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Capo V.
Pel deserto.

1. Partenza; un cammello ragionevole. — 2. Il deserto dì Koròsko; cautele da usarsi. — 3. I miei cammellieri. — 4. Un temporale di sabbia. — 5. Lagnanze del cammelliere. — 6. Conseguenze di questi temporali. — 7. Scheletri umani per via. — 8. Riposo e partenza. — 9. Fermata all’oasi; penuria di acqua. — 10. Arrivo a Bèrber. — 11. Superbia ed impertinenze del Modìr. — 12. Umile ritrattazione del Modìr. — 13. Precauzioni per le febbri e partenza. — 14. A Scendy; nozze nel ventre di coccodrilli. — 15. Invito del Console austriaco; finta guerra con cavalli e cammelli. — 16. Incontro con Fatàlla Mardrùs. — 17. Da Scendy a Kartùm.

Nel giorno seguente partimmo dal villaggio di Koròsko, e fatto un breve tratto di strada, si giunse ad un punto, in cui la via si biforcava, e menava, una al gran deserto, e l’altra al Nilo. Dovendo noi prendere quella del deserto, un cammello, appena la vide, si coricò e non volle più andare innanzi. Veramente mi sgomentai; perchè questo intoppo ci avrebbe obbligati a ritornare indietro, per provvederci di altra bestia, o cambiare carovana. Ma il cammelliere, senza punto scomporsi, ordinò che fosse portato alla fonte; e di fatto, appena bevette novamente, ritornò e proseguì con gli altri due il cammino. Chiestagliene poi la spiegazione, mi disse che, prima d’imprendere un viaggio, conducendo a bere i cammelli, si dà loro un segno convenzionale della via che si dovrà fare; affinchè bevano per tanti giorni, per quanti ne passeranno, senza trovare acqua. /50/ Ora, non avendo quel cammello compreso bene il segnale, aveva bevuto solamente il necessario per la giornata: vedendo poi che lungo quella strada, per cui si doveva viaggiare, non si sarebbe trovata acqua, almeno per quattro giorni, fece la sua protesta; ed in verità avea ragione (1).

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2. Il deserto di Koròsko è forse più vasto di quello di S. Antonio. Al solito non si vede che un mare di sabbia, da cui spuntano a quando a quando scogli di pietra e qualche nuda collina. Dalla parte Nord di fatto sino a quattro giorni di viaggio, non s’incontra segno di vegetazione: e solo più in là verso il Sud si trova qualche oasi con alcune mimose. sicchè l’aspetto di quella vasta e sterile pianura, l’immensità del suo orizzonte, la sua monotona uniformità, il cupo silenzio che ogni cosa circonda, vi gettano in una profonda tristezza, se non avete la felicità d’inalzare la mente a quel Dio, che passeggia sugli spumanti mari, pei vasti deserti, nelle ridenti pianure, ed in mezzo ai folti boschi, tenendo sempre d’occhio le sue creature. Per chi non ha fede, è orribile il deserto! La prima cura pertanto di chi viaggia per quelle infocate pianure, dev’esser quella di custodire gelosamente gli otri dell’acqua; perché, mancando questa, non resta che morire. Nelle fermate soprattutto fa d’uopo stare attenti: ed il miglior modo è quello di appendere gli otri agli alberi; e se alberi non vi sieno, mettendoli per terra, si abbia cura di stendervi sotto una o due pelli, per impedire che gl’insetti, attirati dall’umidità, vengano a bucarli (2). In secondo luogo è necessario usare ogni cautela per difendersi dai raggi del sole, che in certe ore si rende insoffribile e quasi micidiale: laonde, se si ha il favore della luna, e se i cammellieri son pratici della strada, è meglio camminar di notte, e passare il giorno sotto la tenda. Di ladri e di bestie feroci non ci è punto timore; nè da parte dei cammellieri potrà temersi una qualche bricconata; perchè in generale son fedeli, principalmente se hanno speranza di qualche mancia. Inoltre il dover dar conto alle Autorità egiziane, li rende guardinghi dal commettere qualsiasi soperchieria contro i viaggiatori.

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3. I miei compagni di viaggio erano tre Beduini, di un’indole mite, /51/ semplici quali si trovano nelle campagne e lontani dalla corruzione delle città, ed assai amorevoli verso di me. Il figlio, in su i quindici anni, era poi di una semplicità infantile, d’illibati costumi, e tutto premuroso nel prestarmi quei servizj di cui aveva bisogno; portava uno straccetto legato alle reni: ma, alzandosi il sole, se lo metteva in testa a forma di turbante, e camminava ignudo con la indifferenza di un ragazzo di tre anni. I due vecchi, all’ora stabilita, facevano la loro preghiera mussulmana, e quando non avevano acqua, per la prescritta purificazione, che sempre deve precedere la preghiera, si gettavano addosso della sabbia (1). Per tenerli contenti, e rendermeli più benevoli, regalava loro lungo il giorno datteri e qualche biscotto, di cui facevano gran festa, e si camminava allegramente. Di notte era una delizia il viaggio; ma di giorno, riscaldandosi la sabbia, l’aria stessa diventava un fuoco.

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4. Il quarto giorno, verso le tre di sera, si fece vedere a Nord un temporale con ispessi guizzi di lampi, e benché lontano, sentivamo rumoreggiare qualche rombo di tuono. Sapendo che la pioggia non arrivava mai al deserto, da principio me la rideva: ma vedendo i cammellieri alquanto impensieriti, ed i cammelli mandare di tanto in tanto insoliti lamenti, cominciò a venire anche a me la tremarella. Avvicinandosi intanto il temporale, ci fermammo, e scaricate le bestie, quegli uomini mi dissero di mettermi in mezzo alle due casse, avvilupparmi bene nelle coperte, e scotermi di quando in quando, se il temporale ci fosse piombato addosso. Tutto all’improvviso di fatto fummo circondati di dense tenebre, e cominciò a cadere una pioggia di sabbia così fitta, che ci era il pericolo di restarne soffocati. Io, coricato fra le due casse, non pensava che a dimenare il corpo per liberarmi dalla sabbia, che continuamente ed in gran quantità mi cadeva addosso, e che mi si accumulava d’attorno. Dopo qualche tempo, non ostante gli sforzi fatti, cominciai a sentire un gran peso sopra di me, che, per quanto mi scotessi, e cercassi di liberarmene, semprepiù aumentava. Non poteva vedere donde quel peso venisse, perchè era tutto avviluppato nelle coperte: e per verità mi trovava confuso, e non sapeva che cosa mi fare. Allora mi ricordai di aver sentito a dire /52/ che in quello stesso deserto erano morti trenta soldati egiziani, sepolti dalla sabbia; e con questo pensiero, preso dalla paura, cominciai a fare altri più violenti sforzi; sicchè, sollevatomi a poco a poco, come Dio volle, mi liberai di tutta quella massa di sabbia, sotto cui era seppellito. Il temporale durò circa venti minuti, poi gradatamente cominciò ad allontanarsi, e ritornò il chiaro. Restai meravigliato nel vedere le casse sepolte sotto due palmi di sabbia; degli otri poi non compariva traccia alcuna! Laonde ringraziai Iddio di avermi mandata quella ispirazione, che altrimenti sarei rimasto immancabilmente vittima. Il giovane, più pratico di me, stava ritto in piedi in mezzo ad un gran cumulo di sabbia; perché, scotendo continuamente le spalle e la testa, si liberava facilmente della sabbia che gli cadeva addosso, e saliva su a mano a mano ch’essa s’andava accumulando attorno a lui; di modo che lo trovai con la testa e con le mani di fuori.

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5. Poscia ci demmo a ricercare gli otri e gli altri attrezzi, e vi volle gran fatica per ritrovarli e metterli al largo. Fatto questo, il buon cammelliere mi rjvolse un mezzo rimprovero, per non avere seguito i suoi consigli, e principalmente per aver cacciato suo figlio, ch’egli aveva mandato per mettersi accanto a me; e, come già pratico di quei terribili temporali, ajutarmi ad allontanare la sabbia. E quel buon uomo si aveva ragione; poichè avrei dovuto accettare almeno la compagnia del figlio: ma a dire il vero, vedendolo nudo, ebbi ripugnanza di mettermelo a lato. Intanto poco mancò che questo rifiuto non mi costasse la vita: ma, avendolo fatto a buon fine, l’Angelo del Signore, forse quello che, come, dice l’Apocalisse, aveva legato il Diavolo in quei deserti, era venuto in mio soccorso, a fin di avvertirmi per tempo con quella opportuna e buona ispirazione.

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6. Se non vi fossero altri motivi, i soli uragani di sabbia, che in quei luoghi spesso imperversano con tanto furore, basterebbero per rendere inabitabili si immensi deserti. E da ciò nasce pure la gran difficoltà di aprire canali di acqua e strade ferrate in quegli estesissimi spazj, che occupano una gran parte dell’Africa Centrale. Tutto sarebbe sepolto dalla sabbia. Un qualche vantaggio tuttavia si potrebbe ottenere portandovi l’acqua con grandi tubi, e quindi cominciare ad introdurvi la coltivazione; poichè quella sabbia non essendo pura silex, ma contenendo dell’humus, ben facilmente si potrebbe ridurre a coltivazione. Ma chi può cimentarsi a tali imprese?

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7. Rimessosi il tempo a sereno, e disseppellito il bagaglio, mangiammo /53/ un po’ di pane, e ripigliammo il cammino. Il sole si avvicinava al tramonto, e noi speravamo di tirare innanzi almeno per una gran parte della notte. Lungo il deserto aveva incontrato, ed incontrava ancora, scheletri di uomini, di cammelli, di asini e di altri animali, e non sapeva dapprima darmene ragione. Dopo quel temporale poi, e dopo il pericolo, dal quale fui miracolosamente salvato, ne compresi la causa, e conobbi che tutti quegli scheletri non erano che ossa delle vittime del deserto, sepolte, e poscia scoperte da quei terribili uragani. Altro che ladri e bestie feroci!

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8. Era già mezzanotte, e veramente ci sentivamo assai stanchi; prima ill. Un temporale di sabbia. || quindi che ci lasciasse la luna, pensammo di fermarci, mangiare qualche cosa, e prendere un po’ di riposo. Diedi ai cammellieri datteri e biscotto, ed anch’io ne mangiai con un po’ di formaggio: e dopo esserci rifocillati, ci mettemmo a dormire. Prima di giorno già eravamo in piedi, e trovando qua e là alcuni sterpi di mimose, feci fare il caffè per tutti: mentre io, profittando di quel po’ di tempo, recitava il Breviario. Preparato il caffè, v’inzuppammo un biscotto per ciascuno; e poichè in due ore si sarebbe arrivati ad un’oasi abitata da Beduini, prima che spuntasse il sole, noi di nuovo già eravamo in cammino.

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9. Vi arrivammo ben presto, e scaricate le bestie, ci avvicinammo /54/ verso un punto che sembrava coltivato. Non vi era un gran lusso di vegetazione, ma a chi viaggia in aridi deserti, questi luoghi sembrano un paradiso terrestre. L’abitavano due famiglie di Beduini, i quali vivevano del latte, che loro veniva apprestato da una quindicina di capre e da alcuni cammelli (1), La loro abitazione non era altro che una rozza capanna formata di pali, su cui era stesa una gran pelle di vacca. Trovandosi quell’oasi nella strada, che conduce a Bèrber, ed essendovi pochissima acqua, quei Beduini andavano a prenderla con i cammelli da lontano, e poi la vendevano alle carovane, ricevendone in compenso qualche pezzo di pane ed altre cose commestibili. Vi era bensì un pozzo, ma con si poca acqua, che in un’ora non se ne raccoglieva abbastanza per abbeverare un cammello: laonde, avendone bisogno per noi e per le bestie, ci convenne passare tutta la giornata attorno al pozzo. Esso era profondo circa tre metri, due dei quali dentro sabbia, ed il resto incavato in uno strato di pietra, che continuamente trasudava. Il nostro povero giovane, là dentro sino a sera con una scodella in mano, a stento potè raccoglierne una metà di quanto ce ne abbisognava; onde ci convenne regalare qualche cosa a quei buoni Beduini per avere il resto della provvisione. Notai che di giorno il trasudamento era più abbondante, e la notte quasi cessava: il che mi portò a credere che fosse piuttosto effetto dell’azione del calore, anziché di una vena di acqua interna.

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10. Partiti la sera, si viaggiò tutta la notte, ed altri giorni appresso, senza notevoli incidenti, finché giungemmo a Bèrber, città capoluogo di provincia, e residenza di un Modìr (2). Questa città, situata sulla sponda Est del Nilo, segna il confine Nord del Sudan, ed è uno dei punti più importanti di quella regione. Poco lungi da essa sorgeva l’antica Meroe, di cui ancora si conservano alcune rovine. Di qui comincia la zona delle piogge, le quali vanno crescendo a mano a mano che si monta il Nilo, cosicchè a Kartùm piove come nell’Abissinia. Bèrber, in cui le piogge non solo molto forti, gode di un clima salubre, laddove Kartùm e tutto il Sudan sono infestati di febbri micidialissime. Presentemente Bèrber ha una Missione cattolica, fondata dal compianto Monsignor Comboni: ma allora non ci era nè casa, nè Missione, nè preti latini; onde fui costretto /55/ prender alloggio all’Okèla (1). Ai miei buoni cammellieri, che mi avevano sì bene servito, oltre la paga convenuta, e consegnata all’Effendi di Koròsko, diedi una buona mancia, e ringraziatili, li mandai liberi: ma il ragazzo, avendomi preso affezione, non voleva abbandonarmi; dimodoché il padre, per contentarlo, si trattenne là ancora altri due giorni, e poscia partirono.

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11. Chieste subito informazioni sul paese e sulle Autorità, mi si disse che il Modìr era un Copto apostata, il quale aveva abbracciato l’islamismo per ottenere impieghi. Inteso ciò, compresi subito che sorta di Magistrato governasse quella città; e, non avendo bisogno di lui, mi astenni dal visitarlo. Intanto, sentendo ch’era giunto un Europeo, e che non era andato neppure a visitarlo, dopo tre giorni mi fece chiamare al Divano (2). Vi andai, e fattogli un semplice inchino di capo, mi posi a sedere. Egl era occupato a scrivere lettere, su cui in ultimo apponeva il suo sigillo e con istupida alterigia le gettava a terra, affinchè le persone, cui appartenevano, se le prendessero. Non lasciava avvicinar nessuno al posto suo ed ostentava tanta grandezza e superbia, che mai in quei paesi ne vidi una simile. Quando ebbe finito, mi guardò con un occhio da leopardo e poi mi rivolse un monte d’improperj, concludendo con la minaccia di farmi legare e ripartire pel Cairo. Io, senza punto scompormi, il lasciava dire: ma poi vedendo che non la finiva più, mi alzai, e senza dir parola, mi diressi per la porta. Naturalmente mi fece ritornare, e viepiù prese ad insolentire con impertinenze e minacce. Volendo farla finita, gli chiesi franco che volesse da me, e per qual motivo mi tenesse quel linguaggio.

— Voglio farvi legare, rispose. —

Allora affettai un riso sardonico, che maggiormente lo inasprì.

— E perchè non veniste a visitarmi subito che arrivaste nella mia città? —

— Perché, risposi, non aveva bisogno di voi. —

— Di qual paese siete? —

— Sono Italiano. —

— Dunque siete un ladro (3). —

/56/ Stava per perdere la pazienza, ma fattami violenza:

— Vi prego, gli dissi, signor Modìr, di essere più moderato nelle parole, e più rispettoso con le persone che non conoscete. —

— Ma io ho diritto di vedere le vostre carte, soggiunse. —

— Essendo forestiero, non so quali sieno i vostri diritti: ma pure voglio contentarvi. Ecco le carte: ma badate che a suo tempo pagherete caramente le vostre impertinenze. —

E così dicendo, gli mostrai il firmano del Vicerè, e due o tre altre lettere di raccomandazione. Il poveretto cadde dalle nuvole, si fece piccin piccino, balbettò qualche scusa, e mi domandò perdono. Allora ritirate le mie carte, lo salutai, e senza dir altro, uscii di sua casa.

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12. Il dì appresso venne a trovarmi all’albergo, per rinnovare le sue scuse ed invitarmi a pranzo. Ringraziandolo di tanta generosità, gli dissi di procurarmi piuttosto i cammelli pel viaggio, poichè voleva tosto partire. Intanto varie persone, ch’erano li presenti, sentendomi rispondere così bruscamente e temendo pel povero Modìr, s’intromisero per indurmi a far la pace; affinchè, restando buoni amici, non si parlasse più di quello spiacevole fatto, che per isbaglio era accaduto. Risposi che non nutriva odio o rancore contro di lui, nè avrei cercato di vendicarmi: ma che però imparasse a rispettare i forestieri, e smettesse di ostentare tanta superbia con tutti. Essendo io vestito semplicemente ed alla foggia del paese, il pubblico almanaccava chi sa che cosa intorno alla mia persona, e restava meravigliato in vedere tanta franchezza nel mio parlare, e tanta umiliazione nel superbo Modìr. Il giorno appresso di fatto furono pronti tre cammelli ed alcune persone, che, dovendo recarsi a Kartùm, mi avrebbero, per ordine del Modìr, tenuto compagnia.

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13. Ho detto che il Sudan è infestato generalmente dalle febbri; ed era già il mese di Settembre, la stagione, cioè, più micidiale. Per evitarle, avrei dovuto fermarmi a Bèrber, almeno sino a tutto Novembre: ma ritardando questa lunga sosta grandemente le mie operazioni, e pensando che i Missionarj dell’interno, non vedendomi comparire, avrebbero sospettato chi sa che cosa; risolvetti di prendere tutte le precauzioni possibili, e poi rimettermi nelle mani di Dio e partire. Presi pertanto una buona dose di decotto di tamarindo, che trovai di pessima qualità, ed il giorno appresso, quindici grani di chinino (1). Da Bèrber a Kartùm avrei potuto andare /57/ sulle barche, con poca spesa ed anche più comodamente: ma per iscansare i miasmi del fiume, giudicai meglio tenere la via di terra. Essendo dunque pronti i cammelli e gli uomini, venne il Modìr medesimo a dare la consegna: poichè la pace tra noi due era già fatta, ed io gli avea promesso che nulla avrei detto al Pascià di Kartùm. Quindi ci accomiatammo da buoni amici, e partii.

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14. Si doveva far sosta a Scendy, grosso paese sul Nilo, e capoluogo di un’altra provincia, con un Bey ed una guarnigione di soldati egiziani: e dopo sette giorni di viaggio, vi arrivammo felicemente. Quel paese è diviso dal fiume in due parti, come Parigi dalla Senna: ed avendo io ill. Veduta di Bèrber. || tenuto la via all’Occidente del Nilo, mi fermai da quel lato, laddove le Autorità ed i soldati stavano dall’altro. A questo punto il fiume è talmente pieno di coccodrilli, che i paesani si guardano anche di avvicinarvisi, per lavarsi i piedi; ed a proposito di questi pencoli mi fu raccontata una tragica sventura, accaduta tempo addietro a due giovani sposi. Il figlio di un ricco mussulmano avea sposato una giovane di altro paese, e ritornando a Scendy con numeroso accompagnamento, era stato /58/ ricevuto da tutti con gran festa. A mezzogiorno doveva farsi solennemente la prima purificazione mussulmana degli sposi, e quindi tutto il popolo si era recato al Nilo, per assistervi e fare baldoria. Giunge finalmente il Fakiro con gli sposi, ed entrano tutti e tre nel fiume per compiere il rito; all’improvviso un coccodrillo, addenta, di sotto l’acqua, una gamba della sposa, e la trascina seco. Lo sposo allora, slanciatosi coraggiosamente nel fiume, fa di tutto per soccorrerla: ma scomparisce anch’egli. Tutti restarono istupiditi, e non si sapeva qual partito prendere: si chiamò e si aspettò invano tutta la giornata, ma nessuno dei due fu più visto; sicchè l’allegria si convertì in pianto (1).

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15. In quei giorni era arrivato da Kartùm a Scendy, insieme col Bey il Console austriaco, di cui non ricordo il nome, ed avendo inteso che trovavasi là un Europeo, mi mandò un biglietto, invitandomi di recarmi dall’altra parte del fiume. Vi andai subito, e lo trovai che assisteva col Bey ad una finta battaglia fra soldati con cavalli e cammelli. Era la prima volta che vedeva il cammello in esercizj militari, e mi convinsi che il dromedario, quando sia bene istruito, non la cede al cavallo per corso, per agilità di mosse, e per prontezza ai comandi. Vidi pure là selle assai ben fatte e di gran lusso, e molto comode per gli animali e per le persone (2). Il Console ed il Bey credevano che io fossi un Europeo di loro conoscenza: ma non avendo avuto meco per lo passato alcuna attinenza, e vedendomi inoltre così mal vestito, mi rivolsero qualche complimento, e poi seguitarono ad attendere alle loro manovre, senza curarsi nè punto, nè poco di me; nè io per fortuna aveva bisogno di loro.

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16. Ad accompagnare il Console ed il Bey era venuto da Kartùm Fatàlla Mardrùs, quel giovane che al Cairo nel 1846 mi aveva prestato importanti servizj, principalmente nel cambio della moneta. Viaggiando io vestito all’araba e con la barba accorciata, non mi riconobbe; tuttavia lo avvicinai, e senza dire chi io mi fossi, gli domandai notizie di Kartùm /59/ e della Missione. Mi disse che conviveva con i Missionarj, e che presto sarebbe ritornato là con la stessa barca che avea condotto il Console ed il Bey; i quali restavano a Scendy, per recarsi poscia a sottomettere alcuni ribelli vicini. Gentile com’ era, si offrì a portarmi sulla stessa barca: ma lo ringraziai, perchè avendo pagato il viaggio dei cammelli sino a Kartùm, non mi conveniva fare un’altra spesa; ma veramente non accettai l’offerta pel doppio timore di prendere le febbri e di essere riconosciuto. Lo pregai però di portare i miei saluti ai Missionarj, e dir loro che, giunto in quella città, desiderava di essere ospitato nella Missione; e nel caso che non avessero potuto ricevermi, si prendessero la premura di cercarmi una casa. Rimasti così d’accordo, ripassai il Nilo e raggiunsi i miei compagni. Uno di questi sentendo che contemporaneamente partiva quella barca, amò meglio andarsene su di essa: e datogli un biglietto per Mardrùs, con cui lo raccomandava come mio compagno, se ne partì.

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17. Anche a Scendy rinnovai la cura preservativa di Bèrber, e prendendo un buon decotto di tamarindo e la solita dose di chinino, mi misi in viaggio; seguendo sì il corso del fiume, ma tenendomene sempre lontano. Era la fine di Settembre, e le acque si mantenevano ancora abbastanza alte, le sponde quindi erano adorne di bella vegetazione, e qua e là a sinistra s’incontravano spesso grandi stagni, in cui andavano a tuffarsi enormi coccodrilli, non appena ci vedevano spuntare. Non meno di sette giorni si richiedevano per arrivare a Kartùm, seguendo la via di terra, laddove la barca al più vi avrebbe impiegato un tre o quattro giorni. Tuttavia mi era più caro prolungare il viaggio, che espormi al pericolo di prendere le febbri. Di fatto, giungemmo a Kartùm tre giorni dopo della barca; ed avvicinatici alla riva del Nilo Bianco, vedemmo venirci incontro una barchetta con varie persone, tra cui il Missionario P. Pedemonte, il buon Mardrùs ed il mio compagno di Bèrber; il quale veniva a darmi il ben arrivato a nome del Governatore. Abbracciato allora il degno Missionario, ed entrato nella barca, ci avviammo alla casa della Missione

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[Note a pag. 50]

(1) È ammirabile quest’istinto, di cui la Provvidenza ha dotati quegli animali. Se non vi fossero cammelli, sarebbe impossibile viaggiare pel deserto. Il paziente animale riempitasi la borsa di acqua, cammina per più giorni, senza cercare altro; e mentre voi date nelle smanie pel cocente calore e per l’ardore della sete, egli pazientemente va innanzi, richiamandosi di quando in quando qualche sorso della misurata provvista che porta in petto. [Torna al testo ]

(2) Il miglior mezzo di trasportare l’acqua nei viaggi sono gli otri. Essi la conservano pulita ed anche fresca; principalmente se nelle fermate si ha cura di appenderli a qualche albero. La corrente dell’aria, anche calda, sviluppa in essi un trasudamento, e questo serve a rinfrescarla di dentro. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 51]

(1) Pochi sono gli atti esterni religiosi e le pratiche liturgiche, che il Corano impone ai seguaci di Maometto: e tra essi ha il primo luogo la purificazione; la quale in verità può dirsi il principale, se non l’unico atto liturgico del culto islamitico. Essa consiste nel lavare i sensi ed altre parti segrete del corpo, prima della preghiera, o prostrazione della persona verso la Kaàba, pronunziando alcune delle loro cento ed una formola di fede. Pel mussulmano la purificazione è tutto: si faccia di ogni erba fascio, si commetta qualunque delitto, siasi nell’interno una putrida cloaca, la purificazione rende candidi come la neve, e degni di essere ascoltati e graditi dal Dio di Maometto. [Torna al testo ]

[Note a pag. 54]

(1) Il latte del cammello è leggiero, sostanzioso e salubre, come quello dell’asina; e per questo non dà butirro Il popolo minuto mussulmano può dirsi che ricavi metà del suo nutrimento dal latte di questo animale; il quale vien bevuto anche con devozione, e come atto di religione esterna, perchè il cammello fu benedetto particolarmente da Maometto. Quando un profano passa all’islamismo, gli si dà a bere per primo il latte di cammello; e ciò si tiene come una professione di fede mussulmana. [Torna al testo ]

(2) Dignità mussulmana, corrispondente ai nostri Prefetti. [Torna al testo ]

[Note a pag. 55]

(1) Albergo, dove si dà solamente una stanzetta, senza pranzo ed altro servizio. [Torna al testo ]

(2) Salone di udienza pubblica, dove le Autorità governative e politiche dell’impero turco ricevono le persone e trattano gli affari dello Stato e dei particolari. [Torna al testo ]

(3) Sembra strano che quel Modìr abbia aggiunto al titolo d’italiano l’epiteto vergognoso di ladro; e pure non si aveva tutti i torti. In quegli anni l’Egitto era pieno di emigrati e di fuorusciti italiani, scappati dai varj regni della penisola, dopo gli sconvolgimenti politici del 1848; e come si sa, molti non erano il fiore dell’onestà e dell’onoratezza dei nostri paesi! Laonde, rendendosi colpevoli di turpi e riprovevoli fatti, infamarono con le loro persone anche il nome onorato d’italiano, di cui per nostra vergogna si gloriavano. Quel Modìr, non meno malvagio, e forse non meno ladro di loro, ne aveva dovuto sentire e forse soffrire qualcuna delle belle imprese, operate da quei caldi e poco onorevoli patrioti! [Torna al testo ]

[Nota a pag. 56]

(1) Il tamarindo, dopo la palma, è l’albero più utile e benefico, che il Signore abbia dato a quei popoli; poichè, per molte malattie, il suo frutto è la medicina più efficace e più innocua, che là si possa trovare. Il Sudan n’è pieno, e vi vegeta straordinariamente: il frutto poi, raccolto sempre a perfetta maturità, è /57/ nero, e molto migliore di quello delle Indie, che è rosso, perchè acerbo e fermentato. Gl’indigeni lo mangiano anche col pane: ma nelle malattie si suole prenderne il decotto; il quale immediatamente produce il suo effetto purgativo, lasciando il ventre libero e fresco, e la persona non molto indebolita. [Torna al testo ]

[Note a pag. 58]

(1) Vera o falsa questa storia, il fatto è che a Scendy il Nilo è pericolosissimo. Anche nel 1880 un buon Missionario fu vittima dei coccodrilli in questo paese. Tre sacerdoti ed alcune suore, appartenenti alla Missione di Monsignor Comboni, erano giunti da Bèrber a Scendy: ed uno di essi, prussiano, staccatosi dai compagni, si avviò al Nilo per lavarsi. Fu visto entrare ed uscire dal fiume, ma mentre sulla, sponda attendeva ad asciugarsi e vestirsi, fu sorpreso dal coccodrillo e scomparve. Ogni cautela adunque non è mai superflua in quei luoghi; perchè il coccodrillo vi arriva addosso come un traditore. In tutto il mio viaggio, dal Cairo a Kartùm, quantunque talvolta sentissi il bisogno di rinfrescarmi, non mi accostai mai al fiume, se non per entrare nella barca. [Torna al testo ]

(2) Venticinque anni dopo, vedendo nello Scioa i cavalli ed i cammelli pessimamente bardati, ne parlai al Re Menelìk, e lo invogliai a mettere in uso le selle del Sudan, principalmente per i corrièri, e per combattere i Danakìl. [Torna al testo ]