/289/

29.
Sguardo nostalgico e perdono evangelico.
rapina militare e «idolotiti».

nostra partenza di sera Arrivato per noi intanto il momento di partire, poco bastò per mettere in ordine la nostra carovana, ed in pochi minuti di manovra già tutto era all’ordine per rientrare nelle nostre providenziali casse per riprendere il nostro cammino, il quale durò circa tre ore, e fu molto più tranquillo della mattina, perché il decotto di tamarindo avendo nettato il nostro ventre, questi rinfrescato ed in riposo non sentiva più il bisogno di farci discendere, e potemmo [p. 326] proseguire il cammino senza interruzione. l’abitudine del camelo Quando il sole era ad un’ora o poco meno dall’orizzonte i nostri cameli incominciavano ad affrettare il loro passo, segno evidente, che il luogo della nostra dimora per la notte si avvicinava: essi vedevano a qualche kilometro lontani i loro cari alberi da brottare [= brucare], difatti non tardammo ad arrivare; appena giunti, senza aspettare il comando, corsero subito a prendere il posto loro. Allora ho compreso subito la ragione per cui la sera precedente consigliando[mi] coi camelieri [essi] furono contrarii al mio piano di limitarci ad una piccola corsa; essi sapevano che quei loro animali, accostumati a quella strada, ed a quelle date stazioni, non amavano di essere contrariati. quella di certi uomini A parte gli animali dei nostri paesi di Europa, i quali non mancano di manifestare simili abitudini, gli stessi nostri contadini, accostumati a certi sistemi di coltivazione, difficilmente si prestano a certe novità di apparente miglioramento, perché nel loro sintetico criterio tradizionale, non mancano ragioni non sempre calcolate dai novatori, i quali, guidati da analisi particolare, vorrebbero cangiare: i nostri vecchj ne sapevano più di noi, sogliono dire i contadini, e non sempre senza ragione. Anche in materia di progresso e di così detta civiltà, non solo molti contadini, ma non pochi di coloro che hanno dato il nome alle sette massoniche, se non temessero, terrebbero lo stesso linguaggio, travagliati essi da una certa indigestione di troppa libertà che finisce con una vera schiavitù madre di una vera fame canina.

/290/ la stazione La nostra stazione per la notte adunque era una bella stazione, ricca cioè di erba, di aqua, e di alberi tanto cari ai nostri animali, ma era una stazione all’aperto, esposta alla pioggia ed alla rugiada, perché senza capanne. I nostri cameli, appena scaricati, corsero subito a brottare gli alberi, benché esistesse colà un’erba deliziosa. La nostra gente ebbe tempo a prepararci i letti ed una [p. 327] mediocre cena, mentre io ed il mio compagno abbiamo preso una prima dose di kinino, e preparatane altre per la notte. un’occhiata indietro Ciò fatto abbiamo fatto un giro per orizzontarsi, fui stupito di vedere gli ultimi getti nord dell’alto piano abissino già rimasti dietro di noi, e che io andava perdendo di vista quella mia seconda patria tanto cara, dove io sperava [di] morire; fù allora che ho incomminciato [a] sentire al vivo il mio esilio, e la separazione per sempre dal paese del mio apostolato. il mistero della carità Il mio favorito cameliere vedendomi turbato: facia coraggio, mi disse, domani arriveremo alla seconda stazione del Governatore Goldon, e di là non si vedrà più il paese dei vostri nemici: Sciocco che sei, [ribattei io,] tu chiami paese di nemici il paese dei miei cari figli? Ma ditemi, riprese egli, l’imperatore Giovanni che vi ha caciato non è vostro nemico? Che sia mio nemico lo saprà lui, e lo saprà Iddio, risposi, io so solamente una cosa, che egli cioè è mio figlio. Quando è così io non comprendo più nulla, rispose il povero musulmano. Figlio mio, gli dissi io, tu hai ragione di non comprendere questo gran mistero cristiano, perché lo stesso tuo gran profeta Maometto non l’ha compreso, e qui sta la gran differenza o lontananza tra il Cristiano ed il musulmano. Quì finì la nostra questione, ed io non andai più avanti, ma il mistero rimase scolpito nel cuore del mio cameliere, il quale in tutto il viaggio non faceva che ripetere[:] io non capisco...

Partenza dalla stazione L’indomani abbiamo lasciata la nostra bella stazione prima della levata del sole, perché nella giornata dovevamo arrivare alla seconda stazione di Goldon per la sera, e strada facendo, io di quando in quando, stava guardando indietro verso le ultime rimembranze della cara Etiopia, [p. 328] che nella giornata doveva essermi sepolta per sempre dal caos dell’orizzonte. Il mio cameliere cammina[va] a canto del camelo dalla mia parte, ed a mia diritta, e quelle mie certe girate di testa indietro verso l’Abissinia non gli piacevano, e facendo certe scrollate di testa, andava ripetendo di quando in quando: io [non] ne capisco più nulla... nulla... nulla. Così se ne passò la mattina del quinto giorno dalla nostra partenza da Kassalà. fatto dei due soldati Dopo il riposo di mezzo giorno i due soldati del nostro accompagnamento si separarono da noi, dicendo che andavano a cercare un poco di carne per noi e per la carovana secondo le istruzioni /291/ del governo, come essi dicevano, senza domandarmi il necessario per comprarla; restarono quasi tutta la sera senza farsi vedere. Quando noi verso sera, [eravamo] in viaggio verso la stazione, e non molto lontano da essa, arrivarono i due soldati suddetti riportando una capra ed un capretto, coll’intenzione di farne un regalo a me, sperando di ottenere un qualche compenso. Io che già anticamente conosceva il costume dei soldati turki ed egiziani di prendere colla forza dai poveri bedoini, ho pensato meglio [di] rifiutarli per tenermi fuori dal peccato di rapina da loro commessi. Questo mio rifiuto spiaque loro ed alla carovana, come se fosse stato per avarizia [questo mio rifiuto]: io non ne mangio, dissi, ma quando saprò che voi gli avete comprati per me non ho difficoltà di darvi il prezzo e farvene un regalo; altrimenti non posso prender parti alla vostra rapina, e così finì la questione...

arrivo alla stazione [di] Goldon Arrivati così alla seconda stazione così detta del Governatore Goldon, scaricati i cameli, e preso possesso del luogo, mentre gli uomini facevano i consueti servizii di preparare il letto ed altri simili lavori di uso anche per noi, un consiglio del mio fido il mio fido cameliere mi prese [d]a parte, e cercò di persuadermi ad acettare il regalo [p. 329] dei soldati pro bono pacis, adducendo che essi avevano faticato con questa speranza, aggiungendo che il Governatore Goldon soleva così fare, ed anche rimunerare largamente simili regali. Conobbi allora che la nostra questione non era finita, e che rimaneva ancora in tutta la sua forza la questione della giustizia coi bedovini stati [de]rubati, e quella dello scandalo religioso in caso di mangiare di quella carne scannata da musulmani, secondo l’opinione dei nomadi e degli abissini. [Dissi al cammelliere:] non sollevare più questa questione, perché tu sai che noi siamo preti Cristiani. Goldon Bascià era un secolare ed ignorava la questione religiosa del paese e poteva fare quello che non possiamo fare noi senza scandalo. Mentre si stavano facendo questi discorsi, ecco arrivare un bedovino a cavallo di un camelo per riclamare il prezzo della capra e del capretto. mia decisione Molto bene, dissi al mio cameliere, domanda il rigoroso prezzo quale è, e lo pagherò, e così sarà finita la questione del prezzo delle capre; quale pagato, non rimaneva più altra difficoltà che quella dello scandalo religioso, cosa anche di gran peso nell’opinione [pubblica].

questione della carne Il mio lettore si ricorderà di ciò che ho già toccato altrove sopra la carne scannata dai cristiani e dal musulmani in Abissinia, come linea di demarcazione tra l’islamismo ed il cristianesimo. Questa questione è vivissima frà le popolazioni del deserto, dell’alta Nubia, del Suddan, del Sennaar, e di tutte quelle razze, dove più e dove meno. Essa in parte è la questione degli idolotiti mentovata da S. Luca nel libro degli atti /292/ apostolici; questione non totalmente estinta nello stesso oriente; quasi scomparsa nel quinto e sesto secolo, quando il cristianesimo diventò padrone di tutti quei paesi, e poi rediviva sotto il dominio dell’impero della mezza luna. Questa questione è disprezzata da molti dei nostri [p. 330] come una vera superstizione o vana osservanza, e non mancano viaggiatori nostri europei, i quali arrivano anche a criticare i nostri missionarii che l’osservano e la fanno osservare nelle loro case e dai loro neofiti. Prima di criticare ed anche condannare una questione pratica, bisogna studiarla nella sua origine, e nelle attuali sue circostanze, cosa che non si può pretendere da viaggiatori secolari.

l’uomo e le sue fasi Non è quì il luogo di scrivere trattati, basti notare che l’uomo, come individuo, e come membro della società, [esso] è un mistero che si sviluppa con un’analogia ammirabile. Come individuo è un’embrione nell’utero della madre, è un’essere imperfetto, insufficiente per se, e per la società di cui è parte, nella sua infanzia, è un mistero di avvenire nella sua giovinezza, e tocca la sua perfezione nella [sua] virilità. la Chiesa e le sue epoche Tale è altresì la società religiosa del uomo, che noi chiamiamo Chiesa, oppure famiglia dei credenti, che adorano e servono Dio loro creatore e redentore; il grande atto religioso allora fu l’imolazione di animali ed il Sacerdote fu il Padre di famiglia, il primogenito dei fratelli. Più tardi Iddio diede dei Sacerdoti consacrati a Lui, ed una liturgia col mezzo di Mosè, la quale era piena di figure. Finalmente per mezzo di Cristo, [si ebbe] la perfezione ed il complimento. l’imolazione di animali Ora l’imolazione di animali, ed il Sacerdozio in famiglia fu legittimo fino a Mosè, e si mantenne sempre come osservanza esterna in tutte le razze pagane primitive che non acettarono il rito mosaïco. Questo poi fu legittimo e pieno di figure sino a Cristo Sacerdote eterno, e compimento di tutte le figure. Ora cosa è questa immolazione di animali che si trova sparsa in tutto il mondo frà le razze pagane, o semi pagane[?], essa è la religione primitiva, riprovata da Dio, nelle età posteriori delle varie società religiose dei figli di Adamo. cosa è a[i] giorni nostri La questione attuale [p. 331] che ci occupa dell’immolazione di animali, è la lotta della religione primitiva riprovata da Dio, colla vera religione di Cristo. Questa medesima lotta, è un gran peccato di infedeltà e di apostasia nei luoghi dove è stato predicato Cristo; ma nel tempo stesso può essere un’atto semplicemente vano e superstizioso, ma scusabile e senza peccato, quando Cristo non è stato predicato.

un caso pratico Quì sta lo stato della questione pratica attuale nostra. Un missionario apostolico che lascia il suo paese, ed arriva frà popoli pagani oppure semipagani, dove esistono ancora le tradizioni di religione primitiva cir- /293/ ca l’immolazione di animali, come atti religiosi, e come sacrificii, siano pure questi popoli musulmani, o mezzi cristiani corrotti che hanno conservato simili pratiche religiose, resta a vedere, se essi prima di far conoscere Cristo, possano sì o no impugnare simili pratiche, divenute segno di demarcazione della loro falsa religione. una mia soluzione provisoria Noi missionarii, venuti da paesi cristiani, dove simili atti superstiziosi sono sepolti da secoli, in modo da non rimanervi neanche più il segno, è chiaro che dobbiamo provare per i medesimi una ripugnanza, e direi di più[:] un certo dovere di condannarli; ma resta a vedere se prima non dobbiamo far conoscere Cristo come fondamento della nostra fede, per non esporsi a commettere uno scandalo, quasi lo stesso che indusse gli apostoli in Gerusalemme ad ordinare l’astinenza degli idolotiti. Ecco la questione pratica che io lascio alla Chiesa di decidere, ma che poi ho creduto provisoriamente [di] tollerare per non essere di scandalo ai popoli, ai quali doveva prima far conoscere Cristo e la sua legge pri[ma di] arrivare a condannare le suddette superstizioni.

Ciò tutto presupposto, io rientro nella mia storia del viaggio e prego il mio lettore di riflettere al sin qui detto prima di formare il suo criterio relativamente [p. 332] alla mia condotta tenuta coi due soldati che mi portarono la capra ed il capretto. giustizia verso i soldati In questo fatto il mio criterio mi presentava due debiti: il primo era quello di non prendere parte alla rapina commessa dai medesimi a danno dei poveri bedovini. A questo debito ho soddisfatto pagando i bedovini daneggiati. I soldati nelle stazioni militari lontane sogliono esercitare un certo pigliagio a modo abissino con una certa quale ragione, perché i poveri soldati, oltre [a] essere poco pagati, le loro paghe vengono ritardate, per[ché] l’amministrazione suole speculare sopra il ritardo, e sopra i morti. la parte pratica dello scandalo Il secondo debito riguardava la questione religiosa che veniva di conseguenza da due parti. Se io non mangiava di quella carne da[i] musulmani immolata poteva sollevarsi la questione religiosa molto pericolosa in simili viaggi. Se poi io ne avessi mangiato sarebbe avvenuto un male maggiore per lo scandalo da me dato ai vicini ed ai lontani: la notizia del mio passaggio all’islamismo sarebbe arrivata sino all’Abissinia. In prova, a questo proposito, io posso addurre il fatto oggi giorno riferito dagli stessi nostri giornali sulla supposta apostasia dei nostri missionarii del Suddan, oggi conosciuta come vera fiaba. Tutto al più i poveri nostri missionarii avranno, senza neanche pensarvi, [avranno] mangiato carne immolata da[i] musulmani, oppure bevuto latte di cameli, perché simili atti in molti paesi possono equivalere alla professione dell’islamismo. In Massawah io stesso ho veduto un cristiano abissino, il quale accompagnato /294/ da un Fakir faceva il giro della città bevendo latte di camelo in segno d’Apostasia. Io stesso in Humkullu vicino a Massawa per avere comprato un poco di latte di camelo, per analizzarlo, mi sono guadagnato un complimento da un musulmano, come persona inclinata all’islamismo.

una parola al lettore Dopo tutto il sin qui detto mi giova sperare che il mio lettore, qualunque egli sia, religioso, ecclesiastico, oppure secolare di qualunque confessione cristiana dei nostri paesi, [p. 333] egli entrerà nelle mie idee, e [non] sentirà nessun bisogno di replica, non solo sopra il fatto sopra narrato ed altri simili che non mancano in questa mia storia, ma compresa la massima che mi guida entrerà perfettamente nel mio criterio per propria norma per ogni caso di bisogno.

Dopo questa mia lunga digressione sul fatto, io non debbo dimenticare la seconda stazione del Governatore Goldon, dove mi trovava, circa trenta leghe francesi da Kassala, e cinquanta da Soakim. Il fatto narrato dei due soldati, come è stato detto sopra, acadde la sera appena arrivati alla stazione, e mentre si trattava la questione, un’ultimo sguardo all’Abissinia sortito dal recinto della stazione col mio fido cameliere, il primo bisogno del mio cuore fù quello di diriggermi collo sguardo verso la mia cara Etiopia, essa era come scomparsa dall’orizzonte, e non la viddi più: ho pagato il tributo solito a chi ha perduto ogni speranza di rivedere un paese divenuto come mia patria, gettando dal fondo del cuore una profonda esclamazione seguita da cupo silenzio. Il mio fido cameliere fece una certa scrollata di testa in segno di disapprovazione collerica, ripetendo le famose parole: io [non] ne capisco più nulla, e, fatta una girata del passo, siamo ritornati alle nostre capanne. Quella sera io non ebbi voglia di mangiare, e messomi in letto, non fui più fortunato nel prendere il sonno. una cobricola dei servi Gli uomini della carovana attribuivano la mia malinconia ad un residuo di collera per causa delle capre: no no no, rispose il mio fido, niente di tutto questo; egli ha ancora il suo cuore e la sua testa in Abissinia; il rimedio è di farlo partire domani prima del giorno, affinché egli non possa più, ne vedere, [ne,] ne sentire l’aria di quel [p. 334] paese nemico, ne dei suoi falsi amici. In due giorni arriveremo alla terza stazione; allora egli non pensando più all’Abissinia ed al Re Giovanni, sarà con noi di buon’umore. La malattia sua e quella del suo compagno non è altro che la malinconia d’aver lasciato l’Abissinia, e di essersi divisi in Kassalà dai loro compagni. Questa conversazione si faceva nella notte in una capanna tutta vicina, separata da noi da un muro di legno in modo che io ho sentito ogni cosa. Il mio fido cameliere nel consigliare la partenza di notte non fù per spirito ostile, ma sibbene indotto da un affetto conciliativo, epperciò fu eseguito il suo piano.

/295/ una transizione Io quì per seguire tutta la storia del nostro viaggio sino a Soakim, dovrei passare in rassegna tutte le stazioni da noi percorse; almeno quelle dette del governatore Goldon, le quali sono otto. Ma siccome dette stazioni sono di forma sempre eguale, e ad eguale distanza, ed io non mi ricordo più del nome particolare di ciascheduna, il mio lavoro sarebbe troppo prolisso e monotono da faticare il mio lettore senza utilità, non avendo io grandi fatti particolari, ed interessanti per intreciarlo e renderlo meno nojoso. Pensò perciò meglio [di] parlare del restante di questo viaggio in blocco; notando solo alcune cose particolari in esso occorse. calcolo approssimativo Già ho detto sopra che le stazioni, così dette del Governatore Goldon, da Kassalà a Soakim sono otto; ho detto di più[:] che da una stazione all’altra vi abbiamo speso due giorni; ogni giorno contò sempre due piccole stazioni, quella cioè del mezzo giorno e quella della notte. Come noi eravamo deboli ed ammalati, il viaggio di un giorno passò raramente le cinque leghe, [percorse] metà la mattina e metà la sera. Da ciò il mio lettore potrà con tutta facilità calcolare la distanza tra Kassalà e Soakim, [p. 335] la quale non potrà essere meno di 80. e più di 90. leghe francesi, calcolando anche la piccola differenza da Kassalà alla prima stazione, avendo noi là diviso la distanza in tre fermate, come è stato narrato a suo luogo. Così parimenti dall’ultima stazione sino a Soakim, come si dirà.

un colpo di pennello storico Il terreno da noi percorso sino alla prima stazione dopo Kassalà fù un poco più accidentato, e leggermente undegiato con alcuni fiumicelli o rigagnoli, massime in vicinanza della altezze abissine da noi seguite per lo spazio di due giorni. Là anche la vegetazione era più viva e ridente. Non così dopo la prima stazione, perché il terreno andava facendosi più piano con minore vegetazione, gli alberi anche di grande stature, erano più frequenti, e l’erba più alta in vicinanza dell’Abissinia, ed il tutto si abbassava a misura che ci allontanavamo. La popolazione anche in vicinanza dell’alto piano [era] più numerosa e divisa in piccoli villaggi, non così a misura che ci allontanavamo più verso il piano. Più vicino all’alto piano abissino il popolo è di razza mista[:] araba ed abissina, e si trovano molti anche di razza cristiana inclinata al cristianesimo. A misura che ci allontanavamo il paese prendeva la figura di deserto abitato da razze arabe bedovine divise in tribù erranti di vita pastorale, forze maggiori in numero ed in richezze. Così a misura che ci andavamo avvicinando a Soakim. Pochissimi villaggi con case, ma frequenti accampamenti con mandre e cameli in quantità, nel senso già da me narrato altrove.

Anche gli individui della nostra carovana in nulla mancarono dei loro /296/ doveri verso di noi; essi non dimenticarono le raccomandazioni del caro marronita loro padrone, sempre generosi delle più esatte attenzioni [p. 336] e cortesie[:] si può dire che ci prevenirono sempre in tutti i nostri bisogni, e conosciuta la grande differenza in materia di religione tra noi e loro, mai sollevarono questioni che potessero in qualche modo compromettere la pace tra [di] noi, cosa molto pericolosa in simili viaggi frà popolazioni musulmane. il pigliagio dei soldati I due soldati della nostra carovana, quasi tutti i giorni del nostro lungo viaggio sino a Soakim, non lasciarono di fare le loro scorrerie e rappresaglie a danno dei poveri bedovini; tuttavia, dopo il nostro rifiuto della seconda stazione già narrato, ci lasciarono in pace, e neanche permisero più che i derubati bedovini si avvicinassero a noi a farci lagnanze; noi vedevamo ogni giorno scannarsi delle capre, e pro bono pacis facevamo finta di non vedere, come cose passate in uso e tollerate dal governo stesso, a modo abissino. (1a)

si descrive il paese La direzione intanto del nostro viaggio era sempre la stessa[:] nord-nord-Est, e quella piccola quantità di levante, a misura che noi progredivamo ci andava sempre più avvicinando alla costa del mare rosso. Passata quindi la metà del nostro viaggio, dopo la quinta stazione di Goldon, incomminciava in lontananza a nostra diritta [a] rendersi visibile il litorale del mare. Il deserto cangiava un tantino [di] aspetto, lasciando sentire l’auretta marina, e l’aqua stessa delle nostre sorgenti che si trovavano non era più così buona, ma prendeva un poco [sapore] di sale. Dopo la sesta stazione di Goldon il mare si rendeva sempre più vicino: la poca gente che si incontrava, parlava del mare, di navigazione araba, ed anche lasciava trasparire qualche notizia di commercio con Soakim. Incomminciava in noi [a] moltiplicarsi la stanchezza del viaggio, e dopo [p. 337] i quindeci giorni del nostro viaggio dopo Kassala si faceva sempre più pressante il bisogno di presto arrivare a Soakim. incontro di [una] carovana Arrivati alla settima stazione di Goldon, trovammo là una carovana per Kassala, bramosa di sentire da noi notizie, come noi eravamo impazienti di sentirne da loro secondo le notizie venute dalla carovana. [gen. 1880] La rinunzia del Governatore Goldon e la sua partenza per Londra non era più un mistero. Anche il nostro arrivo, e molti detagli della nostra storia era già conosciuta in Soakim, massime dal corrispondente del /297/ nostro marronita, il quale gli aveva scritto. Noi intanto fummo incoraggiati al sentire tante notizie ed al vederci presto arrivati al fine del nostro viaggio, già divenutoci molto penoso. Lo stesso nostro camelo, sempre fedele nel suo servizio, pareva prender parte alla nostra consolazione; la povera bestia già assuefatta a questo viaggio, [esso] conosceva meglio di noi il prossimo arrivo, lo dava ad intendere nel suo sguardo significante e parabolico, e nel suo passo più franco e frettoloso. Questo animale pare che abbia il suo linguaggio teknico nei suoi gesti.

separazione da essa La carovana suddetta ci aveva rallegrati non solo colle notizie, ma ancora con farci gustare qualche cosa, massime qualche bicchiere di vino che ci fù molto caro, perché le nostre provviste erano vicine a finire; ci siamo quindi separati da essa lasciandoci vicendevolmente impressa una certa simpatia. e Soakim dove [è]? Proseguendo il nostro viaggio, il fido cameliere non tardò a farmi vedere da lontano qualche segnale della città di Soakim. Con due giorni di viaggio siamo arrivati all’ottava ed ultima stazione. Sia la stanchezza del viaggio, oppure [p. 338] l’impazienza di arrivare, anche quel poco tratto di viaggio che ci rimaneva [d]a fare, non solo ci pareva lungo, ma ad ogni ora sembrava che si andasse prolungando, invece di diminuire, come suole accadere ogni volta che un’imperioso bisogno di qualche cosa ci spinge al desiderio di possederla: l’occhio nostro sempre fisso sul punto di Soakim, sembrava che viaggiando esso si allontanasse invece di avvicinarsi a noi. sospiri nostri Il nostro cuore essendo a Soakim, il nostro occhio era sempre sopra quel punto dell’orizzonte: la sera il sole lasciava il nostro orizzonte per fare il suo giro a consolare altri po[po]poli all’occidente, che per loro noi eravamo all’oriente, ma l’occhio nostro godeva gli ultimi crepuscoli sopra l’orizzonte di Soakim, e non sapeva lasciarlo che colle tenebre per diriggersi e ritornarvi l’indomani col comparire [de]i crepuscoli dell’aurora. [Durante] La stessa notte conversando noi alle belle stelle, non si parlava più di altro che di Soakim: di Soakim si parlava, a Soakim si pensava, ed a Soakim anche si sognava. ultimo giorno del viaggio Erano passate le otto stazioni dette di Goldon: contavamo già 21. giorno [dalla partenza] da Kassala, e nasceva il sole del 22. giorno, ed appena ri riusciva di scoprire quasi raso al suolo dell’orizzonte la punta di qualche minaretto di moschea, e Soakim ancora si faceva sospirare come una città lontana


(1a) Ho già notato altrove, come i soldati musulmani poco pagati, nei luoghi centrali, dove esiste un controllo europeo, sono più disciplinati, e rispettano la roba e la donna altrui; ma non così nel luoghi molto lontani, e fra popoli non ancora ben soggetti: essi lasciano molto a desiderare. È per questa ragione che in simili paesi il governo non è amato; si può dire che il governo mangia tributi, ma non governa. [Torna al testo ]