano per assicurarsi del nostro stato di salute, come pure di tutti i nostri giovani. Dopo un minuto esame di tutti, il medico dichiarò /272/ [Ghiorghis-bey: 26.12.1879]
consigli del medico
trattarsi solo di una gran debolezza con una debole febbre subcontinua, puro effetto della stanchezza e debolezza medesima, la quale febbre, dopo [p. 306] un lungo tempo di regime e di riposo suole migliorare ed anche guarire totalmente. Il germe di questa febbre però non cede tanto facilmente restando la persona nel paese dove regna il miasma e può ripetere l’attacco più o meno forte in seguito a qualche eccesso, o nuovo motivo. Passando la persona ad un’altro paese di clima migliore, dove non regna il miasma di questa o di altra febbre periodica, allora suol cessare dopo un certo tempo. Se poi vi regnasse il miasma di altra febbre, allora non è raro il caso, in cui questa nostra febbre prende il carattere della nuova febbre, senza lasciare il proprio, con divenire febbre complicata. Il medico suddetto dopo tutto ciò raccomandò di fare grande uso di tamarindo, senza lasciare l’emetico a dosi sempre crescenti, onde assicurare che non degeneri in tifo, oppure non lasci qualche altro malanno, qualche volta anche micidiale. Il medico in questione [era] molto amico del nostro maronita; egli, mi diceva questi, è nativo di Siut e di razza copta, ama e parla volontieri dei cristiani, caso raro perché il musulmano suol vergognarsi di essere stato Cristiano. (1b)

umiltà del nostro maronita Partito il medico, appena il sole aveva lasciato l’orizzonte, arrivarono dalla casa del nostro benefattore una quantità di servi con canestri portandoci una lauta cena; il padrone volle egli stesso preparare la tavola e non volle che alcuni dei suoi servi facesse[ro] altro servizio, che egli solo: il figlio deve servire i suoi padri, egli diceva. Da principio [io] aveva creduto che questo suo atteggiamento di nostro servo sarebbe stato l’affare del primo giorno, ma poi ho dovuto convincermi che era un’affare di tutti i giorni; egli anzi se ne faceva un grande [p. 307] onore di servirci a tavola, incomminciando dal lavamano, indispensabile, secondo la tatica orientale (1c), che già era come un’osservanza religiosa in tempo di Cristo, sino al fine della medesima, stando sempre in piedi mentre noi mangiavamo. Dopo la cena, ripetuto il lavamano di /273/ uso, e raccolti gli avanzi faceva portare ogni cosa alla famiglia dei nostri giovani. In tre settimane e più, che vi restammo presso di lui, tre volte al giorno ripetè sempre la stessa funzione, ne, invitato, fu mai possibile ottenere che si sedesse a tavola a gustare qualche cosa con noi.

sua grande carità, e generosità con noi Il servirci a tavola [per] il nostro padrone e benefattore è stato gran segno di rispetto e di venerazione figlia della viva fede, ma non debbo tacere la sua generosità per noi, segno ancor più evidente che tutto quello non era una semplice affettazione, ma realtà. Non parlo delle vivande di tutti i giorni, tutte cose comprate a caro prezzo in Kassala, come venute d’Europa o dall’Egitto; paste di Napoli e di Genova, riso scielto, formaggi di Olanda e di Svizzera, zuccaro e dolci di ogni genere, di cui la tavola era sempre fornita, basti per tutto il vino, e l’aquavite che [non] lasciò mai mancare in ogni pasto, a fronte che il prezzo arrivasse anche a cinque franchi la bottiglia. Il caritatevole maronita egli non pensava ad altro che a guarirci e rifarci dalle nostre grandi perdite ad ogni suo costo: ma noi in vista di tanta sua liberalità stentavamo [a] persuaderci, e sempre ancora temevamo d’incontrare tanti debiti verso di lui. Abbiamo usato tutte le industrie onde persuaderlo che molto meno poteva bastare per missionarii da molti anni non più accostumati a tante delicatezze. Cresce per me l’obligo di risarcire tante vostre [p. 308] antiche privazioni per la salute delle anime da Cristo redente, egli rispose, epperciò tutto fu inutile. Il solo vitto nostro e della nostra carovana portava già una gran spesa, ma non fù tutto, e coronò l’opera quando avvicinandosi il tempo di partire, volle a suo carico tutte le spese del nostro viaggio da Kassalà a Soakim, spese di cameli, spese di servi, spese di provviste di viaggio molto generose, e persino le mancie dei soldati del governo di accompagnamento. Ciò basti per far conoscere la generosità di quel uomo providenziale per noi in quel momento di quasi nostra estrema miseria. Egli non pretese altro da noi che preghiere, ed atti di apostolico ministero, per quanto [per quanto] permettevano le nostre forze, ed anche in ciò colla massima riserva, per timore di aggravarci, pensando egli stesso, come un semplice sacristanello a radunare i pochi cristiani di diversi riti (1d) per la Messa dei giorni di festa, e /274/ per altri servizii che occorrevano ai medesimi in ogni caso di bisogno, facendo esso da vero apostolo per noi.

si pensa alla partenza da Kassala Intanto, dopo un riposo di due e più settimane unito alla generosità sopra descritta dell’insigne benefattore, sia la salute di noi tre missionarii europei, sia ancora quella dei nostri giovani, non mancò di migliorare notabilmente; si dovette perciò pensare alla partenza, anche sul riflesso di non moltiplicare troppo i nostri debiti col padron di casa. Kassala, Soakim, Keren, e Massawah. Da Kassalà il nostro viaggio più diretto per l’Egitto sarebbe stato quello di Suakim, porto di mare situato a Nord-Est, distante circa venti giornate di carovana ordinaria dei mercanti con carichi di Cameli, ma noi con una quantità di giovani ammalati, [p. 309] alcuni dei quali non avrebbero potuto reggere a sì lungo viaggio, dovevamo pensare ad un posto più vicino possibile per tutti, senza allontanare troppo tutta quella gente dalla missione, alla quale nelle situazioni di quel momento di persecuzione, potevano ancora essere utili: tanto più che molti non sarebbero stati disposti e preparati per un viaggio diretto per l’Europa. Si dovette quindi pensare ad un punto più vicino, e più diretto al ritorno verso la nostra missione di Scioa, di dove eravamo partiti. Il paese più vicino era appunto quello dei Bogos, e di Keren, stazione della missione cattolica abissina, dove si trovavano i Lazzaristi colle monache della Carità. I Bogos si trovavano all’estremità nord dell’alto piano etiopico, lontano da Kassalà circa otto giorni, o al più dieci, di commoda carrovana intorno alle ultime altezze giù inclinate verso il piano del Sudan, dove si trovava un clima temperato, ed una missione centrale del Vicariato abissino al nord, dove il resto della nostra carrovana avrebbe potuto trovare medicine e cura presso le Suore di Carità.

[visita del governatore Iosef-Tsadik: 1.1.1880]
risoluzioni prese
Fatto dunque consiglio, venne deciso di dividere la nostra carovana: io col P. Luigi Gonzaga avrei preso la strada diretta di Soakim, e dell’Egitto, mentre Monsignore Taurino Cahagne coadiutore, avrebbe condotto tutti i giovani a Keren; di là, dopo una cura, la sua carovana avrebbe presa la via sud per Massawah, e da Massawah, col primo vapore, sarebbe andato in Aden, per visitare colà quella missione da me fatta 33. anni prima, e spedito colà alcuni corrieri in Scioa, per consolare [p. 304 = 304 bis] colà i nostri poveri cattolici, i quali, dopo la nostra partenza, nulla più seppero di noi. Fatto il piano di partenza, il nostro bravo padrone incommincio subito a fare i preparativi per la doppia carovana alla volta di Soakim, ed alla volta dei Bogoz.

visita al Comandante
[5.1.1880]
[partenza della posta per Suakim: 6.1.1880]
Della stessa giornata si recò dal Comandante di piazza, accompagnato da Monsignore Coadjutore e dal Padre Luigi Gonzaga, per prendere /275/ col medesimo i dovuti accordi, sia per l’accompagnamento di alcuni soldati, e sia ancora per il sequestro di un numero di Cameli occorrenti per le due carovane (1e). Già fu detto sopra che il Comandante di Kassala avrebbe dovuto partire per lasciare il posto ad un’altro che sarebbe [7.1.1880] venuto al posto suo. Era questo un’ordine lasciato dal Governatore Generale di Kartum Goldon Bascia, prima di [set. 1879] partire per l’Abissinia, e si attendeva da un giorno all’altro l’esecuzione di questo Ordine, Ma, [21.12.1879] partito che fù Goldon Bascià per l’Egitto, arrivò un’ordine secreto dal governo egiziano, il quale ordinava che tutti gli impiegati rimanessero al suo posto sino a nuovo avviso. Alcune notizie segrete poi circolavano, le quali dicevano che il Governatore generale Goldon era stato richiamato in Londra, e che tutta la colonia greca dei mercanti del Suddan era[no] in festa per la sua destituzione. (2a) La notizia era venuta coll’arrivo di un nuovo mercante greco arrivato dall’Egitto, il quale era in viaggio per Gadaref colla sua moglie.

il mio letto di nuovo genere Ora ritornando alla storia della nostra partenza, ciò che più occupava il nostro maronita era il trasporto della mia persona, che non poteva più reggere [al]la cavalcatura del camelo, [p. 305 = 305 bis] trattandosi massime di un lungo viaggio di oltre venti giorni per arrivare a Soakim. Il mercante venuto colla sua moglie da Soakim aveva trovato il modo di viaggiare con sua moglie e qualche bimbo sopra un camelo dentro due casse legate insieme, che formavano il carico del camelo, con sopra una piccola tenda che riparava dal sole. Il nostro bravo maronita volle condurci egli stesso alla casa dei detti mercanti, per farci vedere egli stesso l’organismo suddetto, quale, stato da noi approvato, egli fece subito venire il falegname, e si mise subito all’opera pratica, che riuscì benissimo, anche con qualche maggiore commodità.

proviste di viaggio La fabricazione di quella machina con tutti i suoi ingredienti prolungò la nostra partenza al di là di otto giorni, e l’avrebbe anche prolungata di più, perché la nostra dimora in casa sua, non solo non gli era di /276/ peso, ma era per lui una gran consolazione. Mentre egli si occupava per organizzare la mia partenza per Soakim, lavorava in pari tempo per organizzare la partenza di Monsignore Coadjutore con tutti i giovani alla volta dei Bogoz, per dove stava preparando proviste di regali per la missione lazzarista; quei poveri missionarii, egli diceva in Keren con una gran famiglia hanno bisogno di tutto; così stava preparando carichi di patate, di datili, e di altri pochi prodotti proprii di Kassalà. ultime liberalità del maronita La sua persona un momento pensava alla carovana di Soakim, ed un’altro momento a quella di Keren; non faceva che comprare proviste di viaggio, ora per me, ed ora per monsignore Coadjutore: riso, pane biscotto, paste, vino e qualche bottiglia [p. 306 = 306 bis] di aquavite, a tutto ed a tutti egli pensò. Abbiamo fatto consiglio per fargli acettare qualche cosa, ma tutto fù inutile: si fecero delle pratiche, affinché, almeno il prezzo dei cameli fosse a nostro carico, ma anche questo non riuscì.

la nostra separazione Tale fu il benefattore che Iddio ci regalò in Kassalà. La nostra separazione da Monsignore Coadjutore non era una questione che potesse produrre una gran crisi nel cuore nostro, perché egli, condotti che avrebbe i giovani sino ad Aden, dovevamo trovarci di nuovo a Roma ad Limina, dove si sarebbe decisa la questione [della successione nel Vicariato dei Galla]. Non così era la questione coi giovani, ben congetturando tutti, come, attesa la mia età decrepita, ed il mio stato di salute, avrebbe mancato a me la forza di ritornare in Etiopia. La nostra separazione doveva considerarsi assoluta, e per sempre. abbandono del mondo etiopico, il sesto Era quindi quella separazione un’ultimo addio alla cara Etiopia di 37. anni di fatiche, divenuta per me l’ultimo retaggio che Iddio mi imponeva [per] la quinta volta di abbandonare un mondo, abbandono più duro della mia patria stessa, dei miei parenti, della mia Provincia religiosa, e della cara Italia. Cosa poi dire per quei poveri giovani? divisione dura per me, e più dura per quei poveri giovani che mi consideravano come padre, separazione eguale alla morte...?

fatale proficiscere dai miei cari La machina era finita, e riuscita benone; le proviste di viaggio erano tutte in pronto; i cameli, e la scorta ci aspettavano, epperciò era arrivato il momento del fatale proficiscere più duro di quello dell’ultima agonia. Il mio cuore gemeva, e gemeva pure quello dei poveri giovani; erano gli ultimi gemiti più eloquenti [p. 307 = 307 bis] della parola che non poteva più articolarsi: tutto il mondo etiopico di 37. anni stava per diventare per me un mondo di sogni, ma sogni di rose e di spine! speranze fallite Io sperava in quel momento che il regno della carne che mi procurò tante battaglie, si sarebbe finalmente risoluto in fumo, ed avrebbe, o cadendo nel mare, oppure in qualche deserto, lasciato il mio spirito /277/ libero per volare a godere la compagnia di tanti miei compagni che mi precedettero nel campo etiopico, e di milliaja di figli che mi aspettavano nel campo dei trionfi, dove tutto è verità, dove tutto è realtà di bello e di buono eterno. O sciocchi del mondo, io diceva allora fra me stesso, o sciocchi, che vi pascolate di rose materiali di glorie e di piaceri che col goderle svaniscono: oh se conosceste quanto son belle le rose che fioriscono sul calvario ai piedi della croce, terreno bagnato dal sangue di Cristo; in così dire, io già mi credeva arrivato al Taborre con Cristo, ma erano le belle pazzie di Pietro. nuove battaglie. Ma sciocco anche io, [che] non faceva i conti col padrone: io non sapeva che egli mi aveva riservato la coda del mondo da scorticare, mondo di pagani nemici di Dio, e peggiori ancora dei poveri Galla, i figli cioè delle scimmie peggiori dei loro padri, i quali vomitano orribili bestemmie mai udite, bocconi di fiele riservati ad amareggiare il cuore, e prepararmi un martirio di nuovo conio.

tra amici e nemici Certe notizie portate dalla nostra Europa da negozianti greci poco prima arrivati dall’Egitto, quei medesimi che avevano parlato del richiamo di Goldon Bascia, stavano parlando alla moltitudine contro il Papa, e contro i Preti e Frati di Roma, e vomitando bestemmie contro Cristo e la sua religione; erano cioè alcuni framassoni accorsi [p. 308 = 308 bis] per distruggere il senso di compassione che aveva sollevato in Kassala la nostra comparsa, e la notizia del nostro esilio dall’Abissinia: poveri missionari, alcuni dicevano, sono cacciati dal crudele imperatore Giovanni, perché predicavano Cristo ai pagani. All’opposto, ben loro stà, dicevano i nostri frammassoni, essi sono inviati del Papa di Roma contro la libertà dei popoli, e vi predicano anche contro il gran Profeta Maometto, vadano essi alla malora. Questa tempesta di bestemmie contro di noi era arrivata sino alle mie orecchie, e mi trasportò l’imaginazione sopra i scandali di simili bestemmie sui nostri giovani, e sulla casa del nostro marronita, tutti là radunati per il Congedo. Posso dire che incomminciò allora il primo eco della persecuzione massonica [scatenata] contro la Chiesa. Come si trovavano là anche dei musulmani, una lunga dimora in Kasselà ci avrebbe sollevato anche alcuni disturbi anche da questa parte, ma fortunatamente eravamo di partenza.

Mentre si passavano intorno a noi le citate vicende, tutta la carovana nostra d’accompagnamento si trovò radunata sulla piazza publica, ma lontana dalla porta di uscita dalla città forte, e già alcuni stavano mormorando, come io mi intrattenessi in conversazione coi nostri giovani e col pusillo gregge cattolico, come un padre nel momento di separazione per un lungo tempo. Tutti i cameli [erano pronti], ed in specie il mio, /278/ carico del camelo [che] già si trovava in ordine con le sue due casse o letti, e la tenda già sopra indicata da ripararci dal sole. I cameli dal momento che sono caricati, [essi] non vogliono più saperne di rimanere corricati, ma sono inquieti, e [p. 309 = 309 bis] cercano [di] alzarsi in piedi, una sua ragione potente per la ragione, che, corricati il peso gravita supra l’umbilico, il quale per lui conta come un quinto piede, mentre all’opposto, restando egli in piedi, il suo grave peso divenendo pendolo, allora suol gravitare sopra la schiena. egli cerca [di] alzarsi Per questa ragione la povera bestia, appena conosce che l’operazione del suo carico è finita, egli per un bisogno irresistibile deve alzarsi in piedi; e per farlo rimanere corricato qualche tempo di più è di tutta necessità che il cameliere tenga la pianta del suo piede sopra il ginochio piegato della bestia. Ora, nel caso nostro, dal momento che le due casse furono legate in forma, non solo il camelo rimaneva inquieto, ma l’uomo stesso in quella posizione doveva gridarci di presto correre, ed entrare in cassa. tutto il mondo sopra di me; Già dalla sua parte entrava il mio Segretario che formava il pendolo, e cresceva la ragione che io entrassi subito per l’equilibrio del carico. Per questa ragione tutto il mondo rimaneva sopra di me, e cercava di farmi correre e sbrigarmi.

sono rapito Ciò posto, il mio lettore non stenterà [a] comprendere, come io in quel momento delicato di separazione per sempre dal mio piccolo gregge sia stato come rapito per forza dai camelieri stessi, e portato in cassa per l’equilibrio, dove mi aspettava già impaziente il mio compagno Padre Luigi Gonzaga. triste separazione
[10.1.1880]
Così io mi sono trovato rapito come per forza dalla mia stessa famiglia, e posso dire da tutta la mia cara [p. 310] Etiopia per sempre; il solo sguardo reciproco ancora ci univa, fino a tanto che noi camminando, ed essi accompagnandoci col simpatico loro sguardo, il caos si mise frammezzo per obligargli al ritorno in casa. rivolta di un camelo Girando l’occhio ho veduto che il solo nostro caro maronita ci veniva dietro, spiando il passo del camelo, ancora incerto di riuscita. La bestia, non ancora accostumata a simile carico, spiegò un passo incerto ed inquieto, fino a tanto che la povera bestia irritata andò ad imbattersi sotto un’albero, e poco mancò che non rovesciasse ogni cosa. Allora l’amico maronita, tutto inquieto, arrestò la [la] carovana, e fatto corricare il nostro camelo, quasi stava per farci ritornare indietro. Intanto, steso il suo stesso pallio sopra un poco di erba, e fattoci sedere, per calmarci dalla paura ci diede un bicchierino, e fatto consiglio coi camelieri, risolsero di cangiare il camelo.

cangiamento del camelo Per fortuna la questione terminò con una piccola manovra: scaricato un’altro camelo carico di gomme destinate per Soakim, e scaricato anche il camelo destinato per le nostre persone, [si] terminò ogni questio- /279/ ne col cangio del carico di due cameli. Fatto ciò, quando il nuovo camelo fù caricato delle nostre due casse, fece da principio alcune difficoltà, ma poi si rassegnò: siamo saliti di nuovo e [l’animale] prese il suo cammino tranquillo col restante della carovana. ritorno del maronita Il nostro bravo maronita, [p. 311] ci diede un servo che ci accompagnasse sino ad una vicina stazione coll’ordine di ritornare della stessa sera a Kassalà per tranquillizzare tutta la nostra gente del nostro pacifico cammino veduto, [dopo di che] egli poté ritornarsene a casa per organizzare [11.1.1880] la seconda carovana di monsignore Coadjutore e dei nostri giovani per i Bogoz e Keren. Domani arriverete ad una nostra stazione di soldati, dove esiste il telegrafo, non mancate di spedirmi un telegramma per nostra tranquillità e della vostra gente, disse, e se ne andò. si affeziona il nuovo camelo Il nuovo camelo prese affezione al suo novello carico, io ed il padre Luigi Gonzaga, il quale occupava la cassa di contrappeso alla mia, per quella sera potemmo camminare con tutta tranquillità nella nostra lettiga mezzo corricati e mezzo seduti, ognuno nella sua cassa, colla testa fuori della cassa a distanza di qualche palmo, potevamo anche discorrere, e prestarsi qualche reciproco ajuto.


(1a) Il nome Marron non è un nome di famiglia, ma di razza, vale Marronita. I marroniti del Libano e della Siria sono così chiamati da S. Marron monaco che lavorò molto per mantenere il cattolicismo di quella razza, la quale è la vera razza gerosolimitana caciata dai Greci scismatici. Stando [p. 306 = 305] a quanto mi diceva il Signore Anton, i marroniti dopo le crociate furono sempre protetti francesi; come tali sono sempre stati considerati dalle potenze in politica. [Torna al testo ]

(1b) Io ho avuto occasione di praticare musulmani di ogni risma, epperciò anche cristiani apostati. Ho trovato sempre questi ultimi più aversi al cristianesimo. Questi presentano per lo più il carattere satanico dei nostri apostati, passati all’eresia. La ragione è semplice e chiara: all’avvicinarsi all’apostata [di] un cattolico suole risvegliarsi nel suo cuore lo stesso senso che si risveglia nel ladro all’improvvisa presenza del derubato, senso cioè di diffesa, come fosse rimproverato. È giuoco di conscienza. [Torna al testo ]

(1c) Il lavamano in oriente, prima e dopo del cibo, esso è una vera necessità, perché a differenza dei nostri paesi, suole mangiarsi colle mani, e non col cucchiaio e forchetta. In Oriente incommincia [a] introdursi l’uso europeo fra le persone distinte, ma non in Abissinia, dove il nostro uso è anzi di ammirazione. Secondo la mia poca creanza, l’uso frà noi europei di lavare le mani e la bocca in tavola, è anche troppo progresso. [Torna al testo ]

(1d) Già si disse altrove [del]lo stato delle diverse colonie cristiane, anche di diverso rito e [di] diversa fede, quando esse si trovano fra i musulmani in luoghi lontani dai loro preti e dalle loro Chiese, esse sogliono spiegare una grande tendenza verso la Chiesa Cattolica, e presentarsi come figlii alla comparsa di qualche nostro sacerdote per la Messa, e per i sacramenti. In Kassala vi erano [da] dieci circa famiglie. Noi, come quasi tutti ammalati, non fummo in caso di esercitare un ministero molto attivo. Ma fummo assicurati [che] in occasione che veniva da Keren il sacerdote, essi [non] mancavano quasi mai di assistere [alle funzioni]. [Torna al testo ]

(1e) I Cameli, non solo del governo, ma anche dei privati, nei paesi di governo musulmano, possono essere sequestrati dal governo per i bisogni del medesimo, come già è stato detto altrove, scrivendo di Massawah. Il comandante Turco suole avere un certo monopolio sopra tutte le bestie da soma che vi sono in paese. [Torna al testo ]

(2a) Il mio lettore non deve dimenticare il già detto in Gadaref, rapporto a certe questioni che il Greco mercante Thomas aveva col Governatore generale di Kartum. Questo Thomas Giorgio aveva un gran potere sopra i greci del Suddan. Da una lettera che ricevo oggi mentre scrivo risulta che questo uomo millionario è stato spogliato di tutto, e si trova alla miseria. Da quanto risulta dalla lettera, pare che questo Thomas [p. 305 = 305 bis] Giorgio abbia intavolato la guerra o questione col governo egiziano per la restituzione di tutto. [Torna al testo ]