/336/

34.
A Giaffa con i pellegrini francesi.
Primo francescano levantino.

nostro imbarco
[29.2.1880]
Il nostro vapore era arrivato di sera, quando il sole mancava qualche ora per arrivare all’orizzonte; ebbimo tempo appena a prendere un poco di cibo, e per spedire il nostro piccolo bagaglio a bordo, che già l’amministrazione ci faceva avvertire di stare pronti per l’imbarco, meglio trovarci a bordo prima del bujo [p. 392] della notte, mi dicevano alcuni, sia per causa dei miei incommodi, i quali mi rendevano più difficile il salire, e sia ancora per prendere il nostro posto prima della notte. Così gli amici di Porto Saïd ebbero appena tempo di sentire la nostra partenza, che noi eravamo già in potere del mare. Vennero ancora molti per salutarci, ma due abissi erano fra noi e loro, lo spazio cioè e le tenebre, e dovettero ritornarsene senza rivederci, ne farci arrivare un saluto. Levata l’ancora, [esclamai:] ultimo mio saluto alla città, e canale. Addio Porto Saïd, di cui io aveva veduto il principio di questa grande opera che fece tanto parlare prima di esser fatta, e fatta sollevò tante passioni nel mondo politico, con ragione, perché è niente meno che un taglio di una parte del globo, come un frutto [maturo] dal suo albero, taglio, che, per così dire, trasportò la nostra piccola Europa in mezzo al gran mondo asiatico. Il commercio lo fece, che la politica sappia custodirlo dal mare delle passioni umane. Da quel giorno io non viddi più Porto Saïd, ma il mio pensiero non lo abbandonò più, pensando al grande avvenire di quella città e del canale di cui è la porta, perché sarà sempre quello un gran punto odiato dai vicini ed invidiato dai lontani; pomo di discordia frà i politicanti, i quali negoziano sulla sorte dei popoli, e l’aristocrazia delle nazioni.

mio passaggio fra i pellegrini francesi Ma gli uomini che viaggiano sopra i mari non si accorgono di aver cangiato paese dal momento che sono saliti sopra un piroscafo che ha per base, non più la terra ma l’aqua dei mari. Io colla mia immaginazione mi trovava ancora in Porto Saïd, e non pensava ancora di trovar- /337/ mi in Francia frà un popolo cattolico di cuore, il quale aveva preso tanta parte nelle mie vicende di Etiopia, del quale io aveva mangiato [p. 393] [per] più di un terzo [di] secolo il pane dell’apostolato. loro parole e proteste Il mio compagno P. Luigi Gonzaga, nato in Francia, ma prima cattolico, e poi pretto francese, egli era già entrato in casa sua, ed aveva già preso la sua posizione fra i suoi fratelli di sangue. Egli aveva già trovato tempo di trattenergli sopra il fatto della nostra cattività sotto il governo dell’imperatore Giovanni d’Abissinia, e sopra tutto il nostro viaggio doloroso dei Suddan. un panegirico a Napoleone Egli già mi aveva aggruppato intorno poco meno che un centinajo di pellegrini pieni di fede francese, e di carattere più romano degli stessi romani. Oh chi avesse sentito là il bel panegirico che si faceva del loro imperatore Napoleone III. alla testa delle armate francesi ingannate, le quali in Italia si battevano contro il Papa, mentre si credevano là [di] spargere il loro sangue in sua diffesa! Chi avrebbe creduto che la nostra campagna d’Italia doveva finire colla brecia di Porta Pia di Roma papale, e col [20.9.1870] cangiamento del Vaticano in prigionia di stato? Bisogna confessare, dicevano essi, che Iddio non ha ancora pronunziato l’ultima parola sua contro la massoneria, come fu pronunziata contro il fellone.

Il mondo dei pellegrini avrebbero voluto avvicinarsi tutti a me per i complimenti a proposito del nostro esilio, ma, avremo tempo domani più al largo, io dissi, e con loro permesso mi sono ritirato nella mia cabina, dove ho passato la notte in riposo. nostro sbarco a Giafa
[1.3.1880]
Il tempo era molto tranquillo, e mi svegliai l’indomani, quando il vapore già aveva gettato l’ancora in facia a Giafa. Chi conosce quel porto, se pure porto si può dire, conosce pure i grandi pericoli che si trovano nello sbarco. Il Comandante del vapore volle [p. 394] che io discendessi con lui, e prendessi il primo posto sopra la migliore delle imbarcazioni del bordo, e fui come portato in groppa da quattro nobili giovani pellegrini che si disputavano l’onore di assistermi. Il mare era un’olio, e passammo in mezzo ai piccoli scogli molto pericolosi, dove il passato raccontava molte vittime di passeggieri [colà annegati], tenendo il timone lo stesso Comandante. nos[t]ro ricevimento in Giafa
[Gaudenzio Bonfigli, presidente]
Il telegrafo già aveva annunziato l’arrivo dei pellegrini, e la spiaggia era coperta di mondo che ci aspettava, ma nulla si sapeva del nostro arrivo. I religiosi di terra santa col P. Presidente, secondo l’uso, erano là ad aspettare l’arrivo dei pellegrini, e furono stupiti al vederci: non mancavano alcuni di coloro che mi conobbero. [Mi domandarono:] Tutti gli aspettano in Europa, come mai Ella si trova quì frà noi? voi siete i fortunati possessori del S. Sepolcro, risposi io, come posso passare senza baciare la terra calcata da Cristo nostro Maestro? Il Presidente ci /338/ condusse direttamente alla Chiesa, dove fummo seguiti non solo dai Pellegrini, ma dall’intiera popolazione cattolica di Giafa (1a)

un fervorino ai pellegrini in Giafa Fatta una breve adorazione al SS. Sacramento, mi sono rivol[ta]to ai pellegrini: voi, dissi, siete pellegrini di Gerusalemme, vedrete là molti Santuarii particolari, dove si suppongono verificati alcuni fatti notati dal Vangelo, ma badate una cosa, non essere quelli i soli luoghi che dovete venerare, ma tutta la Città e contorni, come luogo santificato dalla presenza personale di nostro Signore; così in proporzione tutta la giudea e gallilea; sfogatevi pure in sante meditazioni, perché ne avete tutta la ragione, ma badate che il vostro pellegrinagio non è un sacramento, che basti a santificarvi, se ritornando poi ai vostri paesi, non osserverete la Santa Legge di quell’istesso divino redentore che siete venuti a venerare quì in questi luoghi santi. Il nostro buon Gesù è personalmen- [p. 395] te presente nei nostri stessi paesi, e nelle nostre Chiese medesime, presente personalmente nella santa eucaristia, presente ancora nella persona dei suoi rappresentanti sacerdoti, i quali vi hanno battezzati ed introdotti nella Sua Chiesa, dove essi vi istruiscono e vi parlano a nome Suo, e dove vi amministrano i tesori inesausti della sua misericordia, che sono i sacramenti della Sua Chiesa medesima. ai francesi figli dei crociati Oh pellegrini francesi, figli di Santi crocesignati, i quali hanno sparso quì il loro sangue per l’onore del Santo Sepolcro e di questi Santi Luoghi, siate degni figli dei vostri Padri, i quali fanno eco al vostro arrivo, e vi parlano dai loro sepolcri! Voi vedrete Betlemme, dove Cristo è nato, voi vedrete Nazzaret, dove egli passò la sua giovinezza, voi vedrete ancora Gerusalemme, dove fu crocifisso, morto, e sepolto per voi; oh pellegrini francesi! voi vedrete in Gerusalemme il Santo Sepolcro, dove il nostro buon Gesù resuscitò dopo tre giorni, e sortiti di là pieni di santo amore in compagnia della convertita Maddalena, parole di Gesù a loro sentirete nel cuor vostro l’eco delle dolci parole di Gesù risorto, il quale vi dirà: andate, dite ai miei fratelli ed a Pietro, chi io sono risorto trionfante della morte, e che ci vedremo, dove? in Galilea? no, ma nella mia cara Francia, nel vostro stesso villaggio, nella vostra chiesa medesima, dove nel tabernacolo io vi aspetto, e dove mi vedrete coll’occhio della vostra fede. oh Pellegrini di Francia! che belle e consolanti parole! che sublimi ricordi, voi ritornan- /339/ ritorno del pellegrino do in Patria porterete ai vostri fratelli, ed a Pietro, cioè il sacerdote che in nome del Papa e della Chiesa di Cristo là vi aspetta e vi governa: oh pellegrini cari, arrivati ai vostri stessi focolari pieni di fede, trovando là il vostro Gesù, lo stesso Suo Sepolcro diventerà per voi [p. 396] una piccola cosa, una semplice rimembranza, una semplice stella, un piccolo lumicino in facia al sole, che per quanto sia splendido nella notte, altrettanto diventa un nulla in pieno giorno, ma che nella stessa sua nullità vi convince sopra la grandezza del Sole che da vita al mondo. Pellegrini! voi venite dalla Francia per venerare la culla ed il sepolcro del vostro buon Gesù; io vengo dall’Africa, ed appena messo il piede in Egitto, ecco la quarta volta che [sento] un bisogno del mio cuore, che mi unisce a voi oggi allo stesso fine, volete che vi dica l’ultima mia parola? tesori riportati Io ho trovato sempre in Gerusalemme un gran tesoro di grazie che mi sostenne fin quì in tutte le vicende del mio doloroso apostolato, Gerusalemme è stato sempre il punto di partenza in tutte le mie meditazioni nel corso di 35. anni. Nel predicarvi però [di] Gerusalemme sappiate o fratelli pellegrini carissimi, che io non intendo [di] predicarvi [di] un paese di questa misera terra degno della vostra curiosità come viaggiatori, perché in questo senso, voi sarete certamente scandalizzati essendo egli l’ultimo paese del mondo, percosso da Dio da un misterioso anatema, perché è un paese, dove è stato commesso il più grande dei peccati che sia stato mai commesso dal uomo, e commesso dal Sacerdozio del popolo favorito dallo stesso Dio.

valore materiale dei luoghi santi Passato quindi che avrete la città di Ramle ed il piano degli antichi filistei, che oggi noi chiamiamo la bassa Palestina, nel salire le altezze della Giudea, avvicinandovi a Gerusalemme, lasciate da una parte ogni calcolo materiale, e sollevate la vostra mente ai celesti misteri, e dite nel vostro cuore: il loro valore mistico Se Iddio ha percosso questo paese di misterioso anatema privandolo [p. 397] di ogni materiale interesse, non è che abbia chiuso per lui ogni via di misericordia, essendo anzi egli disceso dal Cielo per lavarlo da ogni macchia di peccato collo spargimento del suo sangue, come ci insegna la fede, ma unicamente per purgarlo dalla polvere del mondo, e sollevare i nostri cuori, e farci gustare le richezze del nuovo regno di grazie che quì, sviluppatosi ai piedi della croce, arrivò a conquistare i nostri paesi. il loro linguaggio al cuore Per questa ragione, fratelli dilettissimi, io mi appello a quello stesso vostro zelo, e fervore che vi ha condotto sin quì per farvi riflettere che il momento sta per arrivare di ravvivare la vostra fede e sollevare il vostri cuori al dissopra di tutto l’ambiente mondano; appena saliti sulle vette dei monti della Giudea, al primo apparire [al]l’orizzonte dei Santi Luoghi, baciate la terra calcata dal nostro buon /340/ Gesù, quei sterpi, quei dirupi, quei ciottoli, vi parlano della via che conduce al calvario da Lui percorsa, vi parlano degli stenti, dei sudori, e di quanto han costato a lui le anime vostre per salvarle. Questi religiosi venutici all’incontro, sono gli angeli della corte di Cristo che ci danno il ben venuto, ci danno la mano, ci rassiugano i sudori della fronte, raccolgono i sospiri infuocati d’amore per Gesù, i vostri aneliti come altrettante gemme. Fratelli pellegrini, eccovi in complesso ciò che dovete pensare e meditare, e che santificherà il nostro pellegrinaggio, incomminciando dal giorno d’oggi.

I Pellegrini francesi, appena sortiti di Chiesa, furono condotti dai religiosi di terra santa al luogo della refezione, dove trovarono [un] subito [p. 398] un poco di caffè, un regalo di magnifici aranci, frutto dell’immenso giardino del Convento che tengono fuori di Città in luogo non molto lontano. i pellegrini partono per Ramle Dopo [aver] visitato il luogo detto di Simone Corriario, sulla riva del mare, e mangiato il modico pranzo che i religiosi sogliono dare a tutti i pellegrini, verso il mezzo giorno partirono per Ramle, dove un’altro convento, già avvertito del loro arrivo, gli stava aspettando per la cena e per passarvi la notte; per lasciare il luogo ad altri pellegrini che dovevano arrivare della stessa sera in Giafa sopra un’altro bastimento. Io col mio Segretario P. Luigi Gonzaga, per compiacere quei buoni religiosi nostri fratelli in S. Francesco, siamo rimasti in Giafa. visita delle scuole Nella sera ho potuto visitare le scuole nostre cattoliche dei due sessi, i maschi sotto la direzione dei Padri di terra santa, e le femmine dirette dalle religiose dette di S. Giuseppe. Non ho parole per esprimere la consolazione che ho provato scorgendo in quelle pianticelle nella vigna di Cristo tanto movimento di pietà in un paese da tanti secoli dominato dall’islamismo. Anche quì, come altrove ho dovuto fare i miei complimenti al nuovo genere di crociati contro l’impero della mezza luna.

Dopo la visita delle scuole, il Padre Curato volle condurci a visitare la casa del corriario, dove S. Pietro ebbe la celebre visione della vocazione dei gentili al cristianesimo, e dove ricevette gli inviati del convertito Cornelio; belle qualità del p. curato il zelante sacerdote [p. 399] che ci faceva da Cicerone parlava con tanto zelo, dei trionfi della Chiesa fra gli infedeli, e con un linguagio, ora italiano [diretto] a me, ed ora anche francese al mio Segretario, che sollevò in me la curiosità di sapere di quale paese era; veduta la naturalezza colla quale quel Padre parlava la lingua araba agli indigeni non stentava a crederlo [un] nativo, ma fin là per me sarebbe stato una cosa nuova crederlo tale, epperciò nel mio cuore lo teneva per un toscano di quelli che hanno mangiato il loro pane a Roma; il mio Segretario all’opposto ammirava in lui il linguaggio affettato dei Parigini, che /341/ gli stessi francesi cercano inutilmente d’imitare con esporsi ben soventi al ridicolo. una sua confessione schietta L’accorto Padre Curato avendo sentito la nostra questione, niente di tutto questo, disse, io sono un povero levantino stato educato dai Padri di Terra Santa, ai quali debbo tutto, anche in gran parte la grazia di essere figlio professo dell’Ordine di S. Francesco. Ella, venuta in Gerusalemme per la circostanza della [13.5.1866] consacrazione dell’attuale nostro Patriarca Mgr Bracco, non conosce ancora i grandi cangiamenti avvenuti. La custodia detta di Terra Santa, è divenuta provincia religiosa, la quale ha noviziato e studii regolari, ed io sono uno dei primi professi.

Io, al sentire tutte le suddette, e tante altre proteste di quel Padre Parroco di Giafa, che qui non riferisco per brevità, rivolto al mio Padre Segretario, diamoci per vinti tutti [e] due, dissi, perché il nostro Padre Curato, non è, ne francese ne italiano, come abbiamo sentito da lui stesso. Lascio perciò la questione delle lingue per rilevare in lui un’altra questione tutta nuova in oriente. sua schiettezza I sentimenti di umiltà, di rispetto, [p. 400] di riconoscenza, e di venerazione di questo sacerdote verso i Padri di terra santa, come suoi institutori e maestri. Il suo stile e modo di parlare della Chiesa, di Roma papale, dell’Europa in generale, ed in particolare della Francia benefattrice dei luoghi santi, per me è un frutto tutto nuovo in Levante. mio disinganno Fin quì, sarà stato un mio pregiudizio, (lo voglia Iddio!) ho creduto sempre che un’orgoglio satanico impadronitosi di queste razze scismatiche loro ha posto al collo una catena, non solo di ferro, ma di acciajo, la quale le tiene da dieci e più secoli separate dalla Chiesa di Dio, della quale a nulla valsero i gemiti e le sollecitudini apostoliche per richiamarle all’ovile. Ora nel mio antico calcolo, questo stato deplorabile di schiavitù non è più rimediabile, io diceva, perché il demonio, il quale ha tenuto sempre, e tiene ancora il dominio delle basse passioni degli affaristi nella parte officiale della società, ha fatto del Cristianesimo una religione tutta nuova, lontana come i due poli da Cristo, e dalla sua vera Chiesa da lui fondata, ritenendo alcune forme puramente esterne come pascolo popolare, e lasciando le masse affatto digiune del vero spirito cristiano. Oggi, in grazia di questo Padre curato e di alcuni altri che già ho potuto conoscere mi dichiaro convertito e lodo il nuovo sistema adottato dai Superiori di Terra Santa e da molte altre congregazioni dei due sessi di religiosi di coltivare la gioventù levantina facendoli religiosi.

arriva altro vapore con pellegrini Mentre io ed il mio Segretario stavamo così discorrendo vedo tutto il nostro seguito che stava contemplando un secondo bastimento in alto mare, il quale si dirigeva verso il nostro porto di Giafa: ecco altri pelle- /342/ tutti corrono al mare grini che stanno per arrivare, dicevano. Per la città di Giafa l’arrivo di pellegrini e come un’avvenimento [p. 401] per una parte della popolazione, che subito si mette in movimento, anche per l’utile che ne ritrova nel suo piccolo commercio: non tardammo perciò di trovarci abbandonati da quasi tutto il nostro seguito, e noi ci ritirammo alla casa dei religiosi, lasciando che tutti corressero ad incontrare i pellegrini, per assisterli nello sbarco. Io mi sono ritirato nella mia stanza, già da me anticamente conosciuta, mentre il mio compagno P. Luigi di nazione francese sentì il bisogno di recarsi al porto sulla speranza d’incontrare qualche suo amico pellegrino venuto di Francia, dove, dai giornali già era conosciuto il nostro arrivo in Egitto, ed arrivati in Alessandria han dovuto essere informati del nostro viaggio a Gerusalemme. ricevimento della carovana Tutta la casa della missione fù in agitazione nel ricevere i pellegrini, chi nell’assegnare l’alloggio a ciascheduno e chi a preparare la cena. Noi appena ebbimo tempo a gustare un poco di cibo nella stessa nostra stanza, che ci trovammo assaliti dalle visite e dai complimenti che ci trattennero sino quasi alla mezza notte.

messa ai pellegrini La mattina seguente io dovetti rassegnarmi a celebrare la Santa Messa coll’assistenza di un sacerdote francese, uno dei cappellani del pellegrinagio, il quale me ne fece la più insistente istanza a nome della stessa sua carovana. La Messa andò un poco a lungo, perché molti vi vollero fare la santa comunione, e dovetti sobarcarmi a dire qualche parola analoga alla circostanza, come già aveva fatto il giorno precedente all’arrivo della precedente carovana. La funzione termino verso le otto del mattino, dopo la quale la carovana ebbe appena il tempo di fare una piccola collazione [p. 402] e quindi una breve visita alla casa detta di Simone [il] Corriario, detta anche della visione di S. Pietro, che già i Padri instavano per la partenza, dicendo che già erano aspettati a Ramle per la refezione del mezzo giorno. ragioni per sospendere la partenza In quanto a me ed al mio Segretario abbiamo risolto di ritardare ancora [di] un giorno, prima di tutto, per non trovarci nel viaggio in compagnia di una carovana di pellegrini che ci avrebbero in viaggio affaticati in continue conferenze, delle quali erano avidissimi, ed anche per non trovarci in Ramle nella confusione, con pericolo di aggravare troppo quella famiglia religiosa in un momento di confusione per loro; tanto più che io in quei due giorni, o sia perché già mi trovava aggravato dal troppo parlare, o sia per l’abitudine febbrile, la mia feb[bre] incomminciava [a] minaciarmi di una sua visita, e mi obligava ad una solita cura di tamarindi e di kinino.

partenza dei pellegrini L’ora intanto era già molto tarda avvicinandosi la mezza dopo le dieci; la piazza e la contrada erano ingombrate da vetture, giumenti, muli, e /343/ cavalli, (1b) che aspettavano, ed i pellegrini incomminciavano appena [a] radunarsi alla partenza, perché occupati ancora a far proviste di aranci (2a), alcuni per mandare in Patria, come frutti di terra santa, e per portare a Gerusalemme, oppure per scrivere lettere ai loro parenti; alle undeci di mattina alcuni ancora non erano partiti. Intanto, mentre essi partivano, [3.4.1880] noi ci occupammo a rispondere ad un mucchio di lettere portateci dai diversi paesi dall’ultimo vapore, fra le altre quella [2.3.1880] dell’Em.mo Prefetto di Propaganda, nella quale mi spediva il permesso e la sua benedizione, unita a quella del S. Padre per fermarmi qualche [p. 403] mese in Oriente, sia per la mia salute, e sia ancora per altri motivi di convenienza. L’indomani poi, dopo la partenza di tutti i Pellegrini era cosa intesa che noi dovevamo partire, accompagnati da qualcheduno dell’amministrazione di Terra Santa. A tale effetto, alcuni, venutici all’incontro da Gerusalemme, mandati, sia da Monsignore Patriarca, sia ancora dal R.mo P. Custode ci avrebbe aspettato a Ramle, ma vedendo che noi non eravamo partiti coi Pellegrini, di quella stessa sera vennero ad incontrarci a Giafa. nostra partenza da Giafa
[2.3.1880]
Così l’indomani, accompagnati dai suddetti, con tutto nostro commodo, abbiamo lasciato Giafa, e siamo arrivati a Ramle, dove eravamo aspettati da quella religiosa famiglia.


(1a) La Joppe di S. Pietro, detta oggi Giafa per la trasformazione della prima e quarta lettera, prima gutturale, come Jesus, e Gesù, e la seconda labiale, come Palestina e Filistea. Giafa è una piccola città che conta poco più di mille abitanti, metà musulmani e metà cristiani. Di questi una parte è cattolica, e l’altra è greca scismatica; è città ricca di aranci, quasi unico commercio, che va la più parte in Russia. [Torna al testo ]

(1b) La vettura è una cosa nuova sulla strada da Giafa alla santa città, essa non [poggia] sopra gli elastici, epperciò [è] molto ingrata, come è chiaro; tanto più che la strada è poco eguale. Prima del 1860. non si parlava che di giumenti, di muli, e cavalli. Molti pellegrini andavano a piedi per sentimento di pietà e [di] penitenza. [Torna al testo ]

(2a) Gli stabilimenti di terra santa sono soliti [a] somministrare aranci ai pellegrini, non solo a tavola, ma anche nei pellegrinaggi di detaglio da un luogo santo all’altro, infra lo spazio di 15. giorni nei quali l’amministrazione dei Luoghi Santi suole mantenere i pellegrini in tutti i loro movimenti incomminciando da Giafa sino a Nazzaret, oppure da Nazzaret a Giafa. [p. 403] Ciò sia detto in diffesa della Terra Santa. I Pellegrini comprando gli aranci, fu [per] un loro interesse particolare, indotti dalla buona qualità di detti frutti, e per una simpatia loro per i Luoghi Santi. [Torna al testo ]