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Capo IV.
Sul Nilo.

1. Nove giorni di navigazione. — 2. Assiùt; incontro di Europei. — 5. Arrivo del Missionario e mia partenza. — 4. Le antichità egiziane dicono che tutto è vanità. — 5. Le sfingi che cosa dicono? — 6. Una Missione cattolica; osservazioni sui Copti. — 7. A Koròsko. — 8. Commiato ai barcaiuoli. — 9. Le due vie del Sudan. — 10. Contratto pel viaggio.

Ci vollero nove giorni per arrivare ad Assiùt; poichè la notte eravamo costretti passarla nei villaggi, a causa dei coccodrilli, i quali, più si saliva il Nilo, più infestavano quelle spiagge: ed i barcajuoli n’erano così intimoriti, che, incontrando qualche cattivo passo, temevano anche di giorno di scendere a terra, per tirare a mani la barca. Secondochè poi la stagione s’inoltrava, e le acque del fiume crescevano per le sopraggiunte piogge della zona, ajutati anche da un vento più forte, la nostra navigazione si faceva più facile, ed anche più spedita. In tutto questo viaggio non ricordo che ci accadesse qualche cosa di notabile: solo un giorno incontrammo su di un’isoletta del fiume una quantità sì innumerevole di coccodrilli, che mettevano spavento. Da lontano sembravano grossi lucertoni, ed a mano a mano che ci avvicinavamo, appariva sempre più la loro enorme grandezza. Non potei guardarli da vicino; perché, vedendoci arrivare, si tuffavano nell’acqua e sparivano, per ricom- /43/ parire in altro punto. I barcajuoli me ne fecero vedere alcuni appena nati, ed erano lunghi circa due palmi; poi, presone uno, lo ammazzarono; e benché piccolo, aveva si gran forza, che a stento si lasciava tenere in mano.

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2. Assiùt era la più gran città dell’Alto Egitto: ma pessimamente fabbricata, e minacciata sempre dalle inondazioni del Nilo. Le sue case assai basse, ed alcune a due piani, erano tutte fabbricate di semplice terra vegetale: nè potevano portarle a maggiore altezza; poichè tutta quella spiaggia, non essendo altro che sedimento del fiume, il terreno sodo non poteva trovarsi che ad una grande profondità. La popolazione era in gran parte copta eretica: ma vi erano pure alcuni cattolici con una Missione. Profittando di questa occasione, pensai di fermarmi un giorno, per confessarmi e celebrar la santa Messa. Sventuratamente non trovai il Padre Missionario, ch’era andato a visitare un paese vicino, dove fioriva una numerosa comunità cattolica: sentendo intanto gran bisogno di refocillare il mio spirito, risolvetti di aspettarlo. Si trovavano in Assiùt due Europei, uno, mercante italiano, e l’altro, medico; tutti e due bravissime persone, ed amici del Missionario: laonde, fatta conoscenza, il giorno lo passava con loro, e la notte mi ritirava nella barca. Il medico aveva l’offizio di vaccinar tutti gli schiavi, che venivano dal Darfùr, laddove quelli che venivano dal Sennàar si vaccinavano a Kartùm o a Dongola. In Assiùt inoltre si teneva il registro di tutti gli schiavi, che pel Nilo erano diretti al Cairo; e da quel medico potei conoscere il numero preciso di quanti di questi disgraziati n’erano passati in tre anni.

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3. Dopo tre giorni di aspettazione in Assiùt, resi meno nojosi dalla compagnia dei due Europei, giunse il buon Missionario: ed al mattino mi confessai e celebrai la santa Messa. Egli avrebbe voluto trattenermi qualche giorno con lui, ma i miei doveri mi chiamavano altrove; tuttavia passammo la giornata insieme, e verso sera, dopo essermi accomiatato con i due Europei, ci abbracciammo, e mi avviai alla barca. Per istrada incontrai alcuni contadini, che ritornavano dalla campagna con le zappe sulle spalle, e portando appesi alle zappe molti grossissimi sorci, che sembravano conigli. Avendo domandato ad uno che mi accompagnava, che cosa ne facessero? mi rispose: — Sono Nosràni (copti eretici), i quali ogni giorno ne fanno la caccia, ed ora se li portano a casa, per mangiarli. Allora mi ricordai e compresi il perchè gli Abissini danno per disprezzo ai Copti il soprannome di mangia sorci.

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4. Partiti di buon mattino, cominciammo a salire quella parte del Nilo, le cui sponde mostrano gli avanzi della cospicua Tebe, e delle /44/ superbe grandezze dell’antico Egitto. È questo il viaggio dei dotti; ma io, non avendo nè la scienza, nè i mezzi, nè la missione d’occuparmene, tirai dritto per la mia via, senza fermarmi che qualche brevissimo tempo, per osservarli così alla sfuggita. Vedendo però tutte quelle antichità, su cui tanti illustri scienziati d’Europa hanno fatto lunghi studj, non potei a meno di esclamare in cuor mio: Vanitas vanitatum! Vanità per coloro che inalzarono sì grandi monumenti; poichè di essi non resta altro che un qualche mucchio di rovine. I sedimenti del Nilo e le sabbie del deserto hanno sepolto tanti sforzi e tante fatiche: e neppure il nome di coloro che inalzarono o fecero inalzare sì grandi moli, oggimai si conosce; con le opere son periti anche gli autori! Vanità anche per coloro che su quei ruderi si affaticano in iscientifiche ricerche; dappoichè ai loro studj succederà quello che successe alle fatiche degli antichi Egiziani. Sarà fatto un po’ di rumore da principio nel mondo scientifico, si batterà loro le mani, si daranno loro titoli, gradi, onorificenze: ma poi tutto cadrà nell’oblio, ed i loro studj ed il loro nome avranno la stessa sorte delle opere che illustrarono. Da molti s’inneggia oggi al progresso, e se ne vorrebbe fare una divinità: ma quegli avanzi di monumenti, che ricordano il progresso dei tempi antichi, provano che anche il progresso è una vanità, una chimera, un fuoco fatuo, che passa e sparisce. Così sarà di noi. Verrà tempo in cui si dirà del nostro progresso quello che noi diciamo del progresso di Tebe: Non è più! In verità tutto nel mondo passa; eterno e divino è solo quell’Essere che crea e distrugge: e quest’Essere solo bisognerebbe studiare, amare e servire, per acquistarsi un nome glorioso, non nella presente vita, ma nell’eternità.

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5. Un’altra riflessione mi veniva in mente, vedendo quelle rovine. È certo che quei paesi furono un tempo centro di civiltà, ed abitati da immense popolazioni; le quali potevano gloriarsi della loro potenza e grandezza, e promettersi una vita imperitura. Ebbene, che cosa sono oggi il gran tempio di Karnak, i palazzi di Ramesse, di Tuotmosis, di Sesostri, i colossi di Mennone ed altri celebri monumenti? Non altro che deserti e rovine! Tebe non è che un mare di sabbia, di sotto la quale centinaja di sfingi colossali, mettendo fuori le infrante teste, par che dicano al malinconico forestiere: — Qui vi era la superba Tebe. — E quei pochi popoli, che, sparsi qua e là per l’arido deserto, vi menano stentata vita, sono caduti si basso, e divenuti talmente barbari e vili, che invano tenteresti di far loro concepire un’idea della grandezza ed opulenza dei padri loro! Ora, una simile umiliazione non potrebbe per avventura essere /45/ riservata anche a noi da quel Dio, di cui oggi orgogliosamente vogliamo far senza?

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6. Dopo tre giorni di felice navigazione si giunse in un villaggio, dove trovavasi una Missione cattolica, diretta da un Padre Minore Riformato; e mi fermai un giorno anche là, per celebrar Messa e fare le mie devozioni. Restai molto contento nel vedere il bene che vi si faceva: il villaggio era già divenuto tutto cattolico; aveva una scuola di giovanetti numerosa, ed ogni mattina alla Messa la chiesa si riempiva di devota gente. Quel Missionario mi disse che in altri villaggi, non molto lontani da quello, fiorivano numerose comunità cattoliche, coltivate da sacerdoti indigeni ill. Il tempio di Karnak || di rito copto. Egli riteneva che, se le Missioni fossero favorite e sostenute da un’energica protezione esterna, la conversione di tutti i Copti sarebbe certa e sicura. Ne conveniva anch’io, almeno per quelle contrade: ma conoscendo forse meglio di lui gli Orientali, il loro spirito, il loro carattere e la loro incostanza, mi feci lecito di fargli osservare, che da tali conversioni non poteva sperarsi tutto quel bene ch’egli forse si prometteva. Primo, perchè le conversioni, che non nascono da un intimo sentimento di convinzione, ma da una forza esterna umana, o da fini secondarj, non sono mai durature. Cessata quella forza, e conseguito quel fine, o pure perduta la speranza di conseguirlo, l’Orientale con tutta facilità ritorna indietro, e /46/ ripiglia la sua antica fede. Secondo, pel carattere venale ed incostante, che ha acquistato sotto la lunga educazione della perfidia eretica. Dominato, più dall’interesse materiale che dal sentimento della fede, avvezzo a contentare sfrenatamente le proprie passioni, poco o nulla disposto a quelle virtù, che l’Apostolato e la vita cattolica richiedono da ogni cristiano; una piccola contrarietà, un motivo di lieve momento, una variazione politica, bastano a farlo mutare di fede, e ritornare facilmente all’errore primiero. Talvolta per iscuotere il giogo oppressivo dei loro Vescovi, stendono le mani a noi, e chiedono di far parte della nostra Chiesa: ma scosso quel giogo ed ottenuto l’intento, non sono poi sì fedeli da portare pazientemente quello di Gesù Cristo; ed eccoli pronti ad abbandonarci, e a cercare altra fede ed altri padroni. Ciò principalmente suole accadere nelle conversioni in massa, dove quell’apparente fervore è mosso da un entusiasmo momentaneo, anziché da matura riflessione. — Tuttavia, soggiunsi, queste conversioni hanno sempre una parte di bene, e la Chiesa, quantunque più volte le abbia trovate illusorie, non le rigetta; perchè, se non altro, mostrano la tendenza di quei popoli piuttosto verso la Chiesa Romana, che verso le altre sètte cristiane; servono inoltre a salvare qualche anima, che in tale spazio di tempo, munita dei divini Sacramenti, se ne passa all’altra vita; e lasciano sempre nel popolo, e principalmente nella gioventù, copiosi germi di fede, ricevuti in quel tempo, mercè la cattolica istruzione (1). — Queste riflessioni, suggeritemi dall’esperienza, furono trovate assennatissime da quel buon Missionario; ed anziché un giorno, mi avrebbe voluto seco un anno: ma io doveva continuare il mio viaggio, e con dispiacere ci dividemmo.

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7. Dopo circa dodici giorni di navigazione si giunse a Koròsko. Nulla di particolare mi accadde in questo viaggio; sempre la stessa monotonia, la stessa noja, gli stessi pericoli dei coccodrilli, e perciò, come prima, eravamo costretti viaggiar di giorno, e fermarci la notte in qualche punto sicuro. Quei barcajuoli avrebbero voluto distrarmi e tenermi allegro: ma sia perchè poco intendessi la loro lingua, sia perchè quei loro modi e facezie poco mi garbassero, dovetti rassegnarmi a passare quei lunghi giorni in compagnia dei miei pensieri, e cercare qualche distrazione nelle varie vedute, che mano a mano presentavano le sponde di quel provvido /47/ fiume. Giunti a Koròsko ci fermammo per comprare qualche cosa, e refocillarci un po’ lo stomaco, illanguidito abbastanza da un cibo assai misero e sempre uguale. Koròsko è un piccolo paese posto sulla riva destra del Nilo, appiè di una nuda montagna, ed ha un po’ di commercio, perchè ivi fanno sosta le barche che vengono dal Cairo, quelle che vengono da Dongola, e le carovane che pel deserto vanno e vengono da Bèrber.

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8. Vicino a Koròsko avvi una piccola cateratta, che prende il nome da quel paese, e chi vuole continuare il viaggio, o seguitando il corso del Nilo, o prendendo la via del deserto, fa d’uopo che l’attraversi, per recarsi ad un altro villaggio non molto distante, donde partono le carovane. ill. I colossi di Memnone || Quella cateratta, essendo piccola, con facilità si passa in tutte le stagioni, tirando a mano la barca; della quale operazione se ne deve occupare il Reis. Passata dunque al mattino la cateratta, nello stesso giorno si giunse al villaggio. Sin qui dovea condurmi la barca, e perciò, mi recai con i barcajuoli dall’Effendi, uffiziale del Governo, per la verificazione e scioglimento del contratto, fatto con essi in Cairo. Egli già avea ricevuto una lettera di Hanna Messàrra sul conto mio, e mi accolse con ogni riguardo. Verificate le condizioni del contratto, e dichiaratomi soddisfatto del servizio prestatomi, alla sua presenza lo sciogliemmo; e dando commiato al Reis, gli consegnai la lettera da portare al Cairo, nella quale simil- /48/ mente dichiarava la mia soddisfazione pel servizio prestatomi e lasciava in libertà il mio Procuratore di dare ai barcajuoli la promessa gratificazione. Quanto mi servì bene quella gente! — Il vostro amico Messàrra, mi disse l’Effendi, ha scelto per voi il miglior Reis, che viaggi sul Nilo. — E veramente non ebbi mai di che lagnarmi, nè di lui, nè degli altri.

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9. Il viaggiatore che viene dal Basso Egitto, giunto a Koròsko, dovendo continuare il cammino e recarsi al Sudan, deve scegliere tra due vie, che gli si presentano per quel viaggio. Una è quella del Nilo, lunghissima e fastidiosa, perchè forma un semicircolo, e passa per Dongola, attraversando le grandi cateratte; le quali è impossibile superare con la barca quando le acque del fiume sono basse, e solo possono tragittarsi nei tre mesi della gran piena, e con l’ajuto di persone che la tirino. L’altra è quella del deserto, che, tagliando con una linea retta la curva, raggiunge il Nilo a Bèrber. Volendo andare a Kartùm, da tutti ordinariamente si sceglie questa, tranne che non si abbiano faccende da sbrigare in quel corso del fiume. Stabilito adunque di prendere la via del deserto, si va dal Comandante egiziano, al quale sono commessi i negozj e gli affari del deserto, ed egli pensa a provvedere ogni cosa. Secondo il numero ed i bisogni dei viaggiatori; destina le bestie e le persone, che devono accompagnarli, ne riceve il prezzo corrispondente, e fissa il giorno della partenza.

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10. Lo stesso Effendi adunque prese l’incombenza di cercare la piccola carovana, che doveva accompagnarmi; e mi trovò una famiglia di cammellieri, buona quanto i barcajuoli, che dal Cairo mi aveano condotto sin là. — Questi, mi disse, additando il Capo, è un cammelliere del deserto, che riservo sempre per le persone particolarmente raccomandate, e son sicuro che ne resterete contento. Egli ha un giovane figlio, che sempre lo accompagna, e credendo che voi foste un Turco, non voleva condurlo seco: ma avendolo assicurato che voi eravate un uomo di Dio, si risolse di portarlo, per prestarvi tutti quei servizj particolari, di cui potrete aver bisogno. — Erano adunque tre persone e tre cammelli che mi accompagnavano; un cammello per me, uno per l’acqua, ed il terzo pel bagaglio. Questo si riduceva a due casse piene di miei oggetti particolari, a due ceste con i viveri, e ad alcuni attrezzi necessarij, per ripararci il giorno dal sole, e la notte dal freddo. L’Effendi stesso venne a dare la consegna di ogni cosa; e rimesso nelle sue mani il prezzo stabilito, me ne fece ricevuta in iscritto, dichiarando in essa anche il numero delle persone, dei cammelli e dei colli, che componevano la carovana.

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[Nota a pag. 46]

(1) Bisogna distinguere i Copti che abitano l’Alto Egitto, da quelli nati ed educati fra i Turchi e fra i Greci e gli Slavi. Questi sono più corrotti, per causa del loro convivere e praticare con i mussulmani: laddove quei dell’Alto Egitto, e principalmente i contadini, si trovano ancora abbastanza morali, d’indole più dolce, e di carattere più leale e costante. [Torna al testo ]