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Fregio

San Francesco d’Assisi

Capo VI.
Pel Mar Rosso.

Memorie Vol. 1° Cap. 5.
Settembre - ottobre 1846
Mar Rosso e Massauah

1. Partenza e timori. — 2. Arrivo e fermata a Tôr. — 3. Rissa tra due mogli di preti scismatici. — 4. Visita e conoscenza del Procuratore. — 5. Altra fontana di Mosè, ed il sito del Cantemus Domino. — 6. Da Tôr a Jambo. — 7. Insulti fattici dagli Algerini. — 8. Pericolo di naufragio. — 9. A Rabbo, porto di Medina. — 10. Visita e conversazione col Governatore. — 11. Religione e sentenze di questo Governatore. — 12. Partenza ed arrivo in Gedda. — 13. Messa e Battesimi. — 14. Il Cancelliere Serkis; dolorosa storia della sua famiglia. — 15. ll balsamo di Gedda. — 16. A Confuda e a Dahlak. — 17. Arrivo a Massauah.

Capolettera G

Giunto il giorno stabilito per la partenza, verso le otto del mattino venne il signor Costa, e ci condusse dal Governatore; il quale, chiamato il Reis (capitano) della barca, gli fece la consegna delle nostre persone e del nostro bagaglio; indi ordinatogli d’inalzare la bandiera egiziana, ed accanto ad essa la francese, ci accommiatò. Noi ritornammo a casa a prendere un po’ di cibo, lo stesso fecero i marinari, e circa le dieci eravamo tutti in barca: levata l’ancora, salutammo gli amici, e si partì da Suez. Non essendo avvezzi a viaggiare in simili barche, di mano in mano che Suez si allontanava dalla nostra vista, ed entravamo in largo mare, dove le onde si mostravano più agitate, sentivamo un po’ di timore, e tremavamo ad ogni ingrossare di onda e soffiar di vento. I marinari ridevano, e forse in cuor loro dicevano: — Vedrete di peggio! — Ma il Signore ci ajutò, dandoci una bella giornata; e noi, avvezzatici a poco a poco a quel modo di navigare, potemmo discorrere tranquilli. Natural- /42/ mente si venne a parlare del passaggio di Mosè, avvenuto presso a poco in quelle vicinanze; e e’immaginavamo sotto i nostri piedi il superbo persecutore del popolo di Dio, ivi sepolto ed impietrito con tutto il suo seguito di soldati, di carri, di armi e di cavalli. Erano già le cinque ore di sera, e trovandoci vicini alla fontana di Mosè, risolvemmo di fermarci in quella spiaggia dove passammo la notte.

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2. Allo spuntar del giorno, preso un po’ di caffè, sciogliemmo la vela e ci rimettemmo in viaggio. Spirava un venticello da terra, che ci fece camminare per tutta la giornata, quantunque lentamente. A Tôr: 25.9.1846 A.Rosso Verso sera, giunti ad un villaggio chiamato Tôr, vi gettammo l’ancora, mettendoci al sicuro nel suo piccolo porto. Esso era abitato da soli Greci scismatici, soggetti al famoso monastero del monte Sinai, distante da lì circa tre ore di cammino. Il Capitano della barca ci consigliò di passare la giornata in Tôr, molto più che avea bisogno di fare alcune provviste di uovi, capre e galline, giacché non si avrebbe trovato altro villaggio sino a Jambo. Noi volentieri vi acconsentimmo, anche per fare un po’ di passeggio. La mattina adunque, dovendo Fra Pasquale comprare qualche cosa pel pranzo, che intendevamo fare nel villaggio, scendemmo a terra. E per rendere di buon umore i nostri barcajuoli, regalai loro qualche piastra, affin di comprarsi un capretto od altre cose di loro piacere.

«El-Tor arabo: الطور , aṭ-ṭūr o El-Tur, anche conosciuta come Tur Sinà طور سيناء , è una città dell’Egitto, capoluogo del Governatorato del Sinai del Sud. La città si trova nella penisola del Sinai, lungo le coste del Mar Rosso, nel golfo di Suez.
Il nome della città deriva da Tur che significa monte e Sinà che significa Sinai, quindi in effetti corrisponde al nome arabo della montagna dove, secondo la tradizione ebraica, il profeta Mosè avrebbe ricevuto le tavole della legge da Dio; questa montagna è chiamata in arabo Jabal Al Tor, o Tor Sinà nel Corano.» (Wikipedia)

«Il Monastero di Santa Caterina o Monastero della Trasfigurazione o in greco Μονὴ τῆς Ἁγίας Αἰκατερίνης è un monastero del VI secolo situato ai piedi del monte Sinai in Egitto, alla foce di un canyon inaccessibile. Dedicato a Santa Caterina d’Alessandria, è il più antico monastero cristiano ancora esistente.
Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel 328, fece costruire una cappella nel luogo dove, secondo la tradizione, Mosè parlò con Dio nell’episodio biblico del roveto ardente (Esodo 3,2-6).
Fra il 527 e il 565 l’imperatore Giustiniano I accanto alla cappella fece costruire il monastero, il cui nome originale era Monastero della Trasfigurazione, successivamente fu chiamato Monastero di Santa Caterina perché poco distante da esso, in una grotta sul monte Sinai, attorno all’800, i monaci ritrovarono il corpo di santa Caterina d’Alessandria, che dopo il martirio avvenuto per decapitazione, perché la ruota alla quale era stata legata si era rotta, era stato trasportato sul Sinai dagli angeli...
Nel monastero è conservato un documento, di pugno di Maometto, con cui accordava protezione al monastero, perché all’interno di esso era stato accolto e protetto dai nemici. In virtù di questo documento il monastero sopravvisse alla dominazione araba, anche se i monaci erano stati dispersi. All’interno delle sue mura fu costruita una moschea, che però non venne mai aperta al culto, perché, per errore, non era stata orientata verso la Mecca.
Durante il VII secolo i monaci furono dispersi, ma il monastero sopravvisse perché ben protetto dalle mura possenti. L’unico accesso attraverso esse è una piccola porta.» (Wikipedia)

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3. Scesi a terra, trovammo il villaggio in agitazione; poichè le mogli dei due preti scimatici del paese erano venute a litigio fra di loro, e dalle parole, come è solito, passando ai fatti, eransi accapigliate; e non solo esse, ma facendo intervenire i parenti, ne era sòrta una zuffa feroce, restandone alcuni anche feriti. Naturalmente la contesa non si arrestò li, passò nei loro mariti, cioè nei due reverendi Popi. Quindi fu necessario che, a rappacificarli, scendesse dal Sinai in Tôr il Procuratore del monastero, il quale avea sul paese e su di loro, non solo giurisdizione come Ordinario ecclesiastico, ma come Magistrato civile. La conoscenza di costui sarebbe stata una bella occasione per fare una visita al celebre monte, che ci stava dinanzi agli occhi, e veramente ne avevamo il desiderio; ma poi, riflettendo al ritardo che avrebbe recato al nostro viaggio, alla non lieve spesa che bisognava fare, al regalo di uso che doveva lasciarsi al monastero e ad altri inconvenienti, si risolvette di deporne il pensiero. Invece si fecero dai miei compagni in quel giorno alcune gite, su quelle aride colline, ed io me ne stetti a casa in conversazione col Monaco che custodiva l’ospizio del monastero.

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4. Avendo inteso il Procuratore che noi ci trovavamo a Tôr, venne a /43/ visitarci. Credemmo bene d’invitarlo a pranzo; ed il nostro invito fu accettato con tanto piacere, che volle si apparecchiasse qualche cosa a conto suo. Quindi Fra Pasquale, per avere maggiore comodità, si recò nella stessa casa del Procuratore, e portando seco le provviste, che tenevamo nella barca, si mise all’opra con aria e premura di un cuoco di prima classe. Si mangiò allegramente, e la Chiesa greca e la Chiesa latina passarono qualche ora in buon’armonia; giacché la conversazione si tenne sempre su cose generali ed indifferenti. Ma quando cercai destramente di toccare certi punti relativi allo scisma, per sentire quel che ne pensasse il nostro commensale; allora il Reverendo greco, che aveva già gustato qualche bicchiere di vino e qualche sorsetto di acquavite, sentendosi toccare nel vivo, cominciò a metter fuori certe voci, che poco piacevano: onde credetti meglio cangiar discorso, e rimettere ad altra occasione il parlar di queste cose, e quando avrei incontrato persone di mente più tranquilla.

Panorama di Medina
Panorama di Medina

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5. Dopo il pranzo visitammo la chiesa di Tôr, e la trovammo anche più miserabile di quella di Suez; ma non ci curammo di visitare il Sancta Sanctorum! ... Indi si andò alla fontana del villaggio, dalla quale tutti attingono l’acqua per gli usi di casa e per bere gli animali. Le barche arabe che venivano da Suez, dove l’acqua dolce era scarsissima e si pagava a caro prezzo, partivano da quel paese con quanta era necessaria per quel /44/ tragitto, e se ne provvedevano abbondantemente in Tôr: e così fecero i nostri barcaiuoli. Ora, i Greci di Tôr credono e vogliono dare a credere che Mosè abbia passato colà il Mar Rosso, e che quella fonte sia l’acqua ottenuta dal gran Legislatore miracolosamente. Più, vi mostrano il luogo dov’egli intonò il Cantemus Domino a rendimento di grazie. Ma ciò non ha ombra di vero; poichè Mosè, partendosi dal luogo, descritto chiaramente nella Divina Scrittura, ed uscendo a Tôr, avrebbe fatto una diagonale da quintuplicare per lo meno il tragitto.

Tunc cecinit Moyses et filii Israël carmen hoc Domino, et dixerunt: Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est, equum et ascensorem dejecit in mare. Esodo 15:1

Avrei voluto discorrere a lungo con quei Greci sulla storia del monte Sinai e di altri luoghi notabili; ma parlando essi assai diffìcilmente l’italiano, e molto più vedendo la facilità, con cui esageravano e travisavano i fatti e le cose, da rendere diffìcile il discernere il reale dal fittizio, giudicai meglio tacere. Questi Greci scismatici son coloro che in Oriente hanno falsate ed avvilite la più parte delle tradizioni dei Luoghi Santi. E più tardi mi ebbi a convincere che è Stata questa razza di stupidi Ciceroni greci, che ha riempito l’Abissinia di tante ridicole tradizioni su quei santi luoghi, spacciando ai pellegrini, che si recano in Palestina, le più goffe storielle.

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6. Verso sera entrammo in barca per partire al mattino sul far del giorno: e sciolte le vele, si navigò tutta la giornata, costeggiando il littorale asiatico, e solo verso sera perdemmo di vista le alture del monte Sinai, quando, cioè, ci trovammo all’imboccatura del golfo Elanitico (oggi di Akabah). Si continuò a navigare tutta la notte; ma la mattina seguente, con nostra meraviglia, eravamo ancora all’imboccatura del golfo suddetto, con un’agitazione di mare straordinaria. Non avendo presenti i miei ricordi ed appunti, non posso con certezza precisare il giorno di questo nostro viaggio; ma sembrami che fosse il 14 Settembre, poichè ricordo che celebrammo là, meglio che per noi si potesse, la festa della Croce. Si seguitò a navigare, fermandoci due sole notti a terra; e finalmente dopo sei giorni e quattro notti di mare si giunse a Jambo. È su questo punto che passa il tropico del Cancro, ed incomincia la zona torrida.

Jambo «Yanbuʿ al-Bahr ينبع البحر è una città saudita situata sul mar Rosso.» (Wikipedia)

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7. Ci fermammo due giorni a Jambo, sì per riposarci, sì ancora per provvederci d’acqua e di altre cose. Scendemmo anche a terra, ma trovando il paese affollato di fanatici pellegrini mussulmani, che ci guardavano con occhio bieco, credemmo più prudente ritirarci in barca. Incidente coi pellegrini algerini: 1.10.1846 A.Rosso La sera stava ancorata vicino a noi una barca di pellegrini algerini, molti dei quali io aveva conosciuto in Alessandria ed al Cairo, andando al Consolato; dove essi ricorrevano per soccorsi e denaro; poichè la Francia, affin di amicarsi /45/ questi benedetti Algerini, con la forza conquistati, dava loro il passaggio franco sui piroscafi governativi, quando recavansi al pellegrinaggio della Mecca: più, in Alessandria, in Cairo, in Suez ed in Gedda, i Consoli francesi tenevano disponibili grosse somme di denaro per soccorrere questi Algerini di passaggio. Con tutti sì larghi favori, il loro odio contro gli Europei non si smorzava, e già in Suez ci avevano fatti segno a parole di spregio e di minacce: e quella sera trovandosi vicini alla nostra barca, insolentirono più, e pareva non volessero finirla. Allora per imporre loro rispetto ed incutere in essi un po’ di timore, pensai d’inalzare la bandiera francese. Non l’avessi mai fatto! Tutti ad una voce cominciarono a strepitare, e con grida e minacce ci costrinsero ad abbassarla. Il Capitano della nostra barca, temendo che quella fanatica plebaglia ci avesse a recare nella notte maggiori molestie e qualche cosa di peggio, si scostò da loro, ed andò ad ancorare più lungi. Di questo fatto io mandai una fedele relazione al Governo francese, ancor monarchico, ma, per quanto sappia, non si fece nulla, o nulla si poteva fare. Solo il timore del castigo e la vista della sferza possono raffrenare il mussulmano; le cortesie e le generosità lo rendono più insolente. E lo stesso deve dirsi degli Abissini e di tutti i popoli che non conoscono la legge di Gesù Cristo, e non hanno ammansita la loro barbara natura mercè lo spirito e gli insegnamenti del Vangelo. E la Francia, insultata nelle nostre persone e nella sua bandiera da popoli, che materialmente aveva sollevati e beneficava, avrebbe ottenuto maggiori frutti se avesse dato più libertà agli apostoli del Vangelo, per ispargere fra quei conquistati la benefica luce della cattolica religione. Essa, non che i corpi, avrebbe anche conquistati i cuori dei mussulmani algerini.

...non vi è che il timore che avvilisce ed abbatte il mussulmano, le generosità e le cortesie lo fanno più insolente; così in proporzione sono gli abissinesi, e generalmente tutti i popoli che non hanno gustato il Vangelo e temperata la loro natura collo spirito del medesimo. Questa è la ragione che i nostri così detti fratelli popoli dell’istessa Europa, a misura che progrediscono e civilizzano allontanandosi da Cristo diventano ancor più barbari degli stessi mussulmani; ancora temono le masse cattoliche, ma pure incomminciano a dare dei saggi di una barbarie che non si trova altrove; con questa gente non c’è che il bastone che gli avvilisca, e fino a tanto che le masse sono ancora di Cristo resta a vedere se sia più giusto consigliare la pazienza, oppure un’azione energica; tanto più quando un gruppo di mascalzoni con bugie e con patenti ipocrisie si sono impadroniti del governo ed a nome del popolo dopo aver caciato i legittimi governi vogliono ancora caciare Cristo per fare vero macello dei popoli... Memorie Vol. 1° cap. 5 p. 39.

La Mecca, arabo مكة المكرّمة Makka al-Mukarrama “Makka l’onoratissima”, è la città santa dell’Islam. La Kàaba (in arabo لعبة Kaʿba “cubo”, è una costruzione destinata a conservare la pietra nera sacra.

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8. Passati due lunghi giorni in Jambo, la mattina del terzo si levò l’ancora e partimmo per Rabbo. Ricordo che fu necessario trattenerci sul mare sette giorni per giungere al porto di Rabbo, ed in questi sette giorni, due notti solamente prendemmo terra in qualche seno un po’ sicuro del littorale arabico, i cui nomi ora più non rammento, né posso riscontrare. Passando dal Tropico alla zona torrida, fummo sorpresi da una agitazione di mare assai violenta. Una notte tutto all’improvviso la barca diede una scossa sì forte, che ci spaventò. Aveva urtato in un banco di corallo circa un metro sotto acqua, ed ogni momento alzata dalle onde, e poi ricadendo sul banco, ci faceva rimbalzare e cadere da ogni parte. Il bujo era fitto, e noi, credendoci perduti, ci raccomandavamo a Dio, e ci demmo l’Assoluzione scambievolmente. Fortuna che la barca non era troppo carica, altrimenti si sarebbe spaccata al primo urto. I marinari /46/ scesero nell’acqua, e con grandi sforzi la tirarono fuori: poscia la visitarono col lume, e visto che non faceva acqua, ci diedero animo, e continuammo il viaggio con un vento si favorevole in poppa, che si correva come su di un piroscafo. La mattina del settimo giorno dalla partenza da Jambo verso le dieci entrammo nel porto di Rabbo.

Rabbo رابغ Rabigh.

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9. Rabbo è il porto di Medina, dove Maometto, cacciato dalla Mecca sua patria, si rifugiò, e dove incominciò ad esercitare il suo feroce impero. Regnato poscia lungamente anche alla Mecca, si ritirò in fine a Medina; ed ivi essendo morto, questa città divenne celebre presso i mussulmani. Sicchè dopo la Mecca, ove si venera il gran tempio della Kàaba (1), Medina, che conserva il sepolcro del Profeta, è il secondo santuario dei mussulmani. Rabbo è distante una giornata da Medina, ed è lo scalo di tutto il commercio di questa città: è ben fortificata, ed ha un Governatore e dogana. Essendo il paese tutto mussulmano e molto fanatico, noi eravamo stati avvertiti a Suez di non iscendere a terra, perché avremmo incontrato qualche pericolo, e ne seguimmo il consiglio.

Medina (arabo: المدينة المنوّرة al-Madīna al-munawwara “La città illuminatissima”) è una città dell’attuale regione saudita del Hijāz, nella Penisola araba. Sorge in un’oasi ed è nota fin dai tempi più antichi ... col nome di Yathrib ... (arabo: يثرب ) (Wikipedia)

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10. Poco dopo il nostro arrivo venne a visitarci il Governatore. Era questi un vecchiotto in sulla sessantina, oriundo albanese: aveva servito fedelmente il Governo da soldato per circa trent’ anni, ed era giunto al grado di Capitano. Ma non potendo salire più alto per mancanza di studj tecnici, gli si era dato in premio il governo di una piazza forte di secondo ordine. Nativo di un paese misto di cristiani e di mussulmani, non era tanto fanatico seguace di Maometto, anzi nutriva simpatia per i cristiani, e, se ben mi ricorda, avea parenti cristiani. Ma, poveretto, non poteva esternare questa simpatia come avrebbe voluto, perché da quei furiosi mussulmani sarebbe stato creduto ed accusato qual cristiano anch’esso. Perciò, avendo inteso che erano arrivati Europei, venne tosto da noi, anche per consigliarci di non iscendere a terra. Ci portò alcuni regali, forse con la speranza di bere con noi qualche bicchiere di vino e di acquavite, cose che non avrebbe trovato, né osato fare in Rabbo; giacché il vino e gli spiriti sono proibiti di entrare in quel porto sotto gravissime pene. Parlava l’arabo, il turco, e sufficientemente l’italiano; quindi potevamo conversare /47/ liberamente senza pericolo di essere compresi dagli altri. Ci riputammo fortunati di aver trovato una persona sì benevola in tal paese; ed il desiderio che avevamo di conoscere gli usi ed i costumi di quei luoghi, per noi impenetrabili, ci rendeva la sua conversazione assai gradita. Noi avevamo stabilito di passare solo un giorno in Rabbo; ma egli tanto disse e fece che ci trattenne due giorni. Si diede premura di farci portare il pranzo da casa sua, ed egli stesso con piacere mangiò e bevette qualche volta con noi.

La Kàaba della Mecca
La Kàaba della Mecca

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11. In verità dalle azioni e dai discorsi che egli faceva, noi lo qualificammo per un incredulo, il quale poca fede prestava a Maometto, ed anche poco alle altre religioni, e forse nel suo cuore era più cristiano che mussulmano. Quando beveva era solito dire: — Turco fino mangiar porco e bever vino. — Parlando di Maometto diceva: — I Santi cristiani o non hanno moglie, oppure ne hanno una sola: ma il nostro Profeta ne aveva quattordici, e tutte rubate; anzi le mogli degli altri erano tutte sue. — Tralascio di riferire qui altre confessioni, uscite dalla bocca di questo mussulmano, le quali mostrerebbero quanto mostruoso sia l’islamismo; schifosa religione, che ha fatto perdere tante anime, e che avvilisce ed imbrutisce l’uomo, dando da una parte libertà alle sue sfrenate passioni, e tenendolo poi schiavo del più feroce dispotismo politico.

Potrei rapportare qui molte altre confessioni sortite dalla bocca di questo uomo, le quali potrebbero anche essere utili per far conoscere cosa è l’islamismo, eresia che ha perduto e perde ancora tante anime, eresia che presenta l’estrema libertà alle passioni del[l’]uomo, unita ad un’estremo dispotismo monarchico, ma sarei troppo lungo e sortirei dal mio scopo. Memorie Vol. 1° cap. 5 p. 40.

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/48/ 12. Passati i due giorni, la mattina del terzo veleggiammo per Gedda. Il viaggio non fu infelice, si soffriva sì, ma si godeva pure; finalmente, dopo tre giorni, allo spuntar del sole giungemmo alla vista di Gedda. Arrivo a Gedda: 8.10.1846 A.Rosso È questa la città più grande di tutta la costa asiatica del Mar Rosso, ed anche la più importante, sia perché, posta tra l’Arabia Felice e l’Arabia Petrea, è capoluogo e sede del Governo di tutta l’Arabia; sia perché è l’emporio di tutto il commercio del Mar Rosso; sia ancora per essere la porta d’ingresso e di uscita dei famosi pellegrinaggi mussulmani. Gedda, veduta dal mare, appare bellissima; e le sue case tutte bianche, benchè mal fabbricate, ed i suoi alti minaretti (1), e le sue molte moschee (2), le danno un aspetto incantevole. Giunti nel porto, spedimmo un biglietto al Console francese signor Fresnel, celebre orientalista, poichè non volevamo sbarcare senza di lui. Il Console era assente da Gedda, e venne invece il suo Cancelliere signor Serkis, armeno-cattolico, con una barca per noi, ed un’altra pel bagaglio. Restando Fra Pasquale per la custodia e trasporto di esso, noi potemmo sbarcare senz’altro pensiero e disturbo, e ci avviammo alla casa del signor Serkis, accompagnati da lui. E poichè il nostro contratto con la barca era sino a Gedda, ci separammo dai marinari, e si cominciò a cercare un’altra barca, che ci conducesse direttamente a Massauah, via quasi unica allora per l’Abissinia.

«Gedda arabo: جدّة Ǧiddah è una delle più grandi città dell’Arabia Saudita occidentale, situata nella regione del Hijāz; era originariamente una villaggio di pescatori, fondata 2500 anni fa, ma i primi dati scritti sono risalenti al 647 d.C., quando il califfo musulmano ʿUthmān b. ʿAffān la trasformò in un porto per i pellegrini musulmani che vi transitavano durante il viaggio che li portava al pellegrinaggio (hajj) a Mecca.» (Wikipedia).

Fulgence Fresnel (1795-1855) orientalista ed archeologo, fratello del fisico Augustin-Jean Fresnel. Durante la sua permanenza a Gedda fu il primo a tradurre le iscrizioni di Himiar, antica civiltà dello Yemen preislamico. Recatosi in seguito in Mesopotamia al seguito di una spedizione archeologica, morì a Baghdad.

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13. Questa ricerca ci costrinse a fermarci in Gedda quasi due settimane: nel qual tempo però si fece un po’ di bene. In Gedda raramente capita un prete cattolico; quindi il suo arrivo è una consolazione grandissima per quei cristiani. Fummo invitati a dir Messa nella casa del Console, e v’intervennero anche gli eretici e gli scismatici: poichè questi poveri cristiani, quantunque scissi fra di loro per principi religiosi, pure dove si trovano in poco numero, sentono il bisogno di stare uniti, per difendersi in qualche maniera dal dispotico potere dall’islamismo. In Gedda /49/ trovavansi un cinque o sei famiglie di Greci scismatici, i cui pargoletti non essendo ancora stati battezzati, pregato dai parenti, amministrai loro il Battesimo, con la promessa però che li avrebbero educati nel cattolicismo. Ma si sa bene che tali promesse non vengono poi mantenute.

Debbo quì riferire il criterio che mi sono fatto nel battesimo di questi bimbi figli di eretici. L’eresia può essere un titolo civile di separazione dalla vera Chiesa di Cristo, ma mai un titolo the possa derogare la legge divina che da alla Chiesa il diritto materno sopra tutta questa società rebelle, e che la dispensi dall’amministrare i sacramenti quando nulla osta per parte dell’individuo. Se nei nostri paesi non si battezzano, è solo per mancanza del consenso paterno, assistito dalla legge civile. Simili bimbi, come figli di battezzati, naturalmente nascono alla Chiesa di Dio, e non all’eresia. La stessa scomunica della Chiesa, come pena medicinale colpisce gli adulti colpevoli, ma non gli altri in buona fede, e tanto meno i bimbi. L’educazione futura incerta può essere un motivo, ma non è sufficiente, massime trà gli infedeli, dove può arrivare la morte. Fra le vittime di Gedda nel massacro del 1857. [15.6.1858 A.Rosso] io aveva là più di 25. battezzati... Memorie Vol. 1° cap. 5 nota a p. 41.

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14. Come già ho detto, in assenza del signor Console Fresnel, ne faceva le veci il suo Cancelliere signor [Nel testo: Serkir M.P.] Serkis, il quale, ospitatici in casa sua, ci trattava con ogni riguardo. Costui, venuto da giovane in Gedda come mercante, avea acquistato una più che mediocre fortuna. Volendo ammogliarsi, e non trovando colà una giovane cattolica, pensò di comprarsi una schiava galla, ed istruitala e fattala battezzare da un prete cattolico di passaggio, la sposò. Ella lo fece padre di un figlio, che al nostro arrivo contava otto anni. Questa donna, benchè trattata in quella casa come una signora e con tutti i riguardi di moglie, pure, o perché, mancando di soda istruzione religiosa, non conosceva abbastanza i suoi doveri di moglie e madre cristiana; o perché subornata da compagne galla, che in Gedda, abbracciando la religione mussulmana, avevano fatto fortuna; o perché da qualche tristo erano state svegliate nel suo cuore riprovevoli passioni, fatto sta che non era contenta del suo stato. Sentendo che eravamo diretti per i paesi galla, voleva ritornarvi con noi. Ma mi accorsi che sotto questi pretesti covava ben altri disegni, ed io mi sforzai persuaderla che ella non sarebbe stata mai felice, che nella fedele affezione del suo sposo, e nella comoda condizione, in cui il Signore l’aveva collocata. Parve acquietarsi per allora; ma tre anni dopo venni a sapere che era stata rapita, o forse si era fatta rapire dal Pascià Governatore di Gedda. Il qual fatto suscitò una questione politica tra il Consolato francese e la Sublime Porta; e quel Pascià meritamente perdette il suo ufficio. Ma intanto il povero signor Serkis ne fu così addolorato, che nello stesso anno morì in Cairo, dov’erasi recato per ottenere una riparazione; e poco dopo morì anche il suo orfano figlio. Ne ho veduti molti altri di questi matrimoni tra Europei con ischiave o donne di altra fede; ma ho dovuto convincermi ch’essi non riescono mai bene, segnatamente quando le donne non hanno ricevuto sin da giovani un’educazione veramente cristiana, e non ne pratichino poi giornalmente i salutari doveri in casa ed in chiesa.

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15. In Gedda si fa il commercio di un balsamo preziosissimo, forse il migliore che si conosca. Avendone io bisogno pel mio ministero, pregai il signor Serkis di comprarmelo, e procurarmi anche un ramoscello con fronde della pianta, da cui si cava. Me ne portò quattro once col ramoscello che desiderava, e chiusolo ermeticamente in un vaso di cristallo, /50/ lo conservai per recarlo in Abissinia, a fin di farne il confronto qualora là ne avessi trovato. E questo presentimento non restò deluso; poichè poscia una felice scoperta coronò le mie ricerche, con grande vantaggio della Missione, come appresso vedremo.

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16. Intanto Partenza da Gedda 15.10.1846 A.Rosso dopo dodici giorni di dimora in Gedda, nel qual tempo non lasciai di esercitare il mio apostolato, forse senza frutto, noleggiata un’altra barca, si partì per Massauah circa la metà di Ottobre. Costeggiando per due giorni l’Arabia Felice, approdammo a Confuda, porto e città secondaria, dove il Capitano della nostra barca si era riservato di fermarsi un giorno per suoi affari particolari. Indi veleggiammo ad Ovest per attraversare il Mar Rosso, e raggiungere la costa africana. Dopo due giorni di alto mare, entrammo nel piccolo arcipelago di Dahlak, formato di varie isolette, ed abitato da circa 300 persone, che vivono di pascoli e di un po’ di commercio con Massauah. In queste isole si pescano le perle, e con esse la madreperla di ottima qualità. I Veneziani avevano qua una manifattura per questa pesca, ed ancora vi si vedono le cisterne scavate da essi. Dopo di loro vi si stabilirono i Bagnani, i quali vi ricavano molto lucro, perché assai pratici di tal pesca. Più volte gli Europei hanno tentato di ripigliare questo traffico; ma vi hanno fatto fiasco, perché non hanno saputo cattivarsi l’animo degli indigeni, o perché tenuti dietro dai Bagnani.

Arabia Felice: Yemen

Cufuda القنفذة Al Qunfudhah città dell’Arabia Saudita sulla costa meridionale del Mar Rosso

Isole Dahlak ዳህላክ : arcipelago del mar Rosso, composto di un centinaio isole, di fronte a Massaua (all’epoca, essa stessa un’isola). La più grande e più vicina alla costa, Dahlak Kebir, misura circa 900 km².

Bagnani: l’arabo banyan e il portoghese banian derivano dalla parola gujarati vaṇiyo, che indica la casta mercantile dell’India. Nella prima metà del XIX i mercanti indiani controllavano gran parte del commercio nel Mar Rosso. La guarnigione inglese di Aden comprendeva un corpo di guardia di quasi 2000 indiani, che avevano fatto della rupia la moneta circolante principale del commercio costiero. A Massawah e nelle isole Dahlak i banyan compravano dai pescatori le perle, pagandole con tessuti provenienti per lo più da Surat e Bombey; le tele indiane poi circolavano in tutta l’Africa Orientale, dove venivano scambiate come moneta corrente.

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17. In Dahlak non ci fermammo che solamente la notte. a Massauah: 28.10.1846
A.Rosso
Al mattino, prima del far del sole, ci mettemmo in viaggio, e circa le due pomeridiane eravamo già ancorati nel porto di Massauah. È questa un’isola formata in origine da un banco di corallo, ed oggi divenuta una stazione importante del littorale africano; è soggetta all’impero turco, ed abitata principalmente da mercanti arabi. Domandammo subito dell’Agente Consolare francese signor Degoutin, e ci fu detto ch’era partito per l’Egitto insieme col Console di Gedda. Noi ci dolemmo di non averlo trovato né incontrato per via: poichè eravamo a lui particolarmente raccomandati. Il Governatore però, chiamato Ismail-Aggà, ci ricevette molto bene e ci assegnò una casa sufficientemente comoda; vi fece trasportare il nostro bagaglio, e di più ci mandò un pranzetto all’uso di Arabia. Intanto si era spedito un messo alla signora Degoutin, moglie dell’Agente, la quale trovavasi in terra ferma, per darle notizia del nostro arrivo: e non erano trascorse poche ore ch’essa giunse nell’isola insieme con due giovani indigeni, mandati pochi giorni prima dal signor De Jacobis, Prefetto della Missione Abissina.

Massauah Tigr. ምጽዋዕ miṣṣiwa, arabo مصوع maṣṣawaʿ, oggi porto principale dell’Eritrea e seconda città per importanza dopo la capitale Asmara, all’epoca era solo un’isoletta di fronte alla costa africana. Quando la città passò sotto la sovranità egiziana, negli anni ’70 del XIX secolo, cominciò la costruzione di due dighe per collegare l’isola di Massauah attraverso quella vicina di Taulud alla terraferma. Da quel momento l’espansione urbana ha assorbito le due isole e i borghi sulla terraferma in un unico grande centro.

Alexandre Degoutin console francese a Massauah dal 1841 al 1848.

Ismail-Aggà. È possibile che qui il M. confonda due personaggi: Rustam Agha, che fu walis (governatore ottomano) di Massauah dal 1845 al 1847, e Ismail Haqqi, che gli succedette nella carica dal 1847 al 1848.

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[Nota a pag. 46]

(1) La Kàaba è una cappella quadrata nel gran tempio della Mecca, chiusa da una porta di argento, è coperta da un tappeto nero rabescato d’oro con iscrizioni e sentenze del Corano. In detta cappella credono i mussulmani che si conservi la pietra nera, su cui Ismaele faceva le sue preghiere ed i suoi sacrifici. Perciò l’hanno in tanta venerazione, che quando pregano, debbono voltar la faccia verso questo luogo. Delle mostruose abominazioni, degne sole dell’Islamismo, che si praticano nel santuario annesso a questa cappella, parlerò altrove.

Kaba, luogo santo musulmano, è il punto, verso il quale tutti i musulmani del mondo, nelle loro preghiere, devono diriggersi, e verso il quale devono fare le loro adorazioni. Maometto, prima che conquistasse la città della Meca, aveva ordinato che il punto di direzione suddetto fosse il tempio di Gerusalemme, dove si suppone esistere la pietra sopra la quale Abramo ha fatto il sacrifizio del suo figlio Isacco. Dopo conquistata la città della Meca, ha ordinato che il punto di direzione suddetto fosse il tempio della Kàba, dove si suppone esistere la così detta pietra nera, sopra la quale Ismaele era solito sacrificare. Per i musulmani Ismaele, benchè figlio di schiava, pure è considerato primogenito di Abramo; per loro Sara legittima moglie di Abramo, non è un’argomento di precedenza sopra la schiava Agar. Memorie Vol. 1° cap. 5 nota a p. 39.

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[Note a pag. 48]

(1) I minaretti sono alte torri simili ai nostri campanili, da cui credo che i Mussulmani abbiano preso la forma. Essi s’innalzano d’accanto alle moschee, sono di architettura araba, e terminano in aguglie sormontate dalla mezzaluna. Quasi in cima hanno ringhiere intorno, su cui salisce e si agita, più volte al giorno ed anche alla notte, il Muezzin, o Santone del Corano, cantando l’invito alla preghiera, che comincia Allà, illalà. Nelle piccole moschee dei paesi quest’invito si fa ad alta voce; ma in Gedda e nelle grandi moschee della città si canta. [Torna al testo ]

(2) Con questo nome chiamiamo noi i templi maomettani, ma il loro vero nome è Mesgid, che significa casa di adorazione, derivato dal verbo sàgad che vuoi dire adorare. E poichè i Maomettani nel pregare devono tenere la faccia rivolta alla Kàaba della Mecca, così nelle moschee suolvi essere una nicchia, che indica questa direzione. Le moschee di Gedda, di Medina e della Mecca sono ricchissime, per le oblazioni che vi lasciano i pellegrini: quelle del Cairo in più gran numero e grandiose; quelle poi di Costantinopoli, tranne S. Sofia, sono più meschine: esse in gran parte son chiese cristiane profanate. [Torna al testo ]