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31.
IL «Messina». Navigazione verso Suez:
Don Sturla e l’armatore Rubattino.

un consolante telegramma Mentre stava io moltiplicando le mie conversazioni col Signor Sciek Abdalla e coi suoi giovani Galla, all’uffizio dei vapori della compagnia Rubattino arrivò l’avviso per telegrafo del prossimo arrivo di un vapore della Compagnia suddetta dopo qualche giorno. Questa notizia consolante, come è naturale, fu per noi sorgente di nuovi bisogni di pensare alla nostra partenza. Il nostro padrone di casa, il Signor Elia, che mattina e sera soleva mangiare con noi, non pensate, disse, io aggiusterò ogni cosa. Quando sarà arrivato il vapore anunziato, voi pranzerete [p. 350] in casa mia col Capitano del bastimento che verrà e coll’agente della compagnia Rubattino, e voi stessi aggiusterete l’affare vostro. è conchiusa la partenza Passarono appena due giorni che il Vapore Messina annunziato arrivò in Porto, fummo tutti a Pranzo dal Signor Elia nostro padrone e vi fù anche invitato il nostro amico Sciek Abdalla. Appena ci siamo trovati ho trovato che, sia il Capitano del Messina, che l’Agente della Compagnia Rubattino, erano già stati prevenuti: noi, dissero, non siamo autorizzati a darvi un passaggio gratis, ma, attese le circostanze vostre già troppo conosciute in Italia, neanche crediamo [di] potervi nega[re] il passaggio sino a Suez, senza esporci ad un grave rimprovero dell’amministrazione superiore, ed in specie del Signore Rubattino. Ecco perciò il partito [d]a prendere: voi, Monsignore, ci rimetterete una domanda per scritto, nella quale vi rimetterete alla generosità dell’amministrazione centrale di Cairo, e con ciò solo domani potrete partire con noi col diritto alla prima classe. Così fu terminata la questione, e ci preparammo alla partenza per Suez.

racconto del Comandante
[Alessandro Mancini]
Nel mentre si stava pranzando, il Capitano Comandante del Messina, [disse:] partendo da Suez circa un mese fa, ho avuto la consolazione di avere al mio bordo tre sacerdoti missionarii e dieci monache destinate per Kartum, oh che brave anime, tutte piene di zelo! Oggi sono fortunato di avere con me Monsignore col suo compagno, persone delle /307/ quali già tanto si parlò in Europa. Dopo il Capitano prese la parola il Signor Elia nostro padrone di casa, il quale era un greco scismatico, ma di quelli i quali non osteggiano i cattolici, come suole accadere quasi sempre quando il greco scismatico è lontano dal suo prete; missionarii e monache egli, parlando adunque dei tre preti missionarii e delle dieci monache, rivolto a me, [mi confidò:] essi rimanevano nella casa medesima dove siete voi: le dieci monache abitavano dentro la casa, dove facevano anche un poco di cucina; [p. 351] i tre sacerdoti missionarii abitavano sotto la baracca, e mangiavano a parte; io, continuava il Signor Elia, [io] soleva mandare qualche volta il pranzo, e soleva mangiare fuori coi tre missionarii, perché la casa delle religiose era chiusa a tutti. Non parlo delle monache, perché esse erano sempre in preghiere o letture, anche quando pranzavano o lavoravano. Parlo solo dei tre sacerdoti, i quali erano tre sante persone, massime uno, il quale era un prussiano, oh quello era un vero angelo, il quale non sapeva parlare di altro che di Dio! confession[e] di un greco, e sua risposta Debbo confessare una grande verità che mi rapisce il cuore, simili creature più celesti che terrene è solamente fra [di] voi preti o religiosi cattolici che si trovano. Io sono nato scismatico, e sono ancora tale, perché si dice fra noi, che Iddio ci ha fatto Greci, e non possiamo essere cattolici senza tradire alla madre nazione; senza di questo io sarei già cattolico. Caro mio, risposi allora, se la vostra ragione valesse qualche [cosa], quel signore da voi invitato, Sciek Abdalla qui presente, nato galla doveva restar galla e non farsi musulmano; e poscia fattosi musulmano, non potrebbe più essere cristiano, va bene questo? Lo stesso dovrebbe dirsi di un cinese, di un bagnano (1a), e di tutti i pagani del mondo; per la stessa vostra ragione i nostri Padri han fatto male [a] farsi cristiani; va bene questo? Ma la nazione, vi dicono i vostri, sia pure, ma dovete rispondermi, se sia prima la nazione, oppure Iddio suo creatore.

Le mie risposte, benché rozze e trunche non lasciarono di persuadere il nostro greco scismatico talmente, che, egli si sarebbe dichiarato cattolico, se io fossi rimasto in Soakim qualche giorno di più, ma il Messina doveva partire l’indomani, e noi dovevamo cogliere l’ocasione di quel vapore per non esporci ad un troppo lungo [p. 352] tempo per aspettare l’arrivo di un’altro. Il pranzo era sul suo fine, e noi eravamo impa- /308/ una parola di Abdalla zienti di levarci di tavola per recarci a casa a fare fagotto. Ma il nostro commensale Sciek Abdalla, il quale aveva sentito in silenzio la storia dei tre preti e delle dieci monache, avrebbe anche voluto dire la sua; sua risposta io non so capire, egli disse, proprio nel momento della nostra levata di tavola, come [esistesse] tanta gelosia fra i tre sacerdoti e le dieci monache, e tanto punto d’onore nel restare separati, che male vi sarebbe stato, se essi fossero rimasti insieme? Caro Sciek Abdalla, [gli osservai io,] tu sei musulmano e vuoi sollevare una questione che non puoi capire, perché non l’ha capita lo stesso tuo gran Profeta Maometto. Io leggo nel tuo cuore, [che] tu sollevi la questione dei preti, e delle monache per arrivare alla questione del tuo caro Saïd, il tuo caro galla che ami sino alla follia, ma ti devi persuadere che egli ne sa più di te, epperciò devi lasciare da parte una questione che tu non puoi comprendere. Allà kerim, (1b) rispose il Sciek, noi musulmani camminiamo coi piedi sopra la terra, ma voi altri preti avete le [le] ali, e volate in alto, dove noi non possiamo arrivare. Così finì la questione, e preso un poco di caffè nelle piccole tazze arabe, ciascheduno andò per i fatti suoi.

si fa fagotto Furono queste le ultime questioni che si passarono in Soakim. Si passò il resto della giornata a fare fagotto, e la sera, preso congedo dopo cena dal nostro caro Signor Elia, saliti sul Messina l’indomani al primo comparire dell’aurora, la barchetta del Messina, già era ai piedi della scala che discende al porto, e gli stessi marinai, trasportato il nostro piccolo bagaglio, siamo monta[ti] in barca, e con due battute di remi fummo [p. 353] alla scala del vapore che ci aspettava per levare l’ancora. partenza da Soakim [1.2.1880] Appena scesi sopra il Messina, il domestico ci condusse ciascheduno al possesso della cabina assegnataci, dove, aggiustati i nostri piccoli affaretti, ed assistita la consegna del piccolo bagaglio, siamo saliti tosto sul ponte per dare l’ultimo addio alla città di Soakim, quando il sole incomminciava [a] spontare sopra l’orizzonte; noi eravamo già a molti kilometri distanti dal Porto, e dell’abbandonata città non vedevamo più altro che la punta di alcuni minaretti delle moschee. il Comandante ed il piloto Mentre noi eravamo in osservazione girando intorno al ponte appoggiati al parapetto, il Comandante ed il suo Secondo erano occupatissimi, uno da una parte [e l’altro] dall’altra nel tener conto [del]la strada che teneva il vapore, perché il mare rosso nel circondario di Soakim, e generalmente in vicinanza delle coste, massime africane, e pieno di banchi a pochissima profondità, e quasi a fior d’a- /309/ qua, e che lasciano appena una stretta via ai grandi vapori che entrano molti mettri nell’aqua; essi perciò non erano liberi fino a tanto che la loro machina non toccava il centro, dove la via e quasi senza pericolo per qualunque calibro. Come si sa, guai avvicinare gli uffiziali risponsabili in quel momento, essi [non] guardano in facia a nessuno, fosse anche il Re. Il Piloto non manca [di sorvegliare], ma questi sono una cautela più legale che altro. Il piloto arabo conosce il mare nella superficie, accostumati essi alle barche che prendono un mettro di aqua. Per un Comandante esso non basta, la carta, il sestano, e la sonda, ecco la sua risorsa.

riposo per tutti. Perduta di vista la costa, ed entrato il bastimento nella gran via del centro, allora incommincia il riposo degli uffiziali risponsabili, ed essi stessi sentono il bisogno, o di dormire, oppure di conversare. [p. 354] Nel giorno che precede la partenza, sia [il] Comandante, e sia il suo Secondo sogliono passare la notte sopra i libri d’amministrazione, e sopra le carte misurando, e calcolando la via e [i] pericoli del luogo, massime trattandosi di luoghi non molto praticati, e mari complicati e pieni di pericoli, come per lo più sono quasi tutte le coste del mare rosso. Anche io ed il mio compagno, ancora ammalati e stanchi da lungo tempo per [i] lunghi viaggi, saliti in bastimento ed abbandonata la terra, abbiamo fatto uno sforzo per tenerci sul ponte in quei primi passi sino all’alto mare, ma poi sentimmo il bisogno di ripararci nelle nostre cabine per prendere un poco di riposo. Così si passò la mattina del primo giorno senza vedere e parlare con persone [di sorta]. Nel pranzo incomminciarono le conoscenze e le conversazioni coi pochi viaggiatori che non mancavano, sia ancora colle persone del bordo.

i grandi vapori, delle messaggierie Sopra i gran[di] vapori delle messaggierie inglesi o francesi, dove si trovano centinaja di viaggiatori nel primo giorno si sogliono fare alcune conoscenze con persone più simpatiche che voi cercate, o che vi cercano, ma poi si suole rimanere estraneo al gran mondo. il messina, ed i genovesi Il Messina era un bellissimo vapore, ma di semplice commercio o, come si suol dire di cabotagio; il mondo dei passeggieri era limitato, ma il suo bordo aveva una gran famiglia di buoni genovesi, i quali erano di quelli che sanno conservarsi religiosi e buoni cattolici, anche lontani dalla loro Patria, e dai loro parroci e sacerdoti. Ora tutta questa brava famiglia era impaziente di vedermi, [p. 355] ed appena sortito mi furono intorno, e non mi lasciarono più. mio apostolato sopra i vapori Era mio costume antico, incomminciando dai miei primi anni di apostolato, anche sopra i grandi vapori francesi o inglesi di lasciare la conversazione dei primi posti, e piantarmi in prora, dove b[r]ullicano i poveri ed i matelotti del bordo per farvi là un poco di /310/ mercato apostolico a tutta quella plebaglia che soleva passare gli anni senza nulla vedere e sentire delle cose del Signore. Anticamente sopra i vapori francesi, parlando la loro lingua, io trovava ancora [d]a fare mediocre fortuna. Meno sopra i vapori inglesi per mancanza di lingua, sopra i quali non mancavano a correre maltesi, oppure matelotti delle coste africane nord, oppure orientali, i quali sapevano un poco di cattivo italiano o francese. Sopra il Messina non ho tardato ad accorgermi che Iddio mi aveva preparato un’uditorio molto più consolante. La la mia gente era tutta italiana prevenuta da notizie esaggerate a mio riguardo, e questa era già una ragione, ma non era ancora tutto: la religione del marinajo genovese ha qualche cosa che lo distingue dagli altri. prestigio di un’armatore cristiano Sopra tutto ciò bisognava convenire [che] il bastimento Messina apparteneva all’Armatore Rubattino, uomo cattolico di cuore, il quale esercitava un prestigio paterno sopra tutta la gran famiglia della sua marina, che si trovava non solo nel nostro mediterraneo, ma in tutto l’Oceano dei due mondi.

Rubattino acclamato sul Messina Ciò che dico di questo patriarca, se così mi è lecito di spiegarmi, non è una mia esaggerazione, ma una verità che io ho potuto cogli occhj miei vedere, e sentire colle mie orecchie dai diversi soggetti di tutte le età [p. 356] e di ogni condizione; un libro non basterebbe, se io volessi narrare quì i fatti statimi raccontati sopra il solo Messina nei soli cinque giorni di viaggio da Soakim a Suez, e la mia eloquenza sarebbe certamente incapace di riprodurre quì al vivo l’espanzione di cuore che esternava quella gente nel richiamare soventi il nome di Rubattino loro armatore e signore. egli amato e temuto Ma tu ami poi davvero il Signor Rubattino [?], interrogava [io] una volta un giovane matelotto; tu ami [mi]? mi rispondeva egli, voi non conoscete [la fama di questo signore], ma in Genova esiste una sola persona che non l’ami? cosa ti da? io soggiungeva, cosa mi da? io l’aspetto la mattina quando egli va al Cimittero, colle sacoccie piene di denaro per i poveri, se mi conosce come suo matelotto mi da uno scudo, se no, un solo suo sguardo mi vale più di uno scudo. Ora queste sole e simili risposte che io sentiva sopra il Messina con tanto di cuore, dette, con un piacere innesprimibile da un giovinotto in questi tempi di progresso e con un sole d’indipendenza che muove tanto fermento, non vale tutto? un padre di famiglia può sentire di più tenero da un suo figlio? In tutta la storia della marina di Genova e di Venezia si trova forze un’armatore così lodato, e così amato? certamente no.

Con ciò, lasciando da un canto tanti altri fatti, con un sol colpo di pennello, ho voluto far conoscere al mio lettore la persona di un’armatore modello della città di Genova, ma io sono ancora debitore al me- /311/ desimo di provare con fatti la religione dei genovesi con un’altro [p. 357] breve colpo di pennello sopra un eco di Sturla sopra il Messina fatto concernente una persona ecclesiastica, che mi appartenne più da vicino, morta essa pure alcuni anni prima del suddetto, del quale ho già parlato altrove, di un’altro genovese ecclesiastico stato mio missionario, di cui pure ho trovato un’eco consolante sopra il Messina, voglio dire del mio caro Padre Sturla, sbalzato dalla rivoluzione da Genova nel 1848. e stato mio missionario [1848-1857] otto anni in Aden. Trattenendomi un bel giorno coi matelotti a prora del Messina in solite conferenze spirituali, per non dire il caso, dirò meglio, la previdenza volle che io citassi un fatto di Sturla, occorso sopra una barca di Zeila (1c) nel [1848] mio viaggio fatto con lui nell’anno suddetto.

fatti di lui Appena ebbi pronunziato il nome di Sturla, si alza tutto all’improvviso una gara, tutti avevano un gran bisogno di parlare di lui, come di un uomo di una santità straordinaria, e quasi tutti tenevano in riserva un fatto da raccontarmi. storia di un marinaio genovese Incomminciò un matelotto di mezza età a dire: Sturla era mio confessore, quando io aveva 15. anni ed era un garzone perduto ed abbandonato, a galoppo me ne correva già presso il più terribile dei vizii, il Zurla [= Sturla] mi fu Padre, e mi salvò; [essendo io] mezzo nudo mi diede la sua stessa camicia, [e come] penitente infedele alla promessa, frà i rimorsi mi comparse una notte in sogno [per cui] sono ritornato, pentito; per salvarmi dalla corrente dei viziosi di Genova mi fece entrare nella marina, dove il bordo mi salvò dal precipizio. Una mia sorella più perduta di me la fece entrare in un ritiro, e per lui essa pure fu salva. Sturla fu pianto da me a dai poveri di Genova quando [fu] cacciato come un malfattore dalla rivoluzione [p. 358] e [che] dovette fugire in Aden come alla morte di mio Padre. Otto anni dopo al suo ritorno, è stato per me una festa, come fu per tutta Genova, ma fu per pochi anni: storia della sua morte
[19.4.1865]
ho [= oh!] se voi foste stato a Genova nella sua morte, avreste veduto una crisi generale di duolo nella nostra città, come alla morte del Padre dei poveri; allora io fui inconsolabile per una seconda volta, e questo dolore si rinnova ogni volta, che, ritornato a Genova, vado a visitare il suo sepolcro, e mi pare ancora di sentirlo parlare. Mentre questi parlava, gli altri marinai suoi compagni avrebbero voluto parlare a lor torno, ma mancava il tempo; il fischietto gli chiamava ad ogni istante per il servizio. Ciò non ostante, un libro non basterebbe per descrivere tutto ciò che ho sentito in quei /312/ cinque giorni di viaggio, in tutti i ritagli di tempo, che ho potuto loro accordare, sempre ammalato come era, e[d] nei momenti di rilascio per loro. Eravamo arrivati vicini a Suez nel quinto giorno, ed ancora volevano parlare di Sturla: una mia parola di risposta A[a]llora, sentite, dissi, lasciatemi parlare un momento, prima di separarci per sempre. Voi mi avete detto molte cose di Sturla, massime nell’occasione della sua morte, ma sappiate che la stessa crisi si vidde in Aden, quando Sturla lasciò quella missione; allora piansero non solo i nostri cattolici, ma gli stessi musulmani e pagani da lui beneficato: oh se avessi qui le lettere che ho ricevuto!

Ora, per non ritornare sopra questo argomento, relativamente all’armatore Rubattino, [e] al mio missionario Sturla, avendo già di questo parlato abbastanza altrove più di quanto permetta la brevità di un diario, come è [p. 359] quello che sto scrivendo, con poche parole, terminerò l’affare d’interesse concernente il mio passaggio sopra il Messina. la paga del passagio in vapore Appena arrivato in Caïro mi sono presentato all’amministrazione generale della navigazione della Compagnia Rubattino, per sapere se io doveva pagare il mio passaggio da Soakim a Suez, come eravamo d’accordo col Capitano del Vapore suddetto. [lettera di M.: 13.2.1880; risposta di R.: 24.2.1880] Il capo dell’amministrazione non volle terminare la questione, ma mi consigliò di scrivere a Genova all’Armatore Rubattino stesso, come ho fatto. Questi mi rispose di proprio pugno una lettera compitissima, nella quale mi ringraziava di aver onorato il Messina [con la mia presenza], si augurava di potermi vedere o in Roma, oppure in Genova; per compimento della sua generosità mi spedì nella lettera alcuni biglietti di passaggio, per me e per i miei missionarii gratis, disposto ad accordarne altri in ogni caso di bisogno. Venne in Roma e ci siamo veduti per alcuni momenti nel mio Convento, perché, uomo di affari, [apr. 1881] era venuto in Roma per la fusione della sua Società con quella di Florio: gli ho promesso che l’avrei [riveduto in Genova, ma andatovi dopo un’anno, morte di Rubattino
[Genova-S. Vito: 2.11.1881]
egli già era morto, lasciando nel duolo la città di Genova. In quella città il nome di Rubattino era ancora nella bocca di tutti, [ma] non il nome della sua fortuna e delle sue richezze, già passate nelle mani di altri, come polvere che non monta sino al cielo, ma l’eco delle sue virtù, in specie della sua carità, come cose di una natura divina ed eterna più dei marmi che pesano sopra il suo sepolcro.


(1a) Il bagnano è un pagano che professa la metem[p]sicosi asiatica. Esso si trova nei confini della persia e delle indie. In tutti i paesi esso è mercante e raramente coltivatore; è potente in Aden, e si trova in quasi tutti i porti del mare rosso: esso è protetto inglese. Il bagnano adora gli animali, in specie la vacca: lo sterco di questa secco è per esso un profumo. Non si da esempio di un bagnano convertito. [Torna al testo ]

(1b) Allah kerim vale una risposta di rassegnazione forzata, quando una persona non è persuasa e si rimette a Dio. È una risposta araba. [Torna al testo ]

(1c) Il fatto quì citato si trova descritto nel volume primo di queste mie memorie, e [è] rappresentato da una vignetta. Nello stesso volume si trova anche il suo ritratto. [Torna al testo ]