/280/

28.
Le tre strade verso il Mare Rosso.
Il salutare decotto di tamarindo.

un poco di ricreazione Veduto che il camelo prendeva una buona piega, si tranquillizzarono i nostri cuori; il padre Luigi Gonzaga, custode delle nostre proviste di viaggio, aveva collocato presso di se nel suo compartimento qualche bottiglia colla piccola pelle o otre di aqua e mi preparò un bicchiere di aqua con un poco di anisetto per smorzarmi la sete, e mettermi così di buon’umore. Ciò fatto, è inutile il dire, come il nostro cuore fosse afflitto per la separazione da Monsignore Coadjutore, e dai nostri cari giovani, alcuni [p. 312] dei quali gli abbiamo lasciati con qualche timore che non potessero continuare il loro viaggio: colloquio coi camelieri Se quei poveretti, dicevamo fra noi, potranno arrivare sino a Keren, le buone Suore di carità gli salveranno. Strada facendo al[c]uni dei nostri camelieri, alla nostra diritta, poco lontano da noi, e dalle belle colline etiopiche ci facevano vedere la strada che Monsignore Coadjutore coi giovani dovevano passare: voi non dovete temere, essi ci dicevano, perché lungo quella strada i missionarii di Keren, nel venire a Kassalà hanno fatto dei proseliti, ed amici, presso i quali, in caso di grave bisogno, troveranno ospitalità ed assistenza: non solo i vostri giovani, ma gli stessi camelieri del Signor Anton, là trovano latte, pane, ed alloggio, quando sanno dire[:] Salam lekì Mariam, e Besma Ab, Wold, Manfes Kedus, e Liela sagada. (1a) Ora ditemi un poco una cosa? voi non avete moglie, e chiudete gli occhi quando vedete una donna, epperciò non avete figli; ora come mai amate tanto questi vostri giovani, e vi fate tanto amare da essi? Cari /281/ miei, risposi io, è questo un gran mistero insegnato da Hissa (2a) e compreso solo dai cristiani cattolici.

arrivo alla prima stazione, e ritorno nel domestico Il nostro camelo intanto si era accostumato benone al suo nuovo genere di carico, ed in meno di due ore di viaggio siamo arrrivati alla stazione fissata dal nostro bravo marronita. Appena scaricati i nostri cameli, partì subito il servo lasciatoci dal suddetto nostro benefattore per Kassela, onde tranquillizzare la nostra gente della buona riuscita di tutto, munito di un nostro piccolo [p. 513] biglietto scritto coll’ametita, onde levargli d[a] ogni loro timore. la nostra carovana La nostra carovana era composta di sei cameli carichi di gumme a conto del padrone, col nostro facevano sette, e due dromedarii di cavalcatura appartenenti ai due soldati di scorta statici dati dal governo, i quali avevano ordine ad ogni caso di bisogno ed a nostra semplice domanda di cercarci aqua buona da bere, del latte, ed anche della carne dai vicini bedovini. In tutto erano nove cameli, quattro servi del maronita, i quali tutti erano stati pagati da lui, e muniti delle provisioni di viaggio. allegria della medesima Il luogo della nostra stazione era bellissimo, ricco di erba e di aqua da bere. L’aspetto di tutto contribuì molto ad una quiete e tranquillità di tutta la nostra carovana. Abbiamo passato una serata tranquilla ed una notte ancora migliore. vitto del camelo, proverbio di un cameliere. Mentre tutti giravano verso sera io stava osservando i nostri cameli: io resto [stupito], dissi ad un cameliere, come con tutta questa bell’erba nessuno dei cameli la mangia, essi vanno girando [tra] gli alberi per cercare verdura da mangiare. La natura del camelo, mi rispose, fintanto che trova foglie di alberi non suole toccare l’erba; quando non trova altro si attacca all’erba; esso, quando non trova alberi o brossaglie, non sta bene; il bimbo beve latte, ma l’adulto mangia pane, così suol dirsi del camelo piccolo o grosso.

nostro viaggio in buone condizioni L’indomani mattina, lasciata quella stazione, appena preso un poco di caffè, e fatta una piccola colazione prima del giorno, con tutta facilità si caricarono i cameli, e [e] fù messo in ordine anche in nostro, senza nessuna [p. 314] difficoltà; il nostro camelo anzi, da quanto pareva, aveva preso gusto al suo carico di nuovo ordine: la nostra bestia da soma aveva già provato che il suo carico, benché nuovo era molto più leggiero del primo, ed il nostro cameliere aveva saputo accaparrarsi /282/ quel rozzo animale, probabilmente con un poco di sale; egli, arrivato il momento del carico, non aveva che [da] chiamarlo, e subito era all’ordine per lasciarsi caricare, e senza tante cautele attendeva docilissimo che noi fossimo saliti al nostro posto, e non soleva levarsi prima che noi fossimo in pieno ordine di battaglia, e fosse comandato di alzarsi. Questo ci rallegrò molto, e contribuì non poco alla nostra tranquillità. buone qualità del camelo Il camelo degli arabi, ed il mulo degli abissini, di cui ho già avuto occasione di parlare altrove, sono animali di molto sentimento, per quanto possono essere capaci le bestie. Anche l’uomo che ha cura dei medesimi conosce molto l’arte di trattarli, e di affezionarli. avvisi al v[i]aggiatore. Il viaggiatore, massime straniero, se non vuole avere cattivi incontri, deve prima di tutto assicurarsi di avere con se una persona pratica ed affezionata, e poi lasciarsi guidare da essa, lasciando a lui la scielta dell’animale, e della strada da prendere. Ancorché la persona suddetta non fosse degna di tutta la sua confidenza, il viaggiatore deve fingere di averla, e guardarsi bene di esternare la sua diffidenza, anche giusta, poiché quando non si può calcolare sopra il timore di Dio, l’unico mezzo termine sarà quello dell’onore; perduto l’elemento del timore di Dio non rimane al uomo in società altro mezzo che l’onore e l’adulazione in paese straniero: [p. 315] i quali sono in verità basi di criterio molto fragili, perché per lo più sempre in concorso con altre passioni, le quali possono prendere un sopravento, e condurre l’uomo all’abisso. È questa una massima utile non solo al viaggiatore all’estero, ma anche nella nostra società europea.

nostro viaggio della mattina seguente Abbiamo camminato felicemente tutta la mattinata tenendo sempre la via nord-Est ai piedi delle altezze etiopiche del Tigrè, per la strada medesima che avrebbero dovuto tenere i nostri giovani guidati da Monsignor Coadjutore frà uno o due giorni per recarsi a Keren fra i Bogoz.

un ricordo antico del fuoco
[feb. 1850]
Ci siamo riposati verso mezzo giorno sulla riva di un fiumicello, il quale dai miei calcoli pensava essere quello stesso che nel 1849. nell’alto piano dell’Amassen, fuggendo le truppe di Degiace Sciettù figlio di Ubbie, nel mio ritorno a Massawah ci salvò dall’incendio. Secondo il mio calcolo quel fiumicello doveva essere il Reheb, il quale dopo aver bagnato quelle altezze dell’estremo Nord del Tigrè, e bagnate pure [quelle di tutto] il pendente Ovest, sopra il piano del Suddan, e nell’entrare del deserto era divenuto molto piccolo. Dopo aver preso là un poco di ristoro: vedete, mi disse il nostro fido cameliere, domani o dopo domani la vostra carovana, venendo da Kassalà, passerà quì la sua prima notte, e poi lascierà la nostra strada, e prenderà la via Est frà [frà] quei scogli, mentre noi stassera prenderemo il Nord, per arrivare al villaggio /283/ che ci dovrà dare l’alloggio, dove troveremo il telegrafo per Kassalà. Oggi 1885. mentre [p. 316] [18.2.1885: progetto riportato dal Diritto] sto scrivendo questo mio itinerario, mi passano per le mani alcuni giornali che stanno pascolando i loro lettori di piani, o meglio di utopie sopra imaginarie campagne dell’armata italiana, stazionata a Massawah, in diffesa di Kassalà. tra Kassala e Massawah Io lascio intatta la questione sopra le difficoltà o di prendere o di custodire quella piazza forte occupata da una popolazione musulmana animata dallo spinto ostile della Meka, luogo molto isolato fra popolazioni nemiche per le comunicazioni col mare; io voglio toccare il solo punto della strada da Massawaha a Kassala.

Io conosco la posizione di Massawa, e compatisco i poveri soldati se non l’amano: bramerei anzi di vederli lontani, massime nei mesi di pieno inverno per i pericoli che io conosco in quella stagione, benché la meno calda, e la meno dolorosa per i soldati, ed anche la più commoda allora per un movimento dell’armata, epperciò io [non] sarei mai contrario al piano di una campagna a Kassala. Ripeto quindi che io intendo solo di parlare della strada da Massawah a Kassala. Tre sono le strade possibili per un’armata da Massawah a Kassala. la strad[a] dell’Amassen La prima, la più breve, e la più diretta sarebbe quella di attraversare l’Alto piano etiopico nella sua estremità nord del medesimo tenendo la via dell’Amassen, dove si trova erba ed aqua. Ma per questa avvi frammezzo la politica abissina poco fedele, anche nel caso che il governo la permetta. Per questa il trasporto è molto difficile, non potendo servire il camelo, e dovendosi fare coi muli, e cogli asini o bovi, in certi luoghi, dove è in uso il carico di schiena per questo animale. [p. 317] strada per Keren La strada da Massawa a Kassala per la via dei Bogoz e di Keren, essendo circolare intorno alla punta nord dell’alto piano etiopico, essa è di un terzo più lunga, ma molto piana. Per questa si trovano i cameli per i trasporti. Anche per questa strada è da calcolarsi la politica poco rassicurante dell’imperatore Giovanni, la quale anche nel caso di essere favorevole, non è sempre sicura, potendo indirettamente chiudere gli occhi, oppure favorire certe imboscate di tribù a metà so[tto]mmesse, le quali, senza comprometterlo potrebbero essere fatali alla povera armata dispersa. In alcuni luoghi di questa strada vi regna il miasma di cattiva febbre, anche tra Keren e Massawah.

via del mare Fuori delle due strade sopra citate, rimane la strada del mare, nel senso che l’armata [può essere] trasportata da una flotta ad un punto del litorale africano da Massawah a Soakim per prendere un punto di partenza nel luogo più vicino e diretto dal mare a Kassala. Il deserto tra il mare e Kassalà è il paese ove Osman Digma ha radunato la sua armata /284/ contro Soakim e Kassalà. La sicurezza di questa strada dipenderebbe dalla presenza di armate nemiche, che potrebbero trovarsi nel deserto medesimo. In caso affermativo, neanche sarebbe possibile lo sbarco, ed in tal caso l’armata nemica, per lo meno, potrebbe impedire la compra dei cameli necessarii per il trasporto. Sarebbe allora il caso dell’attacco di Soakim stesso contro l’armata inglese, epperciò impossibile la strada supposta. [p. 318] Io quì ho voluto dare solo un’idea delle strade da Massawah a Kassalà, e non ho toccato il caso di attacchi di nemici nel deserto stesso, oppure per parte della fortezza di Kassala stessa divenuta nemica, caso anche possibile, trattandosi di un’armata Cristiana in paese musulmano, perché in tal caso dipenderebbe dalle circostanze, e crescerebbero le difficoltà. Il detto basta nel caso presente per rispondere alle esaggerazioni dei giornali dell’epoca in cui scrivo. In questo ultimo caso, la sola presa di Kassala supposta nemica sarebbe poco inferiore alla presa dello stesso Kartum.

partenza ed arrivo al villagio del telegrafo Ciò detto di passaggio, facio ritorno alla storia del mio viaggio da Kassakà a Soakim. Dopo il riposo del mezzo giorno, quando il sole incomminciava [a] declinare e rendersi meno ardente abbiamo ripreso il nostro cammino verso il villaggio del telegrafo, tenendo la via più al nord, dove siamo arrivati nella sera un’ora circa prima dell’occaso. Il nostro viaggio fu felice come quello della mattina, in modo che col mio compagno abbiamo potuto fare in coro alcune nostre preghiere di uso. telegramma per Kassala Appena arrivati al piccolo villagio il primo nostro impegno fu quello di spedire il promesso telegramma alla nostra carovana, onde tranquillizzare tutti sul punto del nostro viaggio, augurando loro un buon viaggio [da Kassala: 12.1.1880;
a Keren: 21.1.1880;
ad Aden: 5.3.1880;
per l’Europa: 4.5.1880]
alla volta di Keren. Le raccomandazioni del nostro maronita presso alcuni suoi amici del villagio ci avevano procurato il regalo di un bel capretto e di qualche vaso [p. 319] di bilbil (1b). Con ciò, e con le abbondanti proviste che avevamo; abbiamo trovato una mediocre cena. Alla casa dove eravamo alloggiati venne l’officiale del telegrafo per darci conto del telegramma spedito a Kassala, al quale ho voluto domandare le parole da lui spedite. Fu egli imbarazzato a questa mia domanda: cosa vuole? disse egli, io prima serviva il telegrafo franco (2b) e le cose /285/ camminavano bene, oggi hanno voluto mettere dapertutto il telegrafo in lingua araba; questa si presta poco, e qualche volta stentiamo [a] capirci: ho detto che voi eravate arrivati bene, e che anche il camelo si portava bene. (3a) Mi fu confermata da questo medesimo uffiziale del telegrafo, [la notizia] che Goldon Bascià [gen. 1880] era partito per Londra, e che aveva rinunziato al governo del Suddan e del mare rosso. Parlando quindi col medesimo del nostro viaggio per l’indomani: domani, disse egli, arriverete alla stazione del Governatore Goldon, dove troverete case da abitare. Questa stazione è la prima che si trova dopo Kassela sulla strada di Soakim, e dopo questa ne troverete otto prima di arrivarvi. Le fece costruire Goldon per i suoi viaggi; egli da una all’altra ci occupava un giorno, ma voi [ne] avete bisogno di due giorni. Questo uffiziale piangeva la partenza di Goldon: i mercanti l’han fatto partire, perché vogliono regnare essi: se viv[r]ete, aggiunse, vedrete la rivoluzione del Suddan.

alcune rivelazioni. Dietro i consigli dell’uffiziale suddetto si conchiuse la sera il piano del viaggio per l’indomani, e ci siamo messi a dormire. Passata che fù la notte, di buon mattino, preso un poco di caffè, ci siamo messi in viaggio. Era il terzo giorno dalla nostra partenza da Kassalà; mentre la nostra carovana, forze nell’ora medesima, lasciava quella città [p. 320] e partiva alla volta di Keren, noi fecimo vela per Soakim in mediocre stato di salute. il mare del deserto, e la barca vivente Il deserto è come il mare, dicono gli arabi, ed i cameli servono di barche; i nostri occhj vagheggiavano la nostra barca vivente, unica nostra speranza per poter arrivare al porto di Soakim. Il nostro bravo camelo prendeva ogni giorno più affezione a noi ed al suo carico. Se noi avevamo qualche bisogno di fermarci e discendere, al menomo segno del suo cameliere, egli dolcemente s’inginocchiava e corricava: discendendo noi ed allontanandoci, col suo lungo collo girava la sua testa e ci accompagnava coll’occhio sino al nostro ritorno, e ci vedeva volontieri [a] risalire, per alzarsi e riprendere il suo cammino quasi patriarcale, era per noi un divertimento da farci ridere anche [se] ammalati. nostro pranzo alla fonte Così di buon umore abbiamo camminato la mattina più di quattro ore sino dopo le dieci, quando occorreva il bisogno di lasciare riposare il nostro drapello ambulante all’umbra di alcuni alberi e vicino al fonte. Mentre si stava facendo un poco di menagio di cucina dalla nostra guida, e bolliva la pentola del riso quotidiano, gli ho domandato se ancor molto distava la stazione di Goldon: almeno tre ore, ci rispose, e vi arriveremo stassera.

/286/ Mangiato il nostro riso, ed un pugno di datili che formavano il nostro pranzo, si bevette un bel bicchiere alla fonte, tirata l’aqua dalla fonte, ossia da un pozzo profondo qualche mettro, il mio guardaroba P. Luigi Gonzaga vi aggiunse qualche goccia di annisetto per dare un’indirizzo alla insipidezza dell’aqua non molto profonda, [p. 321] epperciò sempre ritenente un poco di limacioso dal gran terreno vegetale del deserto, come deposito delle pioggie e non sorgente viva. il nostro camelo Ciò finito ci siamo allontanati qualche passo all’umbra di un gran albero di tamarindo carico di frutti immaturi ancora. Fatta una breve conversazione, stavamo facendo una breve preghiera che teneva luogo del vespro, il nostro camelo stava spiculando foglie, e verdi punte di un’albero vicino, mentre girando il suo luogo collo ci salutava con qualche sguardo, quasi invitandoci alla partenza: Povera bestia! disse il P. Luigi faceziando, se questi signori mi abbandonano, pare che dica, io dovrò riprendere i due gran pesi di gomma che mi facevano barcolare, povero me!

partenza e direzione di via. Arrivò intanto l’ora della partenza, verso le due pomeridiane, fù ricondotto il nostro camelo e si allestirono i carichi, ed eccoci di nuovo in barca solcando le onde del deserto. La nostra direzione era al nord-nord-est. La punta nord dell’alto piano abissino, incomminciava già [a] girare dietro di noi, lasciando a nostra diritta una sua coda più bassa seminata di colinette e scogli, i quali si andavano allontanando ed abbassando: era quello il terreno dei Bogoz e degli Abab che si perdevano all’est nell’orizzonte. prima stazione di Goldon Quando il sole incomminciava [ad] avvicinarsi all’orizzonte, verso le sei di sera, il nostro cameliere ci fece vedere un gruppo di alberi con qualche segnale di case alla distanza di qualche kilometro avanti di noi, ecco là la stazione del Governatore Goldon, dove passeremo la notte. [p. 322] In fatti in meno di un quarto d’ora vi siamo arrivati. Era un bellissimo luogo: un recinto contenente cinque o sei capanne tra grandi e piccole, vicino ad un pozzo o fontana a poca profondità. Nella capanna principale, detta del Governatore Goldon, vi abbiamo trovato due letti, quanti bastavano per noi due missionarii; gli altri della carovana si adagiarono in altre capanne, dove misero tutti i carichi dei cameli. Trovammo anche alcuni attrezzi di terra cotta per l’aqua e per fare un poco di cucina in un’apposita capanna. Di questo formato sono tutte le stazioni del governatore sino alle vicinanze di Soakim, ci disse la nostra guida, poco presso come già è stato detto di quelle tra Matamma e Doka. La nostra gente non tardarono ad aggiustarci i letti, e prepararci un poco di cena. distanza tra Kassalà e Soakim. Le stazioni di Goldon Bascia erano poco presso il doppio delle nostre; egli [come] militare con un’accompagnamento di cavalieri sopra dromedarii faceva circa dieci leghe ogni giorno, mentre noi sopra cameli di carico che vanno solo al /287/ passo, ne facevamo cinque al più; per questa ragione a noi [ci] bisognavano due giorni per arrivare da una stazione all’altra del governatore. Da ciò si può argomentare che da Kassalà a Soakim la distanza doveva essere almeno di 80. leghe, essendo otto le stazioni.

Stando a questo calcolo, alla nostra carovana, dalla prima stazione del Governatore per arrivare alla seconda bisognava calcolare almeno due giorni. Noi in quella prima stazio[ne] eravamo molto meglio di salute, ma l’esperienza ci aveva ammaestrato che questo nostro meglio poteva cangiarsi in peggio da un giorno [p. 323] [da un giorno] all’altro, con novella recrudescenza o attacco di febbre, poi, non essendo noi ancora sortiti dal Suddan, ma sempre ancora sotto la pressione del miasma fatale; epperciò abbiamo creduto [di] prendere nuove precauzioni, decotto di tamarindi bevendo una gran dose di decotto di tamarindi, per prepararci ad una gran dose di solfato di kinino. Dopo ciò si sentiva il bisogno di un poco di riposo; si pensava quindi di ridurre la giornata del[l’]indomani ad una piccola mossa. Il progetto sarebbe stato bello, ed approvabile da tutti; sarebbe stato anche meglio fermarsi un’intiera giornata in questa prima stazione, dove ci troviamo in riparo nella notte dalla roggiada, osservò uno dei camelieri, ma con degli ammalati, rimanere in viaggio non è prudenza; se noi faremo una piccola mossa, non troveremo una stazione per la notte di domani, ed avremo bisogno di tre giorni per arrivare alla seconda stazione di Goldon. Abbiamo preso il consiglio del cameliere, disposti anche di fare uno sforzo per arrivare in due giorni alla seconda stazione suddetta.

partenza dalla stazione; quarto giorno Non ostante la forte dose di decotto di tamarindi, che doveva servirci di purgante, la mattina seguente, quarto giorno dalla nostra partenza da Kassalà, prima della levata del sole, abbiamo preso alle buone in nostro bravo camelo, e ci siamo imbarcati, secondo il linguagio degli arabi. Il decotto di tamarindi ben saturo, ed in forte dose, di un buon litro cioè, ha questo di buono, che serve di buon purgante e rinfrescante nel tempo stesso senza affaticare la persona, a segno che io soglio prenderlo senza lasciare le mie occupazioni diurne ed anche notturne della preghiera e del tavolino: lascia la persona sempre fresca di mente e di corpo. effetti del tamarindo Ma bisogna confessare che ha un effetto così pronto ed improvviso [p. 324] certamente poco commodo per chi sta sopra [un] camelo col bisogno di una certa manovra per discendere, cercarsi un luogo appartato e piano di un deserto, quasi senza cespugli. Eppure nel viaggio di quella mattina convenne parecchie volte arrestare la carovana, discendere e rimontare, poiché in simili casi non vi sono ragioni che valgono, e la nostra pazienza, e la bontà del camelo fù l’unico rimedio.

/288/ Con tutto ciò abbiamo camminato benone tutta la mattina, e siamo arrivati freschi, e senza stanchezza eccessiva al luogo desiderato dai nostri camelieri per il riposo verso mezzo giorno. Bisogna dire che il tamarindo preso in forma di decotto è un bellissimo purgante e rinfrescante nel tempo stesso. In questi nostri paesi qualche volta ho voluto prendere il tamarindo dalle farmacie nostre preparato diversamente e crudo, l’ho trovato sempre più indigesto e senza ottenere l’effetto di purgante. Il solo mio compagno religioso sa prepararmelo bene e nella quantità occorrente all’effetto desiderato.

riposo del giorno Fortunatamente il luogo di riposo nel giorno era sufficientemente umbroso vicino ad un piccolo pozzo di aqua. I nostri camelieri [ci prepararono] un bon letto ed una buona minestra di paste, dove, presa la nostra refezione con sufficiente appetito ci siamo posti a dormire saporitamente. orario di viaggio; I nostri bravi camelieri, i quali conoscono i luoghi, e sapevano il viaggio che ci rimaneva per arrivare alla stazione della notte, ebbero compassione di noi e ci lasciarono dormire, e dormirono essi stessi sino dopo le due; gli stessi cameli già assuefatti a quelle strade, quasi sembra che sappiano l’ora di partire [p. 325] per arrivare alla stazione conosciuta, quando ci siamo levati, essi stessi dopo aver riposato il necessario, già erano in piedi brottando i pochi cespugli che vi erano, e ci stavano guardando, quasi invitandoci alla partenza. Tale è il camelo quando cammina per una strada conosciuta. un bel rimarco Il viaggiatore che viene dall’interno dell’Africa, dove ha passato molti anni, esso si trova senza orologio, [perciò] egli deve lasciarsi guidare, non solo le persone di accompagnamento, ma gli animali stessi pare che conoscano l’ora di partire, perché il sistema di vita patriarcale ha il suo modo di calcolare, purché si lasci fare e non si facia violenza. Io stesso già mi era accostumato a questo sistema, e senza orologio. Sia di giorno che di notte già conosceva le mie ore, mi bastava perciò l’umbra del sole, il corso delle stelle, il canto degli ucelli, e persino i scoiattoli delle grotte dove mi trovava. Le continue invenzioni della nostra società europea, sono cose molto belle, ma non dobbiamo dimenticare l’idea di una fabrica troppo complicata, la quale minacia rovina; essa solleva le passioni, e la sola arte romana perfezionata da Cristo potrà tenerla in piedi.


(1a) Salam lekì Mariam vale[:] Ave Maria. Besma Ab, Wold, Manfes Kedus, vale[:] nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. I Camelieri, anche musulmani, con questi termini imparati ad hoc, ottenevano ospitalità da quei poveri catecumeni. [Torna al testo ]

(2a) Gesù Cristo dagli arabi è chiamato Hissa, nome che letteralmente vale[:] Jesus o Gesù. Maometto nel suo corano, onora molto Gesù Cristo, come gran Profeta che deve giudicare il mondo: esso lo confessa nato per opera dello Spirito Santo; venera pure la sua madre Maria confessando la sua verginità. Questa dottri[na] che si vede nel Corano, è poi guastata dai predicanti musulmani. [Torna al testo ]

(1b) Bilbil è una specie di birra propria del Suddan. Da quanto ho potuto vedere, si fa bollire la melinga rossa, e si fa fermentare l’aqua della medesima aggiungendo orzo fermentato. Essa è dolce e piccante. [Torna al testo ]

(2b) La lingua araba che ha molto [suono] gutturale con delle vocali caratterizzate da accenti, è chiaro che tutto ciò resta difficile a trasmettersi tdegraficamente. È stata addottata questa lingua, perché altrimenti sarebbe stato difficile trovare uffiziali conoscenti le lingue europee per tutte le stazioni. [Torna al testo ]

(3a) Invece di dire[:] anche il camelo camminò bene, dire[:] anche il camelo si porta bene e un’errore di lingua, come è chiaro. [Torna al testo ]